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Fondamenti di automatica/Controllo di sistemi lineari
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2022-07-25T09:43:30Z
Eumolpo
4673
ortografia
wikitext
text/x-wiki
{{Fondamenti di automatica}}
== Controllo di sistemi lineari ==
=== Specifiche di progetto ===
Ci si riferisce alle '''specifiche di progetto''' intendendo la descrizione di ciò che un sistema deve o non deve fare e come
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 665, sezione 10-1-1: Design specifications</ref>
Queste sono riferite in termini di stabilità relativa, accuratezza ed errore a regime, risposta transitoria, caratteristiche della risposta in frequenza, sensibilità alla variazione dei parametri;
di queste fanno parte la sovraelongazione massima, il tempo di salita, il tempo di assestamento, il margine di guadagno, il margine di fase, il picco di risonanza.
se viene dato un vincolo sulla sovraelongazione massima,
in caso di sistema del secondo ordine con poli complessi coniugati si ha che
<math>
\xi = \frac{\ln M_{p}}{\sqrt{\pi^{2} + \ln^{2}M_{p}}}
</math>
=== Controllo in anello aperto ===
È applicabile solo se il sistema è noto con precisione,
poiché una piccola variazione del sistema non è gestita dal controllore
=== Controllo in ciclo chiuso ===
<ref>Controls systems engineering di I. J. Nagrath, M. Gopal; Wiley International edition, 1982, seconda edizione; pag. 366, sezione 10.6: Feedback compensation</ref>
==== Polinomio caratteristico in ciclo chiuso ====
Per un sistema <math>G(s)=P_{N}(s)/P_{D}(s)</math> in retroazione unitaria negativa con un guadagno <math>K</math> si ha:
<math>
P_{CC} = P_{D}(s) + KP_{N}(s)
</math>
==== Guadagno critico ====
Se il sistema è del secondo ordine i coefficienti del polinomio caratteristico in ciclo chiuso devono essere tutti dello stesso segno
Per sistemi di ordine superiore non è sufficiente che i coefficienti siano tutti dello stesso segno, si usa il criterio di Routh
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 488, sezione 8-3-8: Intersection of the root loci with the imaginary axis</ref>
==== Funzione di trasferimento in ciclo chiuso ====
Se <math>G(s)</math> è la funzione di trasferimento in anello aperto di un sistema, allora la funzione di trasferimento in retroazione negativa è
<math>
G_{cc}(s) = \frac{G(s)}{1 + G(s)}
</math>
=== Schema di controllo standard ===
Definiamo '''schema di controllo standard''' il controllo di un sistema con funzione di trasferimento <math>G(s)</math>
lineare tempoinvariante e causale
stabile o meno
conosciuto a meno di approssimazioni rispetto al sistema reale <math>G_{R}(s)</math>
retroazionato negativamente (retroazione unitaria)
con l'aggiunta in serie di un controllore PID <math>K(s)</math>
indicando con <math>C(s)</math> la funzione di trasferimento del sistema totale
quando lo scopo del controllore è quello di far si che il sistema segua esattamente l'ingresso <math> (C(s) \approx 1) </math>
definiamo i segnali:
* <math>r(t)</math>: il segnale di riferimento in ingresso al sistema globale
* <math>y(t)</math>: il segnale in uscita dal sistema e che viene retroazionato all'ingresso
* <math>\epsilon (t)</math>: il segnale di errore <math>y(t) - r(t)</math> che entra in ingresso al controllore
* <math>u(t)</math>: il segnale in uscita dal controllore e in ingresso al sistema
chiamiamo:
* <math>G(s)</math>: funzione di trasferimento in anello aperto del sistema (da <math>u(t)</math> a <math>y(t)</math>);
* <math>L(s)</math>: pari a <math>K(s)G(s)</math> funzione di trasferimento in anello aperto del sistema controllato (da <math>\epsilon (t)</math> a <math>y(t)</math>);
* <math>C(s)</math>: pari a <math>\frac{L(s)}{1 + L(s)}</math> funzione di trasferimento in anello chiuso del sistema controllato (da <math>r(t)</math> a <math>y(t)</math>)
detta anche '''funzione di sensitività complementare'''
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 329, sezione 11.8: Analisi della funzione di sensitività complementare</ref>;
* <math>S(s)</math>: pari a <math>\frac{1}{1 + L(s)}</math>, funzione di trasferimento ingresso-errore o '''funzione di sensitività'''
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 342, sezione 11.9: Analisi della funzione di sensitività</ref>
* <math>Q(s)</math>: pari a <math>\frac{K(s)}{1 + L(s)}</math> '''funzione di sensitività del controllo'''
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 346, sezione 11.10: Analisi della funzione di sensitività del controllo</ref>
Una struttura di controllo di questo tipo consente di gestire la variazione di parametri del sistema
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 349, sezione 11.11: Prestazioni in condizioni perturbate</ref>
in caso di errori di modello o di approssimazioni
(cosa che non è garantita da un sistema di controllo in anello aperto)
Se la funzione di trasferimento del sistema non è nota con precisione,
e la funzione di trasferimento reale è <math>G_{R}(s) = G(s) + \Delta G(s)</math>
in uscita si ha un errore pari a
<math>
\frac{\Delta y}{y} = \frac{\Delta G(s)}{G(s)}
</math>
tale che se l'uscita <math>y</math> aumenta anche l'errore aumenta.
In presenza di un controllore <math>K(s)</math> in retroazione
si ha che l'errore diventa
<math>
\Delta y = \frac{G_{R}(s) K(s)}{1 + G_{R}(s)} r(t) -
\frac{G(s)K(s)}{1 + G(s)K(s)} r(t)
</math>
e quindi
<math>
\frac{\Delta y}{y} = \frac{\Delta G(s)}{G(s)} \frac{1}{1 + G(s)K(s)}
</math>
Il guadagno nel controllo in ciclo chiuso è talvolta limitato dalla stabilità del sistema;
si definiscono '''sistemi a stabilità condizionata'''
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 618, sezione 9-16-1: Conditionally stable system</ref>
sistemi che se retroazionati con un guadagno troppo elevato diventano instabili;
esiste quindi un intervallo limitato di guadagni possibili.
Ad esempio sono tali sistemi con tre poli in eccesso agli zeri,
per cui si nota dal luogo delle radici che per guadagni elevati i tre asintoti del sistema portano i poli nel semipiano positivo;
oppure sistemi con poli positivi instabili e zeri vicini all'origine,
in cui lo zero tende ad attrarre solo limitatamente i poli.
Alcuni sistemi possono avere due punti corrispondenti alla pulsazione critica del margine di guadagno, per cui quest'ultimo deve essere positivo in entrambi
=== Differenti schemi di controllo ===
Non è detto che il sistema di controllo standard sia sempre il più corretto,
è anche possibile posizionare più controllori in posizioni differenti
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 443, capitolo 15: Schemi di controllo avanzati</ref>
=== Specifiche qualitative di un sistema di controllo ===
Si sceglie il tipo di controllore a seconda delle proprietà intrinseche dell'impianto:
controllabilità e osservabilità del sistema
limitano l'azione del controllore;
la stabilità del sistema controllato
consente di mantenere il sistema in equilibrio, consentendo una maggiore precisione e sicurezza delle operazioni, oltre ad una riduzione del carico di lavoro dell'impianto
Il controllore deve gestire i poli del sistema,
i comandi sono dati al sistema in funzione di ingressi esterni
e sono riferiti al sistema nominale
(a meno di approssimazioni)
Deve controllare il comportamento del sistema rispetto al comando o riferimento in ingresso,
controllare i valori dell'uscita a regime,
gestire il tipo della funzione di trasferimento in anello aperto
Si stabilisce prima il denominatore del sistema controllato
per garantirne la stabilità
Devono essere gestiti i disturbi,
idealmente l'uscita del sistema rispetto ad un disturbo dovrebbe essere nulla,
comunque il guadagno (<math>|G(j\omega)|</math>) del sistema controllato rispetto ad un disturbo deve essere negativo (in decibel);
la forma del guadagno in funzione della frequenza si cambia con poli e zeri,
l'altezza con un guadagno puro
Il controllore deve essere in grado di operare anche se il sistema reale differisce dal sistema nominale
Idealmente il sistema controllato dovrebbe avere
<math>G(s) = 1</math> rispetto al segnale di riferimento o al controllo,
e <math>G(s) = 0</math> rispetto ai disturbi;
ovvero, più realisticamente
<math>|G(j\omega)|</math> "grande" rispetto al segnale di riferimento o al controllo,
e <math>|G(j\omega)|</math> "piccolo" rispetto ai disturbi
Per evitare i rumori in alta frequenza
(tipicamente associati agli strumenti di misura dell'uscita)
la banda del sistema non deve essere troppo "grande"
Un controllore deve essere causale,
il suo guadagno non deve essere troppo elevato rispetto alla complessità del sistema,
deve rendere il sistema stabile se non lo è,
deve rispettare le specifiche di progetto per quanto possibile,
deve rendere il sistema sensibile al segnale di riferimento e insensibile ai disturbi
=== Struttura del sistema ===
Poli complessi coniugati nella funzione di trasferimento in ciclo chiuso danno una risposta al gradino oscillatoria smorzata,
se tutti i poli sono reali, la risposta al gradino è sovrasmorzata (non oscillante), ma se ci sono degli zeri non è detto che la sovraelongazione massima sia nulla
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 670, sezione 10-2-3: Fundamental principes of design</ref>
La risposta del sistema è dominata dai poli più vicini all'origine,
poli dominanti lontani dall'origine rendono più veloce la risposta del sistema e più ampia la sua banda,
ma è probabile che il sistema abbia un'implementazione più costosa
e inoltre i segnali al suo interno saranno più irregolari e a maggiore potenza
Quando un polo e uno zero di un sistema sono vicini rispetto agli altri, questi tendono a cancellarsi a la risposta a loro associata diventa piccola
Le specifiche nel dominio del tempo sono vagamente correlate con quelle in frequenza,
il tempo di salita e la banda sono inversamente proporzionali,
il margine di fase, il margine di guadagno, il picco di risonanza e lo smorzamento sono inversamente proporzionali (??)
==== Aggiunta di poli e zeri ====
Aggiungere uno zero aumenta la banda del sistema in ciclo chiuso
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 551, sezione 9-3: Effects of adding a zero to the forward-path transfer function</ref>
Aggiungere un polo rende il sistema meno stabile e diminuisce la banda
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 555, sezione 9-4: Effects of adding a pole to the forward-path transfer function</ref>
Il luogo delle radici può essere usato per valutare l'effetto dell'aggiunta di poli e zeri al sistema
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 509, sezione 8-5-1: Effect of adding poles and zeros to <math>G(s)H(s)</math></ref>
=== Controllori PID ===
Un '''controllore PID'''
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 708, sezione 10-4: Design with the PID controller</ref>
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 415, capitolo 14: Regolatori PID</ref>
è un controllore che è composto da
una componente proporzionale <math>K_{P}</math>,
una componente derivativa <math>K_{D}s</math>
ed una integrale <math>K_{S}/s</math>
connesse in parallelo;
la sua funzione di trasferimento è quindi
<math>
G_{PID}(s)
= \frac{K_{D}s^{2}+K_{P}s+K_{I}}{s}
= K_{P}+K_{D}s+\frac{K_{I}}{s}
</math>
<math>
= K_{P} \big(1+ \frac{1}{T_{I}s} + T_{D}s \big)
= K_{P}\frac{T_{I}T_{D}s^{2} + T_{I}s + 1}{T_{I}s}
</math>
dove <math>T_{I} = K_{P}/K_{I}</math> è il '''tempo integrale''' e <math>T_{D} = K_{D}/K_{P}</math> è il '''tempo derivativo''';
la sua uscita in funzione dell'ingresso è
<math>
y(t) = K_{P}u(t) + K_{I}\int_{t_{0}}^{t} u(\nu)d\nu + K_{D}\frac{du(t)}{dt}
</math>
Il controllore PID ideale non è un sistema causale,
nella pratica l'azione derivativa è ottenuta aggiungendo un polo per <math>s = -N/T_{D}</math> con <math>N \approx 5 \ldots 20</math>
Un controllore PID implementato con un semplice circuito elettronico
con condensatori, resistenze e due amplificatori operazionali,
ha una funzione di trasferimento del tipo
<math>
K_{PID}(s) = \frac{R_{4}}{R_{1}C_{2}R_{3}} \quad \frac{(1+C_{1}R_{1}s) (1+R_{2}C_{2}s)}{s}
</math>
È possibile anche una struttura equivalente meccanica di un PID costituita da una molla e da uno smorzatore
==== Controllore proporzionale derivativo ====
Un '''controllore proporzionale derivativo'''
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 671, sezione 10-2: Design with the PD controller</ref>
<math>
K_{PD}(s) = K_{P} + K_{D}s = K_{P} \left( 1 + \frac{K_{D}}{K_{P}}s \right)
</math>
è composto da una componente proporzionale ed una proporzionale alla derivata del segnale di ingresso;
ha un solo zero in corrispondenza di <math>K_{P}/K_{D}</math> e nessun polo
(le implementazioni reali di questo controllore hanno ovviamente almeno un polo, ma si suppone che questo sia a frequenza elevata tale da non alterare il sistema)
Un controllore derivativo non modifica il tipo della funzione di trasferimento,
ma varia la risposta transitoria del sistema
diminuendo il tempo di assestamento,
tende però a causare sovraelongazioni anche pronunciate e
non è indicato se l'ingresso del controllore ha variazioni rapide,
che verrebbero accentuate dal controllore
La struttura di un PD implementato come circuito elettronico è pari a quella del PID con <math>C_{1}</math> sostituito con un circuito aperto,
<math>
K_{PD}(s) = \frac{R_{4}R_{2}}{R_{1}R_{3}} \quad \frac{1+C_{1}R_{1}s}{s}
</math>
==== Controllore proporzionale integrale ====
Un '''controllore proporzionale integrale'''
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 691, sezione 10-3: Design with the PI controller</ref>
<math>
K_{PI}(s) = K_{P} + K_{I}/s = \frac{K_{I}\left(1 + \frac{K_{P}}{K_{I}}s\right)}{s}
</math>
è composto da una componente proporzionale ed una proporzionale all'integrale del segnale di ingresso;
ha un solo zero in corrispondenza di <math>K_{P}/K_{I}</math> e un polo nell'origine;
si comporta come un filtro passa-basso
È conveniente in fase di progetto mettere lo zero relativamente vicino all'origine e lontano dagli altri poli del sistema,
mantenendo le due costanti <math>K_{P}</math> e <math>K_{I}</math> piccole
La struttura di un PI implementato come circuito elettronico è pari a quella del PID con <math>C_{2}</math> sostituito con un circuito chiuso,
<math>
K_{PI}(s) = \frac{R_{4}}{R_{1}C_{2}R_{3}} \quad \frac{1+R_{2}C_{2}s}{s}
</math>
Un integratore può causare effetti indesiderati se la sua uscita è collegata ad un sistema che ha un livello di saturazione
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 423: sezione 14.3.2: Desaturazione dell'azione integrale</ref>
:
nel caso che il sistema controllato vada in saturazione,
l'integratore continua ad accumulare energia,
quando il sistema esce dalla saturazione,
spesso l'integratore è più lento nella sua scarica
e resiste alla variazione,
il fenomeno è detto '''carica integrale''' o '''wind-up'''
ed il suo effetto è
un aumento del tempo di assestamento del sistema
(è un comportamento non lineare)
==== Metodi di taratura automatica ====
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 430, sezione 14.4: Metodi di taratura automatica</ref>
=== Criterio di Nyquist ===
In un sistema di controllo standard in ciclo chiuso, dove il sistema da controllare <math>G(s)</math> è conosciuto solo a meno di approssimazioni rispetto al sistema reale, è possibile valutare la stabilità del sistema reale per mezzo del criterio di Nyquist.
Questo nel caso che l'aprossimazione di <math>G(s)</math> sia a meno di incertezze moltiplicative non strutturali
(ad esempio se si trascura la dinamica degli attuatori di un sistema).
Una funzione <math>F(s) \qquad \mathbb{C} \rightarrow \mathbb{C}</math> '''analitica'''
in un insieme <math>\Omega</math>
(ovvero esiste nell'insieme ed esistono le sue derivate,
<math>F(s)</math> è continua e derivabile infinite volte, <math>F(s) \in C^{\infty}</math>)
soddisfa il '''teorema di Cauchy''':
dato un percorso chiuso <math>\Gamma</math> che racchiude poli e zeri di <math>F(s)</math>, percorrendo <math>\Gamma</math> in senso orario una volta, <math>F(s)</math> mappa <math>\Gamma</math> in <math>\Omega</math>
(è detta '''trasformazione conforme''')
Applichiamo una particolare trasformazione conforme alla funzione di trasferimento <math>G(s)</math> di un sistema,
dove il percorso <math>\Gamma</math> è tale da racchiudere tutti i poli e gli zeri instabili, ovvero il semipiano reale positivo del luogo delle radici
(esclusi poli e zeri immaginari puri);
in questo modo si ottiene il diagramma di Nyquist.
Ad esempio, per escludere poli nell'origine, si sceglie il percorso
<math>
\frac{1}{\epsilon} e^{j\theta}
\qquad \textrm{per} \quad \theta = -\pi/2 \ldots \pi/2
</math>
Il '''criterio di Nyquist''' stabilisce che
un sistema è asintoticamente stabile in ciclo chiuso se il suo diagramma di Nyquist accerchia tante volte il punto <math>-1, 0j</math> quanti sono i poli instabili del sistema in anello aperto
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 567, sezione 9-5-6: Nyquist criterion and the L(s) plot</ref>
Se il sistema controllato non ha poli instabili in anello aperto,
per verificare l'asintotica stabilità in retroazione è sufficiente che il punto critico <math>-1, 0j</math> non sia circondato dalla curva nel diagramma di Nyquist,
se il sistema ha guadagno unitario per una sola frequenza
(il diagramma di Bode attraversa una sola volta l'asse a 0 dB)
allora è necessario e sufficiente per l'asintotica stabilità del sistema che il guadagno in anello aperto sia positivo e il margine di fase positivo
(questo è detto '''criterio di Bode'''
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 327, sezione 11.7.5: Criterio di Bode</ref> )
=== Reti stabilizzatrici ===
Esistono dei modelli standard di controllori che sono disponibili in commercio;
questi sono i controllori che possono essere più facilmente utilizzati nella sintesi di un sistema di controllo
e che sono sviluppati con varie tecnologie
<ref>Controls systems engineering di I. J. Nagrath, M. Gopal; Wiley International edition, 1982, seconda edizione; pag. 328, sezione 10.3: Realization of basic compensators</ref>
==== Rete anticipatrice di fase ====
Una '''rete anticipatrice'''
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 382, sezione 12.5.1: Rete anticipatrice</ref>
messa in serie ad un sistema
aggiunge uno zero e un polo a maggiore frequenza al sistema,
aumentando la banda passante e il margine di fase del sistema
È descritta dalla funzione di trasferimento
<math>
G(s)_{ra} = \frac{1 + \tau s}{1 + T s}
</math>
con <math>z < p</math> (<math>\tau > T</math>)
e quindi con uno zero a pulsazione <math>\omega_{z} = 1 / \tau</math> e un polo a pulsazione <math>\omega_{p} = 1 / T</math>
L'anticipo di fase massimo <math>\Phi</math> si ha in corrispondenza della pulsazione media dei due poli <math>\omega_{zp} = 1 / \sqrt{T\tau}</math>
(media geometrica in quanto si intende in scala logaritmica)
e si può ricavare tracciando il diagramma di Nyquist della rete
(che è una semicirconferenza al di sopra dell'asse reale positivo che va dal punto <math>\tau / T</math> al punto <math>1</math>)
<math>
\Phi_{ra} = \sin^{-1} \frac{\tau/T -1}{\tau/T+1}
= \sin^{-1} \left| \frac{\tau - T}{\tau + T} \right|
</math>
Esiste un limite all'anticipo di fase che può essere ottenuto con una semplice rete di questo genere fatta con resistenze e condensatori (e quindi a guadagno unitario) che è circa <math>\pi/3</math> con tipicamente zero e polo a distanza di circa una decade
La rete aumenta anche il guadagno a frequenze superiori alla frequenza del polo,
questo guadagno in decibel è
<math>
A_{ra} = 20 \log_{10} \frac{\tau}{T}
</math>
Non si può usare una rete di questo genere se le fase nella frequenza di taglio scende più velocemente del minimo possibile (20 dB/dec)
Per dimensionare una rete anticipatrice nell'ottica di un normale progetto di un controllore per un sistema stabile si procede come segue:
*# si trova il guadagno del controllore necessario per soddisfare le specifiche sull'errore a regime in ciclo chiuso
*# si costruisce il diagramma di bode del sistema in anello aperto con il nuovo guadagno
*# si trova il margine di fase e si valuta di quanto questo deve essere aumentato (meglio abbondare un poco), questo è lo sfasamento massimo <math>\Phi_{ra}</math> della rete
*# si ricava il rapporto <math>\tau/T = \frac{1 + \sin \Phi}{1 - \sin \Phi}</math> della rete dato lo sfasamento massimo
*# si ricava il guadagno aggiunto dalla rete <math>A_{ra} = 20 \log_{10} \tau/T</math>
*# si cerca nel diagramma del modulo del sistema la frequenza per cui il guadagno è <math>-A_{ra}</math>,
con una certa approssimazione questa sarà la nuova frequenza di taglio <math>\omega_{\pi}</math> del sistema controllato
Una semplice implementazione elettrica di una rete anticipatrice è composta da due resistenze <math>R_{1}, R_{2}</math> e da un condensatore <math>C_{1}</math>,
in questo caso la funzione di trasferimento risulta
<math>
G_{ra} = \frac{R_{1}C_{1}s + 1}{\frac{R_{1}R_{2}}{R_{1}+R_{2}}C_{1}s + 1}
</math>
==== Rete ritardatrice di fase ====
Una '''rete ritardatrice'''
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 384, sezione 12.5.2: Rete ritardatrice</ref>
messa in serie ad un sistema
aggiunge un polo e uno zero a maggiore frequenza al sistema,
migliorando la precisione statica e garantendo una maggiore attenuazione dei disturbi in bassa frequenza
È descritta dalla funzione di trasferimento
<math>
G(s)_{rr} = \frac{1 + \tau s}{1 + T s}
</math>
con <math>p < z</math> (<math>\tau > T</math>)
e quindi con un polo a pulsazione <math>\omega_{p} = 1 / T</math> e uno zero a pulsazione <math>\omega_{z} = 1 / \tau</math>
La rete introduce un ritardo di fase indesiderato <math>\Phi</math> che ha il suo massimo in corrispondenza della pulsazione media dei due poli <math>\omega_{pz} = 1 / \sqrt{T\tau}</math>
(media geometrica in quanto si intende in scala logaritmica)
e si può ricavare tracciando il diagramma di Nyquist della rete
(che è una semicirconferenza al di sotto dell'asse reale positivo che va dal punto <math>\tau / T</math> al punto <math>1</math>)
<math>
\Phi_{ra} = - \sin^{-1} \frac{T/\tau - 1}{T/\tau + 1}
= - \sin^{-1} \left| \frac{\tau - T}{\tau + T} \right|
</math>
Per evitare che il ritardo di fase introdotto si ripercuota troppo sul margine di fase, occorre scegliere il polo (????): <math>T > 1/\omega_{c}</math>
Per dimensionare una rete ritardatrice nell'ottica di un normale progetto di un controllore per un sistema stabile si procede come segue:
# si trova il guadagno del controllore necessario per soddisfare le specifiche sull'errore a regime in ciclo chiuso
# si costruisce il diagramma di Bode del sistema in anello aperto con il nuovo guadagno
# si stima la nuova frequenza di taglio <math>\omega_{c}</math> valutando sul diagramma della fase la pulsazione per cui la fase è <math>-180 + PM + 5</math> gradi, dove <math>PM</math> è il margine di fase desiderato e circa 5 gradi sono aggiunti per considerare la diminuzione del guadagno introdotta dalla rete
# si sceglie lo zero <math>1/\tau</math> una decade circa prima della frequenza di taglio stimata
# si stima sul diagramma del modulo l'ampiezza <math>A</math> (in dB) della risposta in corrispondenza della frequenza di taglio stimata
# si sceglie <math>T = 10^{-\frac{A}{20}}\tau</math> dall'equazione <math>A = 20 \log _{10} \tau/T</math>
Una semplice implementazione elettrica di una rete ritardatrice è composta da due resistenze <math>R_{3}, R_{4}</math> e da un condensatore <math>C_{2}</math>,
in questo caso la funzione di trasferimento risulta
<math>
G_{rr} = \frac{R_{4}C_{2}s + 1}{(R_{3}+R_{4})C_{2}s + 1}
</math>
==== Rete a sella ====
Una '''rete a sella''' (detta anche rete di anticipo-ritardo)
<ref>Fondamenti di controlli automatici di Paolo Bolzern, Riccardo Scattolini, Nicola Schiavoni; McGraw-Hill, prima edizione del marzo 1998; pag. 386, sezione 12.5.3: Rete a sella</ref>
consiste nella serie di una rete anticipatrice e di una rete ritardatrice
ed è descritta dalla seguente funzione di trasferimento
<math>
G(s)_{rs} = \frac{1+\tau_{1}s}{1+T_{1}s} \frac{1+\tau_{2}s}{1+T_{2}s}
</math>
dove si scelgono <math>T_{1} > \tau_{1} > \tau_{2} > T_{2}</math>
ed ha due poli con due zeri nel mezzo
Se si sceglie il prodotto dei poli uguale al prodotto degli zeri
<math>T_{1}T_{2} = \tau_{1}\tau{2}</math>
la rete ha guadagno unitario;
oppure si possono scegliere in modo da avere un guadagno maggiore in alta frequenza
in una rete a sella i poli sono esterni agli zeri.. è particolarmente usata quando abbiamo dei poli molto vicini tra loro
==== Filtro a spillo ====
il '''filtro a spillo''' o filtro notch è una particolare rete a sella in cui i due zeri sono coincidenti
e agisce da filtro elimina-banda;
è usato per eliminare disturbi localizzati in una particolare frequenza
=== Assegnamento di poli e zeri ===
Ad un sistema completamente controllabile
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 273, sezione 5-10: Controllability of Lynear Systems</ref>
e osservabile,
stabile in ciclo chiuso
(le condizioni dull'errore a regime devono essere soddisfatte dal sistema)
è possibile assegnare i poli
con un sistema di controllo in retroazione
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 796, sezione 10-13: Pole-placement design through state feedback</ref>
Si valuta il grado del controllore necessario per rispettare le specifiche di progetto,
quindi si scrive numeratore e denominatore del controllore come due polinomi generici del grado richiesto;
A questo punto è possibile scrivere il denominatore del sistema in retroazione, che sarà
<math>
D_{cc}(s) = N_{k}(s) N(s) + D_{k}(s) D(s)
</math>
dove numeratore e denominatore del controllore sono espressi in forma generica
Si assegnano poi i coefficienti del controllore in modo che il polinomio caratteristico del sistema abbia il grado desiderato
Il metodo della reazione dello stato può essere visto anche applicato ad un sistema MIMO descritto variabili di stato;
si retroaziona (moltiplicato per una matrice K) l'intero stato del sistema in ingresso (è detta '''reazione totale'''),
imponendo <math>u(t) = -Kx(t) + r(t)</math>;
ottenendo il sistema
<math>
\left\{
\begin{array}{l}
x'(t) = (A-BK)x(t) + Br(t) \\
y(t) = Cx(t) \\
\end{array}
\right.
</math>
dove <math>K \in \Re^{n_{u} \times n_{x}}</math> è una matrice di guadagni costanti
Si può dimostrare che se il sistema <math>(A,B)</math> è controllabile,
allora esiste una matrice <math>K</math> che consente di assegnare arbitrariamente gli autovalori della matrice della dinamica del sistema <math>A-BK</math>
(le <math>n_{x}</math> radici dell'equazione caratteristica <math>(sI - A + BK) = 0</math>)
Se si considera il sistema precedente scritto in forma canonica di controllo
(vedi \ref{par:fcc})
supponendo che l'ingresso sia unico
(quindi <math>u(t) \in \Re</math> e <math>B = [ 0 \cdots 0 1]</math>)
si ha che posto <math>K = [ k_{0} k_{1} \cdots k_{n-1}]</math>
la matrice <math>A-BK</math> è del tipo
<math>
A-BK =
\left( \begin{array}{cccccc}
0 & 1 & 0 & \cdots & 0 \\
0 & 0 & 1 & & 0 \\
\vdots & & & \ddots & \\
0 & 0 & 0 & & 1 \\
-a_{0}-k_{0} & -a_{1}-k_{1} & -a_{2}-k_{2}
& \cdots & -a_{n-1}-k_{n-1} \\
\end{array} \right)
</math>
ed il polinomio caratteristico del sistema diventa
<math>
P_{C} = x^{n} + (a_{n-1}+k_{n-1})x^{n-1} + \cdots
+ (a_{1}+k_{1})x + (a_{0}+k_{0})
</math>
quindi scegliendo appositamente gli elementi <math>k_{0} \ldots k_{n-1}</math> della matrice <math>K</math>
è possibile variare a piacere i coefficienti del polinomio caratteristico del sistema,
e quindi gli autovalori della matrice della dinamica
e di conseguenza il comportamento transitorio del sistema.
Se il sistema ha un solo ingresso, la matrice <math>K</math> che consente di ottenere i poli desiderati è unica,
altrimenti ci sono infinite soluzioni possibili poiché è necessario combinare gli ingressi,
se un ingresso solo è sufficiente per controllare completamente il sistema si possono anche considerare gli altri nulli
Il problema pratico di questa tecnica è che richiede la conoscenza completa istante per istante del vettore di stato del sistema,
che in generale non è accessibile direttamente ma solo attraverso le uscite del sistema;
è quindi necessario che il sistema sia completamente osservabile
(ovviamente se <math>C = [1 \cdots 1]</math> l'uscita corrisponde esattamente allo stato)
La tecnica della reazione totale è utilizzabile facilmente nel caso di sistemi a sfasamento non minimo,
per cui utilizzanre un sistema di controllo standard valutato con il luogo delle radici può condurre a fissare guadagni troppo elevati che rendono il sistema instabile
Se ci sono condizioni sull'errore a regime che il sistema deve soddisfare,
bisogna considerare che questa tecnica non consente di stabilirlo con sicurezza nel caso che questo sia finito;
è necessario eventualmente aggiungere integratori in serie al sistema,
<ref>Automatic Control Systems di Benjamin C. Kuo; Prentice Hall, settima edizione 1995; pag. 802, sezione 10-14: Stat feedback with integral control</ref>
(aggiungendo quindi una o più variabili di stato <math>x_{n+1}' = x_{1}</math>)
ottenendo l'asintotica stabilità per il tipo di ingresso desiderato;
quindi valutare la matrice <math>K</math>
il sistema con l'aggiunta di un integratore diventa
<math>
\left\{
\begin{array}{l}
x'(t) = (A-BK)x(t) + Br(t) \\
y(t) = Cx(t) \\
z'(t) = r - y \\
u(t) = -k_{0..n-1}x -k_{n}\int_{0}^{t}(r(t)-y(t))dr + r(t) \\
\end{array}
\right.
</math>
oppure
<math>
\left[ \begin{array}{c}
x'(t) \\
z'(t) \\
\end{array} \right]
=
\left( \begin{array}{cc}
A-BK & -BK_{int} \\
-C & 0 \\
\end{array} \right)
=
\left[ \begin{array}{c}
x(t) \\
z(t) \\
\end{array} \right]
+
\left[ \begin{array}{c}
B \\
1 \\
\end{array} \right]
r(t)
</math>
==== Osservatore di Luenberger ====
Quando l'intero stato del sistema non è disponibile in uscita
(ad esempio se le uscite sono meno degli ingressi <math>n_{y} < n_{x}</math>)
si inserisce in serie a valle del controllore totale <math>K</math> un sistema in grado di ricostruire il vettore di stato a partire dalle uscite del sistema
(il sistema deve essere completamente osservabile)
e dagli ingressi.
Tale sistema è detto '''osservatore di Luenberger'''
<ref>Controls systems engineering di I. J. Nagrath, M. Gopal; Wiley International edition, 1982, seconda edizione; pag. 509, State variable analysis and design, Observer System</ref>
(il sistema composto dall'osservatore e dalla matrice di guadagni <math>K</math> è detto '''compensatore dinamico'''
ed è tale da fornire in uscita un vettore <math>\zeta(t)</math> tale che
<math>\lim_{t \rightarrow \infty} \zeta(t) - x(t) = 0</math>
ovvero <math>\zeta</math> rappresenta una stima dello stato del sistema che tende ad essere esatta;
la struttura dell'osservatore è la seguente:
<math>
\zeta'(t) = A\zeta(t) + Bu(t) + K_{F}(y(t) - C\zeta(t))
</math>
dove la matrice <math>K_{F}</math> è l'unico parametro di costruzione e le altre matrici <math>A,B,C</math> sono le stesse del sistema da osservare
L'errore che si commette sostituendo lo stato allo stato osservato è <math>\epsilon_{os}(t) = \zeta(t) - x(t)</math> ed è indipendente dall'ingresso <math>u(t) </math> del sistema;
la dinamica dell'errore è:
<math>
\epsilon_{os}(t) = \epsilon_{os}(0) e^{(A-K_{F}C)t}
</math>
dove l'errore iniziale dipende dalle condizioni iniziale dell'osservatore, che possono essere poste arbitrariamente a 0 o a qualunque altro valore,
mentre l'errore ad ogni altro istante <math>t</math> tende ad annullarsi dipendentemente dagli autovalori della matrice della dinamica dell'errore <math>A-K_{F}C</math>;
è quindi necessaro assegnare i poli della matrice in modo che questi siano a frequenza maggiore dei poli del sistema da osservare,
perché l'errore tenda ad essere nullo prima che il sistema osservato sia a regime,
e quindi la retroazione dello stato sia efficace
(altrimenti si introdurrebbe una dipendenza tra il sistema e l'osservatore)
Il sistema controllato in retroazione totale in ciclo chiuso con l'osservatore ha lop stato interno che è dato dallo stato del sistema e dallo stato dell'osservatore,
<math>x_{SO}(t)^{T} = (x(t) , \epsilon_{os}(t))</math>
(dove si potrebbe anche considerare come stato il vettore <math>\zeta(t)</math> al posto dell'errore)
e quindi il sistema diventa
<math>
x_{SO}'(t) =
\left( \begin{array}{cc}
A & 0 \\
0 & A-K_{F}C \\
\end{array} \right)
x_{SO}(t)
+
\left[ \begin{array}{c}
B \\
0 \\
\end{array} \right]
u(t)
</math>
che in retroazione è
<math>
x_{SO}'(t) =
\left( \begin{array}{cc}
A-BK & -BK \\
0 & A-K_{F}C \\
\end{array} \right)
x_{SO}(t)
</math>
le due matrici della dinamica del sistema e dell'osservatore sono indipendenti
('''principio di separazione''');
la funzione di trasferimento del compensatore dinamico è
<math>K(sI - A + BK + K_{F}C)^{-1}K_{F}</math>
Nel caso (frequente) che alcune variabili di stato siano disponibili in uscita, l'osservatore è ovviamente un cortocircuito rispetto ad esse
('''osservatore ridotto''' con dinamica <math>n_{x} - n_{y}</math>)
==Note==
<references />
[[Categoria:Fondamenti di automatica|Controllo di sistemi lineari]]
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Pneumologia/Asma
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{{Pneumologia}}
L'asma è una malattia idiopatica infiammatoria cronica a decorso subacuto caratterizzata da riacutizzazioni (crisi asmatiche) diurne e notturne.
==Epidemiologia e cenni storici==
La malattia è a prevalenza assenzialmente infantile-adolescenziale, in questa fascia di età la sua prevalenza è del 10%; col'aumento dell'età le sintomatologia regredisce fino a scomparire tanto che nella popolazione generale si raggiunge il 3-5%. Si assiste raramente ad asma insorto in età geriatrica, ma probabilmente si tratta di una diversa malattia caratterizzata dalle stesse [[Wikt:evidenza|evidenze]] cliniche.
Considerata la fascia di età e la diminuita qualità della vita dei giovani affetti con la necessità di una terapia cronica per molti anni (spray broncodilatatori), ci si rende conto come questa sia una malattia con un impatto sociale elevato.
__TOC__
==Eziologia==
Sebbene non ci sia una teoria capace di spiegare efficacemente l'insorgenza e il decorso della malattia, numerosissime prove cliniche e sperimentali indicano la possibiltà concreta di un meccanismo allergico mediato dalle [[w:IgE|IgE]]. Essendo questo meccanismo applicabile solo ad un quarto dei pazienti si è fatta una separazione in due classi: asma Atopico e asma idiopatico.
La mortalità è scarsa e si agira sui 3-6 casi su 100000.
==Patogenesi==
Solo per l'asma atopico si possiede una spiegazione plausibile del meccanismo patogenetico.
Il tutto ha inizio con la sensibilizzazione all'antigene e la produzione di IgE, per tale meccanismo si rimanda ai testi di immunologia
Tali Ige si legano ai loro recettori FCεRI presenti sui basofili e..
===Patogenesi della crisi asmatica===
[[Immagine:Asthma_before-after.png|right|450px]]
Si riscontra nelle vie aeree di calibro superiore per cause sconosciute una '''iperresponsività bronchiale''' ovvero una esagerata risposta broncoostrittoria a stimoli poco o per nulla attivi sui bronchi delle persone sane. Questi posono erssere vari e di varia natura
# Stimoli allergici: la penetrazione nelle vie aerre di allergeni può scatenare la crisi.
# Stimoli farmacologici: in particolare aspirina e Fans forse per meccanismi di tipo aptene carrier o per la soppressione di fattori broncodilatatori
# Stimoli ambientali: come l'aria fredda, con un meccanismo vago vagale, o la polvere con un meccanismo di irritazone, o l'inquinamento atmosferico
# Stimoli infettivi
# Lo sforzo fisico, tipicamente a esercizio terminato
# Improvvise emozioni
In seguito ad uno o più stimoli si realizza la broncocostrizione acuta dopo poche decine di minuti che si risolve spontaneamente nel giro di un'ora o prima se trattara; può però anche essere più durature e durare anche diverse ore. A 8-10 ore dall'acuzie si assiste ad un nuovo attacco senza che si sia realizzata una delle condizioni suscitate, è la crisi tardiva, sostenuta da meccanismi infiammatori e nervosi piuttosto che [[w:istamina|istaminici]].
===Complicanze===
A volte l'attacco può essere particolarmente violento e potente da condurre il paziente in uno stato di soffocamento scarsamente sensibile ai farmaci domestici. È il caso di portare il paziente al pronto soccorso dove si dovrà valutare il trattamento con broncodilatatorie antinfiammatori sistemici. Non è generalmente richiesta ossigenoterapia data la tachipnea associata al quadro.
==Anatomia patologica==
All'esame autoptico o all'evenienza di uno pneumotorace, si riscontra un polmone con diminuito ritorno elastico.
All'esame microscopico si rileva infiltrazione infiammatoria neutrofila eosinofila e CD4+ sia nei bronchi principali che nelle vie respiratorie dove peraltro si osserva un rimodellamento e ipertrofia del muscolo liscio.
==Clinica==
===Segni e sintomi===
Il sintomo classico è la [[w:dispnea|dispnea]] con sibilo espiratorio accompagnata o meno da tosse.In assenza di sibilo potrebbe anche non trattarsi di asma. L'[[Wikt:anamnesi|anamnesi]] è fondamentale per rilevare allergie concomitanti o una condizione familiare di atopia.
L'asma si presenta con unquadro di sinrome ostruttiva con diminuzione del FEV<sub>1</sub> e di conseguenza dell'indice di Tiffenau
e un aumento dell'indice di Motley per aumento del volume residuo. Alla spirometria si apprezza una aumentata resistenza al flusso ed un picco espiratorio precoce di valore al disotto del 60-50% del valore normale.
<!-- L'ITER è DA RIVEDERE!!!
La diagnosi si effetua diversamente se si è di fronte ad un paziente con una crisi in corso o meno.
*paziente con crisi in corso
**Spirometria
**se si rileva una resistenza elevata procedere con un test di broncodilatazione con β-agonisti.
***Se risponde è verosimilmente asma altrimenti necessita di ulteriori accertamenti per altre patologie ostruttive
*Paziente in stato tranquillo
**Spirometria e valutazione VR e valutazione espettorato
***Se presenti valori compatibili con asma e neutrofilia/eosinofilia nello sputum diagnosi di asma
***Se valori normali procedere con un test di stimolazione bronchiale con metacolina
****Se avviene la preentazione di sintomi asmatici: diagnosi di asma
'''Nelle prove da stimolazione tenere a portata di mano broncodilatatori inalatori e sistemici in caso di emergenza'''
-->
A volte sono presenti attacchi notturni.
La divisione in classi dei malati si effettua in base al numero di crisi/settimana e al numero di attacchi notturni per mese.
===Diagnosi differenziale===
Da farsi con le altre sindromi ostruttive anche quelle neoplastiche e da corpo estraneo, di solito agevolissima.
===Diagnosi precoce===
A volte le crisi possono iniziare nei primi anni di vita, bisogna porre all'attenzione del pediatra i casi sospetti.
===Risvolti psicologici===
==Trattamento==
[[Immagine:AsthmaInhaler.jpg|100px]]
===Farmacologico===
Il trattamento di elezione è la somministrazione al bisogno di antistaminici o broncodilatatori. A volte può essere utile una terapia cortisonica della durata di una due settimane a dosi decrescenti o la somministrazione in cronico di [[w:metilxantina|metilxantine]] soprattutto per prevenire e calmierare gli attacchi notturni.
==Prognosi==
Come detto la mortalità è bassa e la malattia si risolve nel corso degli anni. Durante le crisi severe un fattore sfavorevole può essere la normo- o [[W:ipercapnia|ipercapnia]] segnale di problemi perfusivi o ventilatori parenchimali.
===Postumi e Follow up===
==Prevenzione==
{{Interprogetto|w=Asma|w_etichetta=l'asma}}
[[categoria:Pneumologia|Asma]]
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Giapponese/Sintassi
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{{Giapponese}}
In Giapponese l'ordine delle parole nella frase è totalmente inverso a quello Italiano. Viene prima l'argomento della frase, o il soggetto, seguono i complementi indiretti, il complemento oggetto e il verbo.
Esempio:
*'''Giapponese''': "私は友達に日本語で長い手紙を書きます。"
*'''Traslitterata''': "Watashi wa tomodachi ni nihongo de nagai tegami o kakimasu"
*'''Analisi''': Io (''soggetto'') Amico (''complemento di termine'') Giapponese (''complemento di modo'') Lunga Lettera (''complemento oggetto'') Scrivere (''verbo'') - Io scrivo una lunga lettera in giapponese ad un amico
La funzione logica delle parole è espressa tramite alcune particelle (in questa frase abbiamo trovato le particelle wa は, ni に, de で, o を). Spesso il soggetto non è espresso.
Gli aggettivi precedono sempre il nome a cui si riferiscono mentre le particelle lo seguono.
== Particelle ==
Alcune particelle fondamentali sono:
*は (''wa'', nota la pronuncia irregolare!) = argomento, simile al soggetto.
*が (''ga'') = soggetto.
*を (''wo'', pronuncia "o") = complemento oggetto.
*に (''ni'') = complemento di stato in luogo, tempo ed è anche usato per formare avverbi (ha molteplici funzioni).
*の (''no'') = potremmo paragonarlo ad un genitivo, indica il complemento di specificazione, il possesso e in generale mette in relazione due parole (anche questo come "ni" è complicato).
*で (''de'') = Indica il luogo dove si svolge un'azione (potremmo paragonarlo allo stato in luogo) ma anche il complemento di mezzo.
*から (''kara'') = moto da luogo.
*まで (''made'') = fino a (luogo, tempo, grado).
*へ ("e") = destinazione
*か ("ka") = forma interrogativa (posta dopo il verbo. Nota che in giapponese non si mette il punto interrogativo)
Queste non sono tutte le particelle, ma solo le più comuni ed utilizzate
Esempi:
*Watashi wa ringo o tabemasu. (io [soggetto] mela [oggetto] mangiare) - Io mangio una mela.;
*Anata no neko ga utsukushii desu. (tu [relazione] gatto [soggetto] meraviglioso essere) - Il tuo gatto è meraviglioso.;
*Asa ni pan to koohii o tabemasu. (mattina [tempo] pane e caffè [oggetto] mangiare) - La mattina mangio pane e caffè;
*Asoko e ikimashita ka? Doko e? (la [destinazione] andato [interrogativa]. Dove [destinazione][interrogativa sottintesa]) - Ci sei andato ? Dove ?;
*Terebi de Tokyo Tawa mimashita (televisione [mezzo] tokyo [relazione] torre visto) - Ho visto la Torre di Tokyo in televisione.;
*utsukushii = meraviglioso; utsukushiku = meravigliosamente ("-ku" in funzione avverbiale)
== I Sostantivi ==
Il Giapponese ha tutti i sostantivi invariabili (tranne alcuni che variano in base al grado), infatti non esistono parole di genere maschile o femminile (o neutro) e nemmeno parole plurali o singolari (o duali), e non esistono nemmeno articoli. Dire 猫 "neko" quindi equivale a dire: un gatto, dei gatti, il gatto, i gatti, la gatta, una gatta, le gatte, delle gatte.
== L'aggettivo ==
In Giapponese gli aggettivi hanno la particolarità di funzionare come dei verbi.高いtakai significa "esser alto", per la forma negativa utilizziamo 高くありません takaku arimasen "non essere alto", in pratica eliminiamo la "i"い finale e la sostituiamo con "ku arimasen"く ありません . (Esiste anche una forma per il passato e per i gradi) Ricorda però che anche se l'aggettivo funziona come un verbo, nel predicato nominale devi aggiungere anche il verbo essere.
Bisogna sapere che in giapponese ci sono due tipi di aggettivi: gli aggettivi in -i e gli aggettivi in -na.
Essi si distinguono in quanto gli aggettivi in -i sono formati dalla radice terminante in vocale più la desinenza -i.
es. 高い taka-i
'''aggettivo predicato'''
'''AGGETTIVI IN -I'''
Iniziamo col coniugare la forma presente positiva degli aggettivi in -i con la funzione di predicato alla forma gentile, in questo caso ci sara l'aggettivo con la forma in -i seguito da です desu.
es. 新しいです。(=lettura: atarashii)
è nuovo.
{| {{prettytable}}
!Tipo
!Presente
!Passato
|-
|Positivo
|i desu いです
|katta desu かったです
|-
|Negativo
|kunai desu くないです
|kunakatta desu くなかったです
|}
Alla forma negativa la radice viene seguita da くku più ありませんarimasen
o ないです nai desu.
es. Questo libro non é nuovo.
この本は新しくありません。
kono hon wa atarashiku arimasen.
この本は新しくないです。
kono hon wa atarashiku nai desu.
'''AGGETTIVI IN -NA'''
Gli aggettivi in -na {detti anche pseudoaggettivi}, sono trovati non coniugati nel vocabolario. Nella forma positiva si usa l'aggettivo seguito da ですdesu.
es. E tranquilla.
静かです。
shizuka desu.
{| {{prettytable}}
!Tipo
!Presente
!Passato
|-
|Positivo
| desu です
| deshita でした
|-
|Negativo
|dewaarimasen ではありません
|dewaarimasen deshita ではありませんでした
|}
Alla forma negativa invece si usa la l'aggettivo più il suffisso なna più
ではありません。
es. Non e bello.
きれなではありません。
kirei na dewa arimasen.
ATTENZIONE!きれいkirei sebbene finisca in i è uno pseudoaggettivo!!!
'''aggettivi in forma nominale'''
Quando un aggettivo precede un nome allora ha funzione attributiva.
Per gli aggettivi in -i si userà la solita forma coniugata più il nome.
es. 新しい本 libro nuovo.
Nei pseudoaggettivi si usa invece la forma coniugata in -na.
es. きれいなくるま。una bella macchina.
== Il Verbo ==
In Giapponese il verbo non ha numero e persona, e non ha nemmeno una forma per il plurale. Esiste la forma per il presente (e futuro che si specifica con dei complementi di tempo) e una per il passato. Abbiamo anche una forma negativa e una positiva, oltre alle forme per i vari gradi (che è meglio trattare dopo, basta sapere che questi verbi sono al grado medio).
=== Verbo essere ===
(la forma esistenziale corrisponde al nostro "c'è","ci sono" ecc.
==== Verbo essere forma esistenziale per animali e persone ====
{| {{prettytable}}
!Tipo
!Presente
!Passato
|-
|Positivo
|imasu います
|imashita いました
|-
|Negativo
|imasen いません
|imasen deshita いません でした
|}
==== Verbo essere forma esistenziale per cose inanimate ====
{| {{prettytable}}
!Tipo
!Presente
!Passato
|-
|Positivo
|arimasu あります
|arimashita ありました
|-
|Negativo
|arimasen ありません
|arimasen deshita ありません でした
|}
==== Verbo essere ====
{| {{prettytable}}
!Tipo
!presente
!passato
|-
|Positivo
|desu です
|deshita でした
|-
|Negativo
|dewa arimasen では ありません
|dewa arimasendeshita では ありませんでした
|}
=== Suffisso valido per ogni altro verbo ===
{| {{prettytable}}
!Tipo
!presente
!passato
|-
|Positivo
|masu ます
|mashita ました
|-
|Negativo
|masen ません
|masen deshita ません でした;
|}
[[Categoria:Giapponese|Sintassi]]
1khx2wikhms9aognagufm17k1xpzt5c
Elettronica pratica/RAM e ROM
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ortografia
wikitext
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{{Elettronica pratica}}
* '''RAM''': Random Access Memory
* '''ROM''': Read Only Memory
==Basi==
===Condensatori come memoria===
* I [[w:Condensatore|Condensatori]] possono essere caricati, e venire scaricati quando sono carichi.
* Quando sono carichi, si comportano come una sorgente di tensione, ma soltanto per un tempo limitato a meno che non siano "rinfrescati".
* Se carichi possono venire "rinfrescati" caricandoli continuamente per mantenere la loro tensione al disopra di un minimo specificato. Questo procedimento può essere del tutto automatico, a intervalli regolari, e si applica solo ai condensatori che hanno una tensione superiore a quel minimo specificato.
** Lo scrivere in una memoria capacitiva vuol dire ricaricare quel condensatore o scaricarlo come venga richiesto. Viene detto che una memoria è "uno zero" se la sua tensione è al disotto di un valore specificato, ed è "un uno" se è al disopra. Mettere un uno nella memoria significa caricare il condensatore, mentre mettere uno zero in memoria significa scaricare il condensatore.
** Leggere una memoria capacitiva equivale a mettere un voltmetro ai capi dei suoi terminali per vedere se la sua tensione si trova o non si trova al disopra di un dato minimo.
====Esempi====
Riferimento 1: Guida di riferimento del programmatore per il Computer 64 Commodore, edito nel 1988 dalla compagnia Commodore Business
Machines.
*fa parte delle caratteristiche del microprocessore 6510:
*Per lo zero il minimo è -0,3 V, ed il massimo è +0,3 V.
*Per l'1 il minimo è +2 V, ed il massimo è 1 V di sopra la tensione di alimentazione che normalmente è di 5 V, ma il cui valore assoluto massimo è di 7 V. Si noti che l'elettricità statica (conseguenza della frizione con un tappeto, per esempio) può causare parecchio danno e ci si deve proteggere da essa.
Riferimento 2: Libro dei dati delle memorie a semiconduttore per ingegneri progettisti, pubblicato dalla compagnia Texas Intruments.
Nota: le memorie moderne ricorrono ai transistori, porte, diodi, ect.
===Bit===
*Raffiguratevi un Bit come una unità di memoria, quale una memoria ad unico condensatore. Essa può contenere uno "0" oppure un "1"; un "alto" (H) normalmente è "1",e un "basso" normalmente è "0". Bits è una dicitura abbreviata di "binary digit" (numero binario).
===Byte===
*Un "byte" è un insieme di "bit". Un bit può rappresentare solo un computo di uno 0 o di una 1, due bit assiemati in un byte possono rappresentare un computo da 0 a 3, 3 bit assiemati possono computare sino a 7 e n bit in un byte possono computare fino a 2<sup>n</sup>
minus 1. Un byte con 8 bit può computare da 0 a 255. Le "parole" sono byte; ciascuno byte ha un dato numero di bit in esso incluso.
*I byte possono pure venire combinati; 2 byte, ciascuno con 8 bit in esso, possono computare fino a 256 per 256 meno 1, cioè fino a 65535.
===Parole===
*Le parole sono un concetto che risale alle prime architetture dei computer, in cui ogni "unità" di memoria era diversa da 8 bit. Le prime comuni grandezze delle parole erano sovente di 10 bit, ma talvolta di 6 o 20 bit.
*Generalmente una parola era definita come la grandezza del Bus di memoria per la memorizzazione interna (cioè, RAM o ROM), come pure unità di memoria minima indipendentemente indirizzabile.
*La maggioranza delle architetture dei CPU moderni si servono di una architettura a byte indipendentemente indirizzabili, ma alcuni CPU moderni (come il Pentium) eseguono i compiti di memoria ed istruzione più efficientemente se la memoria è "aligned" on word boundaries.
*Termini come "word" e "longword" risalgono rispettivamente alle architetture di CPU a 16-bit e 32-bit, Più recentemente, il termine "quadword" viene usato per indicare un pezzo di memoria da 64-bit, benché il termine "octaword" sia talvolta usato (poiché sono fatti accedere
8-byte contemporaneamente).
*[[w:Endianness|Endian architechture]] definisce come la memoria sia codificata all'interno del RAM del computer e la sua relazione con gli indirizzi dei Byte.Generalmente questo non è un problema per la maggioranza dei Programmi eccetto che quando si scrivano dei dati destinati
al consumo su piattaforme multiple che hanno dei componenti a byte multipli.
===Connessione alla barra degli indirizzi===
Esattamente come la persona che invia la corrispondenza necessita di avere un inderizzo su ogni cosa che deve venire spedita/raccolta, così pure l'accesso ad un particolare byte della memoria è spedito ad un particolare inderizzo, o ivi raccolto.
*Per esempio una memoria può avere 16 connessioni d'inderizzo, etichettate da 0 a 15. Ciò significa che un dato può venire fornito, oppure estratto, da una cella specifica della memoria, il cui inderizzo sta tra lo 0 e (2<sup>16</sup> minus one), che è tra lo 0 e 65535.
===Connessione alla barra dei dati===
Dopo che un inderizzo specifico è stato fornito alla memoria, un dato numero specifico viene fornito (scritto) alla connessione barra dei dati, oppure il contenuto di quell'inderizzo viene prelevato (letto).
*Per esempio una memoria può avere 8 connessioni dati, etichettati da 0 a 7. Ciò significa che il numero fornito al byte selezionato deve essere tra lo 0 e (2<sup>8</sup> minus one), che è tra 0 e 255.
===Connessione Read/Write===
C'è pure una connessione del terminale d'entrata che indica l'operazione richiesta. Uno "0" nella connessione può indicare che la prossima operazione sarà un "Write", mentre un "1" può indicare che ci sarà un "Read".
===Connessione all'orologio===
Una memoria può avere bisogno di uno o più segnali d'orologio, ipoteticamente "fase 1" e "fase 2",etc, che sono entrate in memoria provenienti da oscillatori, intendendo che si alternano velocemente tra lo 0 e l'1 in maniera continua. Potrebbe essere che mentre l'orologio si
trova sullo 0 diversi cambiamenti si possono eseguire, come una variazione d'inderizzo e/o un cambio di dati, ma la effettiva lettura e scritture si attuano solo quando l'orologio si trova sull'1. Alcune memorie comprendono gli oscillatori di tempo, possibilmente richedenti dei cristalli esterni.
==RAM==
Una RAM è una memoria ad accesso casuale - Dimensioni ed architettura variano in maniera considerevole, gli utilizzatori possono introdurre in qualunque dei loro Byte indirizzati qualsiasi numero fino ad un dato massimo, e tale numero può venire sostituito con un altro come e quando necessario. Alcune memorie forniscono i complementi di ciò che è stato introdotto in esse.
*Per esempio una memoria con 1024-bit può esigere che solo uno 0 od un 1 siano introdotti in ognuna delle 1024 celle, mentre un'altra memoria può esigere 4 bit (0 a 15) per parola, però solo 16 parole posson venire trattenute alla volta, etc.
===Memoria dinamica Read/Write===
Richiede un frequente aggiornamento.
===Memoria statica Read/write===
Ritengono i dati anche se i segnali di controllo sono assenti, nondimeno tali memorie possono usare indirizzamenti dinamici.
==ROM==
Una ROM è una memoria di sola lettura. E' realizzata in produzione, e normalmente i suoi contenuti sono fissi. Una ROM può venire letta, ma normalmente non ci si può scrivere. Di solito una ROM contiene informazioni fisse importanti necessarie per il corretto funzionamento
dell'equipaggiamento.
===Memoria di sola lettura programmata a maschera===
Si servono di una maschera durante la produzione, il contenuto non può venire cambiato.
===Memoria di sola lettura programmabile===
Consentono la modifica di ciascuna cella dopo la produzione, ma una sola volta.
===Memoria di sola lettura riprogrammabile===
Consentono la modifica di ciascuna cella dopo la produzione, più di una volta.
[[Categoria:Elettronica pratica|RAM e ROM]]
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F-104 Starfighter
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2022-07-25T07:01:27Z
Eumolpo
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ortografia
wikitext
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Pochi aerei sono stati così discussi e controversi come l'F-104 Starfighter, il 'cacciatore di stelle' o letteralmente 'combattente di stelle' protagonista di primati e prestazioni eccezionali, così come di un gran numero di incidenti aerei. Un proverbio canadese 'moderno' recitava che se si voleva un F-104, tutto quello che si doveva fare era di comprarsi qualche acro di terreno e poi... aspettare. Certo che nessun altro aereo prima, e forse nemmeno dopo, è stato mai costruito e concepito con una tale enfasi sulle prestazioni. In generale esso fu il tentativo, senz'altro parzialmente riuscito, di invertire la tendenza al gigantismo dei caccia intercettori, cosa che portava a risultati sempre più bizzarri e discutibili. Il 'missile con un uomo dentro' fu anche il primo aereo da caccia a detenere in simultanea i record di velocità e di quota. Insomma, era capace di fare simultaneamente quello che Spitfire e Mustang facevano nei loro campi d'impiego.
Fu il primo caccia a raggiungere Mach 2, in un'epoca in cui quasi tutti gli altri velivoli erano subsonici, e questo in un'epoca nella quale niente sembrava contare più della velocità. Con le sue capacità di salire in 'parabola' oltre la stratosfera, veniva persino usato dalla NASA come addestratore per astronauti e velivolo sperimentale. Un motore eccezionale per l'epoca, e semplice al tempo stesso, più una cellula minuscola avevano reso possibili delle prestazioni di velocità eccezionali, sebbene l'F-104 non avesse un'ala a freccia, ma una sottilissima ala trapezoidale. Ma ancora più straordinarie erano l'accelerazione transonica e la salita. D'altro canto, il 'missile con un uomo dentro' era anche un velivolo ben poco propenso a perdonare gli errori, e questo causerà un gran numero di perdite operative, per cui la stampa non di rado gli affibbierà il nomignolo di 'bara volante'. I piloti, tuttavia, in genere sono stati molto più generosi nel giudicare quest'aereo, perché 'a modo suo' esso era sicuro (stando nei 'binari' che imponeva la sua aerodinamica) e perché le prestazioni erano realmente inebrianti. Di più, esso era davvero il sogno dei piloti quanto a prestazioni d'ingaggio. Un veterano dell'AMI sosteneva in merito 'quando (eri a terra e) vedevi la scia di un aereo ad alta quota, sapevi che l'avevi già perso (con l'F-86), con l'F-104 dopo un paio di minuti gli eri già in coda'. Questa capacità di 'scramble' era davvero un altro mondo rispetto ai lenti caccia nati negli anni 1940-primi 1950. Di tutto questo si parlerà più diffusamente nel corso della pagina, perché, malgrado tutte le sue vicissitudini, esso ha lasciato una traccia nella storia: sia per l'aspetto e le soluzioni per l'epoca avveniristiche, sia perché, dopo innumerevoli traversie, vinse un concorso internazionale che comportò la produzione di quasi tutti i 2 580 F-104 realizzati.
L'F-104 è un aereo ben conosciuto in Italia, dato che la sua carriera iniziò nel marzo 1962, quando venne consegnato il primo TF-104G di costruzione Lockheed e fu una rivoluzione per l'aeronautica militare e per tante altre della NATO (e no), sebbene avesse poi palesato anche una serie di problemi non indifferenti.
Costruito su licenza dalla Fiat Aviazione, poi Aeritalia, poi Alenia Aeronautica, è stato in servizio per oltre 40 anni nell'AMI e questa lo ha mantenuto in linea di volo fino al 2004 almeno come velivolo operativo, ma che con il Reparto Sperimentale ha volato fino alla metà del 2005, però come velivolo per prove varie; ed erano due TF-104GM e un ASAM, rispettivamente le MM54233 RS-09; MM54260 RS-08; MM6940 5-31 *che è anche l'unico F-104 ASAM immatricolato civile in condizioni di volo operativo ma non militare-bellico, ed è stato riverniciato con la classica livrea mimetica anni 1980 e con le insegne del 23° Gruppo del 5° Stormo 5-30.
Nel 2003, l'aviazione militare italiana fu l'ultima al mondo a essere ancora dotata di questo velocissimo ma oramai superato caccia. Nello stesso anno l'aeroplano venne definitivamente posto in congedo.
=== L'idea ===
Negli anni 1950 c’era il problema dei MIG-15 e MIG-17 che oltre ai sovietici anche Corea e Vietnam possedevano, ma sia i SABRE (F-86) sia i TUNDERJET (F-84 G) con la loro agilità pur molto simili non ne erano all’altezza, allora l’USAF ordinò un velivolo nuovo proprio per contrastare la potenza dei MIG, serviva un aereo capace di lanciare un missile anche da lontano, capacità di fuoco anche ravvicinato, ma soprattutto che fosse molto veloce in modo da sfruttare l'effetto sorpresa.
La Lockheed accolse la richiesta e all’epoca il capo progettista ing. Clarence Johnson aveva già in mente un disegno di aereo che già stava bollendo nel calderone, era l’L-153 (XF-90) ma poi diventato L-246 ad ali a delta. L’USAF però non prese in considerazione il progetto. La Douglas stava lavorando al progetto X-3 ma a seguito di vari problemi venne accantonato.
A quel punto Johnson prese un grosso spunto dal disegno dell'X-3 e dal Bell X-1 per la formula del nuovo aereo, che doveva secondo lui avvicinarsi al Mach 1 come velocità di crociera, quando all’epoca si riusciva ad avvicinarsi a tale velocità solo in picchiata e per breve tempo.
Nel 1952 iniziò il programma Model 83 denominato ‘gee whizzer – sibilo di proiettile’, per il quale l’USAF pubblicò un bando per sostituire dal 1956 gli ormai obsoleti F-84 e affiancare gli F-100, dando il via alla nuova generazione di velivoli, la Lockheed iniziò a plasmare il progetto dalla carta e darsi alla costruzione di simulacri del futuro aereo e iniziare le prove alla galleria del vento.
Nasce così il progetto STARFIGHTER derivante dalla necessità di un caccia << anti stella >>, le stelle al tempo erano soprannominati gli aerei sovietici (una chiara allusione alle stelle rosse stampate sulle fusoliere) e perciò secondo l’esigenza del pericolo sovietico, la Lockheed investì tutte le risorse tecnologiche e sperimentali coperte da ‘segretissimo’ per plasmare un aereo con l’idea di un vero e proprio anti-MIG. In realtà l’USAF aveva paura di un attacco a sorpresa anche solo dimostrativo da parte dell’Unione Sovietica e appunto la mancanza di caccia capaci di competere in un combattimento aereo contro i sovietici e contro qualche aereo sconosciuto che i russi potevano aver costruito di nascosto, in fondo era come pescare un jolly in una partita di carte ma appunto lo potevano avere anche loro un velivolo speciale...
Il TAC chiese la specifica di una versione fighter e poi anche strike ma in particolare che abbia una velocità superiore a Mach 2, con possibilità di carico bellico nucleare e una autonomia di almeno 10 000 miglia, l'idea in pratica era ''che'' passando dall’Alaska si poteva arrivare a Mosca in circa 3 ore in volo supersonico... Johnson già aveva in tasca la risposta...
===Le origini<ref>Ciampaglia, Giuseppe: ''Le origini dell'F-104 Starfighter'', RiD p.90-97</ref><ref>Sgarlato, Nico, monografia mar-apr 2004 e vecchia monografia A&D del 1991</ref>===
Ma come nacque l'F-104? A questo non è stata data finora molta attenzione. E quindi, sarà soprattutto delle sue origini che parleremo in quest'opera, da approfondire perché senza dubbio molto complesse e poco trattate nei dettagli.
Come è noto, esso è stato concepito dal team di Kelly (Clarence Leonard) Johnson, all'epoca ancora giovane (classe 1910, se fosse vivo adesso avrebbe superato i cento, traguardo a suo tempo raggiunto da Filippo Zapata, il padre del C.1007Z). Lui era già impiegato presso la Lockheed dal 1933, come borsista universitario incaricato di fare studi con la galleria del vento dell'università del Michigan, specialmente al riguardo dei piani di coda doppi del bimotore civile Lockheed 10. L'anno dopo divenne a tutti gli effetti un impiegato fisso della ditta californiana (di Burbank per l'esattezza), e cominciò a fare sul serio partecipando alla definizione dei P-38 e Constellation; già nel 1939 divenne ingegnere capo per il settore ricerche. L'era dei reattori arrivò anni dopo, quando il 23 giugno 1943 gli USA, con notevole ritardo, assegnarono alla Lockheed la costruzione del P-80, forti del DH Goblin (H-1B) inglese, da produrre dalla Allison come J-36.
[[File:Lockheed F-80C USAF.jpg|350px|right|thumb|L'F-80C]]
Il prototipo XP-80 volò già l'8 gennaio 1944 e fu un successo pieno, anche se troppo tardi per la guerra: a ogni modo, i 143 giorni di tempo impiegati per disegnare e costruire il prototipo furono, anche per quei tempi, un risultato eccezionale. Specie se si considera che i suoi ultimi 'figli' (T-33) continuano a volare a tutt'oggi. In seguito Johnson riuscì a far sì che la sezione speciale per progetti con ricerche avanzate diventasse un ente autonomo, la LADC, sempre controllata dalla Lockheed. Questo diede molta più libertà e riservatezza al suo lavoro e alla capacità di trovare soluzioni nuove a qualunque problema aeronautico; inizialmente era costituita da 124 ingegneri e specialisti, alloggiati provvisoriamente (persino in un tendone da circo appositamente affittato: altri tempi!) vicino alla galleria del vento di Burbank. Ma c'era anche, là vicino, una fabbrica di materiali plastici le cui emissioni in atmosfera non erano certo gradevoli, e così venne fuori il nomignolo per questo posto di lavoro: Skonk Works (lavoro fetido), che un ingegnere si inventò per descriverlo, risalendo anche all'era del proibizionismo quando servivano un cocktail dall'odore alquanto sgradevole, ma alla moda, che era proprio di quell'epoca. In seguito Skonk venne cambiato dalla dirigenza Lockheed, in Skunk (puzzola) e così ecco spiegata l'origine della definizione 'Skunk works' che è stata poi affibbiata ai laboratori della Lockheed per la ricerca avanzata: la fabbrica delle puzzole, un nome che altrimenti non avrebbe niente da spartire con l'aviazione.
Ma l'era dei caccia ad alte prestazioni era appena iniziata, e i vantaggi della potenza erogata dalle turbine a gas diventavano più evidenti di mese in mese. Gli americani erano rimasti molto colpiti dai 'jet' tedeschi. Il P-80 era in grado di affrontarli, con una potenza e un peso paragonabili a quelli di un Me.262, e qualche limitato vantaggio in termini di prestazioni e affidabilità complessiva (ma anche con le leghe metalliche più 'ricche' che gli americani si potessero permettere, volare su di un P-80 era ancora un rischio notevole, vedi la fine di Richard Bong). Ma gli americani sapevano che c'era molto di più da fare: il P-80 era una macchina brillante, ma ancora convenzionale. Al contrario, il Me.163 sembrava mostrare nuovi orizzonti nell'aerodinamica. Il motore a razzo era interessante, ma poco pratico. Ma la formula del Komet poteva portare a velocità estremamente elevate e in generale faceva un grande passo avanti rispetto agli aerei 'classici' con ali diritte e piani di coda convenzionali. Già questo primo esempio di intercettore ad altissime prestazioni dava l'idea di come, nel futuro, le prestazioni degli aerei sarebbero giunte a livelli impensabili a metà degli anni 1940. Anche negli USA, però, si cominciò a investigare le prestazioni supersoniche, con il progetto X-3 Stiletto, nato attorno al 1943 da parte della Douglas. I progettisti, capeggiati da Frank Fleming, erano interessati a capire l'aerodinamica tra Mach 1 e Mach 2, ma il programma fu un sostanziale fallimento e l'USAF, in seguito, decise di passare il materiale alla Lockheed, pensando che ne avrebbe potuto fare un qualche uso utile. Del resto, con l'enfasi posta alle ali di basso allungamento, alto carico alare e strutture in lega di titanio, non c'è da meravigliarsi che una tale macchina, a quell'epoca, fosse afflitta da innumerevoli problemi di sviluppo.
Nel frattempo, la Lockheed ebbe anche altro da fare. Il primo concorso fu quello del caccia a elevata autonomia, bandito il 28 agosto 1945, un concorso che avrebbe avuto la sua parte culminante solo nel maggio del 1951, con il confronto in volo tra i finalisti.
Questa era una competizione per realizzare un caccia di scorta capace di ospitare ben sei cannoni da 20 mm e volare assieme a macchine come i B-50, penetrando assieme a essi nel territorio nemico per almeno 1 500 km e raggiungendo un'alta velocità subsonica. Addirittura, da qualche fonte l'inizio dei lavori si fa risalire al luglio 1945, il nuovo L-153/XF-90 venne sviluppato e al contempo, la successiva gara per un intercettore ad alte prestazioni fu inizialmente disertata, data la concentrazione sulla prima; nel mentre, dal giugno 1948 la definizione di caccia passò ufficialmente da P a F.
L'USAF invitò ben 19 ditte a presentare la loro proposta e sei risposero, tra cui la Lockheed, con l'L-205, derivato ingrandito del suo XF-90. Esso era una macchina con ali a freccia, pesante circa 15 000 kg, ovvero almeno 1 000 in più dell'originale XF-90, e circa 2,5 volte un P-80.
Il nuovo aereo aveva una linea aerodinamica molto bella, anche più del già pulito F-80, con ala a freccia di 35 gradi, lunghezza 17,17 m, apertura alare 12,19 e superficie 32,05 m2, e malgrado l'ala fosse come si è detto, a freccia, aveva ancora serbatoi ausiliari alle estremità, come l'F-80. Può sembrare strano, ma questo caccia così pesante e antico era capace di resistere ad accelerazioni di 12 g, ovvero 3 più dell'F-16. Il problema di una macchina così robusta, ovviamente, era il peso: 8 401 kg a vuoto, 12 338 kg al decollo. L'USAF ne volle due prototiio e, incredibile a dirsi, il primo XP-90 volò già il 3 giugno 1946; ma i due motori J34 da 1 361 kgs non erano sufficienti; il secondo aereo ebbe gli XJ-34WE 14 da 1 635 kgs, e non solo: avevano un rudimentale postbruciatore che li potenziava fino a 1 905 kgs; il 17 maggio 1950 l'aereo arrivò a 1 079 km/h orizzontali e Mach 1,12 in picchiata.
[[File:XF-90_inflight_USAFM.jpg|350px|right|thumb|l'XF-90]]
Ma né l'XF-90, né i concorrenti McDonnell XF-88 e N.A. XF-93 (che aveva molte parti in comune con il Sabre e per questo era inizialmente il preferito) ebbero successo perché la mancanza di fondi e forse, di convinzione, fece naufragare le speranze di ottenere i suddetti caccia di scorta. Ma per poco, nell'agosto del 1950, con la guerra di Corea scoppiata, venne deciso di riaprirla e che il vincitore sarebbe stato designato solo con il confronto in volo tra i tre protagonisti. Però vinse l'XF-88, quello che avrebbe dato poi origine al supersonico e piuttosto problematico F-101 Vodoo. L'XF-90 venne cancellato già nel settembre del 1950 (sono tempi talmente stretti che adesso sembrano... fantascienza). Vi sono anche descrizioni diverse, però. Nella confusione che regna in questi primordi dei 'jet', accade anche che l'XF-90 sia invece dato per 'morto' nel settembre del 1951. Qui però non era in competizione con gli altri 'penetration fighters', ma come intercettore, assieme ai finalisti ConVair 8 (progenitore dell'F-102/106) e del Republic AP.44A (poi XF-103). Questi tre finalisti erano stati scelti attorno al luglio del 1951, ma il concorso, in questo caso, era quello per un caccia intercettore e non certo per una macchina di scorta a lungo raggio. Forse l'XF-90 venne proposto a più concorsi, anche se è chiaro che li perse tutti. Del resto, l'L-205 non riusciva a convincere nemmeno i suoi ideatori, essendo privo di motori sufficientemente potenti per raggiungere velocità dell'ordine di Mach 1,3, che erano considerate desiderabili per il compito.
Ma mentre l'F-90 non divenne mai una realtà operativa, vi furono delle interessanti prove a terra. 'Kelly' Johnson, orgogliosamente disse che l'XF-90 aveva sconfitto la bomba atomica. Era successo che quest'aereo venne usato come bersaglio per ben tre esplosioni nucleari (chiaramente, non troppo vicine e non da solo) e rimase pressoché indenne. La sua robustezza strutturale, insomma, gli permise di sopravvivere laddove altri aerei sarebbero stati disintegrati, un risultato comunque sorprendente. Ma, anche per via di questa esuberanza, i motori erano ancora troppo deboli per riuscire a dargli una sufficiente motorizzazione.
Senonché agli inizi degli anni 1950 si cominciò a rimediare, quando la Wright iniziò a produrre su licenza l'inglese A.W. Sapphire; la sua versione migliorata e alleggerita, la YJ-65-W-1, venne tarata a 3 275 kgs e scelta per l'F-84F a freccia; in seguito divenne anche un motore con A/B da circa 4,5 t di spinta, e fece la base del J67 da 4,5-6,5 t/s. Secondo la Lockheed questo nuovo motore poteva permettere all'XF-90 di volare in supersonico e ottenere la distruzione di un avversario in un combattimento reale, ovviamente ad alta quota, combattendo oltre Mach 1. Dato che i soldi non mancavano, con 1 732 F-80 e migliaia di T-33 prodotti, si volle dare concretezza a questo nuovo mondo dei caccia supersonici anche in assenza di richieste USAF. La produzione era all'epoca basata sull'F-94 da intercettazione, un onesto aereo da caccia e intercettazione.
Dalla fine del 1950 gli Skunk Works iniziarono a testare nuovi tipi di aerei dall'aerodinamica molto avanzata; nel mentre l'XF-90 venne allungato fino a 19,94 m per ospitare il J-67. Nel frattempo l'ala divenne assai diversa, con bordo d'uscita ora pressoché ortogonale alla fusoliera, e piastra alla base della presa d'aria per evitare l'aspirazione dello strato limite; gli studi continuarono fino all'inizio del 1952 per una moltitudine di modelli come il 227-0 con ala bassa e presa d'aria tipo quella del futuro MiG-21 e altri tipi con ala a delta o motori a razzo, ecc. La guerra di Corea aveva visto però la comparsa del MiG-15, superiore all'F-80 e per certi aspetti, anche all'F-86 (specie quanto a salita e quota massime); i piloti americani espressero a Johnson, già nel dicembre del 1951 (quando si recò in Corea) la volontà di ottenere caccia molto più semplici e leggeri di quelli che avevano. L'impressione era che, malgrado il favorevole rapporto abbattimenti-perdite, la superiorità aerea americana fosse da attribuirsi all'esperienza dei piloti piuttosto che all'eccellenza delle macchine. Una velocità massima di Mach 2 e una salita stratosferica in un paio di minuti erano quello che si chiedeva per surclassare nettamente i MiG. Ma non era facile dirlo come farlo: motori troppo pesanti, elettronica troppo ingombrante, consumi troppo elevati.
[[File:Kelly sketch.jpg|340px|right|thumb|Uno dei primi disegni sul 'tema']]
Nel marzo del 1952 Johnson e il suo team cominciarono a sentirsi pronti per intraprendere la progettazione di un caccia ad alte prestazioni, da motorizzare con i turbogetti Wright, e con pesi tra 3,6 e 22,6 t. Inizialmente venne studiata la configurazione con ala a delta, dato che essa era all'epoca molto apprezzata dall'USAF. Si ebbero molti studi anche più estremi, come le derive alle estremità alari, oppure la coda a farfalla.
Alla fine, in un'epoca antecedente anche alla regola delle aree, l'unico modo sembrò quello di ridurre le ali a dimensioni praticamente paragonabili a quelle di un missile: si stava studiando un'ala diritta con spessore pari al 4% della corda, quando il Sabre ce l'aveva del 12%; essa era stata installata sull'aereo sperimentale X-7 che collaudava gli statoreattori per l'impiego sui missili Boeing I.M. 99 Bomarc, dei veri 'caccia telecomandati' dal costo pari a quello di diversi F-86 Sabre. Con i motori più potenti si sarebbero potuti ottenere Mach 4 e 32 000 m di quota. Altri aerei veloci ma con ala sottile erano stati il Bell X-1 e il Douglas X-3 Stiletto, quasi un'anticipazione dell'F-104 a parte il doppio motore; non ebbe successo dato che erano ancora i J34, troppo scarsi in potenza, ma il suo volo a Edwards AFB il 20 ottobre 1952 era già un'anticipazione.
L'X-3, seppur sperimentale, era stato un esempio di come si potesse riuscire a costruire un aereo ad alte prestazioni; l'USAF temeva poi che Republic e N.A. avrebbero avuto il monopolio dei caccia a reazione, cosa che non era negli interessi dell'aviazione. Così altri competitori risultavano ancora possibili. Inoltre, dal 13 gennaio 1949 i tecnici dell'USAF stavano esaminando nuovi progetti di massima sui caccia ad alte prestazioni.
La Lockheed, nondimeno, ancora nel maggio del 1952 rifiutò l'offerta dell'USAF per sviluppare un caccia ad alte prestazioni, un 'crash program' in risposta all'emergenza coreana. Ma anche un aereo sul quale l'USAF avrebbe mantenuto tutti i diritti, incluso quello di farlo produrre ad altre ditte, un po' come succedeva ai tempi della guerra mondiale. Ma questo fu davvero troppo: la Lockheed rifiutò, così come le altre ditte coinvolte in simili programmi, quelli che portarono poi agli F-100, 101 e 102.
Nel 1952 inoltrato la Lockheed era oramai pronta a proporre il suo nuovo caccia: una macchina 'ritagliata' attorno al potente motore e che era sostanzialmente un progetto essenziale e molto leggero, al contrario di altri 'Century series', come i futuri F-101 e 105. L'USAF si dimostrò interessata a quest'aereo, proposto 'senza sollecitazione' (da parte dell'USAF) nel novembre del 1952 (altre fonti parlano dell'approvazione al 31 ottobre 1952, ma forse si trattava dell'approvazione interna alla stessa ditta), e noto anche come Model 83 'Gee Whizzer' (whiz è, in gergo, il sibilo del proiettile). Il motore era il Sapphire, almeno per il momento il più potente dei turbogetti disponibili.
Successivamente, il requisito 'su misura' per un caccia diurno venne formalizzato il 12 dicembre 1952, con una nuova GOR (General Operational Requirement): l'obiettivo era sostituire gli F-100 a partire dal 1956 (incredibile, all'epoca nemmeno volavano i prototipi, ma così andavano le cose negli anni 1950), oppure, più modestamente, affiancarli, sostituendo invece gli F-84; non mancarono, per lo stesso requisito, il Republic AP-63 (successivamente l'F-105), e il N.A. NA-211 o F-100B/F-107; si citano in questo concorso anche il Northrop N-102 e il N.A. NA-212. Ma il Model L-246 o Model 83 (dipende dalle fonti) era più avanzato come progettazione e vinse l'11 marzo 1953, con un contratto per due XF-104. Il 30 aprile venne esaminato il simulacro in legno; i cannoni previsti erano da 30 mm, ma l'USAF volle invece che vi fossero installati i T171 Vulcan da 20 mm, che tra l'altro comportò il risparmio di 35 preziosi kg.
===L'evoluzione in dettaglio===
Nel marzo del 1952 Johnson aveva messo insieme un gruppo di ingegneri di prima classe e con loro iniziò lo studio del nuovo caccia, ovviamente sempre negli Skunk Works di Burbank. Inizialmente si cominciò con il Project 227-0-6, dalla presa d'aria simile a quella di un MiG-21, con cono centrale. Poi fu la volta di un apparecchio con ali a delta, il 227-0-11, che però differiva dal MiG dato che le prese d'aria diventavano laterali; il tettuccio era poi inserito dentro un muso conico; seguirono anche il 227-8-1 con ala bassa-media, peso circa 13 600 kg (aprile 1952), 227-16-2 (simile, ma pesante appena 8 000 libbre, ovvero 3 600 kg) con ala ultrasottile e diritta; il 227-13-1 da ben 50 000 libbre (22 700 kg) che ne era la versione 'gigante', senza dimenticare il 227-15-3 con motore a razzo, simile al Bell X-1 'allungato' opportunamente. E infine, il pr. 227-20-1 dell'ottobre del 1952 che era il -13-1 ancora più allungato, ma al contempo, con un peso dimezzato.
Fu allora, nel novembre del 1952, che si iniziò un progetto interamente nuovo, l'L-242. La prima incarnazione era il 242-19-1 con piccole ali a mezza fusoliera e piani di coda bassi, peso 9 000 libbre a vuoto; alla fine dell'anno era apparso il 242-23-1, una versione ingrandita dell'altro, con lo stabilizzatore nella parte bassa dei timoni; il 242-27-1 era un po' più piccolo, del febbraio 1953, e finalmente ebbe lo stabilizzatore a T, mutuato con il Pr. 246-1- delle settimane successive e definito nella primavera del 1953. Esso divenne l'L-246 o Model 83, peso a vuoto 12 000 libbre (5 400 kg) e massimo 15 700 libbre (circa 7 000 kg).
I tecnici Lockheed arrivarono all'F-104 come lo conosciamo adesso grazie all'esperienza con i precedenti tipi: applicarono a uno dei più leggeri derivati dell'XF-90 un'ala piccola, simile a quella dell'X-3, da 7,62 m di apertura alare e 33,44 m2 di superficie, mentre la lunghezza arrivava a quasi 20 m e il motore restava il J67, per un peso però di 14,45 t e salita di circa 80 m/s, ancora troppo poco per le esigenze manifestate dai piloti in Corea. Per rimpicciolire l'aereo e alleggerirlo, venne privato dei cannoni eccetto due, e di altre attrezzature interne, fino a fargli ridurre anche l'ala a 6,68 m x 28,42 m2, con peso al decollo di 12 745 kg. Ma anche così la salita sarebbe stata possibile 'solo' a 6 000 m/min, senz'altro molto meglio di tanti altri tipi dell'epoca o in studio, ma ancora non bastava. A quel punto c'era anche da dire che il motore J65 era in ritardo e i primi F-84F vennero consegnati solo dal 1953, per cui non parteciparono mai alla guerra in Corea. Poi c'è da aggiungere che, a maggior ragione, il derivato J67 sarebbe stato non meno in ritardo per il prevedibile futuro.
Alla fine l'USAF si rivolse al G.E. J57 e la Wright uscì dal settore motori aeronautici, occupato degnamente dagli albori dell'aereo. Il J-65 con postbruciatore sarebbe stato capace di 4,5 t di spinta, troppo poco per il previsto caccia Lockheed, e così alla fine si pensò che per un aereo tanto nuovo, ci volesse un turbogetto parimenti nuovo, il J-79 della G.E. che all'epoca era in studio come terza generazione di motori a reazione.
Con consumi ridotti e una spinta in post-combustione di 7 t, circa, già nell'autunno del 1952 si cominciò a sostituire il motore del previsto Model 242 con il nuovo 'articolo' in sviluppo (all'epoca però ancora da progettare in dettaglio), mentre la fusoliera venne accorciata a soli 14,99 m tutto compreso, ala da 6,65 m di apertura, con freccia di 18 gradi e spessore relativo di appena 3,86 o 3,36 (dipende dalle fonti), con un bordo affilato come una lama (0,016 pollici di spessore) che richiese una guaina di protezione metallica per non causare ferite al personale a terra; non c'era spazio, in queste due lame volanti, per carburante, solo per le tubazioni che portavano a due serbatoi alle estremità da 170 galloni, che erano anche utilizzabili per il volo supersonico e per smorzare le vibrazioni aeroelastiche delle estremità. Le ali, per avere la struttura più leggera possibile, erano senza parti passanti dentro la fusoliera, ma sistemate sui rigonfiamenti delle prese d'aria laterali; in tutto questa configurazione si stimò riducesse la resistenza aerodinamica del 12%. Il peso a vuoto era di appena 5 216 kg e quello al decollo di 7 122, davvero poco per una tale macchina, ma c'era un altro problema.
L'ala a freccia tendeva a stallare a volocità subsonica, per il distacco dei filetti fluidi prodotti dal bordo d'entrata e i piani di coda a metà timone rischiavano di essere coperti cadendo in superstallo tra angoli d'attacco di 15-40 gradi, dovuto anche alla lunga fusoliera e alle prese d'aria e ali. Così vennero studiate varie soluzioni: per ridurre lo stallo a bassa velocità vennero usati slats mentre i flap ebbero un miglioramento con soffiaggio d'aria proveniente dal motore per energizzarne l'azione, in tal modo anche riducendo la velocità d'atterraggio, con gas prelevato dal motore stesso. Per prevenire la tendenza ad alzare il muso e a stallare venne pensato al Model 242-23-1 con piani di coda bassi, che però erano nocivi per la manovrabilità in combattimento; alla fine, con il 242-27-1 si arrivò ai piani di coda 'alti', capaci di permettere il controllo anche a velocità supersonica e fino a 25 gradi di AoA. Inoltre i piani di coda divennero totalmente mobili e venne sistemato un sistema di controllo automatico della stabilità longitudinale e i sistemi 'kicker-shaker' per avvisare, scuotendo la barra, il pilota che si avvicinava nelle manovre allo stallo dell'aereo. La stabilità era sufficiente per volare anche a Mach 1,6, quando in manovra era possibile affrontare l'accoppiamento inerziale con un rapido rollio: l'accoppiamento era dato dallo squilibrio di massa tra le piccole ali e la fusoliera, che affliggeva altre macchine come l'F-100 e l'F-5: la cosa era dovuta alle ali piccole, ma anche e soprattutto alla fusoliera lunga, che aveva pesi molto lontani dal baricentro e che per inerzia poteva portare alla perdita del controllo della macchina; del resto, con ali tanto piccole era possibile rollare di oltre 180 gradi al secondo. Gli F-100, dopo alcune perdite, ebbero presto un'ala ingrandita e così i timoni verticali. Per l'F-104 le cose sarebbero state diverse, perché i serbatoi alle estremità alari erano efficaci nel ridurre l'accoppiamento inerziale (massa alle estremità) e il timone verticale, in virata, tendeva a comportarsi come una sorta di alettone. Questo però non era tutto: spesso comportava che il rollio fosse in verso opposto a quello desiderato. Così la parte mobile del timone verticale ebbe come compensazione il diedro negativo di circa 10 gradi delle ali, molto marcato. Infine, i piani di coda a T erano pericolosi per l'eiezione del pilota e così venne adottata la classica cura peggiore del male, i sedili eiettabili verso il basso, grazie al fatto che il carrello era ben dietro l'abitacolo, ma presto i velivoli di serie avrebbero cambiato questo sistema con un sedile potenziato per l'espulsione verso l'alto: con i sedili eiettabili verso il basso era davvero un suicidio lanciarsi se tante volte l'aereo avesse avuto un problema. E finché erano in volo nella stratosfera era un conto, quando si trattava di volare bassi, magari semplicemente per l'atterraggio (come decollo l'F-104 era più che un valido arrampicatore, invece, e saliva quasi in verticale).
Dati i costi ingenti per studiare i fenomeni di flutter dell'aereo, vennero usati dei razzi da 127 mm con modellini del velivolo attaccati davanti: centinaia di voli per studiarne i fenomeni, mentre la slitta supersonica di Edwards testò a terra la parte posteriore della fusoliera e delle superfici di coda. Per controllare l'aereo in ogni condizione di volo vennero poi installati servocomandi irreversibili e sistemi di smorzamento sui tre assi delle vibrazioni indotte quando si sparava con il cannone di bordo.
Alla fine di tutto questo lavoro, l'L-246 era provvisto di un'ala con spessore percentuale di circa il 3,36% (almeno, questo è il valore citato per l'F-104G, che del resto ha un'ala pressoché analoga a quella del progetto basico), con 18° di angolazione a un quarto della corda, -10° di diedro. Essa era capace di fornire un'elevata portanza a bassi angoli d'attacco e alte velocità, insomma era ideale per il movimento ad alta velocità come si supponeva avrebbe dovuto operare il nuovo caccia, sebbene le cose si invertissero quando l'aereo alzava il muso per manovrare ad alto numero di g. Il bordo d'attacco, con lo spessore d'entrata che da uno calava a soli 0,016 pollici, era una vera e propria lama, tanto da richiedere una striscia di protezione per il personale di terra, onde non causare inavvertitamente ferite. Il marcato diedro negativo era necessario perché la coda era molto piccola e piuttosto bassa, così che non poteva garantire da sola la stabilità in rollio, specie con i comandi del timone attivati. Le ali erano di piccola apertura per prevenire problemi di flutter e aeroelastici, e al contempo potevano ospitare, per smorzarli ulteriormente, i serbatoi d'estremità (diventati quasi una parte standard per l'F-104) che aiutavano ad aumentare anche l'apertura alare e che erano trasportabili anche a velocità supersoniche; in alternativa c'erano due Philco GAR-8 Sidewinder. Nell'insieme, l'ala aveva molto a che vedere con l'esperienza della Lockheed con l'X-7 a statoreattore, oltre che per l'X-3 Stiletto, i cui documenti vennero ceduti dalla Douglas su pressione dell'Aviazione, la quale non voleva perdere totalmente i soldi spesi per questo programma sostanzialmente fallito, senza averne un ritorno in altri ambiti. Per assicurare il controllo in decollo e atterraggio vennero aggiunti i flap soffiati, che correvano per tutta l'apertura alare (eccetto dov'erano gli alettoni). I piani di coda erano sulla sommità della fusoliera per poter stare quanto più possibile fuori dalla turbolenza dell'aria che essa aveva quando si manovrava in maniera apprezzabile. La fusoliera stessa era ad alta finezza, pur non adottando la 'regola delle aree', e ospitava tutto il carburante dato che l'ala era troppo sottile, oltre al carrello a doppio movimento (rotazione-retrazione). Il motore, il G.E. J79 era ancora in sviluppo. Esso nasceva dal J73 ed era noto inizialmente come J73-GE-X24A. La sua spinta era di 9 000/15 000 libbre (fino a 6 800 kgs) ed era capace di portare l'aereo fino a Mach 2. Ma in attesa del completamento del suo sviluppo venne adottato il J65-W-7. In ogni caso, per il momento le prese d'aria erano due, laterali alla fusoliera (giusto in avanti rispetto al bordo alare), con dei coni fissi interni alle ali che erano piuttosto piccoli, ma capaci di ridurre la velocità del flusso d'aria da Mach 2 a 0,7 all'ingresso nel motore.
Il pilota aveva un sedile eiettabile verso il basso, perché 'scavalcare' la pur bassa e distante coda si temeva fosse impossibile alle velocità di progetto per il nuovo progetto, ora noto come CL-246.
[[File:F-104 3-view.jpg|330px|left|thumb|L'F-104 è rimasto quasi immutato durante tutta la sua evoluzione]]
Il 31 ottobre 1952 Johnson presentò il nuovo progetto ai vertici della Lockheed e questi accordarono entusiasticamente l'autorizzazione a presentarlo all'USAF, che pure non aveva alcun requisito per un tale caccia. Ma il lavoro di Johnson nell'anticiparne i desideri, parlando con il personale 'operativo', diede i suoi frutti e il GOR del 12 dicembre per un caccia che soppiantasse l'F-100 a far tempo dal 1956 fu in realtà ritagliato sulle capacità della nuova creatura Lockheed. Nonostante la concorrenza del Republic Model AP-55 (su base XF-91 Thunderceptor) e N.A. NA-212 (poi diventato l'F-100B o F-107), nonché il Northrop N-102 Fang (con un J79 e prese d'aria ventrali), vinse il CL-246, che era sì ancora solo un progetto, ma pur sempre più avanzato della concorrenza. E così nel gennaio del 1953 venne dichiarato vincitore della gara, e il 12 marzo 1953 ebbe il contratto per due prototipi XF-104 per l'USAF, e come Model 083-92-01 per la Lockheed. All'epoca si ragionava già in termini di 'sistema d'arma', e infatti, per quanto fosse un mezzo molto semplice, esso era noto anche come WS-303A (Weapon System 303A).
Johnson e il progettista-ingegnere Bill Ralston portarono avanti rapidamente il progetto, il cui mock-up venne ispezionato dall'USAF già il 30 aprile 1953, allorché si decise di sostituire i due cannoni da 30 mm con il T-171 (M61 Vulcan) ancora in sviluppo, da installare sul lato sinistro della fusoliera. A quanto pare l'USAF ha sempre avuto la volontà di restare sotto gli standard internazionali quanto a calibro, essendo più interessata al volume di fuoco. Prima quando erano standard i cannoni da 20 mm, i suoi caccia -che pure non avevano affatto problemi di spazio- avevano una batteria da 12,7 mm (e per colmo d'assurdità, per lungo tempo permase, all'estremo opposto, il cannone da 37 mm); poi, quando in Europa e URSS si stavano giustamente affermando i cannoni da 30 mm, si decise che non facevano al caso loro e per questo non vediamo nessun F-104 armato alla maniera di un Mirage o di un Lighting: per avere un cannone da 30 mm in un caccia americano, bisognerà aspettare l'A-10, che tra l'altro, non è nemmeno un cacciabombardiere! Il Vulcan aveva una lunghezza di 72 pollici e pesava 136 kg (300 libbre), con una cadenza di tiro di 6 000 c/min e un caricatore da 725 colpi, più un sistema di controllo del tiro K-19 e radar AN/APG-34 e collimatore computerizzato.
Il primo XF-104 (53-7786) iniziò a prendere forma a Burbank già nell'estate del 1953, con un Wright J65-B-3; il secondo XF-104 cominciò a essere costruito nell'autunno, ma con una minore velocità, perché era opportuno che prima l'altro volasse per poter convalidare o modificare la formula costruttiva. Da notare che i coni nelle prese d'aria non c'erano, perché in ogni caso i J65 non avrebbero potuto portare l'F-104 a velocità bisoniche; piuttosto, le prese d'aria erano simili a quelle dell'F-94C, con una piccola piastra fissa e interna per la separazione dello strato limite.
===L'attività delle origini===
[[File:Lockheed_XF-104_(SN_53-7786,_the_first_XF-104)_on_Rogers_Dry_Lake_060928-F-1234S-002.jpg|350px|left|thumb|Ecco il primo XF-104: notare le primordiali prese d'aria]]
Nonostante si trattasse di una macchina estremamente impegnativa per l'epoca -malgrado la sua semplicità complessiva- il prototipo XF-104 venne approntato in appena 355 giorni, sebbene ancora equipaggiato con un XJ65-W-6. Il programma fu avvolto dal segreto e rivelato solo con i primi voli di prova.
Portato segretamente a Edwards AFB nella notte del 24-25 febbraio 1954 con un autocarro, l'XF-104 AF 53-7786 (per la Lockheed il 083-1001) rullò già il 27 e il 28 vi fu un breve balzo nell'aria, che portò il prototipo a una quota di 5 piedi (i primi di miliardi d'altri...), una cosa non conteggiata ufficialmente, ma del resto è piuttosto normale che le 'rullate veloci' dei prototipi spesso comprendano anche decolli improvvisi, con grande gioia degli storici, che poi usualmente discettano a lungo su quale aereo concorrente abbia veramente volato per primo rispetto agli altri (basti vedere la 'disfida' tra F-100 e MiG-19 su quale fu il primo caccia supersonico a volare). Il decollo ufficiale avvenne da parte del collaudatore A.W. 'Tony' Le Vier il 4 marzo 1954 (ma Sgarlato sostiene la data del 7 febbraio e a Palmdale, diversamente da Ciampaglia e Baugher); la missione durò 20 minuti, ma il carrello non ne volle sapere di ritrarsi; tornato a terra per correggere il guasto, LeVier scoprì che anche nel secondo volo la macchina restava a carrello fuori. Alla fine si scoprì che era solo il livello di pressione del sistema idraulico che causava questo malfunzionamento, ma certo che per il momento il prototipo non poté dimostrare la sua straordinaria velocità. Esso aveva un semplice XJ-65B-3 costruito dalla Buick (una casa automobilistica), e capace di 3 538 kgs, senza A/B e con prese d'aria a geometria fissa. A causa del maltempo che colpì Edwards (un evento più eccezionale che raro), il terzo e quarto volo verranno fatti solo il 26 marzo, quando si scoprì, dopo un mese di attesa, che in effetti il problema era stato corretto e il prototipo poteva ritrarre il carrello correttamente. Malgrado la sua forma così affusolata, con il debole motore di bordo l'XF-104 non superava la velocità del suono in volo livellato. Non era invece un problema andare oltre Mach 1 in picchiata, con la spinta 'extra' data dalla forza di gravità, e dimostrava di farlo con facilità, senza grandi scossoni, segno che le potenzialità, quando fosse stato disponibile un motore all'altezza, erano decisamente elevate. Il 'damper' per l'imbardata non era efficace e il caccia tendeva a mettere il muso verso destra e sinistra, fino a che non venne corretto con il sistema di centraggio del timone di coda.
Il secondo prototipo 53-7787 lo seguì presto, sempre con un Wright J65-W-6, motore che -senza postbruciatore- era già installato sugli F-84F, e con un sistema d'arma a bordo. Quindi si può dire che i primissimi F-104 ebbero un motore inglese analogo a quello degli F-84F thunderstreak, una cosa non certo così ovvia da pensare, ma all'epoca il progresso procedeva spedito e su più linee contemporanee, anche se alcune erano destinate a una rapida obsolescenza.
Nel luglio del 1954 ebbe il J65-W-7 con A/B e 3 540/4 626 kgs, tanto che, malgrado la sua potenza fosse tutt'altro che eccezionale, il motore spinse l'F-104 a Mach 1,49 a 12 500 m e 1,6 in picchiata; la tangenza arrivò a 16 800 m con 'zoom' balistico (che diverrà una specialità dell'F-104).
Il secondo XF-104 (53-7787 o, per la ditta, 083-1002), ebbe fin da subito il motore con l'A/B e volò il 5 ottobre del 1954; il 15 marzo del 1955 arrivò a ben Mach 1,79 a 15 200 m; nonostante la velocità, era anche armato con il nuovo cannone Vulcan a canne da 20 mm e sistema di controllo del tiro AN/ASG-14T-1. Come ultimo grande risultato accreditato ai J65, il 25 marzo 1955 un prototipo volò a 1 800 km/h (Mach 1,7), a 18 300 metri di quota.
Il J65 sarebbe stato poi sostituito dall'ancora più potente G.E. X-24A. Si trattava di un assiale da oltre 6 350 kgs, che venne studiato per il bombardiere B-58 Hustler. Ma, come decenni dopo accadrà con l'F110, si riuscirà a farne un validissimo motore anche per i caccia tattici. La progettazione di dettaglio era già iniziata il 1° gennaio 1953, per poi girare al banco l'8 giugno 1954, e volare la prima volta nel maggio del 1955. Questo motore, con la sua sigla prototipica, può non dire molto, ma è diventato celebre con la sua denominazione militare: J79.
[[File:Century.jpg|370px|left|thumb|La 'Century series' rappresentò una nuova frontiera per la tecnologia dell'USAF]]
Sempre nel luglio del 1954 l'USAF ordinò 17 YF-104A di preserie (55-2955/2971, per la Lockheed c/n 183-1001/1017), inizialmente intesi con lo stesso motore J65- W-7, e poi con il nuovo YJ79-GE-3, capace di 4 218/6 720 kgs. La ragione di un tal numero di macchine era il concetto del 'fly before buy', per evitare brutte sorprese a contratti già in essere volevano così macchine già soddisfacenti al momento dell'adozione, anche perché l'emergenza coreana era oramai terminata. La presa d'aria era adesso leggermente meno inclinata verso il basso, e con un cono fisso al suo interno come previsto fin dall'inizio, e nel quale era presente una fessura che serviva a portare aria per raffreddare l'A/B.
La fusoliera era stata leggermente allungata (15-18 cm circa) per accogliere il nuovo motore, la coda era rialzata da 12,7 a 13,49 ft, e il senso di rotazione del ruotino di coda venne invertito, essendo adesso verso prua, per migliorare lo spazio disponibile per il sedile del pilota (che era ancora eiettabile verso il basso), mentre sul dorso venne anche installata una sottile 'spina dorsale', così come due serbatoi aggiuntivi in fusoliera. Infine, a bordo v'era un sistema FCS AN/ASG-14T-1 e un TACAN AN/ARN-56, oltre a quattro piloni subalari e uno sotto la fusoliera. Peso complessivo 12 561/18 881 libbre (5 697-8 564 kg) contro le 15 700 libbre (7 121 kg) degli XF-104. E quando c'erano i punti d'aggancio esterni, si poteva arrivare anche a ben 11 151 kg (24 600 libbre circa). Il primo venne completato nel febbraio del 1956 (era il 55-2955), e ancora una volta, portato via autocarro a Edwards, in gran segreto, per poi volare il 17 febbraio con 'Fish' Salmon ai comandi. Il giorno prima, invece, il secondo YF-104A venne presentato al pubblico, la 'prima' assoluta per lo Starfighter, della cui esistenza oramai si parlava, come di un nuovo, rivoluzionario caccia ad alte prestazioni. Questo YF-104A (55-2956) venne presentato con i coni d'aria coperti per non farne vedere la forma alla folla (e quindi, alla 'concorrenza', che inevitabilmente avrebbe preso appunti su questo semplice ma efficace sistema). Nelle prime immagini 'ufficiali' gli F-104 non erano mostrati con le prese d'aria ben esposte, e solo a metà dell'anno finalmente si vide come esse erano fatte.
Il 14 ottobre 1956 vennero anche chiesti 209 F-104A di serie. L'USAF andava davvero di fretta, a quei tempi: si pensi che la valutazione dell'abitacolo, usualmente fatta con il simulacro dell'aereo o addirittura prima, verrà compiuta solo il 29 gennaio del 1955, circa 20 mesi dopo l'esame del simulacro dell'aereo vero e proprio.
E finalmente, il 7, o 27 aprile 1955 (Baugher dice il 28 febbraio), il primo YF-104A arrivò alla soglia più ambita in quel momento, Mach 2, ai comandi di Joe Ozier, il primo a raggiungere Mach 2 a bordo di una macchina non sperimentale.
Le prove di tiro iniziarono presto grazie all'armamento installato sul secondo XF-104; ma il 17 dicembre 1954 un proiettile esplose dentro la culatta dell'arma. Lo scoppio fu pericolosissimo: le schegge entrarono nel serbatoio anteriore e il motore, ingolfato dal carburante fuoriuscito, si spense. Incredibilmente, il suo pilota (il solito Le Vier), riuscì a planare con l'XF-104 fino al Rogers Dry Lake. Ma questo secondo aereo ebbe anche un altro problema. Il 14 aprile 1955 provò il cannone con una raffica a 15 000 m di quota, ma un'intensa vibrazione staccò il portello inferiore dell'abitacolo (quello usato dai sedili eiettabili di allora, che uscivano verso il basso), depressurizzandolo, così che la tendina di protezione del casco, usata per proteggere il pilota all'atto del lancio, lo rese momentaneamente cieco. Temendo che fosse accaduto anche a lui quello che era avvenuto a LeVier (che fu davvero un 'manico', ma anche fortunato, a salvarsi), alla fine si eiettò e l'aereo cadde al suolo. Paradossalmente, in questo caso sarebbe bastato scendere a bassa quota per far sgonfiare la tuta a pressione e togliersi la tendina di protezione dalla faccia (cosa evidentemente più facile da dirsi a mente fredda, che a bordo di un tale aeroplano), salvando l'aereo, che del resto, era già stato graziato dalla malasorte la volta precedente. Così il destino chiudeva beffardamente il conto.
Visto che non c'erano altri XF-104 armati, le prove continuarono con un F-94C opportunamente modificato.
Malgrado tutto l'USAF accettò il nuovo aereo nel novembre 1955, con il prototipo n. 1. Il quale, però, due anni dopo, andò distrutto l'11 luglio 1957, mentre volava assieme a uno dei primi F-104A. Ad alta velocità si manifestò un fortissimo flutter dei piani di coda e questi si staccarono dalla fusoliera. Il pilota Bill Park riuscì a lanciarsi da un aereo stavolta davvero incontrollabile, alla faccia di tutte le soluzioni escogitate per evitare tali problemi già in sede di progettazione.
Le prestazioni eccezionali dell'F-104 avevano posto attenzione su di esso, che oltretutto era nettamente meno pesante e sofisticato degli altri 'century series' (a parte forse l'F-100). Nell'ottobre del 1954 vennero così chiesti, come già ricordato sopra, 204 F-104A (Model 183-92-02). Tuttavia Baugher dice che vi fu un contratto approvato il 2 marzo 1956 per 146 aerei, che portarono il totale degli 'A' a 170 esemplari (inclusi gli YF-104A), il che potrebbe significare in tal caso, che inizialmente vennero chiesti un piccolo numero di caccia e che altri seguirono dopo. Ma la fine della guerra in Corea e l'attenzione rinnovata, anche da parte del TAC, verso l'attacco al suolo, specie ora che c'erano armi nucleari tattiche capaci di competere con quelle del SAC sulle distanze più brevi, fecero presto cambiare tali piani. Il primo F-104A volò il 17 aprile 1956 (oppure il 17 febbraio, anche qui vi è una certa incertezza sulle date), comunque pilotato da Herman 'Fish' Salmon: ancora prima della guerra di Suez, combattuta da aerei subsonici, già volava un caccia bisonico.
Successivamente l'USAF pensò di arrivare a 480 esemplari, di cui 106 addestratori (e quindi, F-104B), mentre nel 1957 si parlava addirittura di un totale di 722 macchine previste. Del resto, gli altri 'serie 100' stavano godendo di ordini anche ben maggiori, eppure non avevano le stesse prestazioni e semplicità, né erano scevri di difetti.
Il 15 giugno 1956 volò nel frattempo il secondo F-104A e di lì a non molto si giunse a ben 52 macchine impiegate per le valutazioni, includendo non meno di 35 F-104A e gli YF-104A che stavano studiando di tutto, incluso l'uso di missili GAR-8 e serbatoi da 170 galloni. Ma ben presto vi furono ripensamenti drastici. L'F-104 si dimostrava una macchina da corsa straordinaria, anche in quelle prime, meno potenti ma anche più leggere versioni. Tuttavia, non riusciva a convincere per alcuni problemi: l'accoppiamento inerziale, la tendenza ad alzare il muso, i difetti del motore (questi vennero poi risolti totalmente, a differenza dei problemi della cellula), brutte caratteristiche di stallo e superstallo. Del resto, entrambi i prototipi andarono perduti, anche se per fortuna senza vittime, il che però non succederà successivamente perché i sedili eiettabili verso il basso erano decisamente pericolosi, sebbene consentissero di risolvere il problema del possibile impatto tra sedile e coda in caso di eiezione ad alta velocità.
Ci si mise, come detto, anche il motore J79, vittima di frequenti stalli al compressore. Nel 1955, l'USAF aveva già capito che non c'era un numero sufficiente di motori e di cellule per provarli tutti quanti nel loro previsto abbinamento. Così si volse tornare al J65 per i primi F-104A, cosa abbandonata presto perché anche questo motore aveva problemi. I J79, visto che all'epoca non erano ancora pronti gli F-104, ebbero così un utilizzatore iniziale insospettabile: il Douglas F4D Skyray della Marina, ma prestato all'USN, che collaudò questi primi J79 nel dicembre del 1955: per questo negli YF-104A si omisero i J65 e si andò direttamente ai J79. Essi erano facili a spegnersi in volo e difficili a riaccendersi, mentre il consumo d'olio era eccessivo. Solo nell'aprile del 1958 questi inconvenienti vennero risolti quasi totalmente, con la versione J79GE-3B. Giusto in tempo per equipaggiare i Phantom, che così beneficeranno delle tribolazioni subite dagli F-104.
Nel periodo 1956-57 si passò il tempo a tentare di correggere numerosi problemi, riprogettando parzialmente la coda, inserendo nel progetto un sistema di controllo automatico del beccheggio, sostituendo i sedili eiettabili verso il basso con quelli convenzionali, introducendo una pinna ventrale e sbarcando addirittura il cannone, che verrà poi reinstallato solo nel 1964, e che non sarà mai particolarmente affidabile sull'F-104. Più lenta fu la risoluzione del problema con i sedili eiettabili, prima di trovarne un tipo abbastanza potente da garantire eiezioni sicure per il pilota, e questo malgrado che la coda, tutto sommato, era piuttosto bassa e distante dall'abitacolo (evidentemente faceva piuttosto impressione la sua disposizione a 'T').
Con la NACA e il suo reparto ricerche ad alta velocità (poi NASA), anch'esso basato a Edwards, fu possibile risolvere i problemi di accoppiamento inerziale (o sarebbe meglio dire, accettabilmente risolti). Il NACA ebbe nel 1956-57 tre aerei di cui uno di preserie (uno dei 17 costruiti), e due di serie, più infine il biposto F-104B 57-1303.
Malgrado tutti questi problemi, l'F-104 non era affatto considerato un rottame volante. E come poteva, nel decennio in cui più la velocità divenne un fattore cruciale? Il 7 maggio 1958 il maggiore Howard C. Johnson decollò da Edwards e salì a 27 812 metri; appena nove giorni dopo, il 16 maggio, il capitano Walter W Irwin raggiunse 2 259,83 km/h (Mach 2,13) su un percorso misurato di 15 e 25 km. Infine, la salita a 25 000 metri in 4 minuti e 26 secondi. Tutte prestazioni eccezionali che culminarono in altrettanti record mondiali. Da notare che questi record sono tutti successivi all'apparizione del J79-GE-3B, forse usato allo scopo. In ogni caso, non era mai successo che un caccia avesse contemporaneamente ottenuto il record di quota e quello di velocità.
Però, durante quegli anni, le notizie non furono sempre buone: l'attività di volo totalizzò appena 5 000 ore, ma in queste le perdite registrate furono di ben 14 apparecchi, una grossa percentuale sia comparata alle ore, sia ai velivoli disponibili, e certo non una buona notizia per i piloti. Gran parte degli YF-104A vennero distrutti durante queste prove, ma quelli che sopravvissero contribuirono a rimpolpare le magre disponibilità di F-104A, venendo aggiornati al loro standard. Almeno quattro diverranno poi aerobersagli QF-104A. Solo due YF-104A sopravvivono, il settimo esemplare 55-2961, trasferito alla NACA nell'agosto del 1956 (nel 1958 diverrà poi la NASA), rimasto in servizio fino al novembre del 1975 come N818NA. L'altro è il 13° YF-104A (55-2967), che Baugher vide all'Accademia dell'Air Force, Colorado Springs, nel 1971, quand'era usato come 'gate guardian'.
L'F-104 non poteva passare inosservato e l'USAF decise di adottarlo, con tanto di missili NOTS GAR-8 Sidewinder 1A, 'ereditati' dalla ricerca nella Marina e adottati in primis per gli F-100.
Ma le commesse 'reali' non si avvicinarono nemmeno ai totali preventivati dall'USAF.
Il fatto è che l'F-104A non era un cacciabombardiere, tanto meno nucleare, mentre come macchina da difesa aerea non possedeva l'avionica di bordo sufficiente per cooperare con l'ADC, a cui si demandava la difesa del Nord America.
Così non stupisce che si scese a 153 aerei A più i tipi successivi, tutti meno numerosi. In tutto, gli F-104 americani non saranno nemmeno 300 esemplari.
===F-104A/B: tecnica e servizio<ref>Sgarlato, F-104, op. cit</ref>===
[[File:F104_formation.jpg|350px|right|thumb|Dei rari F-104 americani, in volo sul deserto del Mojave]]
Come si è visto, la prima versione dello Starfighter fu la 'A', con fusoliera rinforzata per resistere a manovre di 7,33 g e con una pinna ventrale per migliorare la stabilità ad alte velocità e quote, FCS AN/ASG-14T-1, poi rimpiazzato con il successivo -T-2. Malgrado le sue caratteristiche esasperate in termini di velocità, il sistema di controllo dello strato limite (flap soffiati) era in grado di tenere la velocità in atterraggio a un livello pari ad appena il 5% più in alto di quello dei precedenti aerei. Esso funzionava così: se i flap passavano i 15° di inclinazione, le valvole dell'aria spillata dal motore si cominciavano ad aprire, con il massimo raggiunto a 45°, ovvero il massimo livello di inclinazione. Quest'aria proveniva dal 17° stadio del compressore e distribuita da una serie di fessure lungo il bordo d'uscita, riducendo la turbolenza dell'aria nello strato limite, e quindi la velocità di stallo. Per il resto, da sottolineare che gli alettoni erano connessi con i flap e quando questi erano totalmente ritratti, essi erano limitati al 65% dell'escursione; i flap potevano essere usati per atterraggio, decollo e manovre a bassa velocità. I piani di coda a T si muovevano univocamente, essendo un'unica superficie, mentre a lato della fusoliera c'erano due aerofreni, dietro la coda. Soprattutto, era stato installato un sistema di avviso anti-stallo, con uno 'shaker' che faceva 'ballare' la cloche al pilota; se questo non capiva l'avviso, il sistema avrebbe automaticamente portato verso l'avanti la cloche (il 'kicker') per impedire all'aereo di continuare a perdere velocità in manovra. Le modifiche vennero studiate a ritmi serrati, incluso questo doppio sistema di sicurezza, che era vitale per prevenire lo stallo e, peggio che mai, il superstallo (quando la fusoliera e l'ala fanno 'ombra' alle superfici di coda, impedendo l'uscita da questa condizione), perché i piani a T, per quanto eccellenti per ridurre la resistenza aerodinamica e garantire un'elevata velocità di crociera (è per questo che sono usati in aerei come i DC-9) hanno limiti d'impiego in certe condizioni di volo e controindicazioni non di poco conto, tanto che i caccia post-anni 1950 non li hanno più usati.
Ma l'F-104A, per quanto fosse previsto come sostituto degli F-100 già dal 1956 in poi, era in realtà un pessimo investimento. Di fatto, il TAC notò che l'autonomia era insufficiente, così come l'armamento trasportabile, e si disinteressò al nuovo caccia persino prima che esso entrasse in servizio, anche per via del paio d'anni di ritardo nel frattempo intercorsi rispetto alle (troppo ottimistiche) previsioni. Ma anche l'F-106A era in ritardo, e così venne pensato di usare l'F-104 come caccia intercettore, facendo leva sulle sue eccezionali prestazioni. Eppure, l'F-104 non era stato disegnato in origine come intercettore ognitempo e non aveva né l'avionica né l'autonomia necessarie. Non che all'epoca ci fosse molto di meglio in giro, basti pensare al MiG-21F (ancora da immettere in servizio).
Il primo F-104A venne messo in servizio dall'USAF il 26 gennaio 1958 (Baugher dice il 20 febbraio), precisamente dall'813rd Fighter Interceptor Squadron della Hamilton AFB. Ad aprile venne deciso di assegnare tali aerei a compiti di intercettazione, armati con i GAR-8 o AAAM-N-7 Sidewinder, che già l'USAF aveva scelto per l'uso con gli F-100 (i quali non ebbero mai i Falcon, specificatamente prodotti -e in gran numero- per i caccia intercettori più sofisticati). L'F-104A aveva in effetti un semplice sistema d'arma, se non altro relativamente capace di impieghi quasi-ognitempo (differentemente dal Super Sabre), basato sull' AN/ASG-14T-1. Tuttavia, dato che ancora gli F-106 non erano entrati in servizio e gli F-102 erano piuttosto scadenti quanto a prestazioni, un caccia veloce poteva far comodo e per questo l'ADC lo volle come supplente. Seguirono il 56th FIS di Wright-Patterson, Ohio, il 337th FIS di Westover AFB, Massachusetts, e il 538th FIS di Larson AFB, Washington. I motori erano ancora i J79-GE-3 o -3A, che erano alquanto inaffidabili e divennero responsabili di numerosi incidenti, anche gravi, già durante le prove. Con questi difetti, quali spegnimenti e ritorni di fiamma, perdite di olio, ecc., e gli scarichi del motore che avevano un difetto notevole: spesso, dopo avere azionato l'A/B e quindi, avere aperto al massimo l'ugello di scarico, esso non tornava a ridursi con l'uscita dal regime di post-combustione, il che rendeva la potenza disponibile così bassa da impedire il volo sostentato; dati tutti questi problemi, la flotta venne messa a terra in aprile del 1958. In aggiunta, l'A/B era privo della modulabilità, per cui l'F-104 poteva o accenderlo al massimo o tenerlo spento, non esattamente un vantaggio in termini di flessibilità, se si voleva operare a velocità che fossero comprese tra Mach 1 e Mach 2. Per fortuna il -3B era un motore migliorato, con spinta di 9 600/14 800 libbre (6 713 kg) e riuscì a salvare dal disastro la piccola flotta di F-104A, che ad aprile cominciarono le modifiche per averlo, e in luglio tornarono operativi. Ma questo già netto miglioramento non salvò gli F-104 dal perpetuare la tradizione tetra dei 'crash', specie considerando che la flotta era piccola e quindi ogni perdita era un danno molto sentito. Per giunta, a giugno il collaudatore inglese Roland Beaumont collaudò un F-104A e lo considerò un aereo poco stabile, specie per le oscillazioni ad alta frequenza che si sentivano per la maggior parte del volo, e per la modesta capacità di manovra garantita dall'ala sottile e molto piccola, troppo sforzo sugli alettoni e lo stabilizzatore di coda tendente allo stallo ad alti angoli di attacco, con il rischio frequente di una vite piatta, condizione rimediabile solo se a quote elevate, quando c'era il tempo per accelerare con il motore (sempre che funzionasse propriamente) e riportare l'aereo in un regime di controllabilità. Anche in regime subsonico non andava bene, specie per decolli e atterraggi in condizioni ognitempo. Beaumont fu facile profeta nel predire un'alta percentuale di perdite in incidenti.
Il B aveva dimostrato grossi difetti strutturali derivati dalla provenienza dell'A, fu ottimizzato in versione D che come struttura derivava dal C modificato; durante i voli supersonici veniva messo in evidenza il problema del tettuccio a singola soluzione, allora venne sdoppiato e successivamente venne perfezionato aggiungendo l'elemento divisorio centrale in modo da rendere sdoppiata la cabina appunto poi denominato ''rinforzato'' e data la nuova avionica che comprendeva anche il modulo di lancio missili e carico bellico pesante, fu sbarcato Il cannone da 27 mm a canna singola; e su tutta la linea D e poi B fu modificato il timone montandone uno più lungo, come già anticipato prima; all’inizio si era pensato di dotare l’F-104 di un cannone da 30 mm ma l’USAF aveva in mente già un cannone più appropriato, e come riferimento si ispirarono alla guerra civile,... il gatling a canne rotanti..., solo che gli anni e la tecnologia aveva perfezionato quell’arma geniale e denominata cannone Vulcan M-61 a 6 canne rotanti con celerità di tiro a 6 000 colpi al minuto, l’aereo può portare un nastro da 725 proiettili con l’espulsione esterna dei bossoli ma viste la pericolosità e l’alta probabilità di ingerirli il nastro è stato ridotto a 638 colpi e dotato di una sacca per il contenimento di essi, era un cannone molto valido per la sua precisione e di facile manutenzione tanto è vero che ancora viene utilizzato, è stato montato in parecchi aerei come l’F-4, F-14, F-15, F-16, F-18, F-111, C-130C, B-52, elicotteri HH-3F COMBAT, AB-205, AB-405, e montato su gondole sub-alari ad aerei leggeri turboelica. Ma proprio per il suo eccessivo peso fu sbarcato dal 104 ed eventualmente montato su richiesta in base al tipo di missione.
Il Vulcan era noto per le vibrazioni e talvolta per le detonazioni anticipate delle munizioni a bordo, oltre che per non tollerare bene le accelerazioni laterali, tanto che il 1° novembre 1957 l'USAF si stancò e proprio quel cannone che aveva precedentemente insistito per montare, venne sbarcato dagli aerei già prodotti e non installato su quelli in costruzione fino a che i problemi potessero essere risolti. Quindi, gli F-104 di fatto operarono per molti anni solo con due GAR-8/AIM-9B, a loro volta tutt'altro che affidabili. Bisognò aspettare il 1964 quando l'M61-A-1 Vulcan, molto migliorato (dopo circa 10 anni di fatiche) ritornò a far parte degli F-104. Fino ad allora, gli F-104 avevano meno potenza di fuoco di un F-86 missilistico, e per giunta erano pressoché inutilizzabili contro bersagli a bassa quota (e a bassa velocità).
Il sedile eiettabile verso il basso (Stanley C-1) fu un'altra caratteristica 'nuova' della quale si sarebbe fatto volentieri a meno. Era tutto automatizzato, il primo del genere in un caccia prodotto in serie. Bastava tirare un anello d'eiezione e l'abitacolo veniva depressurizzato, la cloche ritratta, i piedi legati da una cintura apposita, le corde del paracadute tirate e l'uscita ventrale aperta. Tutto molto bello, ma nelle non rare situazioni di emergenza a bassa quota (che ogni caccia deve affrontare, anche se opera usualmente nella stratosfera) questo sistema era non solo inutile, ma pericoloso: il pilota, in pratica, doveva riuscire a girare l'aereo di lato o rovesciarlo prima di lanciarsi, il che non sempre era possibile. Non meno di 21 piloti rimasero uccisi da questi sedili che, con il loro sistema d'eiezione e nonostante la tecnologia applicata, si dimostrarono un rimedio peggiore del male.
Il sedile modificato con l’espulsione verso l’alto dotato da un cannone estensibile e da 6 razzi (Loockheed C-2 ) e dotato di bombola dell’ossigeno poteva far arrivare l'espulsione sicura all'F-104 da 30 ft di altitudine fino a 15 000 piedi garantendo l'ottimale in sicurezza e poi con un probe di rifornimento in volo (previsto solo sul C e il B) così garantendo un'autonomia di volo continuo di circa 56 ore ottimale per l’esigenza del TAC che ne ordinò subito vari esemplari, esteticamente il C era simile alla versione A, ne conservava il radome, tettuccio ali coda, con l'eccezione dei serbatoi interni che si poteva in alternativa al cannone montare un serbatoio ausiliario di 600 L e del portello inferiore alla cabina che sull’A serviva come botola per l’espulsione pilota e sul C come poi su tutte le varianti serviva per montare il sedile eiettabile e fornire un accesso per la manutenzione degli organi di comando.
Finalmente, un po' per volta, il sedile venne sostituito dal Lockheed C-2 di tipo convenzionale. I lotti di costruzione furono gli F-104A-1-LO fino all'A-30-LO.
[[File:Lockheed F-104A of the 83rd Fighter Interceptor Squadron at Taoyuan Air Base, Taiwan, on Sept. 15, 1958, during the Quemoy Crisis - Operation Jonah Able.jpg|340px|left|thumb|Una rarissima immagine degli F-104 impegnati nell'Operazione Able, Taiwan 1958]]
Bizzarramente, la prima seria operazione che questi apparecchi ebbero a sostenere non fu di natura difensiva per la madrepatria, ma oltre oceano: già in ottobre 12 F-104A dell'83th vennero mandati in azione a Taiwan, durante le battaglie per Quemoy e Matsu. Per l'occasione, vennero smontati e trasportati a bordo dei lenti C-124; non ci fu bisogno di impiegare in combattimento gli F-104, mentre i Sidewinder B ebbero il loro battesimo del fuoco con gli F-86 (e con una relativa compromissione della tecnologia, che presto venne clonata al meglio possibile per le tecnologie sovietiche).
Gli F-104A riuscirono a conquistare altri record di volo: a dicembre del 1958 un aereo pilotato da due collaudatori (Smith ed Enevoldson) riuscì, in due giorni di prove al NAS (Naval Air Station, una base della Marina) di Point Mugu, a conquistare i seguenti record: 3 000 m in 41,34 secondi, 6 000 m in 51,41, 9 000 m in 81,14, 15 000 m in 131,1, 20 000 m in 222,99 secondi, e infine ben 25 000 m in 266,03 secondi. Notare che tutte le misure erano metriche, per l'omologazione della FAA, anche se per gli americani 3 000 m corrispondono a un poco espressivo 9 842 piedi, e così via. Notare anche come il rateo di salita cala con la quota: da quasi 120 m/s a 6 000 m, a circa 89 m/s per 20 000, sebbene per i 25 000 m vi sia una leggera ripresa, 93 m/s di media. Questo era determinato dallo sfruttamento della parabola balistica più che dal rendimento del motore, che sopra i 20 000 m doveva essere spento (e l'A/B era inutilizzabile già da prima).
Tuttavia, sempre a dicembre del 1958, dopo il 153° esemplare A prodotto, venne sospesa la produzione: al TAC poco interessava, all'ADC anche meno visto che nel frattempo stavano diventando disponibili F-101 e 106. A quel punto i 722 aerei programmati a un certo punto si ridussero a soli 170. Inoltre, mentre gli aerei dell'ADC erano necessariamente dotati di un sistema datalink per essere diretti meglio verso i 'contatti radar', gli F-104 non avevano a bordo tale spazio, e così li radiò nel 1960, versando i superstiti dei suoi quattro squadroni di intercettori all'ANG. Non prima di avere provato una nuova possibilità: studiare la conversione di 24 F-104A in QF-104A, trasformati non tanto in bersagli, ma in intercettori armati di Sidewinder e telecomandati da terra, una specie di missile da intercettazione, insomma. Del resto, all'epoca i BOMARC erano davvero una sorta di 'intercettori senza equipaggio' piuttosto che SAM veri e propri, per cui la cosa non stupisce. Al dunque, tale soluzione non verrà finalizzata e i QF-104A verranno 'spesi' come drone per prove e bersagli teleguidati, in carico del 3205th Drone Squadron di Eglin AFB, Florida.
Nel 1959 l'USAF ebbe i suoi primissimi F-101 e F-106, e presto si ritennero gli F-104 un vicolo cieco, così che vennero versati dal 1960 all'ANG (151st FIS della Tennessee ANG, 157th FIS della S.Carolina ANG, e 197th FIS dell'Arizona ANG); nell'ottobre del 1961 vennero tutte 'federalizzate' (richiamate in servizio attivo) e mandate in Europa, per via della crisi di Berlino, restandoci fino all'estate del 1962.
Poi vi fu la crisi di Cuba, quando le unità di F-104 erano scese a due (ottobre 1962). A questo punto vi fu un'altra bizzarria collegata a questi primi F-104: l'ADC si riprese una parte degli aerei ANG per il suoi 331st FIS della Webb AFB (Texas) e il 319th FIS della Homesteand AFB (Florida), che vi cambiarono i loro F-102 e F-106A per gli Starfighter. Questo atteggiamento schizofrenico era motivato dalle prestazioni molto elevate degli F-104, e dai loro rapidi tempi di reazione e decollo su allarme. E poi all'epoca c'erano ancora pochi Phantom in giro, e soprattutto, erano dell'USN. Gli F-104A riebbero finalmente il Vulcan, senza il quale, a bassa quota, con i soli AIM-9B, erano pressoché disarmati (dato il funzionamento erratico di queste armi di prima generazione).
Gli F-104 americani, sebbene nelle loro prime versioni, rimasero in servizio per un tempo sorprendentemente lungo: fino almeno al 1969; nel 1967, 26 aerei del 319th FIS ebbero anche i motori J79-GE-19 potenziati, quelli del Phantom E e dell'F-104S, con i quali le prestazioni divennero ancora più spettacolari (immaginate che l'F-104A pesava circa 1 000 kg in meno dell'S), si parla di salite sopra 12 000 m in circa un minuto o poco più, ma purtroppo non si approfittò dell'occasione per tentare nuovi record di salita. I caccia americani spesso fronteggiarono quelli cubani durante i periodi di maggior tensione sullo stretto tra Florida e Cuba. Il 331th venne sciolto nel febbraio del 1967, e il 319th operò fino al dicembre del 1969 con gli Starfighter, lavorando di continuo soprattutto in funzione anti-cubana, o di intercettazione e scorta di aerei fuggiaschi dall'isola. Anche gli F-104B seguirono la sorte degli A, essendo aggregati agli stessi reparti, visto che non c'era un'unità OCU vera e propria.
Un'altra versione interessante era il biposto F-104B, ordinato in 26 esemplari, anche se ne erano previsti 112. Il primo, l'AF-56-3719, volò il 7 febbraio 1957 ed era noto in ditta come Model 283-93-03, mentre il monoposto A era il Model 183-93-02. Il biposto era privo del cannone per ospitare il secondo uomo d'equipaggio.
Infine, da rilevare che questi pur pochi caccia (179 in tutto) vennero anche esportati. Ben 29 (24 A e cinque B) andarono alla RoCAF taiwanese, anche se vi rimasero in servizio solo fino all'8 dicembre 1963.
Anche più interessante, 12 andarono alla PAF pakistana (due erano biposto), e nel 1965 combatterono contro l'IAF e il maltempo. Essi erano stati forniti attorno al 1961, per cui la PAF, sia pure con un solo squadrone, fu una delle primissime forze aeree ad avere un caccia da Mach 2, come controbilanciamento ai piani indiani per un caccia di pari prestazioni (e che poi diverrà il MiG-21). Ed era una notizia, anche perché si trattava del caccia scelto e in produzione per la NATO, sebbene in una versione meno avanzata. Quello che è meno noto, è che anche l'India tentò di comprare ben 36 F-104 nel settembre dello stesso 1961, ma gli Stati Uniti rifiutarono la vendita. La richiesta era tre volte il lotto di aerei fornito al Pakistan, ma non era diretta tanto contro di esso, ma contro la Cina, con la quale c'erano stati scontri di confine in quel periodo. Nel frattempo, gli F-104 pakistani entrarono in servizio con il No. 9 Sqn di Sargodha, in sostituzione dei Fury, aerei a pistoni (!) dalle prestazioni tre volte inferiori. Dev'essere stato un passaggio molto difficile, specie considerando che di questi prestigiosi Starfighter ce n'erano molto pochi. Inizialmente vennero consegnati senza il cannone Vulcan, che venne poi installato. Non è chiaro se ebbero anche il J79-GE-11A, un motore potenziato e più affidabile, mentre sicuramente ebbero il gancio d'arresto in coda per gli atterraggi d'emergenza (e l'ingaggio dei cavi trasversali alla pista). Gli indiani temevano gli F-104, sicuramente più del dovuto, mentre aspettavano di avere finalmente in servizio i MiG-21.
Nella guerra del 1965 essi combatterono dichiarando quattro vittorie, tra cui un Mystère il 6 settembre, attaccandolo con un Sidewinder e volando a 600 nodi (1 110 km/h). Il 7 settembre un altro Mystère venne abbattuto da un F-104 con il Vulcan, ma un secondo Mystère abbatté l'F-104 con una raffica di cannonate da 30 mm; un altro F-104A era andato distrutto per una tempesta di sabbia durante le operazioni d'atterraggio. Il 21 settembre, un F-104A riuscì a eseguire un'intercettazione strumentale, lanciando un missile e colpendo un Canberra di notte e ad alta quota. Non meno interessante, l'11 era avvenuto un incontro -il primo in assoluto- tra caccia da Mach 2: un F-104A si imbatté in ben quattro MiG-21PF, ma il pakistano riuscì a scappare volando a Mach 1,1 a pelo d'alberi. In generale gli F-104 ebbero modo di mostrare qualità e difetti: gli agili caccia nemici erano impossibili da contromanovrare, a meno che non si 'arrendessero' da soli, come si disse, avvenne con uno Gnat che 'spaventato' dall'arrivo di un F-104 pakistano, estrasse le ruote e atterrò (fu la quarta vittoria, ma anche quella più improbabile, sebbene così è stata descritta dalla propaganda pakistana). I Sidewinder incutevano timore, installati anche su di 22 F-86F, e gli indiani non avevano ancora armi analoghe (eccetto che con i pochissimi e poco operativi MiG-21, in quanto appena forniti), il che contribuiva spesso a costringerli al disimpegno. In 22 giorni di guerra i 17 Sidewinder ottennero otto vittorie, ma quasi mai funzionarono a bassa quota<ref>Armi da guerra n. 33</ref>. Gli F-104 eseguirono 246 missioni, di cui 42 di notte, subendo due perdite e dichiarando quattro vittorie. In effetti, per quanto temuti (gli indiani li chiamavano 'baldermash', mascalzoni) non furono determinanti per la guerra, che per giunta comportò un doppio embargo americano a entrambi i contendenti.
Per la guerra del 1971 erano rimasti in servizio solo sette aerei monoposto nel No.9 Sqn, nonostante l'arrivo di altri due ex-taiwanesi, mentre durante le ostilità arrivarono anche ben 10 'A' della RJAF giordana. Due soli squadroni (l'altro era di Mirage III) da Mach 2 e altri con gli F-6 (un utile appoggio per la PAF, in aggiunta ai vecchi F-86F) contro otto squadroni di MiG-21 pronti al combattimento.
Dichiararono quattro vittorie su Alizé, Gnat, Canberra e Su-7B; però ebbero anche perdite rilevanti. A quanto pare, vennero anche usati come 'incursori' con armi aria-superficie. Ma a ogni modo, i MiG-21 ne abbatterono sicuramente due (a raffiche di cannone da 23 mm) malgrado la velocità a bassa quota degli F-104, raggiunti dopo un breve inseguimento. Tuttavia gli indiani si accreditano cinque F-104 distrutti in scontri aria-aria e -nell'ultimo giorno di guerra- due altri della RJAF; secondo alcune fonti, per tutte le cause andarono distrutti ben cinque F-104 PAF e quattro giordani. I pakistani ammisero solo tre perdite, di cui una per fuoco da terra, mentre dichiarono l'abbattimento di nove MiG-21 sul fronte occidentale, di cui due a causa di caccia nemici, ma le vittorie erano andate a un F-6 e un F-86, molto superiori in combattimento manovrato. A ogni modo, solo quattro F-104A al massimo erano ancora presenti, mentre non è noto se rimasero quelli giordani. Nel 1975 il No.9 Sqn venne riequipaggiato con i Mirage 5PA, logica conseguenza vista l'efficienza e il successo dei Mirage nel 1971. Un F-104A, il 56-0798, è ancora presente a Sargodha, per la cronaca, si tratta di uno dei due ex-taiwanesi.
Ecco, al riguardo dei giordani, c'è da dire che dalla primavera del 1967 ricevette ben 36 F-104A e 4 B, ma non li usò mai in guerra, nonostante il coinvolgimento contro Israele. Certo che è impressionante, dato che 179 aerei non erano certo molti, eppure ben 81 vennero riesportati all'estero, benché al contempo venissero ancora usati dal 319th FIS, che presumibilmente ne aveva ancora un'altra ventina in carico. Così, gli F-104 persi (sicuramente molti) non impedirono ugualmente una certa diffusione. Gli ultimi F-104A americani vennero mandati alla Davis-Monthan AFB. Uno, il 56-770, alla RCAF canadese, per fare da modello per il CF-104, ed ebbe anche il sn. 12700. Tre furono più fortunati, diventando NF-104A per 'addestramento spaziale' (i 56-756, 760 e 762), da non confondersi con altri tre trasferiti alla NACA nel 1957 (i 56-734- e -49) e uno nel dicembre del 1966 (-790).
Il TAC aveva anche previsto di creare quattro squadroni di RF-104A (Model 383-93-04), tipo studiato fin dal novembre del 1954, poi ridotti a 18 esemplari in tutto (56-939/56), ma alla fine vinse come ricognitore tattico l'RF-101A e il contratto venne cancellato nel gennaio del 1957. Il TF-104A, addestratore disarmato biposto, non ebbe invece luogo perché si proseguì con l'F-104B, più capace.
In tutto, gli sn/c degli F-104A furono compresi tra 56-0730 (per la Lochkeed: 183-1018) e 56-882 /183-1170.
I loro compagni furono gli '''F-104B''' (Model 283-93-03), senza cannone Vulcan per ospitare il secondo abitacolo e varie modifiche interne, come la riduzione della capacità carburante da 897 a 752 galloni, mentre il ruotino veniva retratto all'indietro come sui primi F-104. C'era l'AN/ASG-14T-1 ma di fatto gli aerei avevano solo due Sidewinder a bordo. I primi sei aerei cominciarono a volare molto più tardi dei monoposto, il primo (56-3719) iniziò il 16 gennaio 1957 e ancora mancava delle successive modifiche, come la coda ingrandita. Esso era non ufficialmente l'YF-104B. Dato che gli F-104B non avevano la pinna ventrale degli 'A' avevano un'instabilità marcata in volo, così i 20 aerei successivi ebbero la coda ingrandita e un timone a corda larga, che si estendeva ben oltre lo scarico del motore, il tutto per un aumento del 25% di superficie della corda. Inizialmente c'erano i J79-GE-3A, poi rimpiazzati dai -3B appena disponibili. In teorica era possibile passare alla configurazione A, ma di fatto non venne mai applicata tale predisposizione. I primi aerei giunsero all'83rd FIS e poi anche agli altri due dell'ADC; l'ultimo venne consegnato nel novembre del 1958, per un totale di 26 anziché i 106 ordinati nel 1957. Le prestazioni cambiavano poco rispetto all'A, a parte che il peso a vuoto era maggiore, e quello a pieno carico minore, ma in ogni caso l'autonomia era notevolmente inferiore rispetto a quella già ridotta dei monoposto. Solo nel tempo i sedili C-1 eiettabili verso il basso vennero sostituiti dai C-2 convenzionali, il che richiese la riprogettazione del tettuccio, con la costruzione di due distinti accessi eiettabili, e un trasparente in mezzo come parabrezza in caso d'emergenza (danni al parabrezza o la perdita del tettuccio anteriore). Gli F-104B inizialmente seguirono il destino degli A e vennero mandati all'ADC, poi all'ANG nel 1960 e con essa, a Berlino. Al ritorno però vennero trattenuti dall'USAF e versati all'ADC, dove servirono fino al 1969. Tuttavia, dal 1960 due vennero mandati al Pakistan assieme a 10 F-104A, e altri due raggiunsero Taiwan, più tre alla RJAF nel 1967 (assieme ad altri due F-104A). Due sopravvivono in musei, tra cui l'819, un biposto dato alla NASA già il dicembre del 1959.
Lotti USAF: 56-3719/3724(Lockheed F-104B-1-LO Starfighter, c/n 283-5000/5005);
57-1294/1302 (F-104B-5-LO); 57-1303/1311 (F-104B-10-LO)57-1312/1313 (F-104B-15-LO, c/n 283-5024/5025)
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Tra le imprese di cui la Lockheed non avrebbe sentito la mancanza, e che probabilmente fu l'ultima ad avere una vasta eco sull'opinione pubblica americana (le immagini del Vietnam sono pressoché inesistenti per l'F-104C), c'è stato anche un celebre volo in formazione. La G.E. voleva fare delle riprese sensazionali che testimoniassero il vasto successo dei suoi motori, e così in formazione fece andare alcuni aerei, tutti con motori di sua produzione. Tra questi uno dei due XB-70 Valkyrie, un Phantom e un NF-104. Quest'ultimo si avvicinò un po' troppo al bombardiere e, risucchiato dai vortici, gli esplose contro, strappandogli i timoni verticali. Il bombardiere sembrò tenere stabile la sua traiettoria per un po', poi si inclino e si schiantò a terra con un'enorme esplosione. Beh, 'if nothing else', questo fa del '104 l'unico abbattitore di un bombardiere da mach 3. Certo però, in uno scenario profondamente diverso da quello a suo tempo previsto.
===Gli F-104 nello spazio===
L'F-104A ebbe la sua breve carriera soprattutto intesa in termini sperimentali (in fondo, si trattava del primo caccia da mach 2) ebbe anche dei 'picchi' notevoli, come è proprio il caso di dire in questo contesto. Nel '63 tre F-104A dell'USAF, che erano già stati portati a Davis-Monthan (il grande deposito all'aperto in Arizona) vennero 'ripescati' per un compito particolare. Essi erano i 56-756, -760 r -762 e divennero NF-104A, per addestramento ..spaziale. Rimosso tutto l'equipaggiamento militare, cambiata la coda con una più grande (quella del '104G), aumentata l'apertura alare di 102 cm, l'aereo venne anche dotato di un sistema di controllo della spinta basato su perossido d'idrogeno. Esso aveva ugelli nel muso, coda ed estremità alari. La ragione era semplice: nello spazio non c'è aria, e quindi bisogna manovrare con getti vettorati piuttosto che con le superfici aerodinamiche.
L'F-104, in effetti, non andò davvero 'nello spazio', ma superando nettamente la stratosfera, di fatto era in un regime molto simile. Per arrivare così in alto venne equipaggiato con un Rocketdine LR121/AR-2-NA-1 da 2.722 kgs alla base della deriva. Esso era regolabile (la spinta minima era 3.000 lbs/1.361 kgs) e poteva funzionare per 105 secondi. Il primo di questi '104 spaziali' venne fatto volare già a luglio e consegnato il 1 ottobre 1963, gli altri a novembre. Essi prestarono servizio con l'Aerospace Research Pilot School di Edwards AFB, comandato all'epoca dal colonnello Charles E. (Chuck) Yeager. All'epoca le cose si facevano in fretta e già il 6 dicembre 1963 il primo aereo consegnato salì a ben 118.860 ft (oltre 36.200 m). Questo fu un record non ufficiale per qualunque aereo che all'epoca avesse decollato con i propri mezzi (e non rilasciato da aerei vettori a mezza quota), record che all'epoca era detenuto dal sovietico MiG Ye-66A, un MiG-21 sperimentale che si accontentava di 113.829 ft.Battere di oltre 1.500 m quel record non era cosa di poco conto, e successivamente il maggiore R.W. Smith toccò i 120.800 ft, pari a 36.800 m circa. Il 10 dicembre toccò a 'Chuck' Yeager, con il secondo dei '104 a razzo, il 56-762. Stava salendo per toccare 41.000 metri (!), quando a 'soli' 104.000 ft (circa 31.500 m) perse il controllo e cadde giù in vite piatta. Yeager riuscì a salvarsi con il paracadute, ma il motore a razzo provocò un incendio dentro la sua tuta pressurizzata, provocandogli una seria ustione al volto. L'episodio è narrato, nel cinema, nel film 'Uomini veri', una specie di 'summa' delle peripezie e trionfi della NASA. L'inchiesta successiva provò che il '104 andò perso a causa dall'eccessivo angolo d'attacco della manovra, non dovuto al pilota ma ad un effetto giroscopico della turbina del J79, che continuava a girare nonostante che il motore, sopra i 20.000 m circa, venisse spento dato che non c'è più sufficiente aria per farlo girare.
La smania dei voli-record passò e i sovietici, in seguito, ottennero qualcosa di più con il MiG-25 (37.000 m). Nel giugno del '71, quasi 10 anni dopo, il terzo NF-104A ebbe un'esplosione del motore a razzo durante un volo. Nonostante questo, il pilota riuscì a riportare a casa il danneggiato '104, con metà del timone. Ma oramai il programma era alla fine e non vennero mai fatte le riparazioni del caso. Uno degli NF-104A, il primo, è ancora esistente, su di un pilone dell'USAF Test Pilot School.
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Ma questi non furono gli unici '104 destinati ad imprese di questo tipo. Tutt'altro, la National Aeronautics and Space Administration ne ebbe non meno di undici esemplari. Si cominciò dall'agosto del '56, quando il settimo YF-104A (55-2961) venne trasferito alla NACA, che poi diverrà, per l'appunto, NASA. Era registrato con un numero civile, N818NA (NA=NASA), anche se inizialmente era solo '818'. Verrà usato per lungo tempo: il ritiro avverrà solo nel novembre del '75 e ancora oggi è presente nel NASA Museum di Washington. Nell'ottobre del '57 seguirono due F-104 ex-USAF, di cui uno cadde nel '62 (era il 56-749). Seguirono poi un F-104B nel dicembre 1959 (57-1303, poi 819) che durò in servizio fino al '78; ben tre F-104G, ovvero il tipo 'europeo', consegnati nell'agosto-ottobre del '63. Questi erano per l'appunto gli F-104N, ed erano stati costruiti dalla Lockheed appositamente per la NASA. I numeri erano lo 011, 012 e lo 013. Fu quest'ultimo che confermò la scaramanzia, che nell'aviazione avversa particolarmente il '13' (mentre lo stesso non vale per il '17', vedi il Flying Fortress e il Globemaster III), tanto che a questi si deve 'l'abbattimento' dell'XB-70, l'8 giugno del 1966. Il pilota collaudatore del '104 rimase ucciso nell'incidente, così come avvenne per parte dell'equipaggio del bombardiere. In seguito gli F-104N superstiti diventarono N811NA e N812NA. L'811 è ancora conservato, così come l'80, un altro '104A ex-USAF, comprato nel dicembre del '66 (era il 56-0790). Nel '75 arrivarono anche due TF-104G e un F-104G, ribattezzati con numeri civili N824NA, -825 e -826NA. I primi due erano macchine della LW, usati per addestramento negli USA (a Luke AFB), con i 'serials' USAF (61-4065 e 66-13628). Ancora alla fine degli anni '90, almeno i n.825 e 826 erano ancora in servizio all'Ames/Dryden Flight Research Facility di Edwards AFB, in California, dove erano ancora usati per gli esperimenti di volo della NASA, unici '104 ancora in servizio negli Stati Uniti, e oramai, anche tra i pochi in tutto il resto del mondo.
===F-104C/D: il primo multiruolo===
Il TAC aveva nel frattempo chiesto un caccia che sostituisse l'F-100, ma non lo trovò con facilità: e cosa si arrivò a pensare? Di impiegare il '104 con una nuova versione, del tutto diversa operativamente, quella cacciabombardiere F-104C (Model 483-04-05). Esso ha avuto un motore J79-GE-7A potenziato e dal minor consumo specifico, sistemi di navigazione migliori, maggiore soffiamento dei flap, nuovi punti d'aggancio per un totale di circa 1.100 kg di armamenti, anche termonucleari (pilone centrale, capace di 907 kg) tipo Mk-28 e 43, mentre sul lato sinistro c'era una sonda per l'IFR, fissa in volo, ma smontabile a terra quando necessario. La direzione di tiro era una AN/ASG-14T-2 con capacità diurna-notturna, ma non realmente ognitempo. Come si spiega il ritorno d'interesse del TAC nei confronti del '104? Essenzialmente per aspettare l'arrivo degli F-100C/D e degli F-105. Un contratto venne approvato il 2 marzo 1956, per un totale di 56 aerei, e altri 21 vennero aggiunti il 26 dicembre successivo. Successivamente vennero previsti ordini per altri 363 aerei, ma di fatto mai concretizzati. Il primo YF-104C decollò la prima volta il 24 luglio 1958, proprio quando si stavano 'rivitalizzando' gli 'A' da caccia. Il motore da 4.530/7.166 kgs era un notevole passo avanti, grazie alla turbina dal diametro di 3 pollici superiore (7,62 cm). I primi F-104C erano già stati equipaggiati con il Vulcan M61, senza aspettare l'M61A1. Forse l'impiego da bassa quota era reputato più sicuro dei compiti svolti dagli intercettori nella stratosfera?
Nonostante un certo appesantimento, il '104C era brillante, e il 14 dicembre 1959 il cap. Jordan ottenne il nuovo record di salita a ben 31.511 metri, ovvero, e per la prima volta, oltre i 100.000 piedi di quota. E non solo, ma raggiunse la straordinaria velocità di mach 2,36. La salita a 30.000 m avvenne in 15 minuti e 4,92 secondi dal rilascio dei freni.
In tutto vennero costruiti solo 77 esemplari, più 21 Model 583-04-06, ovvero F-104D biposto. Questi, come anche gli B ammodernati, avevano una pinna ventrale, che permetteva di compensare in termini di stabilità la messa in ombra della deriva da parte di un tettuccio ora ingrandito e allungato.
Lotti di F-104C:
56-0883/0938 (Lockheed F-104C-5-LO Starfighter, c/n 383-1171/1226),
57-0910/0930 (F-104C-10-LO, 383-1227/1247)
57-0931/1293 (contratto poi cancellato).
Il '104C entrò in servizio già nel '59 (i primi arrivarono già nel settembre del '58), prima al 476th TFS (Tactical Fighter Squadron), e poi anche agli altri tre (434, 435 e 436th TFS) del 479th TFW sulla George AFB (California), che rimase l'unica ad esserne dotata (nessuno stupore, del resto, visto che uno squadrone significava almeno 18 apparecchi), e mobiliata anche per la crisi di Cuba, operando dalla NAS di Key West e gli C, a differenza degli A, erano in funzione offensiva, essenzialmente per lo 'strike' nucleare.
Ma non rinunciavano ai Sidewinder, come nel progetto 'Grindstone' dell'ottobre del '61, quando la Lockheed li modernizzò, anche con la postazione 'a catamarano' per due Sidewinder in due rotaie ventrali. Questo arnese non fu affatto popolare, perché induceva molta resistenza e le ottiche di ricerca dei missili erano facilmente sporcate in decollo, mentre l'Atomica non poteva essere caricata a bordo. Ad ogni modo venne data la possibilità di portare razzi da 70 mm e parecchi tipi di bombe (ma non missili, come i diffusi Bullpup) per attacco al suolo. Il motore e altri sistemi, però, continuavano ad essere una fonte di grattacapi, anche ora che si era giunti al J79-GE-7. Così, in appena cinque anni vennero registrati ben 40 incidenti gravi con la perdita di ben 24 aerei e nove piloti (a questa cifra Sgarlato si riferisce, erroneamente, parlando del Vietnam nella monografia di A&D). A questo punto si ebbe l'Operazione 'Progetto 7', in cui la G.E. modificò il motore nel maggio 1963-giugno 1964, ciò che pose fine al massacro di '104, che avevano perso quasi un terzo dei loro in un lustro di servizio.
Ma soprattutto, l'impiego degli F-104C si ebbe per la guerra in Vietnam. Quando cominciò l'Operazione Rolling Thunder, nel '65, i vietnamiti erano già in possesso di un'aviazione e il 3 aprile tre MiG-17 mitragliarono una formazione americana vicino a Dong Phoung, danneggiando un F-8 Crusader (che da alcune fonti è tuttavia dichiarato come abbattuto); il giorno dopo sorpresero e abbatterono due F-105 (ma qui i vietnamiti, sorprendentemente dicono che i '105 per reazione inseguirono i quattro MiG-17 e ne abbatterono tre, cosa che gli americani non hanno mai dichiarato!), nonostante la scorta degli F-100, uno dei quali riuscì a piazzare qualche colpo a segno di un MiG durante l'inseguimento successivo. Così venne distaccata un'unità 'College Eye' su EC-121D Warning Star, e al TAC si chiesero, in attesa dei Phantom, i suoi F-104C onde scortare gli EC-121 sul Golfo del Tonchino e proteggere le portaerei americane. A terra sarebbero poi seguiti gli F-102 e le unità HAWK, per parare eventual minacce portate dagli Il-28.
[[File:Lockheed F-104C Starfighters of 435th TFS, 479th TFW, at Udorn RTAFB, in 1965.jpg|360px|right|thumb|F-104 a Da Nang, 1965]]
Così nell'aprile del '65 il 476th TFS inviò 25 F-104C: 10 aerei vennero suddivisi in due Detchments., uno con 10 aerei a Taiwan (Kung Kuan) e uno con 15 a Da Nang, entrambi con funzioni di intercettazione. I Vietnamiti impararono a temere i '104, più per la fama (gli F-8 si dimostreranno molto più temibili) che per altro.
I '104 volavano con poche armi a bordo. Due AIM-9 e il cannone, più due serbatoi subalari, oppure due bombe e due serbatoi alle estremità alari. Ma uno dei difetti era l'autonomia. In alto, però, era come un ascensore. Tuttavia la situazione divenne presto decisamente sfavorevole per i '104isti'. Pensavano che con il loro aereo avrebbero potuto abbattere i MiG lasciando seduti i Phantom, del resto anche gli F-8 Crusader -certamente molto simili ai '104- avevano operato bene contro i MiG.
Le MiG-CAP venivano volate con il Vulcan e quattro AIM-9 (due ventrali, presumibilmente) e i MiG non si fecero quasi più vedere, con appena due incontri. Visto che la minaccia era calata, ai '104 venne chiesto di volare missioni meteo, e poi di cominciare l'attacco al suolo. Qualche volta ebbero obiettivi al Nord, ma più spesso erano impiegati come macchine d'appoggio al Sud, sotto il controllo di un FAC. Si dimostrarono capaci di mirare con notevole precisione sia con il cannone che con le bombe, e di reagire in pochissimo tempo alla richiesta di aiuto. Inoltre, grazie alla semplicità delle attrezzature e alla capacità dei meccanici, venne mantenuto un incredibile livello di efficienza del 94,7%. Un solo aereo andò perso, il 29 giugno a 100 nm a S-O da Da Nang. Successivamente, il 436th TFS sostituì il 476th l'11 luglio a Da Nang, iniziando le missioni il giorno dopo, con poche MiGCAP e molte CAS (supporto aereo). Il 23 luglio un aereo si scassò all'atterraggio, dopo avere subito danni in azione. Il pilota Blakely riuscì a farlo atterrare a carrello retratto, nel tentativo generoso di salvarlo; ma il '104 uscì di pista e si fracassò su di una duna, uccidendolo. Andò peggio il 20 settembre.
Un altro tipo di azione era la scorta ai C-130 da ricognizione (queen Bee), ma qui era necessario volare a distanza, formando delle rotte a 8 attorno a loro, e sperando che i Vietnamiti si facessero tentare dall'idea di buttare giù un lento Hercules; in un paio di occasioni sembrava che fosse una cosa realizzabile, con l'allarme radar sull'arrivo dei MiG. Ma poi non successe nulla. Come risultato aggiuntivo, però, un pilota, tale Phil Smith, si perse sul Golfo del Tonchino, mentre stava dando il cambio ad un altro caccia. Si trovò sull'isola di Hainan e venne abbattuto da un J-6. La stessa notte un paio di piloti, impegnati nella ricerca del compare, erano in volo da oltre 2 ore quando si trovarono a secco e dovettero lanciarsi. Loro finirono in prigionia ad Hanoi, Smith in Cina, tutti vennero rilaasciati nel '73. I '104 avevano avuto una dura battuta d'arresto. La loro tattica di caccia non stava funzionando. All'epoca si richiedeva la conferma visiva dei bersagli e quando si operava con 4 apparecchi, la prima coppia avrebbe dovuto identificare i MiG ed eventualmente sparargli con il cannone, la seconda avrebbe avuto il tempo, provenendo da dietro, di sparare i missili Sidewinder. Di fatto non funzionò mai, ma le ragioni erano composite e dipesero da vari fattori, non così facili da identificare.
Una settimana dopo, invece, un '104C venne abbattuto dalla flak con il suo pilota: la prima volta che l'azione nemica causava la morte del pilota e dell'aereo in simultanea. Il 435th venne sostituito a novembre dal 390th, con i nuovi F-4C. I '104 si dimostrarono incapaci di abbattere qualsiasi MiG, anzi subirono una perdita: ma la loro presenza rese per mesi i vietnamiti 'assenti' dai cieli.
Il loro utilizzo diede luogo a giudizi contrastanti. L'autonomia era modesta, ma era sufficiente per la difesa aerea: fino al dicembre 1965 i '104 rimasero a Da Nang come intercettori, mentre i primissimi Phantom e gli F-100 erano presenti ma soprattutto per ragioni offensive. Inoltre, nonostante fosse meglio attrezzato, l'F-102 era più lento, con armi meno efficaci e non poteva rifornirsi in volo (l'F-104C sì, forse l'unica versione che abbia mai avuto una sonda come standard). L'abitacolo era stretto, ma era considerato più spazioso di quello dell'A-4, tanto che poteva ospitare anche piloti di statura alta. Durante i giorni di pioggia, e in Vietnam ce n'erano molti, dentro l'abitacolo entrava facilmente acqua. Tra le missioni ideate, quella della copertura ai ricognitori RC-135, che si pensava prima o poi i MiG avrebbero attaccato. Allora venne pianificato di mandare i '104 sotto le ali del ricognitore, per fare uno scherzo ai piloti comunisti. Ma il '104 non poteva rallentare abbastanza per stare assieme all'RC-135 anche se questo veniva mandato alla massima velocità. Solo i Phantom e gli F-8 potevano farlo, e ebbero successo solo in un paio di occasioni.
Nel '66 anche i vietnamiti ebbero i primi MiG-21 e i '104C ritornarono a giugno, stavolta ad Udorn, in Thailandia: il 6 giugno arrivarono otto '104 del 435th TFS; dato che il 479th TFW era in conversione al Phantom, questo squadrone era stato mandato sotto le dipendenze dell'8th TFW delle PACAF. Successivamente, giunsero altri 12 F-104C il 22 luglio. Le scorte ebbero come obiettivo la difesa degli F-105D e EF-105F. La presenza dei '104 scoraggiò ancora i MiG.. eppure essi non avevano nemmeno un misero RWR, per cui la difesa elettronica, anzi l'allerta, era dovuta alle comunicazioni con i Thunderchief. Non bastò sempre: il 1 agosto due SAM abbatterono altrettanti '104. Ora che i MiG non si facevano vedere, era del tutto erroneo usare ancora i '104 come macchine di scorta. Allora li usarono per l'attacco al suolo, perdendo però altri tre di essi in un paio di mesi. Tutto questo per aerei che al più, portavano due bombe da 340 kg. È vero che inizialmente non c'erano molte scorte di bombe per i cacciabombardieri, per cui spesso anche i Phantom non decollavano a pieno carico, ma la cosa cambiò presto e i '104 dimostravano di non essere all'altezza. La loro sagoma era minuscola, anche in termini di traccia radar, erano veloci e difficili da vedere frontalmente (se non quando era già .. troppo tardi), in un certo senso erano simili agli F-5; e come tali, avevano un raggio modesto, e peggio, non tolleravano danni in battaglia molto estesi, né operazioni con cattive condizioni di visibilità. Ad ogni modo, verso la fine del '66 essi ebbero l'RWR APR-25/26 (Project Pronto), e vennero mandati ancora in scorta sul Vietnam del Nord. Ebbero una parte nell'Operazione Bolo del 2 gennaio 1967, ma solo per coprire l'ingresso della forza di Phantom, che simulavano gli F-105. Loro abbatterono sette MiG-21, mentre i '104 non avvistarono nessuno. Quel giorno i MiG persero circa la metà della loro forza operativa e impiegarono mesi per riaversi. Forse i Vietnamiti sbagliarono bersagli: chissà quali risultati avrebbero ottenuto o subito, se si fossero curati di affrontare i sopravvalutati '104, invece di 'sbattere' addosso ai Phantom. Ad ogni modo la carriera finì nel luglio del '67 con gli F-4D, e il 435th ritornò alla George AFB.
Gli F-104, noti anche come Zipper o Zip (cerniera lampo) ebbero modo di fare soprattutto missioni aria-superficie, specie nel Laos. Ma il raggio non era grande: il carico di bombe era di due armi da 227 kg e senza rifornimento in volo potevano essere portate non tanto più distante dei mortai vietcong che tiravano sulle basi americane (chiaramente non ci si riferisce alle missioni volate direttamente dalla Thailandia). Il raggio in missioni aria-aria era di circa 960 km, nemmeno così male, ma alla velocità del '104, in tempi pratici, era davero poco tempo da gestire al meglio con una macchina difficile. Questo aveva comportato una lunga serie di incidenti, e anche una serie di raccomandazioni pubblicate sotto forma di vignette, che spiegavano come evitare brutte conseguenze dovute alla sottovalutazione della velocità e della difficoltà di pilotaggio dell'aereo.
In Vietnam i '104 ebbero una carriera non esattamente brillante, due entrati in collisione tra loro, due dai SAM, sei abbattuti dalla contraerea, per non parlare di almeno uno distrutto da un caccia MiG e sei per incidenti. Il tutto per circa 2.970 (o 2.269) missioni d'appoggio tattico. Nel luglio del '67 i '104C superstiti vennero sostituiti -senza rimpianti- dai ben più capaci F-4D, e versati all'ANG. L'ultima unità americana con gli F-104 fu la PRANG, ovvero la Puerto Rico ANG, che dal suo 198th TFS (prima volante con gli F-86H) li radiò attorno al luglio o dicembre del '75, sostituendoli con l'A-7D Corsair II, più moderno anche se meno 'esuberante' in termini di prestazioni.
Una carriera quasi ventennale, dunque, quella dei '104 americani. Ma per tante ragioni, tra cui l'esiguo numero e la concorrenza di cacciabombardieri più grossi e sofisticati, finì pressoché inosservata dopo i record di velocità.
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Tornando al titolo, vale la pena di approfondire un po' anche la vicenda degli '''F-104D'''(Lockheed Model 383-04-06), che è in sostanza simile al 'B', ma con i miglioramenti intercorsi nel monoposto C. In tutto, il '104D aveva coda ingrandita, Vulcan rimosso, due soli AIM-9 (poi aumentati a quattro), un massimo di quattro serbatoi esterni per una dotazione totale di 730 galloni extra. Per il resto c'erano ancora l'AN/ASG-14T-2 e la predisposizione per la sonda IFR. Inizialmente, purtroppo, c'erano ancora i sedili Lockheed C-1, ma presto giunsero i migliorati C-2, il che comportò la riprogettazione del tettuccio, come già descritto con il '104B. Teoricamente, il 'D' era convertibile in C monoposto (o almeno, ad uno standard equivalente) ma non pare che la cosa sia mai stata messa in pratica; le prestazioni erano analoghe a quelle dei monoposto, o quanto meno, comparabili, eccetto che per l'autonomia. I 21 apparecchi vennero consegnati tra novembre del '58 e l'agosto del '59, tutti assegnati direttamente agli squadroni operativi. Altri 83, inizialmente ordinati nel FY 57, vennero poi cancellati. Gli ultimi andarono alla PRANG, ma sei vennero trasferiti a Taiwan. Il '104D è, malgrado l'export e il numero ridotto, gli incidenti di volo di una quindicina d'anni d'attività, sopravvissuto in quantità considerevoli: ben otto sono stati segnalati in vari musei (non è chiaro se comprensivi anche di quelli taiwanesi). Il che significa che ben pochi dei 21 biposto D andarono persi in attività, al contrario dei primi, terribili anni del '104.
I lotti erano tre, il Lockheed F-104D-5-LO (483-5026/32 per la Lockheed, 57-1314/20 per l'USAF), -10-LO (483-5033/40 e 57-1321/28), e -15-LO (483-5041/46 57-1335/1417).
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Visto che, per ragioni ignote, la lettera 'E' non venne mai assegnata, il successivo Starfighter è l''''F-104F'''. Lo tratto qui perché esso è sia un antenato del '104G, che un discendente del 'D'. In pratica, prima dell'avvio della produzione del TF-104G si sentì la necessità di ottenere dei biposto addestrativi che la Lockheed approntò come Model 483-04-08. Essi erano molto simili al biposto precedente e avevano i motori J79-GE-11A, ma non il NASARR ognitempo, né la cellula rinforzata; se non altro avevano il sedile M.B. europeo. 30 vennero costruiti per la LW, con il primo preso in consegna a Palmdale già nell'ottobre del '59. Inizialmente essi vennero usati negli Stati Uniti e con simboli USAF, così come gli snc.(59-4994/5023). Dopo che addestrarono gli istruttori tedeschi, vennero versati alla Waffen Schule 10 di Norvenich, con i nuovi serial BB360/BB389, poi -dal gennaio del '68- cambiati in 2901/2930. Non durarono molto: dal dicembre del '71 vennero ritirati dal servizio, essendovi un numero sufficiente di TF-104G, che avevano una superiore capacità di combattimento (peraltro raramente sfruttata) e più robustezza strutturale.
===F-104G: se nessuno è profeta in Patria..===
Fin dal '58 Johnson, che cominciava a masticare amaro per l'insuccesso del suo veloce caccia, iniziò a pubblicizzarlo all'estero, e ottenne un clamoroso successo nel concorso per il nuovo caccia NATO.
[[File:F_104_Starfighter.JPG|350px|right|thumb|Un '104 tedesco]]
Dato che il '104 era inadatto alle esigenze del TAC, data la carenza di avionica, raggio, carico ecc, al dunque dei 722 pianificati solo 296 vennero realizzati davvero e gli altri cancellati. Sembrava che anche l'eccezionale '104 fosse condannato a fare la fine di tanti altri progetti dell'epoca, anche più avanzati, ma in tal caso, adesso non ne staremmo qui a parlare. Il salvataggio dall'oblio delle foto d'epoca fu dovuto al grande successo nel concorso NATO, inaugurato a metà degli anni '50. Esso era relativo soprattutto ad una macchina capace di portare una bomba B-43 americana, ma anche alla necessità tedesca di sostituire i Canadair Sabre e gli F-84F. La Germania ebbe una proposta per il nuovo caccia, che non essendo stato presentato nella misura del costoso Lighting, venne presentato nella forma dell'SR.177 con turbogetto e motore a razzo. Sembrava che l'industria britannica fosse sul punto di ottenere un clamoroso successo in Germania Occidentale, ma invece l'SR.177 venne cancellato dagli sviluppi finanziati in Gran Bretagna e così questo apparecchio non ebbe seguito. Una versione multiruolo del Lighting avrebbe potuto soddisfare la Luftwaffe, ma ancora una volta, la Gran Bretagna non fece la cosa giusta rifiutando di presentarla e inducendo i tedeschi a scegliersi un nuovo caccia, che per le esigenze produttive si trasformò rapidamente in un programma europeo.
Molti i concorrenti per questa gara, che non riguardava tuttavia GB e Francia, già al lavoro con i loro apparecchi da mach 2. Il 'contratto del secolo' ebbe non meno di dieci pretendenti: l'E.E. Lighting, SR.177, Mirage III, J-35 Draken, F-102, F-105, F-106, F8U, F-11F e per l'appunto, il '104, qui proposto come F-104G. Esso sarebbe stato un caccia multiruolo e ognitempo basato sul precedente C, ma con piene capacità avioniche per le missioni più difficili ed equipaggiato con l'Autonetics F15A NASARR (North American Search and Ranging Radar); rinforzi alla fusoliera e ali erano stati apposti per ottenere una maggiore robustezza e stabilità in volo a bassa quota a pesi elevati, c'erano quattro punti d'aggancio sotto le ali e uno sotto la fusoliera per un totale di 1.815 kg, il carburante interno aumentava e con i serbatoi esterni, si passava da 1.624 a 1.784 galloni. Di fatto, pur non abdicando alla sua eccezionale velocità, diventava un interdittore da bassa quota, quasi un antenato dell'F-111 o del Tornado.
Inizialmente sembrò che l'SR-177 a razzo-reattore fosse il preferito dai Tedeschi, ma poi le cose cambiarono, soprattutto per il disastroso management che in quell'epoca aveva l'industria britannica, soprattutto per ragioni politiche (con la rinuncia a molti programmi fondamentali in nome dell'avvento dei missili). Tra i concorrenti per il mercato tedesco e in generale, europeo, come si è detto, c'erano un gran numero di contendenti. L'F-11 Tiger era un valido apparecchio, ma poco apprezzato (sebbene a bassa quota fosse più veloce del Crusader), il Crusader era un velivolo ad alte prestazioni, ma presentava la complicazione di essere una macchina navale e pertanto più costosa e complessa del dovuto; il Phantom era ancora di là da venire e in ogni caso costava molti soldi. L'F-105 era un ottimo bombardiere, ma non era altrettanto buono come caccia intercettore; al contrario l'F-106 era un caccia specializzato con capacità aria-superficie tutte da sviluppare. Gli F-101 erano pesanti e afflitti da vari problemi che piccole aviazioni non potevano sostenere. I Mirage avevano un motore non molto potente, così come il radar Cyrano era relativamente primitivo. Simile era il Draken, che forse era il più versatile di tutti, ma non aveva certo il supporto politico del Pentagono (idem per il Mirage, altro caccia che in definitiva, si potrebbe definire il 'migliore' della sua epoca). Il Lighting britannico era poderoso, ma latitante in termini di versatilità e di autonomia, e poi era decisamente complesso, un bireattore a corto raggio d'azione e mono-impiego. E così, tutto sommato, il '104G si dimostrò il migliore candidato, per meriti suoi e, soprattutto, politici.
Il 6 novembre 1958 l'F-104G venne dichiarato, da parte del Ministro della Difesa F.J. Strauss, il vincitore della competizione. Baugher annota giustamente che non è mai stato chiaro come un progetto ancora sulla carta, basato su di un aereo noto per i suoi numerosi incidenti (mentre i record di salita non contano molto per il compito di 'strike' nucleare) potesse vincere il concorso, dopo che l'USAF di fatto lo aveva 'scaricato' da tempo. Forse perché i tanti contendenti non erano poi così migliori, o troppo specializzati, o dalle prestazioni inferiori. I Mirage III erano i migliori del lotto, così i Saab 35, forse anche superiori ai Mirage. Ma per una ragione o l'altra, non vennero scelti e l'Europa, del resto 'serva' dell'America, si orientò verso un progetto americano. Il 6 febbraio 1959 venne firmato un contratto per 30 F-104F e il primo lotto di 66 F-104G, poi aumentato a 96 aerei, commissionati alla Lockheed. Altri 210 sarebbero stati prodotti da un consorzio di industrie tedesche con tanto di trasferimenti di tecnologie, che erano importanti per lo sviluppo e l'ammodernamento dell'industria tedesca. Del resto, quando Hartmann dichiarò che la Luftwaffe aveva necessità di una macchina più intermedia tra l'F-86 e i caccia da mach 1 (in pratica, l'F-100), gli fu risposto che 'i politici hanno detto che questo è l'aereo che dobbiamo comprare'. Era tutta una questione politica, prima ancora che operativa. Ma almeno qualche anno ad interim con gli F-100, avrebbe salvato molte vite..
Successivamente toccò al Canada, e il 2 luglio del '59 venne annunciata la coproduzione di 200 CL-90 o CF-111, poi CF-104 da parte della Canadair Ltd, in aggiunta a 38 CF-104D biposto da comprarsi alla Lockheed (data l'esiguità della serie non era reputato conveniente produrli in proprio). I motori J79 erano da prodursi dalla Orenda Engines Ltd di Malton, nell'Ontario, già esperta di un F-86. Nel dicembre del '60 vennero aumentati i contratti per la coproduzione per altri clienti internazionali, che nel frattempo si stavano aggiungendo in massa.
C'era l'Italia, che dopo il periodo 1954-58 aveva abbandonato la sua linea di caccia leggeri, che si stava concretizzando con il 'Leone', macchina da mach 2 ma con propulsione mista razzo-jet. All'epoca si cominciò a dirottare fondi a sistemi come i missili HAWK, e così i pochi soldi ancora necessari per questo caccia italiano e altamente supersonico, non vennero assegnati e forse fu meglio così, perché il caccia a razzo non aveva davvero futuro. Così si arrivò alla scelta americana, dibattuta tra F-5, F-105 e F-104, oltre al Mirage III, che però -al solito per i membri NATO più 'ortodossi'- venne scartato, anche perché la Lockheed assicurò che il suo caccia poteva sostituire in simultanea sia gli F-84 che gli F-86. Del resto la Fiat aveva ottenuto la leadership del gruppo di produzione Sud, con un portafoglio ordini di 200 aerei circa. La decisione venne presa il 18 marzo 1960, ma solo il 2 marzo 1961 si aggiunse la firma di un contratto vero e proprio. La decisione italiana, in effetti, condizionò molti altri: l'Olanda acquistò la licenza il 20 aprile 1960, il 20 giugno il Belgio fece ugualmente, nel novembre del '60 arrivò l'ordine giapponese per 210 aerei (l'unico per macchine aria-aria al 100%).
L'F-104G, o Lockheed Model 683-10-19, era la versione europea; sembrava ancora simile al '104C, ma in realtà era una macchina molto più potente, con l'F15A-41B NASARR per modalità a-a e a-s, con capacità di ricerca, acquisizione e inseguimento automatico di bersagli aerei per intercettazioni su 'rotta di collisione', agendo in simultanea con il direttore computerizzato di tiro del cannone Vulcan. Non solo, ma il mirino aveva anche un sistema IR di visione per dare una minima capacità notturna anche a parte del radar, esso era l'IR Sight, anche se con portata limitata a qualche miglio. Nel compito aria-superficie il NASARR poteva computare il bombardamento a vista, mappatura, navigazione, allertamento di prossimità del terreno, e aiuto per il bombardamento in picchiata. Ad esso si aggiungeva l'INS Litton LN-3 che dava al pilota la prua relativa ad un 'target' selezionato prima della partenza. A dire il vero, però, questo sistema era molto meno affidabile di quel che sembrava e il pilota continuerà ad usare molto 'manico' per arrivare sul target. Nonostante la struttura irrobustita e il peso maggiore, i flap adesso erano utilizzabili anche in combattimento, con deflessioni fino a -15°: questo rendeva possibile ridurre grandemente il raggio di virata, di circa il 33% a 1.525 m (e anche così si tratta pur sempre di un raggio considerevole, anche nella miglior condizione di volo: pensate quant'era insoddisfacente nei primi '104!).
In tutto c'erano sette punti d'aggancio come nell'F-104C (ma di fatto solo cinque erano usati normalmente), per un totale di 1.814 kg di carico e due AIM-9, arrivando a 1.945 kg pratici. Con quattro serbatoi esterni, questo totale era anche superiore. La fusoliera era della stessa lunghezza, ma la coda era come quella degli F-104B e D, ovvero ingrandita per migliorare la stabilità longitudinale ad alta velocità, più il timone ingrandito e potenziato, con comandi irreversibili idraulici e capace di eliminare lo yaw damper dei primi F-104. Lo stabilizzatore venne migliorato in potenza. Il peso aumentava di poco rispetto al '104C, aveva nondimeno ruote ingrandite e freni migliorati (anti-skid), mentre il paracadute aumentava di diametro da 16 a 18 ft. Il sedile era da subito il C-2 'convenzionale', quasi 0-0 (ogni quota, tra 90 e 550 nodi, ovvero oltre 1.000 kmh). Il motore J79-GE-11A da 4.530/7.076 kgs, prodotto dalla MAN-Turbo, FN belga e FIAT in Italia.
Il '104A-15-LO venne modificato appositamente (era il 56-0770) per diventare il prototipo aerodinamico dell'F-104G, anche senza avere ancora i suoi rinforzi strutturali. Volò per la prima volta a Palmade il 1 settembre 1960, inteso come prototipo del CF-104, tanto che era anche nei colori della RCAF. Il primo F-104G fu il Werke Number 2001, volato il 5 ottobre 1960, il primo dei 66 ordinati dai tedeschi, anche se le consegne iniziarono nel maggio del '61.
Gli ordini giunsero copiosi, e consentirono di impostare una produzione su scala mai vista dal dopoguerra. Il NASMO (NATO Starfighter Magament Office) chiese ben 947 esemplari, poi aumentati a 1.300.
La produzione europea venne suddivisa in ben quattro gruppi: Sud, con Dornier (Monaco), Heinkel (Speyer), Messerschmitt (Ausburg) e Siebel (Donaworth), oltre la BMW di Coblenza per i motori J79; Gruppo Nord, Fokker (Schipol e Dondrech), Aviolanda (Papendrecht) olandesi, oltre ai tedeschi della Focke-Wulf di Bremen, Hamburger Flugzeugbau (Amburgo), e Weserflugzeugbau di Einswarden. Gruppo Ovest, con la SABCA (Societe Anonyme Belge de Constructions Aeronautiques) e la Fairey S.A. belghe di GOsselies e la FN di Brussels (J79).
La Fiat ne ebbe in commessa 199, assieme ai subfornitori: A.R. (collaborazione per il Motore), Piaggio, SACA, SIAI-Marchetti, Aerfer-Macchi, Officine Aeronavali.
Infine la Canadair canadese che avrebbe fornito 121 serie d'ali e fusoliere posterio-code per gli aerei olandesi e tedeschi, più altri 40 set per la Lockheed, che a sua volta, produsse alcuni F-104G: 66 per la LW e 84 per l'USAF (aiuti in conto MAP, Mutual Aid Contracts), e per aumentare la velocità di consegna, anche altri 139 aerei per Grecia, Norvegia, Germania e Turchia, nonché esemplari-campione per Belgio e Italia. Questo senza considerare i TF-104G. Il primo F-104G americano volò il 7 giugno 1960 (? ma non era ottobre? nda).
Già l'iniziale requisito parlava di 210 aerei per il Gruppo Sud, 350 per il Gruppo Nord, 188 per quello Ovest, e 199 per quello Italiano. Ma vi furono tanti di quegli incroci di materiale, che è difficile tenere il conto e la LW, la principale utente dell'aereo, ottenne al dunque circa 700 monoposto da ben cinque differenti nazioni produttrici! I 210 prodotti dal Gruppo Sud avevano i numeri di serie tipo 7000 e volarono dal 5 ottobre 1960; quelli del gruppo Ovest dal 3 agosto 1961 (9002-9189) per LW e FAB; il Gruppo Nord li mandò in aria dall'11 novembre 1961 per un totale di 231 a LW e KNLU (8001-8350). Nel mentre, venivano costruiti anche gli RF-104G.
Ultima fu la produzione italiana, con il primo aereo MM.6502 volato il 9 giugno 1962 (Sgarlato, 5 ottobre), in tutto vennero realizzati 199 aerei anche per Germania e Olanda (6502-6700), inclusi gli RF-104G. Almeno inizialmente, pare che l'AMI fosse interessata a 105 G, 20 RF e 25 TF.
A quel punto si aggiunsero anche gli americani dato che l'USAF ordinò 140 aerei in conto MAP, da versare a Turchia, Grecia, Danimarca e Spagna ed essi sostituirono i CF-104 sulla linea di produzione (6001-6140). Gli aerei vennero costruiti dalla Canadair e il primo volò il 30 luglio 1963, mentre le consegne iniziarono già entro la fine dell'anno. Nel '67 i sedili C-2 vennero sostituiti dagli MB. GQ7(F) 0-0 inglesi. L'ultimo F-104G venne prodotto dalla MBB nel '73. A quel punto, erano stati realizzati ben 1.122 F-104G, che tuttavia sono solo il 44% della produzione totale del '104. L'USAF non ebbe mai i 'G', ma negli USA gli aerei tedeschi erano fatti volare nelle basi addestrative con insegne e snc dell'USAF, anche se erano in realtà usati dalla LW.
'''F-104G'''
*'''Apparato motore:''' un G.E. J79-GE-11A da 4.535/7.165 kgs; 3.402+ 2.763 litri esterni
*'''Dimensioni''': 16,690 (più pitot) x 6,68 x 4,114 m x 18,218 mq, passo carrello 4,59 m
*'''Pesi''': 6.135 - 9.436 -12.964 kg; carico 520 kg-mq; rapporto spinta: peso 0,759:1
*'''Prestazioni''': v.max 2.400 kmh a 9.150 m (mach 2,2), max continua 2.217 kmh a 9.150 m o mach 1,95; 1.408 kmh slm o mach 1,15; crociera 1.037 kmh, salita max 250 m.sec, a 10.670 m in 1,5 min; tangenza pratica 16.665 m, raggio d'azione 1.110 km, autonomia 3.150 km max (Tatangelo 1988 dà 3.510 km, evidentemente c'è un refuso da una parte o dall'altra).
*'''Armamento''': un G.E. M61A1 Vulcan da 20 mm 725 cp, due AIM-9 e 1.945 kg di armi.
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Quella che fu una vittoria americana, tuttavia, si rivolterà contro gli originari ideatori. Sebbene fosse stato imposto un programma americano, questo, con la sua avanzata tecnologia e l'organizzazione di produzione su licenza, finì per generare un know-how prezioso. Già c'era stato il precedente con il G.91R (figlio dell'esperienza con l'F-86K), ma così fu possibile arrivare a livelli di capacità, competenza e professionalità prima non immaginabili, il 'pilotaggio scientifico' per sfruttare al meglio il '104 senza farsi ammazzare dai suoi capricci. Ma soprattutto, questo tipo di esperienza gettò le basi per i successivi programmi di collaborazione europea: il Panavia Tornado e l'EF-2000.
===I cugini dei 'G': CF-104 e F-104J===
[[File:CF104 starfighter borden 1.jpg|360px|left]]
Sebbene fossero stati le 'star' degli anni '50, alla fine del decennio il rimpiazzo dei Sabre era chiaramente necessario, come anche quello dei CF-101, ma non ebbe luogo senza un'accesa competizione e senza risultati discussi e discutibili. Vennero valutati, alla fine degli anni '50 caccia come il F11F Super Tiger, e il MDD F-4H Phantom II, ma sebbene il Phantom fosse preferito, venne presto abbandonata tale opzione e scelto in sua sede l'F-104, che costava meno e permetteva di ottenere un miglior affare anche come contropartita. Da segnalare anche come l'F11F venisse positivamente considerato come 'second best', specie per la sua maneggevolezza, ma al dunque, non venne accettato.
L'annuncio della scelta venne fatto il 2 luglio 1959 e lo Starfighter sarebbe stato così il degno successore dei Sabre Mk.6. Con ogni probabilità, anche in tale contesto venne decisa la partita grazie all'abilità negoziatrice della Lockheed. Per ottenere un F-104 con equipaggiamenti all'altezza dei desideri canadesi, venne deciso che fosse meglio produrlo direttamente dalla Canadair di Montreal. Vennero programmati 200 F-104 e la costruzione in Canada anche di 66 fusoliere posteriori e set di ali per F-104 tedeschi. L'accordo venne firmato il 17 novembre 1959. Inizialmente conosciuti come CF-111, poi CF-104, ma erano noti alla Canadair come CL-90.
I cacciabombardieri F-104 canadesi erano di fatto soprattutto aerei da strike nucleare, più specializzati rispetto agli 'G', che erano apparecchi multiruolo. Essi erano quindi bombardieri veloci a bassa quota con il radar NASARR F15A-41B rimpiazzato dal NASARR R-24A specializzato solo per compiti d'attacco al suolo, in particolare d'attacco nucleare. Era dotato di una sonda per il rifornimento in volo come gli F-104C e D, mentre il Vulcan da 20 mm venne inizialmente rimosso per ospitare altro carburante. Gli ammortizzatori delle gambe del carrello erano più lunghe, e v'era la possibilità di accogliere ventralmente un pod con quattro macchine fotografiche Vinten.
I motori vennero costruiti dalla Orenda, versione J79-OEL-7 da 4.540/7.170 kgs. Il primo venne fornito dalla Lockheed, con una cellula di F-104G ma i sistemi interni e la sonda IFR del CF-104. Il primo volo venne eseguito il 26 maggio 1961.
Inizialmente la Canadair ebbe l'F-104A-15-LO (56-0770) come aereo modello per la produzione del nuovo, avanzato cacciabombardiere, e in seguito questo ebbe il sistema avionico e i controlli di volo previsti per i CF-104, diventando il 12700.
IL 'vero' CF-104 (12701) volò a Palmdale, pur essendo costruito in Canada, volando per la prima volta il 26 maggio 1961, seguito dal 12702.
Il primo '104 della Canadair che volò a Montreal era il 12703, il 14 agosto 1961. L'ultimo venne completato già il 4 settembre 1963, in un tempo davvero ridotto. Poi la Canadair iniziò a produrre aerei anche per altre nazioni NATO.
Inizialmente i serial degli F-104 canadesi erano 12701-12900, poi vennero cambiati dopo il 1970 come 104701-104900. Per la cronaca, l'F-104A cambiò in 104700.
Dal dicembre 1962 la RCAF iniziò ad equipaggiare i suoi reparti con i CF-104. In Europa vennero schierati ben 8 Squadrons della No.1 Air Division, mentre altri servirono con il No.6 OTU di Cold Lake, Alberta, unità aperta nel tardo 1961, che poi divenne il No.417 Sqn. In effetti, nonostante le esigenze di difesa aerea del Nord America potessero ben essere servite dai veloci F-104, la loro carriera venne al contrario concepita in funzione offensiva o deterrente in Europa, con armamento essenzialmente nucleare.
Il primo a formarsi con i '104 fu il No. 427 Sqn di Zweibrucken dal dicembre 1962, ma nel febbraio del 1964 due squadroni dello Stormo basato in Francia vennero trasferiti dopo lo scioglimento del loro Stormo. Questi squadroni erano il No.421 che andò al 4 Wing in Germania, e il No.430 a Zweibrucken. Altri due squadroni erano in Francia, il 439 e 441 di Marville, che nel marzo 1967, con l'uscita di Parigi dalla NATO l'anno prima, vennero spostati a Lahr, in Germania. Infine il 434 e il 444 vennero sciolti nel 1967-68.
A quel punto vi erano 4 squadroni cacciabombardieri e due da ricognizione. Nel maggio '69 anche il 3 Wing di Zwibrucken fu chiuso e il suo No. 427 andò a Baden mentre il 430 andò a Lahar. Ma anche qui le operazioni cessarono nel 1970 in quanto questa base aerea divenne poi una base dell'Esercito canadese. Nel 1970 vi fu un'altra riduzione, quando il governo canadese ridusse a 3 squadroni di CF-104 e, a far tempo dal 1972, di cambiare le operazioni da nucleari e convenzionali, il che comportò di rimontare il Vulcan e vennero utilizzati eiettori doppi sotto la fusoliera.
La 1 Air Division venne ribattezzata, nel 1972, come 1 Canadian Air Group, con comando a Lahar. Questo significò lo scioglimento dei gruppi 422, 427 e 430, e a quel punto vennero sciolti i No.422, 427 e 430. Il 4 Wing aveva i 439, 441, 421, di cui il 441 destinato a compiti di ricognizione con le Vinten VICON, sebbene non sia rimasto con tale ruolo fino alla fine della sua carriera, nel 1986. Infine vennero forniti CF-104 alla Danimarca e Norvegia come macchine di seconda mano, mentre nel frattempo, nel 1980, la forza europea di CF-104 era rimasta di appena 3 squadroni, il 421, 439 e 441 di Baden-Soellingen, mentre l'unità OCU era stata ribattezzata, a Cold Lake, No.417 squadron.
Nel 1983 i caccia monoposto CF-104 erano stati aggiornati con il sistema di navigazione e attacco Litton LW-33 digitale, con capacità di navigazione con piattaforma INS, ma anche di attacco al suolo, un complesso molto superiore rispetto alla piattaforma inerziale LN-3 originale, e al contempo più facile da tenere in efficienza. L'LN-3 era molto meno accurato e difficilmente poteva garantire la navigazione, ma il nuovo sistema era abbastanza preciso anche per permettere l'attacco di precisione. Ma dal 1983 cominciò anche il rimpiazzo con i CF-188 Hornet, tanto che entro il 1 marzo 1986 venne radiato l'ultimo CF-104 dal 441 Sqn.
20 aerei vennero ceduti alla Turchia, poi seguiti da altri 32 tra cui 6 CF-104D. Tutti vennero mandati alla MBB di Manching dal marzo del 1986, per essere revisionati in maniera approfondita.
Da notare che negli ultimi decenni vi erano anche aggiornamenti sull'avionica difensiva, settore in cui l'F-104 non era mai riuscito a brillare. Qui ebbe un RWR con due grosse antenne, una sotto il muso e l'altra sotto la coda<ref>Vedi l'articolo ''Grasso, stupido e felice'', su Take-Off, in cui si narra della quasi-collisione tra un CF-104 e un F-15, il cui radar era stato 'sentito' poco prima dell'incrocio tramite i sistemi elettronici passivi del '104</ref>.
Su un totale di 239 CF-104 consegnati, ben 110 vennero distrutti in incidenti, pari ad un rateo del 46%, che passava il 50% nel caso dei biposto; ma bisogna dire che questi aerei vennero impiegati in ruoli costantemente a bassa quota, che non concedono certo margini d'errore su di una macchina già di per sé non di facile pilotaggio, specie in condizioni meteo come quelle europee. Gli F-104 canadesi riuscirono in circa 20-25 anni a volare qualcosa come 6.000 ore l'uno, il triplo di quelli tedeschi, e pià che qualunque altro F-104. Nondimeno, il rateo di perdite non mancò di sollevare molte critiche sull'aereo.
[[Immagine:Cf104 canadian warplane heritage museum 3.jpg|320px|right|thumb|L'ultimo, scomodo riposo di un CF-104]]
Ecco i reparti dell RCAF sull'F-104:
*Central Experimental and Proving Establishment/Aerospace Engineering and Test Establishment, Cold Lake, Alberta (1962).
*6 Strike-Recce OTU, poi No. 417 Operational Training Squadron (1962-1983).
*No 421 (Red Indian) Squadron, 2 Wing, Grostonquin/Baden-Soellingen Dic 1963 - Dic 1985
*No 422 (Tomahawk) Squadron, 4 Wing, Baden-Soellingen, luglio 1963 -1972.
*No 427 (Lion) Squadron, 3 Wing, Zweibrucken/Baden-Soellingen, Oyt 1962 -1972.
*No 430 (Silver Falcon) Squadron, 2 Wing, Grostonquin/Lahr, Sett 1963-1972.
*No 434 (Bluenose) Squadron, 3 Wing, Zweibrucken, Aprile 1963-Marzo 1967.
*No 439 (Sabre-Toothed Tiger) Squadron, 1 Wing, Marville/Baden- Soellingen, Marzo 1964 -Marzo 1986.
*No 441 (Silver Fox) Squadron, 1 Wing, Marville/Baden-Soellingen, Sett. 1963 -febbr. 1986.
*No 444 (Cobra) Squadron, 4 Wing, Baden-Soellingen, Maggio 1963-1967.
Si è detto che i CF-104 canadesi sono stati 200, ma in tutto gli aerei nella RCAF, poi CAF erano 239 (anzi, 240 visto che c'era anche il '104A modificato). Questo perché i 39 biposto CF-104D vennero costruiti dalla Lockheed, sebbene con uno standard simile a quello dei TF-104G.
I 38 TF-104G forniti dalla Lockheed, o meglio '''CF-104D''', erano motorizzati dal J79-OEL-7 costruito in Canada. Inizialmente essi erano noti come CF-113 (Model 583-04-15 per la Lockheed), e il primo volò il 14 giugno 1961. Gli ultimi 16 vennero leggermente modificati nell'equipaggiamento e denominati CF-104D Mk.II. Quanto ai serial numbers, inizialmente erano 12631/12668, dal 18 maggio 1970 104631-104668. Per la Lockheed erano invece i c/n 583A-5301/5338.
Nel 1971-73 sette (12654, 55, 57, 60, 62, 64, 67) andarono alla Danimarca, dopo la modifica in TF-104G (denominazioni RT-654, 655, 657, 660, 662, 664, 667), e nel '73 altri due vennero mandati alla Norvegia. Infine, dopo la radiazione dall'aeronautica canadese, sei CF-104D (104636, -638, 642, 650, 658, 661) vennero revisionati in Germania e mandati in Turchia nel 1986.
Di questi aerei, vale la pena ricordare che i due norvegesi sono tornati negli Stati Uniti. Uno, il 104633, radiato nel dicembre dell'82, è diventato poi un aereo civile con marche N104JR. Anche l'altro (103632) venne radiato nel tardo 1982 e poi riportato negli Stati Uniti.
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Nel novembre del '60 il governo giapponese annunciò la sua scelta a favore del '104 come caccia intercettore e un gruppo di industrie guidate dalla Mitsubishi Heavy Industries ebbe la responsabilità di costruire l'aereo su licenza. Prima vennero assemblati esemplari costruiti dalla Lockheed, poi via via vennero costruiti interamente in Giappone. La designazione era F-104J (Japan), simile al G ma con vocazione per l'intercettazione piuttosto che per l'attacco, dato che il Giappone ufficialmente non aveva nemmeno 'forze armate' ma di 'autodifesa', e come tale, non poteva comprare macchine con capacità d'attacco. Essi avevano i motori J79-IHI-11A, costruiti su licenza da Ishikawajima-Harima e l'avionica era il NASARR F-15J-31 ottimizzato con modalità aria-aria, per il cannone M61A1 e quattro AIM-9 (in genere al solito, ne erano installati solo due visto che gli altri erano sotto la fusoliera, una sistemazione poco efficiente per varie ragioni).
Il primo F-104J di costruzione Lockheed (Model 683-07-14) volò il 30 giugno 1961 e i primi tre vennero costruiti in America, altri 29 assemblati dalla Mitsubishi nel marzo 1962-marzo 1965, e infine iniziò la costruzione interamente in loco. In tuto i giapponesi realizzarono 178 aerei tra il marzo del '65 e il 1967. Ad essi affiancarono i biposto DJ (Model 583B-10-17), molto simili e costruiti in 20 esemplari dalla Lockheed, per poi essere assemblati in Giappone tra il luglio del '62 e il gennaio del '64. Non vennero quindi mai costruiti in Giappone, ma solo assemblati. L'entrata in seervizio avvenne, per i '104, nell'ottobre del '66 (la data sembra erronea, probabilmente era 1963) con due squadroni, i 201 e 202 Hikotai di Chitose e Nuytabaru. In seguito si sarebbero espansi a sette unità, tra il 201 e il 207imo gruppo. DAl dicembre del 1981 iniziò il rimpiazzo con gli F-15J e DJ, e l'ultimo F-104J venne ritirato nel marzo del 1986 dal 207imo Hikotai (o Hiko-tai). Le perdite furono piuttosto pesanti, ma non straordinarie: almeno 34 biposto sui 210, e due biposto su 20. Pare che un centinaio di aerei rimasero in uso come riserva-aerobersagli, ma almeno 22 J e cinque DJ vennero trasferiti alla RoCAF taiwanese per il progetto 'Alisan 9' di aiuti a Paesi amici.
*201o Hikotai, 2o Kokudan, Chitose Air Base, Ott 1962- Ott 1974
*202o Hikotai, 5o Kokudan, Nyutabaru Air Base, 1964 -1981
*203o Hikotai, 2o Kokudan, Komatsu Air Base, 1965 - 1983
*204o Hikotai, 5o Kokudan, Tsuiki Air Base, 1964-1984
*205o Hikotai, 6o Kokudan, Komatsu Air Base, 1964 - 1984
*206o Hikotai, 7o Kokudan, Hyakuri Air Base, 1966 - 1978
*207o Hikotai, 7o Kokudan, Hyakuri Air Base, 1966 - 1970. (Naha Air Base, 1972 -1985-86).
Quanto alle matricole, esse erano 16-5001/5009 (DJ), 26-8501/8503, 26-8504/8507, 36-5010/5020 (DJ), 36-8508/8563, 46-8564/8658, 56-8659/8680, 76/8681/8710. Gli aerei Taiwanesi sono stati invece inclusi nella serie 4500, tra 4501 e 4595.
===TF e RF-104G===
La necessaria versione biposto del '104G era il '''TF-104G''' o Lockheed Model 583-10-20, simile al '104D già descritto, ma con radar NASARR. In precedenza c'era stato l'F-104B che venne previsto in 112 esemplari (secondo Sgarlato), poi ridotti a soli 26, primo volo 7 febbraio 1957. Poi fu la volta del 'D', altri 21 esemplari (Model 583-04-06) che poi ispirarono anche 30 F-104F e 38 CF-104D (inizialmente CF-111D) e i 20 F-104DJ giapponesi, sempre costruiti in California a Burbank o Palmdale, ma poi montati dalla Mitsubishi. E così si arrivò al TF-104G o Model 683.
Aveva parziali capacità di combattimento, anche se non possedeva il punto d'aggancio ventrale e il cannone, mentre il carburante interno era calato a circa 2.000 kg o 2.550 litri. Tutti gli aerei vennero costruiti dalla Lockheed ma, data la somiglianza con il 104D, non vi furono prototipi. In tutto vennero costruiti 220 apparecchi, di cui 48 forniti dal consorzio europeo sotto forma di parti staccate. Ve ne furono ben sei versioni differenti, con sigle dal Model 583C al 583H; all'Italia arrivarono entrambe. Un 583D venne tenuto come dimostratore alla Lockheed come N104L 'Free World Defender' e usato dall'aviatrice Jaqueline Cochran per ottenere tre record di velocità per donne, tra cui, l'11 maggio 1964, un record di 1429,3 mph su di un percorso di 15-25 km, e uno di 1.303 su 100 km, nonché uno di 1127,4 su 500 km (circuito chiuso). In seguito l'aereo andò alla KLu olandese. Per contro, due TF-104G tedeschi vennero comprati dalla NASA nel '75 come N824NA e -825NA. Per un requisito della LW, venne anche proposto un RTF-104G1, ricognitore biposto ognitempo, con tanto di FLIR e SLAR, ma non ebbe successo a fronte dell'RF-4E.
Resta il dubbio sul totale prodotto: si parla di 72 ordinati inizialmente dalla LW e 10 in kit montati dalla Messerschmitt, 12 per l'Italia, 14 Olanda, 3 Belgio, due Spagna e altri 29 per altri clienti in conto MAP di cui 4 per Danimarca, sei Grecia, due Norvegia, tre Spagna, sei Turchia, otto per Taiwan. Ma successivamente si aumentò: alla LW arrivarono 137 esemplari complessivamente; 18 per Olanda, 12 per il Belgio. La MBB assemblò totalmente 55 kit, l'Avio Diepen olandaese altri quattro, nove per la SABCA, e infine 16 per Fiat-Aviazione. Gli Italiani quindi, non è chiaro se abbiano avuto 24 o 28 aerei (12+16). I primi piloti si qualificarono negli USA o a Norwenich, con gli F-104F. Il 15 febbraio 1965 venne presa la decisione di formare un reparto OCU come quelli inglesi, come Gruppo Autonomo Addestramento Operativo, a Grosseto, dove c'era già il 9° Gruppo. In seguito entrambi sono diventati parte del 4° Stormo. Nel corso del tempo sono arrivati altri aerei ex-LW (anni '80) e anche monoposto F-104S. dal 1997 22 (poi ridotti in realtà 15) divennero F-104G/ASAM.
Secondo Take Off (p.1002) la suddivisione dei '104 europei fu la seguente:
Il Belgio ebbe 12 aerei TF-104G/Euro e 101 SABCA F-104G; il Canada 200 CF-104 e 38 Lockheed CF-104D. La Danimarca ebbe 4 TF-104G/MDAP e 25 G/MDAP (ovvero prodotti dalla Lockheed). La Germania ebbe 96 F-104G/Euro, 137 TF-104G/Euro, 30 F-104F, 50 Fiat F-104G, 255 F-104G dalla Fokker, 260 della MBB, e 88 SABCA. LA Grecia ebbe 10 F-104G/MDAP, 6 TF-104G/MDAP, 35 F-104G della Canadair; l'Italia ha avuto 24 TF-104G/Euro, 125 F-104G. La Norvegia 18 TF-104G/Euro, 25 Fiat F-104G e 95 Fokker F-104G. Olanda 16 F-104G/MDAP, 2 TF-104G/MDAP, 3 G/MDAP; Spagna 3 TF-104G e 18 F-104G/MDAP, Turchia, 12 G e 6 TF-104G/MDAP, 34 Canadair G, più altre nazioni non NATO per un totale di 1 F-104G/Euro, 46 MDAP, 25 Candadair e otto TF-104G.
In sostanza, la Fiat avrebbe prodotto dunque 125 aerei per l'AMI(inclusi i ricognitori), 50 per la Germania e 25 per la Norvegia. Nessuna menzione dei TF-104G assemblati su licenza, ma questo è probabilmente un omissis, visto che non ci sono i monoposto per la KLu olandese. Il totale dei caccia CF-104 e F-104G e relativi derivati è indicato, anche così, in 2.054 esemplari.
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La velocità del '104 ebbe ovviamente il risultato di valutarlo quale ricognitore tattico, e venne così emessa da parte del TAC una richiesta, perché la specifica del 6 febbraio 1951 per un nuovo ricognitore era solo soddisfatta parzialmente dall'RF-101A. A novembre del '54 il TAC chiese l'autorizzazione per quattro gruppi ricognitori su 18 RF-104A l'uno, ordinando un primo lotto di aerei per uno di essi. Ma già nel gennaio del '57 l'RF-104A venne cancellato, decretando la vittoria degli altri 'century fighters', in particolare l'RF-105B, poi cancellato a favore dell'RF-101C. Ma per i Paesi alleati questi aerei non erano disponibili, dunque il '104 recce tornava ad avere un senso.
Il ricognitore '''RF-104G''' (Model 683-04-10) ebbe un certo seguito, in pratica era un 'G' senza il cannone, ma con un set di fotocamere, incluso nei lotti dei cacciabombardieri sopra-indicati. La lockheed ne costruì 40, il Gruppo Nord 119, quello italiano 30. La maggior parte avevano tre KS-67A nella parte anteriore della fusoliera, ma quelli olandesi l'avevano invece a metà fusoliera. Di fatto essi non ebbero un grande successo pur essendo eccellenti per le missioni a lungo raggio e a bassissima quota. Era possibile convertirli in monoposto standard (e anche il contrario), e spesso vennero forniti, come anche i TF-104G, in conto MAP. In ogni caso, presto cedettero il passo ai '104G con pod esterni, in particolare l'Orpheus olandese.
'''TF-104G e RF-104G'''
*'''Apparato motore:'''(TF) un G.E. J79-GE-11A da 4.535/7.165 kgs; 3.402+ 2.763 litri esterni (RF) idem ma con 3.402+2.763 litri
*'''Dimensioni''': (TF) 16,694 (più pitot) x 6,687 x 4,114 m x 18,218 mq, passo carrello 4,407 m, carreggiata 2,711 m (RF) uguale, a parte i lpasso carrello di 4,59 m
*'''Pesi''': 6.432 kg a vuoto, 8.777 totali, 11.969 max, carico 484 kg/mq, rapporto potenza: peso 0,816/1 (RF) tipico 9.436 kg, max 13.064 kg, 518 kg/mq e 0,76:1
*'''Prestazioni''': v.max 2.198 kmh a 11.000 m (mach 2,07), max continua 2.150 kmh a 8.380 m o mach 1,95; 1.396 kmh slm o mach 1,15; crociera 927 kmh a 9.150 m, salita max 254 m.sec, a 10.670 m in 1,5 min; tangenza pratica 16.665 m, raggio d'azione 995 km, autonomia 2.090 km, max 3.017 km, rateo max virata 13°/s, cario -2,7/+6,4 g; RF, uguale a parte la v.max per brevi periodi di 2,2 mach (2.400 kmh) a 9.150 m (30.000 ft), raggio 1.110 km, autonomia 2.640 km, trasferimento 3.200 km
*'''Armamento''': due AIM-9 e 1.945 kg di armi.
Come si vede, di fatto i ricognitori erano pressoché indistinguibili dai monoposto e potevano essere, e in genere erano, diffusi assieme a questi negli stessi reparti. I TF, essendo più leggeri a peso standard, erano leggermente più brillanti, ma la maggior resistenza aerodinamica non li rendeva più veloci dei monoposto standard.
===F-104S: il 'Super' con lo 'Sparrow'<ref>Dati da J.Baugher e monografia N.Sgarlato 2004</ref>===
L'ultima e più potente incarnazione del '104 è stata senz'altro la 'S'. Questa è venuta fuori dalla specifica A-X o AW-X (All Weather-X), per un caccia ognitempo da comprarsi in 165 esemplari, pur partendo dal fatto che il precedente 'G' non aveva missili a guida radar, nemmeno i Falcon a corta gittata. Questa competizione, del '65, avrebbe potuto portare, come avvenne in tanti altri casi, alla scelta del Phantom, ma ovviamente, il costo di tale acquisto non sarebbe stato di poco conto essendo una macchina complessa e sofisticata, mentre l'Italia è un fronte molto lungo da difendere e servivano aerei ad alte prestazioni, non necessariamente eccezionali come sistema d'arma, per coprirlo al meglio con una sufficiente quantità di caccia tattici da difesa aerea. Ma, certo, con il senno di poi non si può ignorare che il '104, negli anni '60, era un progetto ampiamente sfruttato e tutt'altro che 'sano' da un punto di vista della sicurezza.
La Lockheed era già dell'avviso del migliorare il sistema d'arma del '104, e il loro caccia ammodernato con il J-1F da 8.119 kgs e missili AIM-7E. Era il progetto CL-901, primo di altri tra cui il CL-958 con ala ingrandita e addirittura il 981 con alette canard retrattili dietro l'abitacolo. Tuttavia all'AMI vennero offerti il CL-980 di basso rischio tecnologico e il CL-984 da attacco al suolo. Nel frattempo volò un prototipo del CL-901 nel settembre del '66 e l'USAF accarezzò l'idea di affiancare questo caccia leggero ai Phantom in Vietnam, ma l'esperienza si fermò dopo 59 voli e l'idea venne lasciata perdere. Piuttosto, la Lockheed vinse l'AW-X con il CL-980, presentato contro il Phantom, Mirage III, Lighting F Mk.53, Jaguar, F-5A e F-100S (con il motore RB.168, ma la notizia è incerta). La data dell'annuncio fu il 26 gennaio 1966. La versione S dello Starfighter stava per Sparrow, l'armamento che mancava in precedenza, ma inizialmente era noto anche come 'Super Starfighter'. Per ospitarlo, però, serviva l'elettronica con il sistema di puntamento "Raytheon SAS" derivato dal Phantom ma semplificato e un illuminatore CW caratterizzato dalle tipiche antenne posteriori-laterali al cono di scarico dalla forma di goccia, tanto da richiedere lo sbarco del cannone di bordo e delle munizioni.
Anche il motore era più potente, grazie al J79-GE-19 da 11.870/17.900 lbs (circa 5.388/8.119 kgs), come quello del Phantom E e J (stranamente, la stampa Italiana incorre facilmente in errori, affermando che il motore a secco dia quasi 7.000 kgs). Con una spinta maggiore del 13%, il nuovo caccia aveva prestazioni ancora superiori in salita (a 10.660 m in 80' anziché 90) e accelerazione (da 0,9 mach a mach 2 in 2 o tre minuti, a seconda delle fonti, contro 3,5 minuti del 'G'). Il consumo specifico calava dell'11%, ma per sfruttare al meglio il motore (che peraltro venne applicato anche ad alcuni 'A') le prese d'aria erano arretrate di 23 mm, leggermente ingrandite e con un rivestimento interno in acciaio che permetteva un aumento di calore da 121 a 175°, arrivando così fino a 2,2 mach anziché i tipici 1,92 per l'F-104G a 11.000 m, in atmosfera standard. Il motore era originariamente noto come J79-J-1A, variante del -J-1F. La designazione militare del J-1A era -GE-19 e venne realizzata poi in Italia da Fiat e A.R. L'ugello era simile a quello del J79-GE-5C del B-58 e i suoi scarichi erano più elaborati rispetto ai tipi precedenti, mentre interamente modulabile era la post-combustione, un bel vantaggio se c'era da volare a velocità supersoniche, ma senza per questo dover correre per forza alla massima velocità, con i relativi consumi.
Uno sviluppo ora dimenticato fu la proposta di un nuovo motore: il R.R.RB-168 Spey Mk.203 da 9.305 kgs, il che avrebbe dato al '104S una potenza persino maggiore (a quote medio-basse) e consumi minori. Come sappiamo per via della vicenda dei Phantom inglesi, però, gli RB.168 presentavano anche problemi aggiuntivi rispetto ai J-79 e nell'insieme fu forse meglio non averli adottati, sia per il costo aggiuntivo che per i limiti e gli inconvenienti manifestati sugli 'Spey Phantom' relativi ad affidabilità, potenza in quota e resistenza al FOD (che nel caso del '104, avrebbe dovuto essere sostenuto con un solo motore).
Con la direzione di tiro NASARR R-21G/H poteva fare la mappatura del terreno e la funzione di avviso collisione in caso di volo a bassa quota, nelle missioni aria-superficie. La sua costruzione venne iniziata dalla FIAR dopo il 12imo esemplare, fornito dalla N.A.A. Autonetics. Al posto del cannone Vulcan era possibile un serbatoio da 462 litri. Questi ultimi avevano il NASARR F-15G con illuminatore CW, ma non avevano lo spazio per il cannone Vulcan. Per tutto il resto, l'avionica era pressoché uguale a quella del '104G.
Tra le modifiche di dettaglio, le prese d'aria ausiliarie per assistere l'aereo al decollo, il raddoppio delle pinne ventrali, due altri punti d'aggancio sotto la fusoliera denominate B-22. Il carburante era trasportabile alle estremità alari, sotto i punti d'aggancio interni subalari BL-75, e sotto quello centrale della fusoliera CENTRALINE. E aggiunsero anche due attacchi sub alari denominate BL-104 (in riferimento della distanza del travetto espressa in pollici dalla mezzeria del velivolo fino ai relativi travetti) Il '104S aveva due missili AIM-7 Sparrow, oppure come cacciabombardiere poteva sfruttare la sua potenza per portare fino a 3.402 kg di carichi esterni, tra cui un massimo di sette bombe M117 da 340 kg nominali.
Tutto questo venne provato con un RF-104G modificato (USAF 64-2624) dalla Lockheed, che era per l'appunto il prototipo del CL-901 di cui sopra; e dopo un contratto ricevuto dal governo italiano vennero anche modificati due F-104G di costruzione Fiat (MM 6658 e 6660). Il primo aereo modificato dalla Lockheed volò come '104S il 22 dicembre del '66. Aveva il motore nuovo, così come le pinne stabilizzatrici, ma era pur sempre un F-104G per tutto il resto. Il secondo era invece un vero S, giungendo il 28 febbraio 1967.
Il primo F-104S costruito dalla Fiat il 30 dicembre del '68. Questo era un programma molto importante, che coinvolse gran parte dell'industria italiana del settore, la quale costruì il 65% dell'aereo, dato che di fatto questo era un programma italo-americano. La Fiat aviazione (poi Aeritalia) raggruppò tra l'altro l'Alfa Romeo e la Macchi per la costruzione delle fusoliere; i motori G.E. J1Q vennero costruiti da Fiat e G.E. International. Fatto molto importante, la Selenia iniziò a produrre i missili Sparrow III e la FIAR (azienda milanese già attiva nel settore elettronico) il radar NASARR R-21-G (assieme alla NAA Autonetics Division). Questo gettò le basi per una crescita tecnologica dell'industria: pensate l'importanza del radar in questione per aiutare poi la FIAR a costruire sistemi molto più moderni, come la famiglia Grifo e l'attuale parte nel programma EF-2000A (includendo anche l'IRST Pirate). Nel mentre la Selenia ha acquisito il know-how sullo Sparrow, e al contempo ha lavorato per superarne i limiti, mettendo a punto l'Aspide, che è il missile italiano di maggior successo, ma lo è grazie all'esperienza e alla compatibilità con lo Sparrow, prodotto dalla Selenia in 1.000 esemplari. Il motore più potente era talmente valido, anche a ‘secco’, che non si riusciva a tenerlo al 100% dei giri nemmeno in ‘military’; la velocità massima arrivava adesso a mach 2,2, il che però dovette far arretrare la presa d’aria per adeguarla alla posizione delle onde d’urto. La potenza del ‘104S era anche aiutata dal fatto che il motore adesso aveva un postbruciatore totalmente modulabile, un notevole vantaggio rispetto al ‘tutto acceso’ o spento del precedente G. Le prese d’aria ausiliarie, in modalità ‘auto’ avevano un funzionamento automatico, per cui si richiudevano a seconda delle condizioni. Inoltre il sistema di controllo del carburante era automatico (una specie di FADEC analogico), diverso dal ‘104G in cui il pilota aveva sempre sul tachimetro il 100% dei giri quando metteva la manetta a piena potenza (non mi è ben chiaro che vuol dire, nda). I giri del motore, sul '104S, erano regolati automaticamente sopra mach 1,5.
La potenza dell’aereo era incrementata anche per i generatori di corrente, perché assieme al missile doveva essere anche previsto l’illuminatore CW, sistemato nella ‘gun bay’. L'impianto elettrico, almeno sul '104ASA/M era costituito da un paio di generatori da 0 KVA mosso dal motore per corrente trifase da 115/200 V e 320-522 Hz. Il generatore n.1 alimentava le barre primaria n.1 e secondaria n.3, l'altro la primaria n.2 e secondaria n.4. La primaria n.1, che serviva i sistemi essenziali dell'aereo, era collegata ad un trasformatore/raddrizzatore per diventare una corrente a 28V DC; se questa barra primaria (PP1) andava in avaria, ci pensavano le PP2 e PP3, che si collegavano alla barra d'emergenza XP4. Il RAT (turbinetta ausiliaria a vento) azionava una pompa idraulica d'emergenza e un alternatore da 4,5KVA per corrente AC trifase da 115/200 e 400 Hz. La corrente AC a frequenza fissa era fornita da un altro generatore da 5 KVA, ed entrava in azione solo sopra il 64% dei giri motore. Infine c'erano due batterie nichel-cadmio da 3,6Ah, essenzialmente per riaccendere il motore, per le radio d'emergenza, sgancio carichi (in emergenza), azionamento gancio barriera ventrale. Quanto al sistema idraulico, esso era doppio: il circuito n.2 serviva per stabilizzatori, alettoni, timone, damper, pilota automatico, controllo del beccheggio. Il n.2 per compiti simili, ma anche per il carrello e l'anti-skid. Può essere interessante notare che il carrello era controllato da un sistema idraulico e collegato elettricamente al bus PP2, uscendo in 6 secondi e rientrando in sette; con un sistema manuale era possibile estrarlo in circa 6 secondi. In ogni caso le ruote principali rientravano verso l'avanti con ruotazione di 90 gradi ed erano chiuse da due portelloni. L'anti-skid era ottenuto da un generatore DC in ciascun assale, ma non funzionava sotto i 10 nodi perché la corrente generata con il movimento delle ruote non era sufficiente, per cui nelle manovre a bassa velocità era possibile subire il bloccaggio delle ruote anche se l'aereo aveva l'anti-skid attivato. Lo sterzo poteva essee comandato dalla pedaliera con movimenti di 25° per lato. Quanto al parafreno, un'apposita maniglia tirata di circa 5 cm provocava l'apertura del comparto di coda, a molla, che liberava il paracadute da 5,48 m di diametro (18 ft), ovviamente con un piccolo paracadute-guida anteriore; girata la maniglia di 90° e tirata di 10 cm, il parafreno si sganciava. Gli aerofreni, praticamente identici a quelli dei primi '104G, erano costituiti da due elementi idraulici azionati dal circuiti PP2 e dal sistema idraulico n.2, apribili fino a 52° e con una superficie complessiva di 0,76 mq. Quanto ai comandi di volo veri e propri, gli alettoni erano capaci, in atterraggio di muoversi di 20° in alto o in basso, idem per il timone (destra-sinistra). Quando il carrello era su 'Up', però, l'escursione era dimezzata per gli alettoni (+5° con il trimmaggio), e il timone limitato a 6° (+4 di trim) per lato. L'alimentazione del limitatore di movimento era sul circuito PP2, e in caso di avaria il timone di direzione non era più limitato, e sopra i 555 kmh l'aereo poteva andare perduto senza l'APC, alimentato dal circuito XP5 e dal sistema idraulico n.1. La piccola e bitorzoluta cloche aveva come comandi di volo, dall'alto al basso: interruttore trimi alettoni-stabilizzatore orizzontale; 2 bottone sgancio carichi esterni (da selezionare con il pannello), grilletto sparo cannone (non più operativo sull'ASAM), pulsante per aggancio automatico del bersaglio con il radar, interruttore disinserimento APC e sotto, lo 'stick shaker' (il motorino automatico per la vibrazione della cloche in casi critici). L'abitacolo era coperto da un tettuccio con un blocco tramite leva, e rotazione sul fianco sinistro, da dove era incernierato. Non è possibile bloccare il tettuccio se anche il portellone di ispezione dell'elettronica non era chiuso correttamente, né era ammesso superare i 92 kmh (50 nodi) senza il tettuccio bloccato. In emergenza, il tettuccio era configurato in maniera tale da ruotare verso l'indietro prima dello sganciamento, grazie alla possibilità di cambiare 'cerniera' dopo che il pilota aveva tirato la maniglia d'emergenza (Emergency canopy jettison). Il personale esterno poteva aprire il tettuccio tirando un'apposita maniglia; se il tettuccio non si fosse aperto in volo, il sedile lo avrebbe sfondato ugualmente con l'attivazione dei razzi e infine, se il pilota non fosse riuscito ad aprirlo a terra, aveva a disposizione sulla fiancata sinistra uno speciale attrezzo per sfondarlo con tre o quattro colpi. Quanto al sedile, esso sparava il pilota verso l'alto, poi azionava il 'cannone' che estraeva il paracadute-estrattore, e la capsula barometrica infine comandava l'abbandono del sedile. Il pilota, in caso d'eiezione, aveva il 'survival pack', con un battellino SS.5 con pareti e tetto separati ed entrambi gonfiabili, e che normalmente facevano da 'cuscino' per il pilota e resta attaccato all'imbracatura del pilota, ed è gonfiabile con una bombola apposita dopo avere preso contatto con la superficie, quando il pilota decide di sganciare il paracadute.
C’era una scatola per il TIC (Target Intercept Computer) alle spalle del pilota, nella stiva avionica apribile dall’alto (assieme ai portelli sotto l’abitacolo, che sono l’altro modo per mettere le mani sui sistemi avionici interni). Ci volle molta fatica per mettere a punto il tutto, in circa due anni, con la Lockheed come capocommessa e l’aiuto di Raytheon e Autonetics. I piloni BL-104 vennero modificati appositamente e il sistema di guida del missile richiese un generatore a frequenza variabile appositamente per il sistema CW. Infine, il ‘104 ebbe un ‘mode’ di presentazione del radar diverso, il B-Scan, ovvero a scansione orizzontale anziché conica, il che aiutava molto a vedere lateralmente, oltre che a tirare il missile in modalità ‘head-on’ (frontale), sia pure con una finestra di secondi ridottissima (data la portata pratica del radar, la mole di lavoro per il pilota e la velocità di ‘closing’, che per un ingaggio supersonico arriva anche a oltre 1 km/sec). Per consentire una migliore affidabilità, il ricevitore del radar divenne a transistor anziché a valvole, con beneficio anche per la manutenzione. Come cacciabombardiere, il ‘104S ebbe l’ALQ-70 difensivo, il cannone, e un sistema di navigazione detto ‘Ground Speed Read Out Error’ collegato con la mira ottica, ma utile in pratica, solo per le armi atomiche.
Inizialmente vennero ordinati quattro lotti F-104S, iniziando le consegne nella primavera del '69; il primo entrò in servizio con il 22°imo Gruppo nel giugno del '69, un tempo davvero breve dal momento della costruzione in serie, appena avviata, ma che evidentemente faceva leva sull'esperienza con i '104G, del quale l'S del resto è solo l'evoluzione (un po' come l'MC.205 del 202, o il Bf-109G dell'F). In tutto gli 'S' equipaggiarono otto gruppi almeno, ma i primi 40 aerei vennero a quanto pare completati come cacciabombardieri, forse perché non era ancora a punto tutta l'avionica di missione. Ad ogni modo, l'AMI ordinò all'inizio del '70 altri 40 aerei, così da aumentare a due prototipi più 206 esemplari costruiti in cinque lotti per l'AM e quelli per l'export. Infine, nonostante l'invasione di Cipro, la Turchia ebbe modo di piazzare nell'ottobre del '74 un ordine per 18 F-104S, poi aumentato in varie riprese a 40. Pare che altri 20 aerei vennero ordinati, ma poi quest'ultima commissione venne cancellata, forse perché nel frattempo i turchi ebbero abbastanza F-4E, dei quali il '104S era un po' il supplente 'povero'. I Turchi ordinarono anche 200 missili Sparrow della Selenia (quindi il 20% dei '104S e il 20% dei missili prodotti in Italia).
Dei 104S vennero ordinati 205 esemplari, ma in pratica ne vennero costruiti 206, probabilmente perché uno di essi cadde prima della consegna ufficiale all'AMI (durante un collaudo) e così venne rimpiazzato da un altro. I Sn. erano MM6701/6850, MM6869/MM6881, MM6886/MM6887, MM6890, MM6907/MM6494. L'MM6946 venne completato per sostituire il 6766 distrutto in un incidente. Quanto ai '104S turchi, i numeri di serie erano 6851/6868, 6888/6889, e 6891/6906 ''TUTTI in versione CBO''
Gli f-104 S uscivano dalla linea di costruzione già in versione C.I. o in versione C.B. tale differenza era sostanzialmente data dal tipo di avionica installata; sostanzialmente riconoscibile dall'interno per il diverso sistema d'arma installato e dall'esterno per la mancanza totale del vulcan; anche SE TUTTI gli S montavano le antenne a goccia sul cono posteriore...solo che nel C.B. non erano ovviamente attivate, pertanto un C.B. NON poteva sparare un missile sparrow o selenia...e viceversa per il C.I. che al posto del cannone monta il sistema di puntamento dell'AIM 7 e le antenne a goccia servono per sintonizzare il missile prima dello sparo.
lo Sparrow entrò in servizio attorno al ’73 (l’anno della guerra del Kippur, per fare un parallelo storico), ovvero ben quattro anni dopo i primi F-104S,
Sebbene vi siano fonti che parlano della fine delle consegne nel '76, Baugher dà la fine al marzo del '79. Del resto la cosa è più comprensibile se si considera che al gennaio del '73 era stato consegnato il 100imo aereo. Assieme al G-91Y, si può dire che il '104S rappresentasse il rinnovo della prima linea negli anni '70 per l'AMI. Entrambi avevano la caratteristica di essere la versione potenziata della precedente generazione di aerei (F-104G e G-91R), senza tuttavia avere la forza e la diffusione sufficienti per rimpiazzarli completamente (per esempio, come biposto addestrativi). L'AMI si rinnovò in maniera simile (ovvero, sostanzialmente a basso costo) anche con un altro protagonista, l'MB-339A, praticamente un '326 evoluto più che un nuovo aereo.
Quando terminò la produzione, il '104 aveva così raggranellato ben 2.579 ordini e costruito in sette nazioni diverse. A tutt'oggi, solo Phantom e F- 16 hanno superato tale livello nel ramo dei caccia da mach 2.
*9o Gruppo/4o Stormo, (1963-2003). Ha poi consegnato i suoi aerei al 10o Gruppo a Dic 2003.
*10o Gruppo/9o Stormo, Grazzanise (1963-2004)
*12o Gruppo/36o Stormo, Gioia del Colle (1970-1995).
*18o Gruppo/37o Stormo, Trapani/Birgi (Ottobre 1984-22 Aprile 2003)
*20o Gruppo/4o Stormo, Grosseto (1965-2003).
*21o Gruppo/ 53o Stormo, Cameri/Novara (1963-1996)
*22o Gruppo/51o Stormo, Istrana (1969-1997)
*23o Gruppo/5o Stormo, Rimini/Miramare (Marzo 1973-1995)poi a Cervia (1995-27 Dicembre 2002)
*101o Gruppo/5o Aerobrigata, Rimini (1964-1967)
*102o Gruppo/5o Stormo, Rimini (Marzo 1973-Luglio 1993).
*155o Gruppo/50o S, Piacenza (Maggio 1972-Ottobre 1973) poi con il 51o Stormo ad Istrana ( Ottobre 1973- Dicembre 1984)
*156o Gruppo /36o Stormo Gioia del Colle (1970-1982).
Nel corso della sua carriera, il '104S era raramente armato: la maggior parte delle volte aveva solo serbatoi ausiliari alle estremità alari, e i CI non avevano nemmeno il Vulcan. Si sa dell'uso di serbatoi da 291 litri al suo posto, forse in aggiunta e non in alternativa all'alimentarore ad alta potenza per illuminare i missili a guida radar. Esternamente era normale trovare alle estremità due taniche da 645 litri. L'armamento massimo, in funzione aria-aria, arrivava teoricamente a due Sparrow e due-quattro Sidewinder, anzi in teoria forse questi ultimi erano possibili in ben otto esemplari, mentre i piloni BL-104 per i missili AIM-7 o Aspide erano solo due, in posizione subalare esterna. Per le missioni QRA i '104S usavano un solo AIM-9 e un AIM-7 (e poi gli Aspide) sotto le ali, e i serbatoi d'estremità. Così erano molto leggeri, ma con un armamento pari alla metà di quello di un F-104S, che a sua volta era la metà di quello di un Phantom II.
A proposito dell'armamento, il '104 era apprezzato perché poteva lanciare le sue armi anche a velocità supersoniche e a quote piuttosto basse, come raramente è stato possibile fare con macchine successive. Ma in combattimento aereo, va rilevato che il '104S CB era ancora legato al Vulcan e a un paio di AIM-9 come il precedente G, mentre il CI era dotato di due Sparrow, ma non del Vulcan. Ironicamente, proprio mentre il '104S veniva scelto, in Vietnam gli americani si rendevano conto di come il Phantom fosse male armato in certi contesti, e che in particolare gli Sparrow erano una grossa delusione. E dire che i Phantom ne portavano il doppio, ma soprattutto, avevano un radar di portata molto superiore rispetto a quella del '104 e un operatore addetto al suo impiego, cosa che permetteva di sfruttare al meglio i missili. Questo, ovviamente, non avveniva con lo Starfighter, per cui l'utilità degli AIM-7 in cambio dei Vulcan era alquanto discutibile, a dire il minimo. Sempre per colmo di paradossi, coevo dell' S era il Phantom F tedesco, che al contrario, era stato privato dei missili Sparrow, laddove invece sarebbero serviti, dato che le cattive condimeteo tedesche richiedevano un armamento ognitempo, del quale si facevano in pratica carico USAFE e RAF Germany. I CI (Caccia Intercettori), per giunta, non avevano alcun RWR né sistemi ECM. I CB erano meglio equipaggiati, e potevano portare due-quattro bombe e un numero simile di serbatoi (in genere 4-2 o 2-4), protetti da un sistema ALQ-70 o 73, che era un disturbatore di scarsa efficacia (disturbava 'a casaccio' attorno all'aereo) e dava al pilota un avviso dell'inquadratura da parte di un radar, senza nemmeno degnarsi di comunicargliene il tipo e la direzione! Quindi, o l'SA-2, 3, 4 o SA-6 era deviato, oppure il '104 era spacciato. Dalla sua, aveva anche una RCS frontale che era circa un decimo di quella di un Tornado (beh, forse se si compara un '104 'liscio' a un Tornado caricato, perché la RCS dello Starfighter è di circa 4 mq) e una traccia visiva infima (a parte il fumo del motore, che però compariva a seconda dei regimi del motore). Negli ultimi anni c'era anche un paio di lancia-chaff ALE-40, da attivarsi manualmente se si riusciva a vedere la traccia di un missile in arrivo (non facilissimo, sia per il tettuccio piuttosto basso, sia perché il pilota era oberatissimo di lavoro a bordo, lo 'Starfighter' si pilota 'con la testa bassa', non con il pilota disteso sul sedile inclinato, HUD e HOTAS come nell'F-16). Le ECM erano visibili per i 'coni' dorsale e ventrale con le antenne a spirale, ma anche i caccia derivati dai cacciabombardieri le avevano ancora, sebbene senza più il sistema EW a bordo.
La mancanza di armamenti adeguati non era caratteristica rara ancora negli anni ’70, ma immaginatevi che l’aviazione siriana perse più o meno l’equivalente dei circa 90 caccia intercettori e cacciabombardieri italiani di prima linea (72 in sei gruppi CIO, Caccia Intercettori Ognitempo e 18 CB, oltre agli ‘strikers’ del 102imo Gruppo), solo che avevano i MiG-21 e 23, più agili, con sistemi RWR e il cannone come armamento standard. I ‘104S CI, al posto loro, difficilmente avrebbero fatto di meglio: con un armamento tipico costituito da un inefficiente AIM-7E (sia pure migliorato con la produzione, ma pur sempre inferiore ai tipi più recenti) e da un limitato AIM-9B/F, le probabilità di successo contro un F-15 o 16 armati di AIM-9L e Sparrow erano infime, mentre il ‘104 rischiava a sua volta di essere facilmente abbattuto dai missili moderni, anche perché non aveva sistemi di difesa di sorta, velocità a parte. Senza cannone interno, un’agilità molto inferiore e una velocità non maggiore, c’era davvero poco da sperare, se poi i missili erano anche a bassa probabilità di successo (in Vietnam l’8% per lo Sparrow e il 16% per i Sidewinder, mentre gli ‘L’ nel 1982 superarono il 70%), con un angolo di visuale ridotto, limitazioni varie (lo Sparrow verso il ‘clutter’ del terreno, il Sidewinder B aveva un angolo cieco di ben 27° vicino al Sole, che lo abbagliava fortemente, quando l’L riduce il cono di cecità a soli 3°: il trucco di volare verso il Sole era molto valido nel primo caso, molto meno nel secondo!). Con quattro missili (due AIM-7 e due AIM-9) c’era una qualche probabilità, ma le piccole ali dell’aereo, ‘sporcate’ dalla presenza dei grossi AIM-7 (che invece sui Phantom sono sotto la fusoliera) non beneficiavano certo di questa configurazione ‘pesante’, dalla resistenza maggiore, e con il rischio di ritrovarsi, tra missili e serbatoi esterni, a volare su di un ‘barcone’, specie ad alta quota (come è usualmente descritto il ‘104, persino in configurazione leggera).
Nel corso degli anni il '104S, privo di capacità di scoperta e tiro contro bersagli a bassa quota (o almeno, molto marginali) è stato aggiornato allo standard ASA/ Aggiornamento Sistema d'Arma.
Inizialmente si chiamava Starfighter Updated Avionics, sulla base di un accordo fatto nel 1980 tra AMI e Aeritalia e i risultati di uno studio fatto dal Gruppo Velivoli da Combattimento di Torino-Caselle dell'Aeritalia, con la collaborazione del Gruppo Sistemi ed Equipaggiamenti. Si sarebbe voluto un sistema di navigazione ognitempo con capacità di sgancio di precisione, e un radar con modalità look-down. Dato che i reparti di volo stavano ricevendo i Tornado, a quel punto l'interesse si mosse soprattutto sulle capacità aria-aria. L'unico reparto 'striker' su F-104S/CB rimasto, il 102° del 5° Stormo (in aggiunta al 18°, che però è 'dual role'), avrebbe avuto un parziale ammodernamento, ma come vedremo più sotto, le armi nucleari non vennero qualificate per il '104 ammodernato.
Il prototipo venne completato all'inizio del 1984, come F-104S/ASA (Aggiornameno Sistemi 'd'Arma o Aggiornamento Sistema Avionico). Per la modifica venne interessato un paio di prototipi, il primo dei quali era l'MM.6945, che era di costruzione recente, essendo il penultimo F-104S costruito. Le modifiche del '104ASA definitivo furono alquanto più contenute rispetto a quanto previsto e non venne nemmeno adottata la mimetizzazione a bassa visibilità proposta inizialmente.
Esso aveva il Fiar R21G/M1 Setter con parziale ricorso ai semiconduttori dotato di MTI e di cambio automatico delle frequenze, nuovo IFF, nuovo computer di gestione armamento, e computer di controllo di beccheggio e sistemi elettrici, nuove ECM (per i cacciabombardieri) e rotaie di lancio raffreddate per i missili AIM-9L. Degli 80 kit di modifica previsti nel giugno 1984, per le sonde di rifornimento in volo e analoghe a quelle dei '104C americani, non si fece nulla, anche se almeno un '104 venne modificato successivamente per sperimentarla. Il fatto che essa riducesse la velocità a circa 1,5 mach aiutò a non adottare tale soluzione, anche perché il '104S aveva già un raggio di oltre 1.200 km con quattro serbatoi e al contempo il posto di pilotaggio era decisamente scomodo per permanenze in volo prolungate.. Non è chiaro quanti siano stati i '104S modificati. Di essi, attorno a metà anni '80 ne sopravvivevano circa 170, e 153 vennero scelti per la trasformazione, tutti tranne un gruppo di volo. Perché? Perché per lo sgancio di 'carichi speciali' (bombe H) l'ASA non venne qualificato, almeno non prima del 1991 e così il 102imo gruppo ebbe gli S per molti anni ancora; del totale di '104S pare che solo 147 siano stati convertiti. Le consegne iniziarono ufficialmente il 19 novembre 1986, e nel 1990 si era ancora a 'soli' 100 aerei modificati Nel giugno 1991 era riportata la modifica di 115 apparecchi, mentre il costo complessivo era stimato in 700 mld<ref>per questo edit, vedi Tatangelo, Claudio ''F-104S'', A&D Giu 1991 p. 62-63</ref>. Secondo la monografia Take Off (1998), il programma fu terminato nel 1993. E' importante notare come l'F-104ASA non aveva pressoché nessun vantaggio nella sua missione di cacciabombardiere: quasi tutti i progressi erano per il compito di caccia intercettore. A dire il vero, il programma ASA venne ridotto sensibilmente rispetto al previsto salto di qualità, e i risultati non furono mai realmente lusinghieri. Tanto che Tatangelo dice testualmente che i finanziamenti concessi non hanno permesso di ottimizzare il 'Setter' con i missili Aspide. PEr questo l'Alenia aveva previsto un ulteriore update, come ECO (Evoluzione Concetto Operativo, poi Estensione Capacità Operative, quello che alla fine diverrà l'ASA-M).
L'Aspide 1A ne era l'arma principale, associata al nuovo AIM-9L. Essi erano un deciso passo avanti rispetto al duo AIM-9B/AIM-7E. In realtà, le cose, come al solito, non erano così lineari: l'Aspide diverrà operativo solo nei primi anni '90 con l'ASA-2, al contrario l'AIM-9L, molto più facile da implementare, sarebbe stato applicato ad alcuni F-104S cacciabombardieri prima dello stesso programma ASA. Al 1991, gli aerei di quest'ultimo tipo servivano con i gruppi n. 9, 23, 10, 12, 18, 21, 22 e 102imo (?).
L'Aspide era stato sviluppato con sistema monopulse e capacità ECCM e HOJ, spoletta radar, motore più potente e controlli migliorati. L'Aspide entrò in servizio nel 1988 teoricamente, ma in pratica ancora nel 1990 si aspettava la sua distribuzione ai reparti operativi. Tant'è che si faceva differenza tra F-104ASA-1 (senza Aspide) e ASA-2 con gli Aspide, standard a cui vennero aggiornati un po' tutti gli aerei superstiti. Secondo i piloti, avvistare un 'target' a 27 km (15 miglia) era già un fatto degno di nota, e al massimo, in quei secondi di 'closing' si poteva agganciarlo a 15 km (otto miglia) per il lancio di missili. L'IR Sight continuava imperterrita ad esistere, ma per fortuna il successivo ASAM la rimosse, data la sua inutilità. L'AIM-9L era molto migliore del B e dell'IR Sight, e veniva usato in due modi, con la testa di guida orientata al radar e ottico, 'a vista'. Il radar, che funzionava bene con gli aerei dei reparti sperimentali, in pratica soffriva di una laboriosa messa a punto, ed era di tecnologia superata, inferiore a qualunque altro radar moderno, dall'APG-66 in su. I missili Sparrow erano inaffidabili, gli Aspide eccellevano ma prima bisognava agganciare il target, cosa usualmente possibile a distanze inferiori alla portata massima dei missili (al contrario dei Tornado ADV, che potevano sparare da distanze maggiori anche se avevano gli Sky Flash di prima generazione, con la portata di circa 20 km dei vecchi Sparrow E). Inoltre, la modalità LD/SD era mediocre, si poteva seguire un solo bersaglio per volta, ed era piuttosto facile subire la 'gemmatura' da parte dei disturbi elettronici nemici. Si immagini la combinazione dell'ingaggio contro un bersaglio in volo a bassa quota e al contempo, emettente disturbi ECM, condizioni capaci di mettere a dura prova anche radar più moderni. I costi per l'ammodernamento con il FIAR Grifo o tipi analoghi non vennero però giudicati accettabili e così si tirò 'innanz' con un nuovo programma d'ammodernamento.
Nel 1994 iniziarono le consegne di 49 ASA-M e 15 biposto TF-104G/M aggiornati a questo standard: è opportuno ricordare che nessun F-104S venne completato come biposto, e apparentemente, nemmeno mai proposto. Il totale degli aerei da modificare era in origine assai maggiore, circa 88 monoposto e 16 biposto, ma poi i tagli al bilancio colpirono duro e così, tra l'EFA che non arrivava e i pochi F-104 ammodernati, si dovette affittare la difesa aerea alla RAF, con 24 Tornado ADV in leasing, aerei che in tutta onestà l'AMI avrebbe fatto bene a comprare subito, invece di ricevere ben 100 IDS per appena tre gruppi di volo.
L'ASA-M, originariamente noto come ECO (Estensione Capacità Operativa) significa ASA-Modificato e in concreto, più che a migliorare le capacità belliche, mirava a conservare la sicurezza di funzionamento di cellule oramai sfruttate, specie in settori delicati come carrello e stabilizzatore. Nuovi sistemi elettrici e idraulici vennero applicati -specie per rimpiazzare articoli fuori produzione- TACAN, UHF e finalmente, un sistema di navigazione decente, un semplice GPS e la nuova LN-30A2 simili a quelli di AMX e Tornado. Esclusi dal processo d'aggiornamento invece la sonda IFR, dato che il '104 ha una lunga autonomia ma che il pilota era già piuttosto 'oppresso' dalla permanenza nel piccolo abitacolo per più di qualche tempo; il radar di nuovo tipo, il cruscotto ammodernato con tanto di un display multimodo (MFD) e l'HUD.
I cannoni da 20 mm Vulcan vennero tutti smontati: già l'ASA era soprattutto un caccia, dato che l'S era oramai soppiantato in quasi tutti i gruppi dal Tornado. Ma tutti gli ASAM erano intercettori, per cui oltre al cannone (proprio ora che, volendo, la miniaturizzazione dell'elettronica avrebbe potuto consentirne la coesistenza con l'elettronica di bordo..) anche le ECM interne ALQ-70 o 73 (i cui coni ECM tuttavia sono rimasti a bordo). I Tornado ADV hanno sostituito il '104 del 12imo Gruppo, ma ancora a metà del 2002 c'erano ben cinque unità con il '104ASAM o TF-104. Era previsto che la radiazione avvenisse entro dicembre del 2004.
Altri aerei ebbero un'uscita di scena anticipata: tra le decine persi per incidenti, l'MM6736 del 4° Stormo il 23 aprile 1991, il 6839 il 16 gennaio 1992, il 6835 del 12imo gruppo nel luglio 1994, il 6748 del 37imo il 7 agosto del '90, il 6818 dello stesso stormo il 15 aprile 1997 e il 6944 il 4 novembre 1998, il 6775 il 5 ottobre 2000 e il 6778 il 2 maggio 2002. Altre perdite recenti, il disastro del 27 dicembre 1989, quando due aerei del 5o Stormo (102imo Gruppo) andarono a sbattere contro una montagna (MM 6886 e 6919). Altri ancora furono il 6938 del 18 gen 1999 e il 6929 (4° Stormo, 9° Gruppo) il 4 marzo 2002.
Lunga è anche la lista delle perdite nella THK, il che spiega come presto questo tipo di aereo abbia finito per perdere importanza. Il 6851 cadde il 12 agosto 1975, il 6852 il 28 aprile 1986 (pilota incluso), il 6853 il 3 giugno 1986; il 6854 l'11 settembre 1975 (pilota KIA), il 6844 il 29 ottobre 1981 (idem), il 6856 il 13 luglio 1977, il 6857 il 21 luglio 1984, il 6858 il 22 feb 1988, il 6860 il 16 giugno 1977 (KIA), il 6861 il 22 gennaio 1987 (KIA); il 6863 cadde il 2 aprile 1981, il 6866 il 13 giugno 1985 (KIA), il 6867 il 22 gennaio 1992. Incredibile: 13 aerei distrutti in questo solo lotto. Altre perdite sono state il 6883, 21 giugno 1984 (KIA), 6884 il 29 aprile 1983 (KIA), il 6888 il 22 ottobre 1992. E ancora il 6892 (6 maggio 1980), 6894 (22 agosto 1979), 6896 (22 luglio 1985, KIA), 6899 (17 set 1992, KIA), il 6902 il 3 ottobre 1983, il 6903 il 27 marzo 1984, il 6904 il 6 ott 1991 (KIA), il 6905 il 12 luglio 1979 (KIA).
Per cui abbiamo 24 aerei persi su 40 consegnati, con almeno 12 piloti. Un prezzo elevato, che ridusse la forza di Starfighter S a circa una dozzina di esemplari già nei primi anni '90, tanto che, in un numero di A&D, scherzando, i turchi (che erano venuti in Italia con i loro nuovi F-16) dissero agli italiani (che, a corto di caccia, forse glieli avrebbero ricomprati) che comunque ne avevano oramai solo una manciata. Ed era vero, visto che negli anni '70 persero sei aerei, poi nel primo lustro degli anni '80 altri otto, altri sei nel secondo lustro (calcolato come 1985-90) e infine quattro nel 1990-93.
'''F-104S''', cacciabombardiere monoposto con sedile MB IQ-7A
*'''Apparato motore:''' un G.E. J79-GE-19 da 5.388/8.119 kgs; 3.409 l+ 2.763 litri esterni
*'''Dimensioni''': 16,690 (più pitot) x 6,68 x 4,114 m x 18,218 mq, passo carrello 4,59 m, carreggiata 2,71 m
*'''Pesi''': 6.760 kg a vuoto, tipico 11.189 kg (forse con due serbatoi e due missili), max 13.070 kg; carico 614 kg-mq; rapporto spinta: peso 0,726:1
*'''Prestazioni''': v.max 2.400 kmh a 9.150 m (mach 2,2), max continua 2.214 kmh a 9.150 m o mach 2; 1.469 kmh slm o mach 1,2; crociera 981 kmh a 11.000 m (0,92), salita iniziale 277 m.sec, a 10.670 m in 80 secondi; max virata 13°/sec, tangenza pratica 17.680 m, raggio d'azione 1.248 km, autonomia 2.620 km, max 2.920, carico -2,7/+6,4 g. Al peso di 9.840 kg, 1.464 kmh (mach 1,2), 2.230 kmh (2,2) a 11.000 m, 981 kmh di crociera a 11.000 m, oppure mach 0,85 (economica), tangenza 17.680 m, 27.400 m con ‘zoom’ balistico; da 0,92 mach a 2 in 2 minuti; salita a 10.670 m in 80 sec, a 17.070 m in 2 min 40 sec, decollo con due AIM-7, 823 m, atterraggio 762 m, raggio d’azione max 1.274 km, con 7 bombe M117A1 481 km (lo-lo), o 608 km (hi-lo-hi) –nb. Non è chiaro se con i due serbatoi d’estremità alare, cosa sicura se si tratta del massimo raggio con tali armi.
*'''Armamento''': un G.E. M61A1 Vulcan da 20 mm con 725 cp e 3.400 kg di armi in 9 punti d'aggancio, con un massimo di 7 M117A1 (372 kg), o due AIM-7/Aspide e due (teoricamente fino a 4-6) AIM-9L. I piloni subalari da 450 kg interni, ‘bagnati’, esterni da 365 kg, estremità alari da 680 kg (per serbatoi), ventrale 907 kg, ventrali laterali 365 kg.
===Dentro il '104<ref>Monografia Sgarlato, 2004</ref>===
Il '104G era il tipico aereo della famiglia. E quindi andiamo a descriverlo in dettaglio, ricordando che il suo nome di ditta è Lockheed Model 583-10. Si tratta di un cacciabombardiere multiruolo ognitempo, monoreattore, da mach 2 (o poco meno) in quota, supersonico anche a bassa quota (ma in configurazione pulita), con una lunga fusoliera di sezione rotondeggiante, un grande serbatoio che contiene tutto il carburante interno dell'aereo, dato che non c'è assolutamente spazio nelle ali per dei serbatoi integrali, a causa del minimo spessore. La fusoliera centrale è caratterizzata da una lunga 'schiena' con una piccola spina dorsale, e vi sono oltre sette metri di distanza tra l'abitacolo e l'inizio della coda. In pratica, oltre i due terzi della fusoliera sono costituiti dalla parte con motore e serbatoi. Il muso è spropositatamente piccolo, e marcatamente appuntito, con un tubo di Pitot anteriore piuttosto grande. Il tutto l'ha fatto soprannominare 'spillone', 'chiodo', 'missile con un uomo dentro', e così via. Il tettuccio, relativamente basso e 'raccordato' con la fusoliera, fa sembrare la sezione abitacolo/radar anche più piccola rispetto a quanto non sia davvero, dato che il pilota è per la maggior parte incassato dentro la fusoliera, in un 'ufficio' piuttosto angusto. Le prese d'aria sono molto lontane rispetto all'abitacolo, e a maggior ragione lo è l'ala, dietro di esse. Di fatto, tra tutti i problemi che il pilota di un '104 ha potuto lamentare, probabilmente non c'è mai stato quello di ritrovarsi la visione posteriore (già piuttosto modesta) a causa delle ali e delle prese d'aria.
Il sistema propulsivo si basa su di un motore G.E. X-24A, ovvero il J79-GE-11A da 4.535-7.165 kgs a 7.460 giri/min. (full military e con postbruciatore), ma è notevole come la spinta in crociera sia appena di 1.202 kgs, presumibilmente ad alta quota. Una piccola turbinetta d'emergenza a vento è presente per emergenze di volo.
I '104G hanno serbatoi con 3.402 litri di carburante e un eventuale serbatoio da 462 litri al posto del Vulcan interno; altri due serbatoi da 740 litri l'uno sotto le ali e due da 643,5 litri (nominalmente 645) potevano essere installati esternamente. La versione TF-104G ha 1.928/2.064 kg di carburante, pari a circa 2.550 litri. Per la precisione, i serbatoi da 645 litri corrispondono a 501 kg di carburante. Quanto al carburante di per sé, anche il J79 è, come molte turbine, è policarburante. Così, se è stato pensato per il JP-4, può anche usare il Jet B, JP-5, Jet A, A-1 e A-1 Commercial, ma in questo caso il funzionamento non deve superare le 10 ore prma della revisione ed è meglio non tentare l'avvio se le temperature arrivassero a meno di -29 gradi (il che presumibilmente comporta lo stesso limite anche nel riavvio del motore in volo, che è un bel problema visto che nella stratosfera vi sono -50°..). E' persino possibile usare carburanti con Avgas (benzina avio) a 80/87, 100/130 e 115/145 ottani, ma solo per sei ore al massimo, ovvero una, massimo due missioni. Questo significa praticamente solo missioni di emergenza, per esempio abbandonare un aeroporto colpito nei depositi di carburante usando quello ricavato da altre fonti; o magari, lanciare uno 'strike' nucleare, che comunque è una missione 'estrema', probabilmente di sola andata (e di sicuro, al ritorno il pilota non avrebbe trovato lo stesso mondo che conosceva fino alla partenza..).
L'ala è particolare, estremamente sottile (un pollice, 2,54 pollici), addirittura inizialmente era prevista una protezione per evitare che ci si potesse tagliare sui suoi bordi affilati. Lo spessore è di appena il 3,36%, ma soprattutto il diedro è negativo con angolo di 10° onde contrastare l'instabilità generata dallo stabilizzatore sulla sommità della coda; l'allungamento è basso (2,45) e nonostante sia una macchina supersonica, non c'è ala a freccia, o meglio, c'è ma è controbilanciato da quello opposto in uscita: al 25% della corda, di 18° 6', mentre al bordo d'attacco è di 26°. In pratica, era piuttosto un'ala discendente da mezzi come l'F-80, che pure era stato 'battuto' dagli F-86 e MiG. Da notare che essa non aveva nessun angolo di incidenza. Le superfici mobili erano quattro, due alettoni e due flap soffiati, più gli slat anteriori.
La fusoliera è suddivisa in tre sezioni principali, di cui quello anteriore con radome, abitacolo, avionica e cannone (quando installato!); centralmente vi è l'ala e i due semicarrelli, nonché i serbatoi di carburante, gli unici (visto che l'ala non ne ha, è spessa solo 2,54 cm!); infine il tronco posteriore ha il motore e la coda, oltre il parafreno e la pinna ventrale. La coda ha almeno una particolarità, i piani orizzontali, interamente mobili e in un pezzo solo, mentre gli aerofreni sono due, laterali al motore, quando all'estremità della coda c'è anche il parafreno; il carrello è un altro elemento d'interesse, con una struttura progettata da una ditta americana, la H.M. Loud, triciclo retrattile, con ruotino anteriore e sterzabile, ritratto verso l'avanti. I carrelli principali sono inglobati nella fusoliera e hanno un movimento di retrazione composito, con le ruote che assumono una posizione obliqua. Sotto la piccola pinna di stabilizzazione ventrale è anche riconoscibile un gancio d'arresto per eventuali problemi, emergenze o missioni su campi di piccole dimensioni, per quelli che fossero dotati di sistema SATS con cavi d'arresto. Questi per l'atterraggio, e i razzi RATO per il decollo aiutavano, se del caso, ad operare in missioni STOL anche per un aereo del tutto inadatto, normalmente, come il '104 a tali operazioni.
L'abitacolo è stretto e, a parte qualche specchietto retrovisore, con scarse capacità di visione verso le spalle, discrete laterali, ottime sul davanti dato il piccolo musetto. Quest'ultima cosa è possibile perché la maggior parte dell'avionica è sistemata dietro il sedile del pilota e non nel muso. Il pilota ha avuto un sedile Lockheed C-2 che non è 0-0, ma successivamente sostituito da un più potente M.Baker Mk.7 che garantisce il funzionamento corretto fino ad oltre 1.000 kmh (questo è il modello scelto per i '104 italiani, non necessariamente da tutti gli altri utenti). La strumentazione dell'abitacolo comprende il quadrante dell'ADF, sotto lo schermo rotondo del radar, sul lato destro del cruscotto c'erano anche l'orizzonte artificiale e il variometro. Le manette sono a sinistra, la cloce al centro, sui pannelli di destra vi sono comandi come quelli delle comunicazioni e quelli dell'IFF, nonché la centralina per 'armi speciali' (atomici).
Il principale sensore di bordo è il radar N.A. Autonetics NASARR F-15A (da non confondersi con l'F-15 Eagle), che nei tipi di costruzione Lockheed è l'F-15A-41B, sui CF-104 è l'R-24A, e sui '104J è l'F-15J. Esso, almeno nel tipo normale multiruolo, è capace di funzionare in varie modalità. Il 'North American Search And Ranging Radar' (che è il significato della sigla NASARR) era un sistema compatto, ma multiruolo, capace di scoprire e telemetrare obiettivi in aria e a terra, con modalità anche sofisticate come quella TFR manuale (allarme prossimità suolo). Per il resto vi sono INS Litton LN-3, TACAN AN/ARN-52, IFF AN/APX-46, radio, autopilota e un piccolo IRST (l'IR Sight) per agevolare il puntamento dei missili AIM-9, ma non è un tipo impiegato per la ricerca, come i veri IRST, tanto che in pratica, sia fisicamente, che operativamente, è passato in secondo piano, pressoché inosservato malgrado sia proprio davanti al parabrezza. Esso aveva una portata di circa 5 km quando andava bene, e con i missili AIM-9L di fatto era inferiore come capacità d'acquisizione rispetto ai missili stessi, altro che ausilio d'ingaggio. Degna di nota l'assenza non solo di schermi multifunzione, all'epoca non esistenti, ma anche un semplice RWR, così come la scarsa affidabilità e precisione dell'INS.
L'armamento comprendeva un M61 Vulcan con 725 cp, due AIM-9B o F Sidewinder 1A alle estremità alari, e altrettanti sotto la fusoliera; per il bombardamento convenzionale sono impiegabili fino a circa 1.945 o 1.955 kg di armi, ma con i quattro serbatoi è possibile portare senz'altro carichi maggiori (circa 2.500 kg).
Tra gli armamenti di bordo vi è una scelta notevole, almeno sulla carta. Ecco l'elenco: NWC AIM-9B, Sidewinder 1A, i tipi migliorati AIM-9E, F e G e la versione addestrativa TDU-11B.
Altro comprende due bombe Mk-82 da 229 kg, da 249,5 kg 'Snakeye', Mk-83 da 447 kg, e persino le Mk-84 da 893 kg, nonché le vecchie bombe M117A da 372 kg e le MD-6 da 900 kg circa. I lanciarazzi non erano molto usati, ma c'erano i LAU-3/A, -3C/A, -3D/A, LAU-32, LAU-59/A da 83 kg e sette colpi da 2,75 pollici (circa 70 mm); i LAU-10A con quattro Zuni da 127 mm e peso di 262 kg. Missili Martin-Maxon AGM-12B Bullpup (259 kg di cui 113 kg di testata, la stessa dei Penguin), probabilmente usati solo dai '104G norvegesi; i più potenti AS-37 Kormoran da 650 kg (testata 165 kg), e persino gli AGM-12D da 810 kg, con carica nucleare, presumibilmente mai impiegati operativamente da qualcuno.
Le bombe nucleari H B-43 da 10 kt, B-28EX da 900 kt e 900 kg, B-61-3 da 0,1-10 kt e 500 kg di peso.
VI sono anche i contenitori di napalm BLU-1/B da 316 kg, BLU-27/B da 363 kg, BLU-27B da 377 kg, M116A2 da 416 kg, meno letali bombe di manifestini M129E1 da 90 kg, e le BL-755 Mk.1 da 272 kg controcarri a submunizioni.
Non mancano i tipi addestrativi: lanciarazzi addestrativi MA-2 a due colpi, contenitori di bombe da esercitazione SUU-21/A (MN-1A) per le bombe BDU-33 da 11,3 kg, e le Mk.106 da 2,3 kg (25 e 5 lbs), bombe BDU-12/B da 225 kg (la B-28EX da esercitazione), e trainatori di bersagli aerei A/A-37U-15.
Tra le particolarità del '104 v'é il fatto che il cannone non può essere usati per raffiche prolungate senza inceppamenti o addirittura spegnimenti del motore; per contro, i missili Sidewinder sono utilizzabili a mach 1,4 (e oltre), i serbatoi pieni delle estremità sono sganciabili fino a 0,9 mach e 1,5 se vuoti, come anche quelli subalari. Non è chiaro i missili Sparrow a che velocità siano lanciabili, ma in ogni caso la loro presenza riduce sensibilmente le prestazioni. L'attacco nucleare o convenzionale è possibile anche a velocità superiori a mach 0,9.
Quanto alla velocità dell'F-104G: 0 ft/1,14 mach (1.396 kmh); 5.000 ft (1.524 m)/1,25 mach (1.525 kmh); 10.000 ft (3.048 m)/1,37 mach (1.619 kmh); 15.000 ft (4.570 m)/1,5 mach (1.619 kmh); 17.500 ft (circa 5.300 m)/1,57 mach (1.834 kmh), con temperatura ISA +10°; a 27.500 ft (8.380 m)/1,95 mach (2.150 kmh); 30.000 ft (9.150 m)/mach 2 (2.134 kmh) ISA -10°C, o 2,2 (2.400 kmh) per brevi periodi; a 36.000 ft (11.000 m)/mach 2-2,07 (2.136-2.200 kmh).
Quanto alla colorazione, inizialmente i ‘104 avevano una tonalità grigio-alluminio, che in realtà era una vernice e non la superficie della struttura esposta all’aria, come poteva sembrare. In seguito ebbero anche la parte superiore della fusoliera in bianco-lucido per riflettere le vampe nucleari delle bombe che essi stessi avrebbero sganciato, e che li lasciava più esposti sulla schiena che sul ventre. Nel Sud-Est asiatico cominciarono ad avere invece colori a tre toni mimetici tattici, poi generalmente applicati anche agli aerei europei e canadesi, per lo più in stile RAF con superfici Dark Sea Grey e Dark Green per il dorso, grigio chiaro o azzurrino per il ventre. Con gli anni ’70 apparvero vernici a base di poliuretano, più scure e opache; alcune nazioni contemplarono l’applicazione di vernici verde-scuro integrali (‘lizard’), tra cui Canada, Danimarca e Norvegia. I ‘104G tedeschi ebbero l’elegante combinazione grigio-scura e bianca (per le superfici inferiori), poi mutuata con i Tornado. Il Giappone è rimasto invece con colorazioni da superiorità aerea, prima grigie, poi azzurre chiare. In Italia per lungo tempo è rimasta la mimetica RAF con varie combinazioni e grigio progressivamente più scuro. Dai primi anni ’80 i ‘bersagli da tiro a segno’ costituiti dalle insegne nazionali vennero ridotti notevolmente, al termine di un processo che inizialmente vedeva i ‘104 con grandi insegne tipiche dell’USAF anni ’50. Negli anni è apparsa anche una mimetizzazione grigio-chiara uniforme, mentre per l’ASA erano state pensate anche mimetizzazioni azzurro chiare assai eleganti, ma che non hanno trovato applicazione pratica con i reparti operativi.
Infine le attrezzature di bordo. I missili principali sono stati gli AIM-9 Sidewinder, portata 3,7-8 km a seconda delle versioni, che erano tra la B e la L. Essi sono armi a guida IR, lancia e dimentica, che costituiscono lo standard di riferimento a tutt'oggi, grazie alle innumerevoli versioni prodotte ed evolute. Il motore a razzo dell'AIM-9B accelerava l'arma a 2.700 kmh più del lanciatore, e si autodistruggeva entro 16 secondi di tempo oppure andava a segno con la testata -spolette di prossimità e contatto- da 10,6 kg e con 4,54 kg di HE, i cui frammenti potevano perforare 2 cm di acciaio a 10 metri di distanza. Lo Sparrow e il più evoluto Aspide sono armi standard per la loro categoria di ordigni a medio raggio, con velocità di mach 3-4 e portate di circa 30-40 km, testata da 30 o 33 kg (la seconda cifra si riferisce all'Aspide), mentre la guida è radar a scansione conica oppure mono-pulse, nel caso degli Aspide. I cannoni Vulcan sono armi da circa 100 kg e con capacità di fuoco di 4.000 o 6.000 c.min, mentre le munizioni sono pesanti circa 200 gr, di cui 100 circa del proiettile, molto preciso ma anche leggero per il suo calibro; la munizione è la 20x102 mm e il '104 è stato uno dei principali caccia che ha usato l'arma, sebbene con alti e bassi, come si è visto.
Infine, il motore è il J79 che nel tipo GE-17 ha spinta statica di 8.080 kg, consumo specifico a pieno A/B di 1,97, lunghezza 5,3 m e peso 1.745 kg. Per capire l'evoluzione, il vecchio Allison J35 del '51 aveva 3.400 kgs, consumo 2, lunghezza 4,96 m, peso 1.293 kg; l'RB-199, invece, garantiva 7.256 kgs, peso 898 kg e lunghezza eppena 3,23 metri, malgrado la presenza di un inversore di spinta. Il consumo era dato a 1,5 ma questo valore era largamente sottovalutato essendo un turbofan con un potente A/B e consumi conseguentemente molto alti a piena manetta (dati da Gunston, Spick, 'Aerei da combattimento', Salamander 1983, p.206).
===In azione con il '104===
Il ‘104 era un velivolo classico e ‘muscolare’, con poca avionica e un motore potente, prestazioni esuberanti anche se un’agilità che era nel migliore dei casi, definibile come ‘mediocre’, e dava il meglio di sé nei voli a bassa quota piuttosto che per la stratosfera, dove poteva sfruttare al meglio le sue prestazioni da mach 2. A bordo del TF-104G, l’abitacolo posteriore era simile a quello anteriore, ma con l’assenza del collimatore, di 14 interruttori nella consolle di sinistra, il quadretto dei comandi IFF/SIF, INS, selettore di tiro per i razzi e soprattutto il quadro DCU-9 A per l’uso di armi atomiche. La manetta era a sinistra, la cloche al centro, nell’abitacolo c’era lo schermo radar, sopra del quale c’erano altri quadranti come l’ADF, il g-metro e l’orizzonte artificiale. I controlli pre-volo erano diversi, tra questi, a parte il 'walkaround', sempre se c'era tempo (in 'scramble' no di certo), c'era da fare dozzine di controlli sugli strumenti di bordo, tra cui i flap -che dovevano essere su UP-, la rettazione del g-metro, radar altimetro su ON. Il motore era da avviare con uno starter, il quale dopo un minuto di funzionamento, se non era riuscito a fare il suo lavoro, doveva essere tenuto fermo per altri tre, e se dopo un altro minuto di funzionamento non fosse riuscito a farcela, bisognava aspettare altri dieci minuti. L'avviamento, che si poteva fare in tre modi, nel 'mode' manuale era complesso e tra l'altro, richiedeva il controllo della temperatura e dei giri motore, inizialmente su idle, al 10% con un consumo di 193-363 kg di carburante all'ora (425-800 lb), mentre da terra un generatore d'aria forniva la potenza necessaria. Dopo aver fatto staccare il generatore esterno, si portavano i giri-motore fino a circa il 67% e il consumo a circa 720 kg/h. La temperatura dei gas di scarico (EGT)deve essere dell'ordine dei 680°; se cala sotto i 600 la spinta è troppo bassa e bisogna abortire il decollo o tentare il decollo con la manetta su 'military'. IL timone di direzione diventa efficace già a 129 kmh (70 nodi), ma il distacco va ritardato con 5 nodi di velocità in più per ogni 10 di vento laterale, mentre l'assetto dell'aereo sul carrello principale è di circa 5° al decollo. Dopo, il carrello va tirato su prima del limite di 481 kmh a cui può essere ancora ritratto, le porte ausiliarie vanno chiuse entro i 300 nodi (555 kmh). In aria, bisogna tenere presente che l'aereo non ha una tolleranza adatta per sopportare i carichi asimmetrici di carburante: se questi superano i 340 kg (750 lbs) bisogna scendere a meno di 35.000 ft (10.600 m) e manovrare a meno di 2 g. In pratica, basta pochissimo sbilanciamento per rendere il '104 immanovrabile e subsonico. Questo dà un po' un'idea del perché il '104 non avesse spesso due missili Sparrow-Aspide sotto le ali. Quello che è vero per la massa del carburante, non lo è di meno per i carichi esterni, che aggiungono anche la resistenza aerodinamica: tirare uno Sparrow sotto un'ala, lanciando l'altro sotto la seconda è evidentemente pericoloso per il '104: o tutti e due o nessuno. All'atterraggio, l'aereo deve tenere una velocità di 5 nodi superiore ogni 1.000 lbs extra il peso calcolato di 7.264 (16.000 lbs). Il limite all'atterraggio, come vento al traverso, è di 46 kmh (25 nodi). Un'eventuale riattaccata richiede almeno 91-136 kg di carburante, possibilmente bisogna prendere tale decisione sopra i 316 kmh.
Allineato l’aereo a testata pista, il turboreattore era portato a 7.460 giri/min, poi i freni venivano rilasciati e l’aereo accelerava. Con il 104S le cose erano un po’ diverse perché a piena potenza i freni non riuscivano a tenerlo fermo, dati i circa 1.000 kgs in più di spinta disponibili. La salita del TF-104G, al peso di circa 9.980 kg, era di circa 250 m/sec fino a circa 11.000 m, raggiunti in circa 90 secondi. A mach 0,925 il TF-104G poteva vantare una salita di circa 160 m/sec con angolo di 32°. Durante la manovra era fondamentale il sistema di smorzatori (dampers) con limitazione degli alettoni di 9,75° per lato e 5° aggiuntivi con l’uso del ‘trim’, mentre il timone era limitato a 6°. L’accoppiamento inerziale, ovvero la differenza di massa tra fusoliera e ali, poteva essere curato in parte con l’uso dei serbatoi d’estremità, specie quando pieni, mentre il ‘pitch up’ era un altro problema: i piani a T venivano investiti dal flusso della turbolenza alare, determinando un improvviso impennarsi del muso, e siccome la pressione dei turbini in genere non era simmetrica, in genere un’ala saliva, l’altra andava giù e l’aereo si rovesciava andando in superstallo. Dopo i primi esemplari venne così introdotto un APC (Automatic Pitch Control), che era costituito dallo ‘stick kicker’, che oltre un certo livello di AoA portava in avanti la cloche, ma che poteva essere disinserito premendo all’indietro la cloche con una forza di circa 20 kg. Oltre al kicker era presente anche lo ‘stick shaker’, un motorino elettrico che dava l’allarme ai piloti dell’approssimarsi dello stallo facendo vibrare la cloche. Dato che tendeva a surriscaldarsi, questo motorino dava il suggerimento ai piloti di non trovarsi troppo spesso vicino allo stallo, specie se funzionava per oltre 6 minuti. Era possibile superare il comando dello stick kicker, ma oltre i 555 kmh volare senza il sistema di controllo automatico era pericoloso. Così come atterrare se per caso il sistema BLC (Boundary Layer Control), ovvero il sistema che soffiava aria dal 17imo stadio del compressore sui flap, avesse avuto un guasto o un danno, perché in tal caso l’atterraggio sarebbe stato anche più veloce dell’usuale.
Volare con il '104 era fonte di sicure emozioni: già il decollo, i ricognitori con il pod 'Orpheus' ruotavano a ben 212 nodi ovvero 392 kmh; mentre quando c'era il vento al traverso non era consigliabile mettere i flap nella posizione 'Land', all'atterraggio si arrivava a circa 361 kmh più le correzioni per i carichi e il vento, per cui spesso si arrivava a 380 kmh, malgrado l'F-104/Orpheus era oramai scarico di carburante. Chiaramente, decollare con un aereo che era di fatto una specie di serbatoio alato, con un motore esuberante e il pilota davanti, era un'impresa delicata: a quelle velocità, un incidente, la perdita di controllo o lo scoppio di uno pneumatico poteva mandare fuori controllo l'aereo e la stretta carreggiata non aiutava certo ad evitare il peggio: il '104 a pieno carico di carburante era una 'bomba' potenziale, a quasi 400 kmh. E quando si scendeva, con l'aereo 'leggero', bisognava stare attento a non fare errori, perché l'aereo era più leggero e soffriva maggiormente il vento al traverso. Del resto, i Belgi, dopo avere cambiato i '104 con gli F-16 hanno subito un rateo di perdite anche maggiore, mentre il Mirage 5 è risultato più sicuro di entrambi.
Eppure, i piloti non pare si siano mai lamentati più di tanto della sicurezza dei '104, che nei loro stretti limiti, erano affidabili e prevedibili, per cui spesso l'errore era dell'uomo. Ma non sempre, e comunque non sempre in maniera prevedibile: alle volte capitò che si ruppe il serbatoio principale a causa di un eccesso di pressurizzazione e con il motore in moto, causava un incendio inesorabile. Per questo, era necessario fermare l'aereo e darsela a gambe, dato che, se si poteva, si evitava volentieri il lancio con il Martin-Baker quando s'era ancora a terra.
Volare con il '104 poteva essere faticoso, ma il peggio era senz'altro l'RF-104G, perché aveva più carburante di tutti. Le missioni con la combinazione F-104G/Orpheus duravano 90-100 minuti; ma con gli RF-104G erano molto più lunghe. Una missione ricordata dal comandante Vincenzo Camporini, si dimostrò particolarmente impegnativa: partenza da Villafranca, rotta fin sull'Etna, poi verso la Spagna e abbassamento radente per fotografare un ponte a Barcellona. Totale missione: 153 minuti, che per il pilota non erano certo pochi, stretto nell'abitacolo del caccia. La tipica velocità di missione era di circa 778 kmh o 420 nodi, con tratte sull'obiettivo volate a 500-520 nodi, circa 925-960 kmh. L'aereo non aveva armi per autodifesa, l'unica cosa che poteva fare era di non farsi vedere; successivamente ebbe anche un lanciatore di chaff e flare in coda (su ciascun fianco), mentre si sapeva che nei magazzini di Villafranca c'era un misterioroso attrezzo, l'ALQ-73, che però normalmente non era a bordo. Se i piloti chiedevano, la risposta era 'quando vi servirà ve lo installiamo'. Fine della storia, e chiaramente non c'era modo di addestrarsi così per la difesa con le ECM, che sarebbero state usate solo in caso di guerra o di emergenze gravi. E si trattava di apparati non particolarmente efficaci, essenzialmente generare 'rumore' per i radar nemici, nascondendo l'aereo, e avvisare il pilota che qualcosa lo stava osservando. Nulla di paragonabile alle moderne ECM, mentre un vero RWR a bordo dei '104 italiani non c'è mai stato. I CR potevano fare teoricamente anche i 'caccia', ma di fatto non c'era il tempo per questo e i reparti da ricognizione solo quella facevano. E malgrado tutto, per quanto possa sembrare strano, erano loro che decollavano con i carichi maggiori, vicini alle 27.000 lbs(12.250 kg) con il 'bidone' (l'Orpheus) da 700 kg e due-quattro serbatoi alari. Alle volte dovevano andare in altri aeroporti, come a Tanagra, magari con temperature prossime ai 40°, salendo da una pista di 3 km a ridosso di una collina: si faceva giusto in tempo a fare quota ('con esasperante lentezza') e a evitare l'impatto con il terreno, seguendo letteralmente il fianco dell'altura. Se si fosse sbagliato, il '104 sarebbe diventato una palla di fuoco.
Un 'manico' del '104 fu senz'altro il comandante Napoleone Bragagnolo, già nel '62 parte della pattuglia di aviatori che si addestrarono a Norwenich per il passaggio sul '104, mentre poi sarebbe diventato un 'asso' dello Starfighter, e poi capo-collaudatore dell'Alenia. Tra le tante imprese, fu il primo ad arrivare a Ghedi con l'104 (assieme ad un alto pilota, poi diventato comandante della 5a ATAF) e poi fu il primo a portarvi il Tornado IDS 15 anni dopo, e poi sviluppatore dell'F-104S con l'Aeronautica, mentre il programma ASA lo vide come collaudatore dell'Aeritalia/Alenia.
La sua opinione sul '104 è stata netta, magari anche discutibile, ma del resto i grandi aerei storici hanno spesso questa caratteristica, suscitando dibattiti a non finire sulle loro reali qualità e difetti (si pensi a tutt'oggi a questioni come quelle del Bf-109 o del MiG-25, da alcuni esaltati e da altri considerati rottami o giù di lì).
La sua prima esperienza americana, con l'F-104, è del dicembre 1965, quando seguì il corso collaudatori dell'USAF Aerospace Research Pilot School di Edwards, e nel 1966 si incaricò di verificare se le due prese d'aria ausiliarie erano utili per il nuovo F-104S. Era a Palmdale, allo stabilimento Lochkeed, dove c'era una pista di ben 4.115 metri, spesa tre piedi (91 cm) in cemento armato, così rinforzata non certo per gli F-104, ma per i collaudi dell'XB-70. Pare che fosse addirittura la pista più spessa del mondo, ma era anche a 762 metri slm e con temperature che, nel deserto vicino a Los Angeles, arrivavano a circa 95° F. Così le prese d'aria ausiliarie, nell'atmosfera rarefatta, potevano tornare utili. Queste in effetti erano dibattute, dato che le prese d'aria principali erano in pratica analoghe a quelle del G, ma erano state 'segate' un po' prima e quindi, offrivano un maggior diametro (perché erano stati tolti circa 23 mm di lunghezza), lasciando passare un po' d'aria in più (circa 10 kg), ma la ragione principale del cambiamento era di far restare l'onda d'urto davanti alle prese d'aria. Tuttavia queste prese ausiliarie erano incernierate verso il basso e così aprendole, sebbene non vi fosse un gran beneficio in termini di flusso d'aria, davano un imprevisto effetto, ovvero si comportavano come 'canard' aumentando la portanza e facilitando la rotazione dell'aereo verso l'alto. La conclusione di Bragagnolo fu che 'se volevate i canard, potevate anche farli meglio'.
I voli erano spesso in condizioni limite, con pesi massimi al decollo dell'ordine dei 12.800 kg. Il risultato era che bisognava mettere in conto che gli pneumatici avevano un limite di velocità: 440 kmh; successe anche che un pilota decollò a 448 kmh e si bruciò i copertoni, riuscendo tuttavia ad atterrare senza ulteriori danni. Ad Edwards, durante il corso dei collaudatori aveva fatto anche un'altra esperienza, il decollo con un '104 senza A/B. E questo potrebbe sembrare semplice, ma in realtà si trattava di una base a 700 m slm e con temperature di 100° F. Meno male che non c'era alcun carico esterno, ma anche così dopo il decollo, l'aereo rimase per almeno 7-8 km senza riuscire ad accelerare, restando sotto i 390 kmh per circa un minuto, quasi galleggiando nell'aria. Secondo Bragagnolo, con molta esperienza si poteva anche tentare il salvataggio dell'aereo senza motore; ad Edwards si facevano anche addestramenti per gli aerospazioplani (Shuttle) con gli aerei in volo con flap su Land e carrello fuori, a circa 546 kmh e motore all'80%, aerofreni fuori e discesa di circa 30°. John Fritz, con uno dei primissimi F-104, riuscì a salvare l'aereo atterrando in una pista di 1.448 metri appena. Poi parlava dell'aereo in acrobazia, dove è molto stabile e deve sfruttare il fatto che ha tre ali diverse: quella pulita con coefficiente di portanza 1,21, TO con 1,8 e Land con 2,2. Il discorso sul ‘picht up’ secondo Bragagnolo era sopravvalutato perché il ‘104 era onesto in questo, e ben progettato, per cui non ci si doveva arrivare durante le manovre di combattimento. Pilotare il ‘104 era del resto una cosa scientifica più che istintiva.
Le missioni 'spaziali' con l'F-104 che fece erano con un tipo A, e tuta spaziale del progetto Gemini. Saliti a 45.000 ft (13.716 m) quasi alla velocità del suono, poi discesa a 36.000 ft (10.900 m), accelerazione a circa mach 2, salita poi tirando fino a oltre 2 g e angoli anche di 45°, sfruttando soprattutto la zona migliore per la potenza del motore, tra 11-12 mila metri; dopo i 45.000 ft (13.700 m) la potenza calava moltissimo e l'angolo di salita veniva stabilizzato tra 6 e 8 gradi, mai oltre i 10 altrimenti si finiva in vite, come accadde a Chuck Yeager. A 65.000 ft (19.812 m) si spegneva l'A/B per non farlo surriscaldare, e a 75.000 ft (22.860 m) si spegneva anche il motore, tanto la turbina continuava a girare per effetto d'inerzia almeno al 95%, dando energia a bordo. Alla sommità della volta si scendeva a circa 370 kmh, poi si scendeva con angolo analogo alla salita e a 55.000 ft (circa 16.700 m) si riprovava ad accendere il motore, che in genere rispondeva entro i 12.000 m di quota. Poi parlava dell'efficacia come aereo da guerra del '104. Sparò con il Vulcan 31 colpi in una raffica contro una manichetta, colpendola con 19 (poi il cannone smise di funzionare per il solito inceppamento); sempre a segno con l'AIM-9 contro i 'flare', e poi una serie di tiri di successo con i missili Sparrow e Aspide, che gli hanno dato, manco a dirlo, le soddisfazioni maggiori. Il primo tiro con il missile, a distanze minime, con l'arma in manovra a oltre 40 g, ottenne nondimeno una miss distance di appena 3,5 m (evidentemente aveva solo una testata telemetrica); capì come poteva ottenere centri diretti, ma gli spiegarono che era impossibile. Invece lui ne abbatté tre in serie, suscitando l'entusiasmo dei tecnici Alenia, lo scoramento dei militari e un preventivo da parte della Meteor per ripianare i bersagli distrutti. Secondo Bragagnolo, un missile tirato da mach 1,2 e 21.000 m sarebbe andato 'molto più lontano' di uno lanciato a mach 2 e a 12.000 m, per cui si poteva tentare d'usarlo contro intercettori ad alta quota, specie in un tempo in cui c'era un misterioso spione che veniva a curiosare vicino a Gioia del Colle. Infine, dopo avere elogiato il '104 come acrobata e sistema d'arma, non poteva mancare la menzione sulla velocità, la più ovvia dote dello Starfighter, visto che quest'aereo faceva già la 'supercruise' prima di EF-2000 e F-22 (peccato che la vera 'supercruise' sia con A/B spento nda). Nel '69 decollò da Torino-Caselle e salì fino a circa 10.900 m, arrivando a mach 2 e poi salendo fino a 16.460 m, per poi scendere a Roma-Pratica di Mare 19 minuti e mezzo dopo, alla media di circa 1,5 mach, e con ancora 2.600 lbs (circa 1.500 litri) di carburante a bordo 'sufficienti per arrivare fino a Palermo' (presumibilmente senza A/B), un po' più dei 1.300 portati con i due serbatoi d'estremità alare (perché, il '104 raramente vola senza carichi d'estremità, tanto i mach 2 riesce a farli anche in questo caso). Peccato che non provò con un '104 in configurarione interamente pulita, magari poteva fare anche meglio.
Certo, tutto questo può dare idea dell’efficienza del ‘104 se impiegato bene e nelle giuste condizioni. Ma vi sono non pochi limiti in questi ragionamenti. Per esempio, gli ‘imprevisti’. Un F-21 (Kfir, ovvero il clone del Mirage) poteva volare con notevole sicurezza anche in condizioni non standard. In Take Off un istruttore americano ricordava che l’aereo sembrava ‘scolpito nel granito’. Lui aveva dovuto tirare una manovra estrema per evitare un altro aereo durante un combattimento simulato. Mentre stava salendo in verticale, perdendo conoscenza per l’accelerazione subita, vide il g-metro arrivare fino quasi a 14 g... E quando si riprese, l’aereo era ancora in salita, sicuro e indenne. Il pilota americano ricordava come in Vietnam gli aerei americani alle volte dovevano tirare anche 10 g per evitare i SAM e tornavano con le estremità alari deformate e altri danni strutturali. Lo Kfir era davvero ‘tosto’, come del resto i Mirage con ala a delta (il 2000 ha un limite di 13,5 g, e il Draken venne sperimentato anche a 20 g). Chiaramente, in condizioni di combattimento non sempre si può pensare in termini di ‘manuale’, e il ‘104 sarebbe andato in pezzi per l’impatto oppure per l’accelerazione della manovra: con un margine teorico di 6,4 g non c’era. In effetti il ‘104 non era robusto quanto il Phantom (8 g). Lo Kfir (con lo stesso motore), il Mirage e il Draken, tutti coevi del ‘104, potevano essere volati con maggiore affidabilità in situazioni critiche, e non era richiesto un ‘asso’ per evitare il peggio, ma solo un buon pilota, visto che il rischio del superstallo o dell’accoppiamento inerziale era pressoché nullo. Inoltre se a bassa quota e in configurazione leggera magari può arrivare a 12°/sec, più o meno come un Phantom, in quota, con la sua minuscola ala, non ha praticamente portanza e come inerzia è una specie di 'barcone', specie in configurazioni pesanti. L’agilità verticale è un punto a favore del ‘104, come lo era per il FW-190, Bf-109 e P-47, essendo un tipico ‘energy fighter’; ma non sempre è possibile applicarla al meglio, come i pakistani scoprirono presto contro i più lenti, ma anche molto più agili Hunter e Gnat. Quanto al sistema d’arma, magari è vero che una volta ‘beccato’ il bersaglio si può attaccarlo con precisione, ma senza RWR, datalink e un efficace INS/GPS (arrivato solo con l’ASAM, che però era diventato nel frattempo totalmente superato) e con ritardi di anni per integrare gli, il ‘104 difficilmente l'avrebbe trovato. L’affidabilità del Setter, valida nei reparti sperimentali, non era tale nei reparti, le ECM potevano ‘gemmarlo’ facilmente e non aveva una portata sufficiente per competere nemmeno con i più semplici radar dei caccia moderni, come gli APG-66 e RDM. Durante la guerra del 1982 i MiG-21 (più agili, cannone interno, RWR e missili AA-8) e i MiG-23 (simili ai ‘104S per prestazioni, agilità e armamento) vennero sterminati da F-15 e 16; senza comunicazioni radio sicure e sistemi RWR propri, i ‘104S sarebbero stati davvero nei guai in un simile contesto, dove i Siriani persero, in pochi giorni, grossomodo l’equivalente dell’intera linea di caccia italiana: tra 72 e 84 apparecchi e nessun risultato in cambio (almeno per quello che se ne sa). Eppure, almeno potevano rendersi conto di essere sotto tiro da un radar nemico e manovrare di conseguenza, usando armi efficaci; nel mentre i ‘104S dell’epoca avevano tipicamente un solo vecchio Sparrow e un Sidewinder B o F ma nessun cannone, e poco vi sarebbe stato da sperare. In Vietnam questi missili avevano una probabilità bassissima di successi (il migliore era il Sidewinder, 16%) e con due sole armi ottenere un risultato diventava un’impresa improba. Del resto il ‘104S nacque con lo Sparrow come armamento principale proprio quando i Phantom in Vietnam dovettero ritornare ai cannoni (F-4E) dato che lo Sparrow si era dimostrato capace di ‘ben’ il 7% di probabilità di distruzione. E questo con un aereo dotato di un buon radar e di un operatore dedicato al suo funzionamento, per cui poteva sfruttare al meglio le possibilità dell’arma. Nell’insieme il ‘104 è sempre stato e sempre sarà un aereo discusso. Se riusciva ad avere un buon vettoramento radar da terra o AWACS, o anche altri caccia come i Tornado ADV (come già accadeva con il Lighting), allora era possibile uno ‘slash attack’ e sfruttare il Sidewinder L, un’arma micidiale. Ma altrimenti si doveva scappare, tenendo presente che un F-16 poteva tenere dietro al ‘104 e un F-15 addirittura ‘chiudere’ le distanze, potendo passare da mach 0,9 a 2 in circa un minuto contro i due o più del ‘104 (e se aveva missili sotto le ali, non aveva la possibilità di raggiungere mach 2). Insomma, al di là dei giudizi di parte, la sostituzione del vecchio Starfighter avrebbe potuto essere concepita meglio (magari con il Phantom) negli anni ’70, invece di ricorrere all’S, aereo che non ebbe successo all’estero (la Turchia ne ordinò 40, ma li utilizzò poco), e peggio ancora fu il mancare l’era dell’F-16, continuando ad insistere con gli update del ‘104 e finendo negli anni ’90 per dover letteralmente ‘affittare’ la difesa aerea per gentile concessione della RAF e poi dell’USAF. Alla fine è andata come le altre aviazioni avevano fatto 20-25 anni prima: sostituire i ‘104 con gli F-16 aspettando, con comodo, i nuovi EF-2000 A.
Che il '104 fosse un mezzo obsoleto era il parere degli 'operativi', come il T.Col. Ripamonti, negli anni '90 comandante del 9° Gruppo. A differenza di Bragagnolo, lui si riferiva non alle prove in poligono, ma alla 'vita reale' dei reparti da caccia. Ricordava i tanti momenti di tensione operativa, come l'intercettazione di contatti aerei sconosciuti, e la tensione con i libici nel 1991-92 (ben poca cosa rispetto a quella del 1986 nda). Secondo lui, il '104 era ancora valido come aerodinamica (in termini di velocità), ma non dal punto del sistema d'arma, nonostante l'aggiornamento (avvenuto nel 1997-99) allo standard ASAM. IL risultato è che l'aereo 'non ha più una credibile capacità bellica'. Nondimeno i '104 operavano in missioni complesse come le TLP, ma in posizione marginale e subordinata agli altri aerei. C'erano problemi di ogni ordine: per esempio le radio, che per gli altri caccia erano in diverse frequenze sia VHF che UHF, mentre gli italiani avevano solo una radio, cercando di ovviare con l'uso di una radio d'emergenza che però, per la complessità d'attivazione (bisognava togliere la mano dalla manetta del gas) era proibito per i piloti meno esperti. Secondo lui era fondamentale partecipare a missioni come quelle delle TLP, per non sentirsi 'tagliati fuori' dalla realtà europea, ma era anche imbarazzante trovarsi in un consesso internazionale con 'una macchina così vecchia e con prestazioni così basse'. Che di fatto doveva svolgere essenzialmente il compito di piattaforma lanciamissili, solo se vettorata da fonti esterne (AWACS e caccia). L'arma principale era l'Aspide (a quel punto finalmente in servizio nda), ma la tendenza per i combattimenti futuri con i combattimenti BVR limitava particolarmente il '104, date le prestazioni del radar, che rendeva quasi impossibile un ingaggio frontale e di sicuro non sfruttava al meglio le capacità dell'ordigno. La configurazione standard era di un Aspide e un AIM-9 sotto le ali, e i serbatoi d'estremità. In caso di guerra, presumibilmente, sarebbe stata di due AIM-9L alle estremità, due Aspide sotto le ali e due serbatoi sotto i punti d'aggancio più interni. Tuttavia, essi sarebbero stati da sganciare subito perché 'questa configurazione è molto difficile, con limitazioni formidabili e si pone ai limiti del volabile'. E si poteva far .. peggio, con quattro serbatoi e altrettanti missili. Per molti anni il pilota passava il 10% del volo a fare acrobazia aerea, ma queste erano cose che oramai appartenevano alla PAN, e i piloti si dovevano confrontare soprattutto nei poligoni ACMI con avversari che non scherzavano e che, a differenza di due o tre lustri prima, erano molto meno basati sull'acrobazia, incroci ravvicinati e così via. Ora c'era solo da lanciare il missile e poi scappare, perché in combattimento manovrato 'saremmo perdenti con tutti'. Lanciare in ingaggio frontale era ideale, ma difficilissimo e così in genere si provavano tiri laterali. Il pilota di '104 accettava di entrare in zona di combattimento solo se aveva la situazione sotto controllo (cosa che certo i Siriani nel 1982 non poterono avere nda), e con almeno un bersaglio sul radar. Se si entrava a contatto con un Tornado ADV, per esempio, entro i 30 km, quello aveva già visto il '104 e passato gli ingaggi ai colleghi per affrontare a colpi di missili gli aerei: non c'era scampo, l'avvistamento avveniva da circa 100 km e i tiri di missili da oltre 30, quando i '104 in genere nemmeno avevano avvistato il bersaglio. I '104 avevano se non altro vantaggi: una minima traccia IR (dato che spesso non avevano bisogno di azionare l'A/B) e la persistenza in combattimento (fino a 4 ingaggi contro i tre degli F-15 e due dei Tornado ADV) conseguente, proprio loro che però erano quasi disarmati contro un nemico dotato di 2-4 volte la potenza di fuoco più il cannone. Se riesce a sfruttare un errore nemico può entrare e far danni con i missili e magari fare danni pesanti contro macchine da 50 milioni di dollari. Ma 'onestamente è come mettere Fangio contro Schumacher'. E osservava che la velocità di disimpegno del '104 non superava quella di un F-16, e l'Eagle poteva 'chiudere le distanze', per cui nell'ottica moderna questo vantaggio velocistico non era più così grande: magari funzionava con il Mirage e il Phantom, ma non con i caccia di ultima generazione.
Per la cronaca, il primo tentativo DACT (combattimento contro aerei differenti) erano stato fatto contro un Harrier inglese (forse della RAF) senza risultati da nessuna parte. Una battaglia ACMI contro i Sea Harrier vide un confronto di giorni, il primo combattimento vinsero i '104S contro i tre Sea Harrier. I successivi scontri con gli Harrier, però, guidati anche da Dave Morgan (asso delle Falklands), finiranno pari. Il problema è il realismo di queste missioni, visto che ai '104 era stato dato un paio di missili Sparrow e due AIM-9. Però, mentre al posto dei Sidewinder avevano un mock-up da addestramento e un data-link per il poligono, gli Sparrow non c'erano proprio, il che comportava una grande differenza nella velocità massima: un'esercitazione ben più realistica sarebbe stata fatta con i mock-up dei missili, ma questo avrebbe ridotto la velocità del caccia e il vantaggio sugli Harrier..
Il Gen. Mario Arpino, CSM dell'Aeronautica (con oltre 4.500 ore di volo su 35 diversi tipi d'aerei) diceva al riguardo del '104 che il suo pilota poteva sentirsi frustrato, dato che l'aereo, per quanto brillante, aveva limiti operativi insuperabili.
I numeri dei 104 prodotti in Italia per l'AMI e per le altre nazioni.....
F-104 G: TOTALI 199 di cui 1 prodotto da Lockheed; 3 assemblati in Italia da Fiat avio usando kit Lockheed
-->124 in dotazione all'AMI 20 RF e 104 G di cui 10 G convertiti con kit fornito da Lockheed
-->25 per la KONINKLIJKE LUCHTMACHT (Olanda) 5 RF e 20 G
-->27 per la LUFT WAFFE (Germania) 4 RF e 23 G
-->22 per la MARINEFLIEGER (Germania) 15 RF e 7 G
____________________________________________________________________________________________________________________
F-104 S TOTALI 245 (1 NON consegnato) di cui 2 RF convertiti in S / pertanto 243 S in effettivo totale /
-->40 per la TURK HAWA KUVVETLERI (Turchia) tutti CBO
-->203 per l'AMI di cui 1 non consegnato (distrutto durante il volo di collaudo) 117 CIO (1 non consegnato) e 85 CBO
145convertiti in ASA (66 cbo e 79 cio) 57 convertiti in ASAM (i cbo sono stati convertiti in intercettori)
____________________________________________________________________________________________________________________
TF-104G
-->12 acquistati dalla Loockheed
-->12 costruiti da Fiat avio con kit Lockheed
-->6 acquistati dalla Germania come recupero delle unità perse ( 5 Lockheed e 1 Mbb)
-->TOT 30 di cui 16 convertiti in GM
===Riassunto delle versioni===
[[File:Bundesarchiv_B_145_Bild-F027437-0009,_Flugzeuge_F-104_Starfighter,_MFG_1.jpg|360px|right|thumb|Sebbene non propriamente adatto all'acrobazia aerea, lo Starfighter fu spesso protagonista di voli in formazione stretta, grazie alla sua stabilità di volo]]
XF-104 (Model 83), due prototipi con i motori J65-W-6, primo volo 7 febbraio 1954 a Palmdale, con Tony Le Vier ai comandi.
YF-104A (Model 193), 17 di preserie, fusoliera allungata e routino anteriore retrattile in avanti
'''F-104''' (Model 183), 153 aerei di serie con il J79-GE-3A o -3B, cannone Vulcan, pinna ventrale (durante la produzione), primo volo 17-4-56.
NF-104A: tre F-104A con il motore a razzo (propellenti liquidi) Rocketdyne AR-2 alla base della deriva, per addestramento astronauti
'''QF-104A''': 23 F-104A trasformati in radiobersagli oppure, nel caso del JF-104A, per esperimenti.
'''RF-104A''': 18 ricognitori, cancellati prima della consegna.
'''F-104B''': (Model 283): biposto addestrativo, costruiti 26; avevano superficie di coda ingrandita, il cannone era rimosso, minor carburante a bordo; primo volo 7 febbraio 1957.
'''F-104C''' (Model 583), 77 cacciabombardieri con il J79-GE-7A, sonda IFR, radar AN/ASG-14T-2, e agganci per 1.100 kg di carico bellico.
'''F-104D''' (model 583): 21 biposto, simili ai monoposto ma senza cannone
'''F-104DJ''' (Model 583), 20 dei precedenti costruiti in Giappone dalla Mitsubishi, con motore J79-11A, e avionica uguale a quella dell'F-104J
'''F-104F''' (Model 583); il tipo E non venne assegnato, questi erano invece 30 D per la LW tedesca, con sedile MB Q7-A e radar (NASARR) dei '104G.
'''F-104G''' (Model 583), la versione internazionale del '104, con il J79-GE-11A, NASARR F-15A, rinforzi strutturali alla cellula, più caricobellico;la Germania fu la prima ad ordinarne con qualche miglioria; la modifica del timone per aumentarne la manovrabilità a bassa quota e un seggiolino eiettabile con capacità zero-zero, i primi furono i Martin Baker Q-7A poi (GQ-7A) German, riconoscibili dal poggia testa arrotondato e lo schienale più tozzo, poi arrivò la variante che offriva leggermente più spazio allo già stretto abitacolo con il modello I-Q7A con lo schienale più stretto e compatto,poggia testa sagomato a trapezio,(Italian Q-7A)costruito su licenza dalla SICAMB (Società Italiana Costruzioni Aeronautiche Martin Baker;
e prese d'aria con antighiaccio. In tutto, le varie sottoversioni ebbero almeno 1.300 esemplari, il primo volo fu il 18 marzo 1959 e la produzione venne fatta da MBB, Fokker, SABCA, Lockheed, Fiat, Canadair.
Di questi, i tipi derivati erano gli RF-104G (Mod 683), con tre KS-67A nel muso, senza il cannone, con installazione Lockheed e Avio Diepen (ditta olandese); prodotti 189 esemplari; TF-104G (Mod 583), F-104F aggiornato allo standard G, 140-220 costruiti; RTF-104G-1, alcuni aerei tedeschi e olandesi biposto erano stati modificati come ricognitori; CF-104 (CL-90), la versione prodotta dalla Canadair, simile al '104G ma con elementi anche del C e autoctoni, NASARR R-24R e motore Orenda J79-OEL-7; costruiti 200 esemplari, primo volo 26 maggio 1961. Alcuni ricognitori erano CF-104(R), 38 erano CF-104D costruiti dalla Lockheed (Mod 583).
F-104H/TF-104H, per export, modificati senza NASARR. L'F-104H era quindi una versione economica del '104, ma nondimeno a nessuno importò di questa proposta, mai concretizzata.
'''F-104J''' 'Eiko' (Gloria), Model 683 costruiti per il Giappone, principalmente intercettori, NASARR F-15J-31 e motore J79 costruito localmente dalla IHI; un primo esemplare arrivò dalla Lockheed, altri 29 in parti da assemblare, 177 costruiti su licenza dalla Mitsubishi, che poi ripeterà il gioco con l'F-4 e l'F-15.
'''F-104N''': il tipo 'a razzo' per la NASA
'''F-104S''': versione ognitempo studiata Lockheed e dall'Aeritalia; il 1° esemplare fu il lockeed matricola N°12624 che era un F-104C aggiornato a G e successivamente trasformato in un primordiale manichino di S; ne esistono i due tipi CI (CL-980) da caccia, e CL-984 o CB, cacciabombardiere con armi aria-terra, cannone, ma senza missili. Primo volo in Italia con un '104G convertito, il 30 dicembre 1966; costruiti in tutto 245 esemplari e i due G modificati appositamente, più un prototipo Lockheed (il primo a volare?) che era un RF-104G modificato. L'aggiornamento ha visto poi i tipi ASA e ASA/M (ex- ECO).
[[Image:F-104G MFG2 Ramstein 1984.jpg|thumb|A German Navy F-104G in 1984.]]
{| class="prettytable"
|+colspan="5" align="left"|F-104:
|-
!colspan="7" style="background:#ffdead;" |
|-
! <br/>
! Motore, Kg/s
! Lunghezza, m
! Ap. alare, m
! Altezza, m
! Sup alare, mq
! Peso a vuoto/norm/max, kg
! Velocità (mach e kmh)
! Tangenza, m
! Raggio, km
! Carico bellico, kg
|-
|'''XF-104'''
|J65, 4.765
|14,99
|6,65
|3,87
|?
|5.216--7.121--7.121
|1,64 mach
|15.400
|590
|0
|-
|'''F-104A'''
|J79-GE-3A/B, 4.355/6.715; 897 galloni US interni, max 1627
|16,66
|6,63
|4,09
|18,22
|5.868/980--8.088/159--10.360/11.152
|1.667 kmh a 15.250 m; stallo 318 kmh; salita iniziale 307 m.sec
|16.820, max 19.760 m
|515, autonomia normale 1.173 km, max 2.251 km.
|due AIM-9 o serbatoi da 141,5 o 166,5 imp.gal.
|-
|'''F-104B'''
|J79-GE-3A/B, 4.355/6.715 e 752 gal, max 1.482
|16,66
|6,63
|4,11
|18,22
|5.836/6.226--8.079--10.675/11.300
|1,9/1.841 kmh a 19.812 m; salita iniziale 327 m.sec; stallo 318 kmh
|17.145, max 19.750 m
|Normale 740 km (autonomia), max 1.970 km
|2 AIM-9
|-
|'''F-104C'''
|J79-GE-7, 4.540/7.165 e 897 US gal, max 1627 US gal (2 x195 subalari, 2 x 170 US alle estremità)
|16,66
|6,63
|4,11
|18,22
|5.787--8.831--12.490/634
|1,9 mach, ma riportato fino a 2.553 kmh a 15.250 m, stallo 268 kmh (flap giù); salita iniziale 274 m.sec.
|17.768
|515, autonomia 1.367 km, max 2.412
|907/1.245
|-
|'''F-104D'''
|7.165
|16,66
|6,63
|4,11
|18,22
|5.930--8.462--11.062
|1,95
|17.525
|?
|1.245
|-
|'''F-104F'''
|7.165
|16,66
|6,63
|4,11
|18,22
|5.927--8.465--11.057
|1,92
| 17.525
|955
|?
|-
|'''F-104G'''
|J79-GE-11A 4.540/7.076 kgs, 897 gal US, max 1.784
|16,66
|6,63
|4,11
|18,22
|6.165--9.436--12.964
|1,95/1.842 kmh a 15.250 m, 2.135 kmh a 10.670 m; stallo 347 kmh; salita iniziale 243 m.sec
|15.250 m, max 17.680, assoluto 27.000+ m.
|1.200, autonomia 1.736 km, 2.621+ km
|1.945
|-
|'''CF-104'''
|J79-OEL-7 4.536/7.166 kgs
|16,68
|6,68
|4,11
|18,22
|6.309--9.528--13.104
|2,35 mach a 12.200 m per brevi periodi; 1.471 kmh (1,2 mach) slm; salita a 9.150 m in 90 sec.
|16.665
|?
|2.000 kg? su 5 piloni
|-
|'''TF-104G'''
|7.165
|16,66
|6,63
|4,11
|18,22
|6.448--8.777/9.362--11.959/13.171
|1,95
|17.680
|?
|2.000
|-
|'''F-104S/CI'''
|J79-GE-19, 5.384/8.119 kgs e 896 galloni US + 2x195 subalari, 2x170 estremità, 1x121 al posto delle munizioni
|16,68
|6,68
|4,11
|18,22
|6-765--9.838--13.070/14.061
|2,21/2.331 kmh a 10.670 m; 1.471 kmh slm (1,2); stallo 315 kmh; decollo con due AIM-7 810 m; salita iniziale 279 m.sec.
|17.680
|1.247, autonomia 2.492 km, max 2.918
|3.400 su 9 piloni
|-
|'''CL-1200'''
|TF-33, 6.800/11.350
|17,4
|8,88
|5,23
|27,9
|7.540--11.286--15.800
|2,4-2,57/2.540+ kmh a 10.660 m; 1,21/1.480 kmh slm; salita 300+ m.sec
|?
|675 km con 1.814 kg (decollo-atterraggio leggeri: 450-630 m)
|5.443
|}
===La carriera===
A parte quanto detto sopra, ecco il mondo degli utenti del '104:
'''Belgio''': la Force Arienne Belgique ebbe 12 Lockheed TF-104G biposto (3 in conto MAP), e 101 prodotti su licenza dalla SABCA di cui 25 in conto MAP. Non venne invece comprato alcun RF-104G.
Le macchine vennero consegnate a partire dal 14 febbraio 1963, e gli aerei avrebbero servito fino al 19 settembre di vent'anni dopo. Essi equipaggiarono i No. 31 e 23 Sqn. ovvero cacciabombardieri basati a Kleine Brogel (10imo Stormo), i No. 349 e 351 caccia intercettori del 1° Stormo, basati a Beauvechain, e un reparto d'addestramento. Sebbene gli aerei fossero pressoché identici, il 1° aveva compiti di difesa aerea, e il 10° Stormo di attacco.
I numeri erano FC-01/12 per i TF-104, e FX-1/100 per i monoposto SABCA. Tuttavia, come successe anche per i '104S italiani, un aereo cadde prima della consegna e così venne ordinato un secondo apparecchio con la stessa sigla FX-27, per cui si spiega come mai alcune fonti riportino 100 macchine ordinate, e altre 101 consegnate. Certo che si trattò di numeri ridotti: appena pochi anni prima la FAB aveva centinaia di caccia, ma essa, con il passaggio ai costosi 'bisonici' dovette ridimensionarsi notevolmente, e così accadde anche agli olandesi.
Dagli inizi degli anni '80 vennero sostituiti con rapidità dagli F-16 A/B, prima nel 1 Wing, cosa che comportò il trasferimento dei superstiti al 10°, ma non per molto, perché nel settembre dell'83 vennero ritirati anche da quello stormo. Le perdite furono 38 monoposto e 3 biposto, una percentuale elevata per una forza aerea sostanzialmente piccola. Nondimeno, 18 F-104G vennero poi trasferiti alla Turchia
1 Wing, Beauvechain, difesa aerea ognitempo: 349 Squadron (metà-1963-luglio 1979) e
350 Squadron (Aprile 1963-Aprile 1981)
10 Wing, Klein Brogel, cacciabombardieri: 23 Squadron (Aprile 1964 -metà 1982) e
31 (Tiger) Squadron (metà-1964 -inizio 1983)
'''Danimarca''':
I primi F-104 che raggiunsero l'aviazione Danese (Kongelige Danske Flyvevaben) vennero consegnati nel novembre 1964 (o dal 29 novembre 1965, secondo Sgarlato), con 25 F-104G di costruzione Canadair, più 4 TF-104G della Lockheed su conto MAP. Successivamente, nel 1972-74, per compensare le perdite di questa piccola flotta vennero consegnati altri 22 aerei ex- canadesi, precisamente 15 CF-104 e sette CF-104D. Questi ultimi erano stati modificati per un compito che probabilmente nessun altro F-104 ha svolto: il disturbo ECM, impiego che ebbero con l'Esk 726.
I due squadroni che ebbero i '104 erano:
:Esk 723 di Aalborg, dal '65 a tutto il 1982; il 1 gennaio del 1983 lo squadrone venne sciolto.
:Esk 726, stessa località, dal '65 all'aprile 1986, quando venne a sua volta chiuso.
Tutti i '104 vennero ritirati dal servizio eccetto quattro per compiti di traino-bersagli. Dei 51 '104 danesi, un totale di 12 andarono persi in incidenti di volo, relativamente pochi (23,5%) rispetto al totale. Dopo circa 20 anni di servizio in Danimarca, gli F-104G in conto MAP e tre TF-104G vennero trasferiti a Taiwan, dove giunsero nel 1987.
'''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Germania Ovest-2#F-104.5B2.5D|Germania Occidentale]]''':
[[File:Bundesarchiv B 145 Bild-F027403-0008, Flugzeuge F-104 Starfighter, JG 74.jpg|360px|right]]
La più grande cliente dei '104 fu la Luftwaffe, che ebbe oltre il 35% di tutti gli aerei prodotti. In tutto, quest'enorme parco di aerei, prodotti da tutti i gruppi di produzione attivi, ammontarono a 30 F-104F, 96G e 136 TF dalla Lockheed, 255 F/RF dal Gruppo Nord, 210 G dal Gruppo Sud, 88 da quello Ovest e persino 50 da quello Italiano, che pure era attivo da ultimo; infine altri 50 aerei extra vennero prodotti dalla MBB (ex-Messerschmitt) per rimpiazzare alcuni dei tanti aerei persi in incidenti. In tutto fa 915 o 917 esemplari. Secondo Sgarlato vi sono state consegne per un totale di 916 apparecchi di cui 604 G, 145 RF, 30 F-104F e 137 TF-104G.
Ecco i numeri degli F-104 tedeschi: di costruzione Lockheed, F-104G: KF101/196 e TF-104G: KF201/KF232, KE201/KE223.
Fiat: F-104G: KC101/KC115 e RF-104G: KC116/150
Fokker: F/RF-104G: KG101/KG450
Messerschmitt: F-104G: KE301/KE510.
SABCA F-104G: KH101/KH188
Dal 1 gennaio del '68 i numeri cambiarono: prima c'erano due lettere e tre numeri, poi quattro numeri totali:
KF101/196 --> 20+01/20+84;
KC101/KC150 --> 20+85/21+32;
KE301/KE510 --> 21+33/23+26;
KG101/KG450 --> 23+27/25+55;
KH106/KH188 --> 25+56/26+37;
KF201/KF272 e KE201/KE233 -> 27+01/28+35;
BB360/BB389 --> 29+01/29+21
Questo senza considerare che nel tardo '68, dato il numero di incidenti, la LW ordinò alla MBB altri 50 aerei G, con motore J79-MTU-J1K da circa 15.950 lbs; esso era una versione della MAN-Turbo (poi MTU), che adesso aveva preso la licenza di produzione, rilevata dalla BMW. I serial di questi aerei erano 26+41 fino a 26+90.
Con l'arrivo dei Phantom e dei Tornado, i '104G cominciarono ad uscire di servizio già dal '71, quando gli AKG 51 e 52 ebbero gli RF-4E; i JG 71 e 74 ebbero gli F-4F nel 1973-74, mentre il JBG 36 ebbe gli F-4F nel '76. La prima unità con i Tornado fu l'MFG1 della Marina, nel luglio 1982 e nel 1982 il centro d'addestramento a Luke AFB venne chiuso. L'ultimo JBG 34 venne convertito verso la fine del 1987. Un gran numero di F-104 volò verso Grecia, Turchia, Taiwan e Italia. Pochi rimasero in servizio al WTD 61 di Manching almeno fino al 1990 inoltrato, si sa che l'ultimo F-104 tedesco, il 26+40, volò per l'ultima volta il 22 maggio 1991.
Ecco la lista delle unità tedesche con gli F-104:
'''Luftwaffe'''
*AKG 51 "Immelmann": Ingoldstadt/Manching, RF-104G, Nov 1963- gen 1971
*AKG 52: Leck, RF-104G/TF-104G, Ott 1964, set 1971
*JBG 31 "Boelcke": Norvenich, primavera 1961- Aprile 1983
*JBG 32, Lechfeld: Dic 1964- Aprile 1984.
*JBG 33: Muchel, Ago. 1962- maggio 1985.
*JBG 34: Memmingen, luglio 1964- ott 1987.
*JBG 36: Rheine-Hopsten, Feb 1965 -1975.
*JG 71 "Richtofen": Wittmundhaven, Mag 1965- mag 1973
*JG 74 "Molders": Neuberg, Mag 1964- giu 1974
*2 Dt.Lw.Ausb.Stff: (4512th, 4518th, 4443rd USAF Combat Crew Training Squadrons, 4510th CCT Wing poi 69th TFTS e 418th TFTS del 15th TTW, Luke AFB fino al marzo 1983.
*Waffenschule 10: Norvenich (1961-1963), Jever (1963-1983)
*Erprobungsstelle 61: Manching, l'unità sperimentale aperta nel 1960 e poi nota come WDT 61 con almeno tre aerei
*Luftwaffenvershorgungsregiment 1, Erding, 1962- set 1988.
'''Marineflieger''':
*MFG 1: Schleswig-Jagel, Set 1963-ott 1981
*MFG 2: Eggebeck, inizio 1965-1986
----
'''Giordania''': ebbe 18 F-104 A e 6 B, le consegne iniziarono nel ’67 ma per evitare il coinvolgimento di questi aerei durante la Guerra dei Sei Giorni, essi vennero mandati in Turchia. La fornitura venne completata nel ’69 per il No.9 Sqn della Prince Hussein AFB e il No.25 Sqn di Mwaffaq Salti. Dato l’aiuto dei pakistani, non sorprende più di tanto se poi la RJAF mandò vari aerei a rinforzarli durante la guerra del ’71. Gli ultimi ‘104 vennero ritirati tra il ’79 e l’81, ma per lungo tempo sono rimasti a fare da falsi bersagli lungo le piste di volo.
'''Grecia''': la Elliniki Vassiliki Aeroporia ottenne dal '64 35 F-104G canadesi (da non confondersi con i CF-104), e 4 TF-104G Lockheed. Le consegne continuarono con 10 F-104G e due TF-104G ex- USAF (?), tutti in conto MAP. Gli aerei andarono inizialmente al 335 Mira 'Tiger', del 114th Pterix (stormo) di Tanagra; poco dopo toccherà al 336 'Olympus' Mira/116 Pterix, di Araxos. Essi erano parte della 1st Tactical Air Force della NATO ed erano dedicati allo strike nucleare. Ebbero compiti convenzionali solo ei primi anni '70. Date le perdite, vennero trasferiti dalla Spagna 9 F-104G nel '72, e due TF-104 ex-LW nel '77, mentre a metà del 1982 toccò a 10 F-104G di costruzioen Fiat, ma provenienti dall'Olanda. Successivamente i tedeschi trasferirono una quantità di aerei nel piano 'Minerva' per aiutare il debole strumento militare greco, che così ricevette altri 22 RF-104G, 38 F-104G, 20 TF-104G, ma oramai, con i Mirage e gli F-16, solo una parte dei '104 venne davvero immessa in servizio e il resto usato come parti di ricambio.
In concreto, gli F-104 servirono con il 335 'Tiger' Mira del 114, poi 116 Pterix di Tanagra/Araxos, dall'aprile del 1964 alle soglie del XXI secolo; e con il 336 'Olympus' Mira, 114 Pterix, dal gennaio del '65 (passato poi nel dicembre del '66 al 116 Pterix) fino alla fine del XX secolo.
'''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Italia: Aeronautica 3#Il .27104|Italia]]''': A metà anni '60 l'AMI ebbe 125 F-104G della Fiat, tra cui 11 RF-104G, a cui si aggiunsero 12 TF-104G di costruzione Lockheed e 16 di costruzione Fiat. Questa è la ricostruzione di Baugher, ma le fonti 'nazionali' riportano piuttosto un totale di 149 apparecchi (e circa mezza dozzina di 'rimpiazzi' arrivati successivamente, negli anni '80, dalla Germania), suddivisi in 105 F-104G, 20 RF-104G e 24 TF-104G. Seguirono dal 1969 un totale di 206 F-104S. A metà anni '80 giunsero dalla Germania altri sette TF-104G. Le unità con i '104 erano:
:9o Gruppo/4o Stormo, Grosseto (dal marzo 1963) C.I.O.
:10o Gruppo/o Stormo, Grazzanise (da gen 1967) C.I.O.
:12o Gruppo/36o Stormo, Gioia del Colle (1965) C.I.O.
:20o Gruppo/4o Stormo, Grosseto (fine 1963 - giugno 1994) C.B./C.I./TRAINER
:21o Gruppo/53o Stormo, Cameria/Novara (Aprile 1967) C.I.O.
:22o Gruppo/51o Stormo, Treviso/Istrana (giugno 1969)C.I.O.
:23o Gruppo/5o Stormo, Rimini/Miramare (formed as 101o Gruppo/ 5o Aerobrigata) (da sett 1967). C.I.O.
:28o Gruppo/3o Stormo, Villafranca, RF-104G (1964 - giu 1993) C.B.R.
:102o Gruppo/5o Stormo, Rimini (mag 1964) C.B.O.S.
:132o Gruppo/3o Stormo, Villafranca (1965 - ott 1990) C.B.R.
:154o Gruppo/6o Stormo, Ghedi (1964 - 1982) C.B.O.S.
:155o Gruppo/51o Stormo (inizialmente 50o Stormo di Piacenza 1972-1973) F-104S ad Istrana (1973-1984). C.B.O.
:156o Gruppo/36o Stormo, Gioia del Colle, 1966-1970. C.B.O.
I '104 S entrarono in servizio nel '69 e sostituirono i 'G nei reparti cacciabombardieri e intercettori, ma non in quelli d'addestramento e ricognizione. Dal 1986 vennero consegnati 147 (o 152) F-104S/ASA ammodernati, e dal 1994 64 F-104ASAM e G/ASAM, che hanno aumentato la loro vita utile fino a che, nel 2004, gli ultimi '104 vennero soppiantati dagli F-16. Con l'AMI/AM il '104 totalizzò circa un milione di ore di volo e nei primi 35 anni vennero distrutti 137 aerei in incidenti, un considerevole numero, secondo solo a quello della Luftwaffe, ma su di un totale di aerei molto minore, pari a circa 366.
'''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Norvegia#Gli aerei norvegesi.5B4.5D|Norvegia]]''': la Kongelige Norske Luftforsvaret ebbe un ridotto numero di '104, complessivamente 16 F-104G e 5 TF-104G consegnati nel '63, seguiti da altri due TF-104G ex-LW e 22 CF-104 della Canadair, questi ultimi consegnati nel '73. I reparti erano il No.331 Skvadron (Bodo) e poi il No.334 Skvn; vennero radiati nel 1983 grazie all'arrivo di sufficienti F-16; solo sei dei 44 aerei consegnati vennero persi in incidenti, gli altri andarono alla Turchia.
'''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Olanda#F-104 e F-5|Olanda]]'''
La Koninklijke Luchtmacht (Royal Netherlands Air Force) o KLu ha ottenuto 138 Starfighter, 120 F-104G e 18 TF-104G.
:No. 306 Sqn (OCU), a Twenthe dal dicembre 1962 al gennaio del '64, poi usato come reparto da ricognizione e spostato a Volkel nel settembre del '69-fine 1983.
:311 Sqn, Volkel, attacco tattico (giugno 1964-agosto 1982)
:312 Sqn, idem, Aprile 1965-giugno 1984
:322 Sqn, Leeuwarden, caccia ognitempo, agosto 1963- metà '79
:323 Sqn, idem, marzo 1964- agosto 1980
:Unità addestramento e conversione A, Leeuwarden, gen 1964-marzo 1978
:Conversie Afdeling Volkel, Volkel, gen 1969-nov 1984.
'''Pakistan''':
Dal 15 settembre 1961 fu una delle primissime forze aeree a disporre dello Starfighter, con 10 monoposto A (poi aumentati a 14) e due F-104B. Parteciparono a due guerre, di cui abbiamo già parlato, e la radiazione ebbe luogo nel ’75.
'''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Spagna-3#F-104|Spagna]]''': 18 F-104G e 3 TF-104G con l'Ala 12. Il servizio fu breve (1967-72), ma per una volta, privo di incidenti.
'''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Taiwan#F-104|Taiwan]]''': 24 F-104 A e 5 B, 46 F-104G, otto TF-104G, ben 21 RF-104G; 6 F-104F, nel 1983 altri 38 G e 27 TF e nel 1987, persino 22 F-104J più 5 F-104DJ ex-giapponesi, nonché 15 'G' e tre TF dalla Danimarca. Tuttavia, alcuni di questi erano usati solo come parti di ricambio.
E questa è la lista delle unità note:
:2nd/499th Tactical Fighter Wing, Hsinchu
:41st, 42nd e 48th Tactical Fighter Squadrons (1984 -1993)
:3rd/427th Tactical Fighter Wing, Ching Chuan Kang Air Base
:7th, 8th, 28th and 35th Tactical Fighter Squadrons (1965 -1997)
:5th/401st Tactical Combined Wing, Taoyuan AB
:12th Tactical Reconnaissance Squadron (fino al 1998 ed oltre)
Ancora nel 2004 c'erano dei '104 Stargazer (come erano denominati i ricognitori) in attività con il 12th TRS.
''''[[Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Turchia#F-104.5B2.5D|Turchia]]''': I '104 non potevano mancare nemmeno nella storica rivale/alleata di Atene, per la sua THK (Turk Hava Kuvvetleri). Totale, secondo Sgarlato: 249 F-104G, 46 CF-104, sei CF-104D e 54 TF-104G, più i 40 F-104S.
:4 Ana Jet Us di Murted, con il 141 Filo (tardo 1963-1988) e il 142 (idem-inizio 1989)
:6 A.J.U. (Bandirma), con i Filo 161 (fino al 1989), e 162 (1982-90)
:8 A.J.U. di Duyarbakir con i Filo 181 (1985-95) e 182 (idem)
:9 A.J. U. (Balikesir), con i Filo 191 (1975-93), 192 (con i '104S fino al 1987, e i '104G fino al '92), e il 193 (OCU) Filo, 1987-93.
===CL-1200 Lancer: l'ultimo della stirpe===
Nel tentativo di rivitalizzare la formula del '104, la Lockheed propose un ultimo, interessante derivato. Era la fine degli anni '60 e si guardava oramai al solo mercato export, data la predominanza del Phantom in casa; in pratica, era una sorta di competitore dell'F-5E Tiger, ma con prestazioni maggiori, in effetti era assai simile al Mirage F.1 piuttosto che ad un caccia leggero.
Del '104 manteneva la fusoliera, ma le ali erano adesso in posizione 'alta' e dalla posizione indietreggiata rispetto all'originario Starfighter; l'apertura era di 29 piedi; un'altra notevole differenza erano i piani di coda, ora abbassati alla base del timone, un po' come nell'U-2 (altro derivato della formula Starfighter, per quanto difficile da apprezzarsi visto superficialmente), la qual cosa era motivata dal disturbo che una grossa ala alta poteva dare ai piani di coda a T, effettivamente compatibili solo con ali basse, o altrimenti, in manovra sarebbero stati rapidamente colpiti dal flusso della scia delle ali. È vero che poi ali alte e piani a T sono stati impiegati con successo negli aerei da trasporto, come i C-141, ma questi sono grossi cargo relativamente lenti e ben poco propensi a manovre ad alto angolo d'attacco.
Il primo progetto in merito fu il CL-1200-1 con il J79-GE-19 e si prevedeva una comunanza con il '104 del 75%, ma il CL-1200-2 aveva una fusoliera posteriore ridisegnata per poter accogliere i più larghi turbofan di ultima generazione, come i TF-30-P-100 o forse, anche l'F100-P-100, con spinta fino al 60% maggiore del vecchio motore. Le prese d'aria erano ancora nella stessa posizione, ma con un cono ('shock cone') mobile di 102 mm al posto del tipo fisso originario. Il cannone era ancora da 20 mm, ma si poteva anche adottare se necessario un DEFA da 30 mm; a questo si aggiungevano nove punti d'aggancio, come nel '104S, ma disposti diversamente (tre sotto ciascuna ala, uno alle estremità, uno sotto la fusoliera, in maniera analoga all'F-16), e per un totale di ben 12.000 libbre (5.443 kg) di carico, pari a circa il 60% in più, e nondimeno, una velocità max di ben 2,4 mach in configurazione 'leggera'. Il peso stimato era di 35.000 lbs e la velocità di 1.700 mph a 35.000 ft, con una corsa di decollo limitata a 1.450 ft (circa 450 metri) come caccia intercettore, ovvero pari al 52% di quella dell'F-104G (che trovava nella velocità al decollo e atterraggio dei problemi non indifferenti, richiedendo molti kmh e molti metri per eseguirli).
Johnson era sicuro che questo nuovo caccia sarebbe stato superiore a qualsiasi altro e in effetti il 'Lancer', come era chiamato il CL-1200, poteva dare soddisfazioni, grossomodo come una sorta di F-16, ma non così estremizzato (nel bene e nel male). Se poi l'AMI avesse scelto, come sostituto dei '104S, questo nuovo caccia, l'Aeritalia sarebbe stata associata allo sviluppo, come era già stato fatto con la versione 'italianizzata' dello Starfighter.
Tuttavia, all'epoca c'era una competizione internazionale IFA(International Fighter Aicraft Competition) per sostituire i piccoli F-5A/B, economici ma troppo limitati in avionica. La Lockheed, ancora una volta, non esitò a dichiarare che il suo caccia sarebbe stato pronto in tempi brevi, con le consegne da iniziare già dal 1974. Purtroppo per le loro attese, però, nel novembre del '70 la competizione la vinse l'F-5 di nuova generazione, ovvero l'F-5-21 (in pratica, l'F-5E/F). Così, mestamente, questo programma venne interrotto. Nel '74, però, quando le consegne del CL-1200 Lancer avrebbero potuto avere inizio, volò il primo F-16, con lo stesso motore F100. Più avanzato, ma certo anche più costoso, sarebbe entrato in servizio solo nel '79, per cui il Lancer aveva realmente, ad un certo punto, una possibilità di affermarsi, specie con i clienti dei '104G/S, anche perché il coevo Mirage F.1 non avrebbe avuto a disposizione la tecnologia americana (iniziando dal motore) che faceva prevedere un eccellente apparecchio multiruolo, e a costi accettabili.
L'USAF si interessò e nel '71 pianificò di comprarne uno come aereo sperimentale X-27 (CL-1200-3), che era simile al caccia base ma con prese d'aria rettangolari. Senonché i fondi terminarono prima che si riuscisse a costruire uno di questi aerei sperimentali. Il Lancer vide un ultimo tentativo con il CL-1200-3 in versione 'operativa', con un PW F100, e la denominazione di F-204l stavolta in competizione con l'F-16 e l'YF-17, per il concorso LWF/ACF (Light Weight Fighter/Air Combat Fighter), che come si sa, venne vinto dall'F-16. Il tentativo di far continuare il programma come X-27A si vide negare i fondi poco tempo dopo. Apparentemente, nel '74, nemmeno un pur potenzialmente ottimo caccia come questo aveva più futuro e il mondo dell'aeronautica stava voltando pagina rispetto alla famiglia del '104.
Del 'Lancer' resta un mock-up
La Lockheed non ebbe successo con il Lancer, ma l'elenco degli 'F-104 mancati' non sarebbe completo se non vi fosse menzione del CL-704 VTOL, proposto già nel '62 ed equipaggiato, se costruito, con ben sette motori verticali R.R. RB.181 in ciascuno dei 'pod' alle estremità alari: pensate, un cacciabombardiere con 15 (quindici) motori!
Questo progetto non ebbe nessuna realizzazione pratica, così come non l'ebbe un '104 con un'ala ingrandita, che venne proposto come alternativa agli studi europei per l'MRCA (Multi-Role Combat Aircraft), il programma da cui nacque poi il Tornado.
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Monografia Ed. Ai, 'F-104', 1998 (ristampa)
Sgarlato N., Monografia F-104,Delta Editrice 2004 ISN 0390-1773
[http://it.wikibooks.org/w/index.php?title=F-104_Starfighter&action=historysubmit&diff=185155&oldid=184961 In questi edit è usato come fonte, quando non specificato altrimenti, il sito di Joe Baugher][http://home.att.net/~jbaugher1/f104.html]
'''[http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Lockheed_F-104 Gli Starfighter su Commons]'''
<references/>
[[Categoria:Armi e tecnologie militari]]
[[Categoria:Dewey 358]]
[[Categoria:Storia]]
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Guida maimonidea/Problemi e dottrine
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{{Guida maimonidea}}
[[File:Mishneh Torah by Maimonides.jpg|thumb|300px|left|''La Guida dei perplessi'', manoscritto in ebraico del 1348, Museo della Diaspora, Tel Aviv]]
{{q|''Ognuno di noi decide se diventare istruito o rimanere ignorante, compassionevole o crudele, generoso o avaro. Nessuno ci forza, nessuno decide per noi.<br/> '''Noi''' siamo responsabili di ciò che siamo.''|Maimonide}}
<big><big>'''Questioni fondamentali'''</big></big><br/>
Le quattro letture della ''Guida'' che abbiamo visto nei precedenti capitoli presentano modi differenti di interpretare le questioni fondamentali con cui Maimonide si cimentò nel suo trattato. Ciascuna lettura ha la sua maniera di confrontarsi con problematiche come il ruolo della filosofia, il concetto di Dio, la condizione dell'uomo nel mondo e la sua perfezione ultima, ed il modo in cui una persona perplessa supera la propria crisi esistenziale.<ref name="Quest">Joseph Stern, "Maimonides` Epistemology", ''The Cambridge Comapanion to Maimonides'', K. Seeskin (cur.), Cambridge University Press, 2005, pp. 105-133; ''id'', "Maimonides on the Growth of Knowledge and the Limitation of the Intellect", ''Maimonides'', 2004, pp. 143-191; Alfred Ivry, "The Problematics of the Ideal of Human Perfection for Maimonides", ''The Thought of Moses Maimonides'', Ira Robinson, Lawrence Kaplan & Julien Bauer (curatori), E. Mellen Press, 1983, pp. 16-26.</ref>
La '''''lettura scettica''''' considera la filosofia uno strumento critico, in grado di rivelare il fatto che il linguaggio, come un dipinto o una scultura, può fornire solo una rappresentazione limitata ed ingannevole di Dio. Ne consegue che nessuna conoscenza positiva di Dio può essere trasmessa tramite il linguaggio, e che per conservare l'unità pura e la trascendenza di Dio è richiesto il silenzio. La persona perplessa abbandona il linguaggio tradizionale e accettato di fede, comprendendo che qualsiasi tentativo di formulare affermazioni positive di fede su Dio trasformerebbero l'oggetto dell'adorazione in una divinità estranea e immaginaria. Il più alto grado di conoscenza di Dio viene espresso da un concetto scettico raffinato e ripulito da qualsiasi cosa che possa deturpare la sublimità divina, e riporta la persona perplessa nel mondo. Riesce a capire che anche il grande problema metafisico della creazione nel tempo in contrapposizione alla preesistenza eterna non è risolvibile. Tutto ciò che rimane è la rivelazione di Dio nel mondo, che riflette le azioni di generosità, giustizia e rettitudine. Il silenzio porta all'azione nel mondo, che è il percorso esclusivo e diretto per adottare le vie del Signore nella vita umana.<ref name="Hyman">Arthur Hyman, "Maimonides on Religious Language", in Joel L. Kraemer (cur.), ''Perspectives on Maimonides'', Littman Library, 1991, pp. 175-191.</ref>
La '''''lettura mistica''''' conferma che il ruolo della filosofia sia primariamente quello critico, poiché mette dei limiti a ciò che è possibile conoscere; tuttavia vede il percorso filosofico come un processo che sgombra la via all'illuminazione diretta e ad un'esperienza di Dio metalinguistica e metarazionale. Questa esperienza mistica avviene dopo che il conscio è svuotato da tutto il contenuto positivo, specialmente tramite la negazione del linguaggio. La lettura mistica, al contrario di quella scettica, crede in una cognizione diretta e in un'illuminazione non linguistica di Dio, che si possono ottenere solo dopo che il linguaggio ha raggiunto il suo limite finale. L'esperienza mistica non viene raggiunta mediante meccanismi estatici familiari nella storia del misticismo, come il movimento, gli esercizi respiratori, o la ripetizione automatica di sillabe fisse. Per liberare il proprio conscio in un modo che renda possibile l'illuminazione, uno deve intraprendere un difficile ed esaustivo processo di argomentazione filosofica precisa. La negazione filosofica di immagini false assicura che l'oggetto dell'esperienza non sia fruttodi un'immaginazione ingannevole, poiché avviene solo dopo che il proprio conscio è stato purificato, mediante la filosofia, da ogni ingannevole immagine positiva di Dio. La persona perplessa intraprende il suo cammino in uno stato di crisi esistenziale generata dal conflitto tra un sistema filosofico di convinzioni ed uno tradizionale. Nella lettura mistica, tuttavia, la persona non conclude il suo cammino, come nella lettura scettica, con un ritorno nel mondo dell'azione; lo fa piuttosto con un'esperienza metalinguistica diretta del sublime.<ref name="Hyman"/><ref name="Quest"/>
Nella '''''lettura conservatrice''''', la grande realizzazione della ''Guida'' sta nell'aver dimostrato che la preesistenza eterna del mondo non può essere provata. La persona perplessa può aderire alla modalità filosofica senza mettere in dubbio i fondamenti dell'Ebraismo, che si basano sull'attribuzione della volontà a Dio. La volontà divina stabilisce l'esistenza mediante la creazione ''ex nihilo''; inoltre, l'esercizio della volontà fornisce la base per considerare la rivelazione a Mosè come un evento di autorità vincolante eterna. Anche il principio della saggezza gioca un ruolo importante nella lettura conservatrice, poiché la dimensione della volontà è tenuta in contesti straordinari e ristretti. Dio certamente ha creato il mondo ''ex nihilo'', ma da quel punto in poi è la causalità, non la volontà, il modo in cui si esprime la Sua rivelazione — la teologia giudeo-cristiana non ha progredito molto oltre questa affermazione maimonidea.<ref name="Quest"/> Tutta la profezia eccettuata quella di Mosè è interpretata come evento con una struttura causale interna relativa alla perfezione del profeta. La supervisione provvidenziale postulata sull'intervento intenzionale di Dio nella vita umana viene limitata ad un ristretto numero di persone, mentre le altre creature (umane e bestie insieme) sono soggette solo alla causalità naturale che prosegue dalle azioni originali di Dio. La persona perplessa può accettare l'ethos filosofico senza compromettere i fondamenti sacri della fede.<ref name="Hyman"/>
La '''''lettura filosofica''''', in contrasto, sostiene che la ''Guida'' fornisce un'interpretazione sistematica dei concetti fondamentali dell'Ebraismo sulla base della saggezza e di un mondo preesistente eterno. Scoprire il significato nascosto della Torah rende possibile alla persona perplessa di interiorizzare la tradizione della filosofia greco-araba senza indebolire il proprio legame alla Torah di Israele. Il trattato ritraduce i concetti di profezia, provvidenza e creazione in una maniera interamente coerente con la strtuttura causale del mondo, che rispecchia la saggezza di Dio. I riferimenti alla volontà divina che abbondano nel linguaggio della Bibbia e della tradizione sono collegati alle credenze necessarie, senza le quali l'ordine sociale e la fedeltà alla ''halakhah'' potrebbero essere compromessi. E lo stesso potrebbe dirsi della ''Guida'' stessa, che nasconde il suo significato profondo al lettore che non è stato iniziato alla filosofia. Il processo filosofico porta la persona perplessa dalla volontà alla saggezza. Viene liberato dal caos e dalla frenesia e dai desideri mondani, e la sua consapevolezza è diretta totalmente verso l'oggetto del suo anelito: Dio. I comandamenti sono una parte sostanziale del suo percorso e del suo esercizio spirituale che indebolisce la morsa dell'esistenza terrena sul proprio mondo interiore. Alla fine del processo, l'adoratore filosofico di Dio viene liberato dalla potenza distruttiva della morte.<ref name="Quest"/><ref name="Greco">David Blumenthal, "Maimonides Philosophic Mysticism", ''Philosophic Mysticism'', 2006, pp. 128-151; Alfred Ivri, "Islamic and Greek Influences on Maimonides` Philosophy", ''Maimonides and Philosophy'', S. Pines & Y. Yovel (curatori), Kluwer Academic Press, 1986, pp. 139-156.</ref>
Le varie letture della ''Guida'' riflettono vedute del mondo che differiscono sostanzialmente l'una dall'altra, e qualsiasi tentativo di proporre una lettura singola e coerente del trattato pare destinata al fallimento, nonostante la buona intenzione del tentativo. Lettori scettiti, per esempio, potrebbero sostenere che la lettura filosofica non è nulla di più di un passo preparatorio verso la molto più significativa lettura scettica ed il conseguente ritorno al mondo. Per converso, l'interpretazione mistica cita gli elementi di illuminazione rivelatrice nell'ambito del trattato, che proseguono dall'annullamento della conoscenza ottenuto mediante la lettura scettica. Proponenti della lettura filosofica affermano che le idee sulla creazione nel tempo, nel modo in cui appaiono nei livelli superficiali della ''Guida'', non sono altro che uno strato esterno di credenze necessarie che occultano il significato nascosto del libro. E gli interpreti conservatori dicono che interpretare l'opera a favore della preesistenza eterna del mondo la fraintende considerando solo i principi di saggezza che riporta, ma ignorando gli sforzi di Maimonide nel difendere gli elementi basilari della fede dagli effetti corrosivi della fede nell'eternità.<ref name="Quest"/>
Tentativi come i succitati di interpretare la ''Guida'' in maniera uniforme sono stati fatti nel corso di tutta la storia dell'opera. Tuttavia una lettura profonda e attenta dimostra l'insuccesso di tali tentativi, per quanto siano sofisticati e creativi. Per esempio, come si fa a riconciliare lo spirito della Parte III, Capitolo 51, che descrive la redenzione dell'anima del filosofo dai vincoli mondani e dalla morte, con il Capitolo 54, che descrive il ritorno del filosofo nella vita mondana dopo che ha riconosciuto che tutto ciò che può conoscere di Dio sono le Sue azioni nel mondo che esiste? Come si può armonizzare l'unicità e la miracolosità della profezia di Mosè che viene affermata nella ''Guida'' II, 35, con la descrizione della ''Guida'' I, 51, in cui l'intuizione di Mosè relativa alla natura fornisce la fonte ed il contenuto della sua rivelazione? Oppure, in che modo si può l'asserzione di Maimonide che adotta la creazione ''ex nihilo'' nella ''Guida'' II, 25, mentre gli altri capitoli propongono una spiegazione naturalistica dei passi principali della storia biblica della creazione? E c'è forse una possibilità di riunire la natura miracolosa della provvidenza dsecritta nella ''Guida'' III, 51, che protegge la persona virtuosa da tutti i mali, con la versione naturalistica proposta nella ''Guida'' III, 23, dove l'uomo saggio, come Giobbe, interiorizza che la vera felicità consiste nella conoscenza di Dio, qualsiasi cosa accada? Pare innegabile che la ''Guida dei perplessi'' lasci aperte al lettore possibilità multiple, e ciò potrebbe benissimo essere stata l'intenzione di Maimonide. Permettendo quattro differenti modi di interpretazione, Maimonide si rivolge tacitamente alla persona perplessa come segue: Puoi conservare la tua fede nell'Ebraismo sia che tu affermi l'esistenza eterna o la creazione nel tempo, e la tua ricerca filosofica ti porterà ad un'esperienza mistica o ad un rientro nel mondo. La tua perplessità non è una frattura paralizzante che possa essere risolta solo con un suicidio intellettuale e spirituale mediante l'amputazione di una parte importante del tuo spirito. La tua perplessità, sorta dall'incontro tra Torah e saggezza, ti apre davanti varie possibilità di esistenza religiosa e di significato.<ref name="Quest"/><ref name="HalMo">Moshe Halbertal, ''Maimonides, cit.'', 2014, pp.354-357.</ref>
Il trattato quindi non propone un'unica via per comprendere la tradizione ebraica. Se Maimonide sostenne tale posizione — di certo una possibilità — non ce la presenta come tale. È inoltre probabile che egli stesso si dibattesse tra le varie alternative e che le sue posizioni basilari subirono cambiamenti nel corso della sua vita. In ogni case, lo scopo principale del trattato sembra essere quello di prevenire che la persona perplessa giunga alla terribile decisione di negare una parte importante del proprio mondo. Quando il lettore perplesso inizia il libro, pensa di aver abbandonato o la tradizione ebraica o il suo impegno filosofico. Una volta che lo ha terminato, arriva a capire che la sua situazione esistenziale non lo conduce ad una terribile fenditura interna — al contrario, è un potente stimolo ad approfondire la sua visione religiosa. La perplessità rende possibile, tra l'altro, di identificare le prospettive più profonde della tradizione ebraica alla quale rimane fedele.<ref name="Quest"/><ref name="HalMo"/>
==Elementi comuni==
[[File:Paris Cimetiere du Montparnasse stained glass star of david torah scroll.jpg|thumb|250px|Stella di David con Rotolo della Torah (Vetrata del Cimitero di Montparnasse, Parigi)]]
Nonostante i significati multipli del trattato, esiste un nucleo condiviso da tutte le impostazioni. Riguarda la trasformazione religiosa che Maimonide cercò di causare mediante la sua interpretazione innovativa della tradizione ebraica, e tale trasformazione incorpora tre elementi.<ref name="Seeskin"/>
Il primo elemento è lo spostamento della lotta contro l'idolatria dalla sfera della rappresentazione plastica a quella della rappresentazione mentale interiore. La guerra contro l'idolatria venne rinnovata perché il problema religioso del credente divenne quello dell'antropomorfizzazione di Dio piuttosto che quello di adorare statue ed immagini. L'apertura di tale nuovo fronte richiedeva la formulazione di una nuova impostazione del linguaggio religioso, prima fonte dell'immagine presonificata di Dio serbata interiormente. Il linguaggio religioso deve essere letto come simbolo o allegoria per superare l'immagine invalida di Dio che può essere generata da una lettura letterale. Similmente, la transizione verso l'enfasi di un'immagine interiore integrava un elemento necessario di fede nel servizio religioso. Un uomo può essere meticoloso nell'osservare i comandamenti ma essere comunque peggio di un idolatra se osserva i comandamenti con un'immagine antropomorfica della divinità in mente. Tale persona in effetti sta adorando non Dio ma un'immagine più elevata di umanità. Questo elemento della trasformazione religiosa maimonidea è collegato anche ad una consapevolezza dello stato marginale dell'uomo nell'universo. L'antropomorfismo si sviluppa in parte dal vedere l'uomo al centro dell'esistenza. La guerra contro questa concezione pertanto è una lotta contro una veduta megalomane del posto dell'uomo nell'universo.<ref name="Seeskin">Kenneth Seeskin, ''Maimonides: A Guide for Todays' Perplexed'', Behrman House, 1991, pp. 201-229 & ''passim''; Gad Freudenthal, "Maimonide on the Knowability of the Heavens and of Their Mover (Guide II:24)", ''Aleph'' 8, 2008, pp. 151-157.</ref>
Il secondo elemento della trasformazione religiosa prodotta da Maimonide è la focalizzazione sull'ordine causale e l'inerente saggezza come la più importante rivelazione della divinità. Molte tradizioni di fede pongono l'apparizione di Dio nella rubrica del "miracolo", un evento in cui l'ordine causale si dissolve e la mano tesa di Dio interviene in ciò che che accade nel mondo. Maimonide considerava che tale credenza offrisse una fragile espressione ''ad hoc'' della rivelazione divina. Al centro della consapevolezza religiosa il mondo deve rimanere com'è, la più alta espressione della misericordia, giustizia e saggezza divine. Fare affidamento sul miracoloso e lo straordinario come base dell'esperienza religiosa vuol dire un'incapacità di distinguere l'impossibile dal possibile. Tale concetto proviene dalla facoltà immaginativa, l'elemento dell'anima che favorisce il pensiero idolatra. Accettare l'ordine del mondo come espressione della rivelazione estirpa aspettative messianiche di cambiamento nell'ordine causale naturale. Offre inoltre una risoluzione profonda di quello che pare essere il problema del male. La filosofia riconcilia l'uomo ed il mondo causale. Gli insegna che questa è la sua dimora a patto che regoli i suoi fini ad essere coerenti con quello che la natura può fornirgli. L'enfasi sul principio della saggezza come espressione di rivelazione divina porta Maimonide a ritenere la Torah stessa un sistema inteso ad elevare l'uomo alla sua perfezione naturale. Questo ordine teleologico, e non l'obbedienza alla parola di Dio come decreto supremo arbitrario, è ciò che investe la Torah di profondo significato religioso.<ref name="Seeskin"/>
Il terzo elemento della nuova sensibilità religiosa forgiata da maimonide è il rifiuto della distinzione tra quello che è nell'ambito della tradizione ebraica e quello che ne è fuori. La filosofia è conoscenza che non deriva dalle fonti canoniche della tradizione stessa. La scuola filosofica nella quale maimonide si impegna profondamente deriva i propri concetti da Aristotele, importati mediante il pensiero mussulmano — primariamente quello di Ibn Sina (Avicenna), al-Farabi, Ibn Bajja e Ibn Rushd (Averroè). Nessuna delle letture presentate nei precedenti capitoli propone una filosofia definita come qualcosa di esterno con cui la tradizione deve contendere. Similmente, l'interpretazione dell'Ebraismo che Maimonide offre non è qualcosa intesa solo a riconciliare credenze fondate sulla Torah con le esplorazioni della filosofia e della scienza; la filosofia gioca piuttosto un ruolo centrale nel costruire la prospettiva religiosa stessa. La conoscenza indipendentemente dalla tradizione è necessaria per capire la tradizione, poiché senza tale conoscenza non possiamo riconoscere, per esempio, se un termine particolare della Torah sia inteso letteralmente o metaforicamente. La filosofia è pertanto un meccanismo mediante il quale la Torah di israele realizza la sua missione come la religione dei monoteisti in opposizione all'idolatria. Inoltre, il pinnacolo dell'esperienza religiosa viene ottenuto con la conoscenza. L'immersione nella saggezza è parte sostanziale del percorso interiore della persona religiosa verso la redenzione della propria anima e in particolar modo del suo muoversi dal timore di Dio all'amore di Dio ed il proprio confronto con le limitazioni del mondo e con la morte.<ref name="Seeskin"/><ref name="Stroum">Sarah Stroumsa, "The ''Guide'' and Maimonides Philosophical Sources", ''The Cambridge Companion to Maimonides'', K. Seeskin (cur.), Cambridge University Press, 2005, pp. 58-81.</ref>
Il ruolo centrale di filosofia e scienza nel percorso spirituale è radicato in una delle più profonde intuizioni che riguardano la condizione umana. La reazione iniziale dell'umanità al mondo è paura e strumentalità. Riteniamo il mondo una fonte potenziale sia di pericoli che di piaceri. Essendo presi nella morsa di ansie e stimoli potenti, siamo inclini a strumentalizzare il mondo; il mondo è lì per noi o contro di noi. Allo stato iniziale, essendo motivati da paure e desideri, siamo anche prigionieri della nostra immaginazione, che è segnata dall'incapacità di distinguere tra ciò che è possibile e ciò che è impossibile. La combinazione di paura e immaginazione rende gli esseri umani vulnerabili alla manipolazione. La masse sono quindi mobilitate facilmente da promesse e minacce, verso magia, superstizione, e idolatria. Condizioni di instabilità politica ci bloccano ancora più profondamente in tale modalità di "manutenzione", in cui tutti i nostri orizzonti interiori si riducono alla necessità di sopravvivenza. Questa caratteristica della condizione umana è la fonte anche di una potente tendenza a strumentalizzare la Torah stessa, obbedendo le sue leggi e comandamenti per timore di punizioni e desiderio di ricompense.<ref name="Stroum"/>
La conoscenza del mondo e di Dio punta ad alleviarci dal peso della paura e a liberarci dalla morsa dell'immaginazione. La posizione della conoscenza implica la capacità di vedere il mondo com'è, indipendentemente dal suo ruolo strumentale. È quindi la chiave dell'amore che viene definita come una relazione non strumentale. Comprendendo la grande bellezza e potenza del mondo impariamo a percepirlo per ciò che è — una stupenda manifestazione della saggezza di Dio in cui noi umani siamo un aspetto marginale di tale piano divino. Interiorizzando questo aspetto non strumentale ci riconciliamo col mondo, un mondo idoneo al nostro potenziale come creature capaci di conoscenza e capaci di trascendere la morsa iniziale della paura e dell'immaginazione. Integrando questa visione della condizione umana con l'interpretazione dell'Ebraismo, Maimonide ha reso la scienza e la saggezza una parte integrale della tradizione ebraica, che le considera attentamente e comanda che siano studiate. Il fine dell'Ebraismo nella vita comunitaria ed individuale dipende dell'ethos filosofico che viene interiorizzato nel cuore più profondo della tradizione.<ref name="Seeskin"/><ref name="MoshHalb">Moshe Halbertal, ''Maimonides, cit.'', 2014, pp. 358-368.</ref>
I tre elementi della nuova sensibilità religiosa di Maimonide possono essere ritrovati anche nei suoi scritti halakhici. La definizione di Dio nella ''Mishneh Torah'' si basa sulla realtà causativa quale strumento centrale della rivelazione divina nel mondo. Nei primi capitoli della ''Mishneh Torah'', Dio viene descritto in termini di essenza ed esistenza, non di personalità e storia. Secondo le "Leggi del Pentimento", l'ideazione corporea di Dio è apostasia e chi la sostiene si pone al di fuori della comunità di Israele e perde il proprio posto nel mondo a venire. La ''Mishneh Torah'' ritiene filosofia e scienza una parte sostanziale della ''halakhah'', poiché il fine dell'uomo e della ''halakhah'' nel suo complesso è definito in termini di perfezione umana come creatura razionale, e l'apice dell'esperienza religiosa — timore ed amore — è raggiunto e realizzato tramite la conoscenza del mondo e di Dio. È la conoscenza che libera l'uomo dal comportamento strumentale del mondo e lo conduce ad un comportamento di amore di Dio. Una consapevolezza filosofica viene ad introdursi anche in aree chiaramente halakhiche, come la totale proibizione della magia e dell'uso scaramantico di oggetti rituali ebraici.<ref name="MoshHalb"/>
La presenza di questi tre fattori negli scritti halakhici di Maimonide esclude naturalmente qualsiasi distinzione tra Maimonide l'halakista e Maimonide il filosofo. Infatti è specificamente negli scritti halakhici che gli elementi filosofici sono maggiormente prominenti e intensi, come si è visto nella nostra analisi della ''Mishneh Torah''. In queste opere, Dio è definito in termini di preesistenza eterna del mondo, come per la profezia. Inoltre, gli scritti halakhici di Maimonide non mettono assolutamente in dubbio il fine più alto dell'uomo quale creatura razionale, e tale definizione trasforma l'osservanza quotidiana della ''halakhah'' in un mezzo piuttosto che in un fine di per se stesso. Nella ''Guida'' invece la credenza nella preesistenza eterna viene analizzata con una critica sistematica, come lo è l'idea che la perfezione umana risieda nella cognizione di Dio. Pertanto gli elementi filosofici che appaiono nel ''Commentario alla Mishnah'' e nella ''Mishneh Torah'' smentiscono chiaramente qualsiasi distinzione tra ''halakhah'' e filosofia negli insegnamenti di Maimonide.<ref name="Stroum"/><ref name="MoshHalb"/>
Che il nucleo basilare della trasformazione religiosa maimonidea si possa trovare anche nei suoi scritti halakhic ha implicazioni al di là del dimostrare semplicemente la coerenza del mondo interiore di Maimonide. L'integrazione di elementi filosofici in un codice halakhico rispecchia il tentativo di elevare la sensibilità religiosa filosofica da una proposta personale — un'interpretazione della tradizione intesa solo per l'individuo perplesso — ad una ''halakhah'' vincolante, intesa a formare le credenze e le autopercezioni degli ebrei di tutti i tempi. Fornendo una formulazione vincolante dei principi filosofici nella ''Mishneh Torah'', Maimonide usò tutto il suo scibile halakhico per trasformare la religione ebraica. Rese la filosofia un dovere halakhico e religioso mediante, tra l'altro, la sua definizione dei comandamenti di conoscere, amare e temere Dio, il suo concetto del messianismo, e la sua trattazione delle leggi che proibiscono l'idolatria. Integrando questi elementi nel suo grande codice halakhico, egli rese la prospettiva filosofica un aspetto sostanziale e vincolante della ''halakhah''. Non c'è quindi da meravigliarsi che il suo tentativo nella ''Mishneh Torah'' di stabilire la sensibilità filosofica come una parte integrante dell'Ebraismo normativo vincolante provocò più ostilità da parte dei suoi oppositori che qualsiasi formulazione innovativa ed audace della ''Guida''.<ref name="Stroum"/><ref name="MoshHalb"/>
==Prospettiva storica==
[[File:Mishnah Torah.jpg|thumb|150px|left|Frontespizio della ''Mishneh Torah'' (1575)]]
[[File:Guide for the Perplexed by Maimonides.jpg|thumb|150px|right|Frontespizio della ''Guida dei perplessi'']]
Nella lettera al suo discepolo, Maimonide cita i due scopi che aveva quando scrisse la ''Mishneh Torah'' — scopi che rappresentano due grandi trasformazioni che egli cercò di portare a termine nel corso della propria vita: "poiché, come è vero che Dio vive, sono stato zelante a nome del Signore Dio di Israele, vedendo che la nazione mancava di un libro vero e comprensivo delle proprie leggi e difettava di opinioni vere e chiare; così ho fatto ciò che ho fatto solo per amr di Dio" (''Iggerot'', p. 301). Il primo scopo si concentra sulle credenze vere che Maimonide incorpora nella ''Mishneh Torah''. Esse non rispecchiano un tentativo di formulare un denominatore comune più fondamentale della fede ebraica che possa essere selezionato dalla tradizione; sono invece intese a provocare un cambiamento profondo nella religione di Israele.<ref name="MoshHalb"/>
Lo scopo aggiuntivo che cita, "un libro vero e comprensivo delle proprie leggi", rappresenta la seconda trasformazione che Maimonide cercò di ottenere. Come opera che comprendeva tutta la ''halakhah'', esente da dispute controverse e universalmente accessibile, la ''Mishneh Torah'' era intesa a presentare il sistema halakhico una volta per tutte e per sempre. Questa grande impresa letteraria era volta a creare una versione autorevole e unitaria dell'intera sfera halakhica, includendo tutte le sue branche e minuzie. L'autorevolezza del trattato doveva derivare non dalla reputazione istituzionale di Maimonide, di cui difettava, bensì dall'accettazione universale che si aspettava otenesse in tutto il mondo ebraico. Tale accettazione avrebbe concesso al trattato la condizione non solo di rappresentazione primaria e fondamentale della ''halakhah'' ma proprio quella di ''halakhah'' stessa. Maimonide credeva che, a causa delle circostanze politiche di scisma e dispersione subite dagli ebrei, nessun testo o giudizio halakhico aveva ottenuto una tale sorta di approvazione sin dal tempo di Ravina e Rabbi Ashi. Tali circostanze peggiorarono con la distruzione degli ebrei andalusi e, in gran parte, determinò il corso della vita dello stesso Maimonide. Mediante il prestigio della ''Mishneh Torah'', che sarebbe stata accettata in tutto Israele alla stessa maniera del Talmud stesso, Maimonide intendeva alterare la situazione halakhica senza cambiare la situazione politica e la rispettiva preclusione di centralizzazione istituzionale. In tal modo, il popolo ebraico, nonostante la sua dispersione e fragilità politica, avrebbe acquisito un trattato centrale degno di essere stimato non per la sua solida struttura politica ed istituzionale ma esclusivamente per la sua grandezza letteraria.<ref name="MoshHalb"/><ref name="Rapel">Dov Rapel, "Maimonides` Didactic Policy in the ''Mishneh Torah''", ''Mikhtam le-David: Memorial Book for Rabbi David Oaks'', Bar Ilan University Press, 1978, pp. 291-298.</ref>
Nella sua lettera a Pinẖas il Giudice, Maimonide parla dei suoi sforzi nei seguenti termini: "Sono stato preceduto da grandi saggi e studiosi che hanno compilato trattati e promulgato giudizi halakhici sia in ebraico che in arabo su materie ben note. Ma a promulgare giudizi riguardo all'intero Talmud e a tutte le leggi della Torah — in ciò nessuno mi ha preceduto sin dal nostro santo Rabbino [cioè, R. Giuda il Principe, compilatore della Mishnah] ed i suoi santi colleghi" (''Iggerot'', pp. 440-441). In verità, l'impresa di Maimonide eclissa persino la ''Mishnah'' di R. Giuda il Principe, La ''Mishnah'', a differenza della ''Mishneh Torah'', incorpora dissensi e opinioni minoritarie, ed il suo redattore non pare avesse inteso di occuparsi sistematicamente della Torah intera. Mai prima nessun ebreo aveva tentato di provocare due trasformazioni così importanti, una del pensiero ebraico e l'altra della ''halakhah''. Queste trasformazioni erano intese a reinterpretare l'Ebraismo come religione idonea alle sensibilità della religiosità filosofica e a creare una ''halakhah'' unificata ed accessibile che fosse accettata da tutte le comunità ebraiche, ovunque si trovassero. Questo grande profugo dell'Andalusia tentò di compiere queste trasformazioni senza alcun supporto e senza organizzazione o autorità formale; si basò soltanto sulla grande potenza del suo spirito e del suo intelletto.<ref name="Rapel"/><ref name="Stroum"/>
Nel complesso, si può dire che Maimonide non riuscì a provocare le trasformazioni che sperava. La ''Mishneh Torah'' certamente divenne un'opera univocamente importante nella storia della ''halakaha'' ed un'inesauribile fonte di ispirazione per le generazioni di studenti che cercarono di estrarne le sue profonde interpretazioni. Ma il trattato non venne accettato come se fosse la ''halakhah'' stessa, e certamente non alterò fondamentalmente la struttura halakhica frammentaria delle comunità. Sviluppi paralleli nel campo della ''halakhah'' preclusero possibilità di tal genere. Il periodo in cui Maimonide si aspettava che la ''Mishneh Torah'' avesse il suo effetto, fu uno di crescita senza precedenti nella produzione halakhica degli ebrei che vivevano nell'Europa cristiana. I [[w:Tosafisti|Tosafisti]] della Francia settentrionale e gli studiosi di Provenza e, in seguito, di Catalogna allargarono la portata del discorso halakhico e offrirono alternative in ciascuna di quelle aree che Maimonide credeva di aver definito una volta per tutte. Questi personaggi halakhici di rilievo considerarono Maimonide uno di loro, ''inter pares'', sommo halakhista, ma non autorità ultima e finale.<ref name="Rapel"/>
Il concetto basilare della ''halakhah'' nell'ambito delle comunità ebraiche aschenazite era in contrasto, in maniera sostanziale, con le impostazioni maimonidee di unificazione halakhica. Gli halakhisti di queste comunità dirigevano le proprie energie a produrre ''novellae'' in ogni area, diversificando pertanto la ''halakhah'' e ampliandola. Gli studiosi aschenaziti vedevano la ''halakhah'' prima di tutto come una tradizione vivente delle comunità, basata su diverse costumanze ataviche; l'autorità del rabbino, piuttosto che quella del trattato, era centrale nel procedimento di giudizi e sentenze. La ''Mishneh Torah'' veniva reputata la posizione di una persona — importante quanto si voglia, certo, ma non vincolante come opera halakhicha.<ref name="MoshHalb"/>
Le cose erano differenti nel mondo sefardita. Lì, la ''Mishneh Torah'' divenne un testo importante e autorevole, in parte a causa della sua potente influenza sul ''Shulẖan Arukh'', il codice halakhico scritto da R. Joseph Karo nel XVI secolo. Tale influenza è evidente non solo in risoluzioni halakhiche specifiche ma anche in formulazioni che Karo estrasse dalla ''Mishneh Torah'' e nel modello stesso di trattato che organizzava la ''halakhah'' per argomento. Ma anche lo ''Shulẖan Arukh'' non si basava esclusivamente sui giudizi di Maimonide. R. Joseph Karo affermò che le sue decisioni si problemi disputati si basavano su posizioni della maggioranza tra tre studiosi che lo avevano preceduto: R. Isaac Alfasi (il Rif), Maimonide, e R. Asher ben Yeẖiel (Rosh). Maimonide aveva maggior peso nell'organizzazione e formulazione dello ''Shulẖan Arukh'' di quanto non lo avesser il Rif o Rosh, ma quando determinazioni halakhiche specifiche erano necessarie, Maimonide era solo uno tra i tre.<ref name="MoshHalb"/>
Inoltre, da una prospettiva storica a lungo termine, sembra che la ''Mishneh Torah'' in realtà affrettasse l'apparizione di una tendenza che Maimonide evidentemente voleva prevenire. Maimonide credeva che il sua trattato potesse stabilizzare la crescita incontrollata dell'organismo halakhico e alterare la struttura dello studio ebraico, ridirigendolo da un'attenzione esclusiva alla lettera della ''halakhah'' verso una maggiore focalizzazione sul Racconto della Creazione e sul Racconto del Carro. Ironicamente però, l'opera diede un contributo decisivo ad allargare proprio quel discorso che desiderava stabilizzare. Generazioni di studiosi hanno faticosamente sondato le fonti di Maimonide ed il modo in cui interpretò passi talmudici per cercar di risolvere contraddizioni interne alla ''Mishneh Torah''. Il processo è evidente in dozzine di eruditi trattati scritti sulla ''Mishneh Torah'' a tutt'oggi. Lo sforzo di risolvere un passo difficile della ''Mishneh Tora'' — "un Rambam difficile" detto nel gergo della yeashivah — è basilare per l'istruzione di qualsiasi vero o potenziale "genio" talmudico.<ref name="Rapel"/>
Maimonide credeva che il grande ruolo dell'Ebraismo fosse quello di liberare l'uomo dai bisogni basilari, dalle paure, dai desideri e appetiti, e spostarlo verso una dimensione spirituale e intellettuale più alta, dove potesse apparire come creatura totalmente umana. Soprattutto egli disprezzava quell'approccio che vedeva l'Ebrasimo stesso come strumento per realizzare quegli impulsi mondani. Le sue affermazioni polemiche più dure sono dirette contro due bersagli fissi — la personificazione e corporeità di Dio, e il rendere la religione un sistema magico inteso primariamente a mantenere l'uomo e soddisfarne i bisogni. La morsa di questi comportamenti — visti come necessari per la conservazione della vita — ha un'influenza potente sulla società nel suo complesso, e Maimonide capì tale dinamica completamente. Sapeva bene, per esempio, che diversi correligionari della sua sinagoga credevano che in futuro, nel mondo a venire, avrebbero goduto di ricompense materiali per aver studiato la Torah in questo mondo. La loro rinuncia a desideri di base non era altro che una graticiazione differita, sulla premessa che i loro desideri sarebbero stati realizzati postumi. Invece di elevarli a più alti aneliti, la Torah in effetti diventava un mezzo per ottenere un appagamento totale dell'impulso umano al piacere. I tonanti pronunciamenti delle "Leggi del Pentimento" e l'introduzione a ''Pereq Heleq'', in cui Maimonide cercò di estirpare questa immagine del mondo a venire, furono solo un piccolo passo in una battaglia infinita senza speranza. In un certo modo, fu una battaglia che si concluse con la sconfitta; infatti, persino la presunta tomba di Maimonide a Tiberiade è diventata un sito di culto. A coloro che giungono presso la tomba per confessare le proprie pene, non importa assolutamente se Maimonide approvasse o contestasse tale comportamento presso le tombe dei giusti.Per costoro, come per molti altri, la religione è intesa soprattutto ad assicurare la propria sopravvivenza, salute e progenie; il suo ruolo di innalzare l'uomo verso il sublime è secondario. La religione ha sempre avuto un ruolo da giocare nel soddisfare le esigenze basilari dell'uomo. Anche Maimonide credeva che osservare la ''halakhah'' potesse promuovere prosperità, una società ben ordinata, generosità, e salute, ma non pensava che sarebbe stata la causa diretta di tali risultati felici. Li promuoveva invece perché osservare la ''halakhah'' in effetti ne è la relativa propria ricompensa. Ma il suo impegno a presentare l'Ebraismo come religione il cui scopo primario è di elevare l'uomo al livello di esistenza che sta oltre le paure e gli impulsi fondamentali della vita, andava direttamente contro la tendenza opposta, che utilizzava la stessa religione come mezzo per alleviare quelle paure e soddisfare quegli impulsi.<ref name="Rapel"/><ref name="Stroum"/>
La trasformazione spirituale che Maimonide sperava di provocare rimase una voce importante e centrale tra le altre molte che il pensiero ebraico sviluppò nei secoli. Egli lasciò una testimonianza potente per un tipo di impostazione reigiosa che poteva essere una possibile interpretazione dell'Ebraismo: un impegno religioso volto a purificare ed esaltare l'immagine di Dio; a vedere la saggezza divina nella causalità e nella natura; ai comandamenti della Torah quale fonte più grande di ispirazione verso l'esperienza religiosa e la redenzione dell'anima. La reputazione di Maimonide come gigante tra gli halakhisti, insieme alla profondità del suo pensiero, mantennero la visione religiosa da lui creata come una possibilità vera e stimolante, anche se le sue caratteristiche severe tesero a marginalizzarla sulla scena della vita ebraica. Inoltre, anche per coloro che non condividono le prospettive metafisiche e religiose specifiche di Maimonide e non sono influenzati dalla sua impostazione fondamentale, ha lasciato una testimonianza più basilare che riecheggia in tutte le generazioni a lui successive. I perplessi che appaiono dopo la ''Guida'', in altre circostanze storiche e differenti tipi di crisi, hanno imparato da Maimonide che qualunque sia la risoluzione della loro perplessità esistenziale, non devono mai permetterle di precludere il pensiero umano e l'integrità interiore. Tale sorta di autodistruzione è un prezzo che non deve mai esser preteso dal credente; infatti, ne sminuirebbe il suo mondo e comprometterebbe ciò che è umano in esso. Eliminando la distinzione tra esteriore ed interiore, tra ciò che fluisce dalla tradizione interna e ciò che ne è esterno, Maimonide trasformò l'altra voce, quella esteriore, in una potente opportunità di rinnovamento e di più profonda religiosità.<ref name="MoshHalb"/><ref name="Stroum"/>
==Note==
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[[Categoria:Guida maimonidea|Problemi e dottrine]]
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Biografie cristologiche/Spirito e Insegnamento
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[[File:Rembrandt Harmensz. van Rijn 048.jpg|300px|right|Yeshua l'ebreo (di Rembrandt, ca. 1648)]]
{{q|'''''Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?'''''|Matteo 16:24-26}}
L'autorevole annuncio dell'arrivo imminente del Regno da parte di Gesù provocò entusiasmo popolare ed eccitazione durante il suo viaggio a Gerusalemme, e tale entusiasmo popolare è all'origine dell'identificazione di Gesù quale figlio di Davide. Speculazioni e definizioni messianiche si erano moltiplicate in questo periodo — le loro varie permutazioni esoteriche si riscontrano nella letteratura settaria dell'epoca. Tuttavia, la definizione più fondamentale, quella attestata scritturalmente e quindi generalmente disponibile. quella già apparsa nelle [[w:Lettere di Paolo|Lettere di Paolo]], nei Vangeli di Matteo e Luca, nelle devozioni rabbiniche ed anche nella preghiera sinagogale, è l'idea del Messia figlio di Davide. I seguaci più intimi di Gesù, e Gesù stesso, non affermarono mai questo titolo o ruolo per lui. Ma lo affermarono invece le folle che ammaestrò e nutrì. I loro fervore lo portò direttamente alla morte.<ref name="Spirito">Per questa sezione si sono consultate principalmente le seguenti opere: Paula Fredriksen, ''From Jesus to Christ: The Origins of the New Testament Images of Jesus'', Yale University Press, 1988; ''id.'', "Torah Observance and Christianity: The Perspective of Roman Antiquity", ''Modern Theology'', 11.2, 1995, pp. 195-204; Marinus de Jonge, ''Jesus, the Servant Messiah'', Yale University Press, 1991; William Horbury, "The Messianic Associations of 'Son of Man'", ''Journal of Theological Studies'' 36, 1985, pp. 34-55; John Dominic Crosson, ''The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant'', HarperCollins, 2001; N.T. Wright, ''The New Testament and the People of God'', Fortress Press, 1992; [[w:Geza Vermes|Géza Vermès]], ''Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels'', Fortress, 1973; ''id.'', ''The Gospel of Jesus the Jew'', University of Newcastle upon Tyne, 1983; ''id.'', ''Jesus and the World of Judaism'', SCM, 1983; ''id.'', ''The Religion of Jesus the Jew'', Fortress, 1993; James H. Charlesworth, ''Jesus within Judaism'', Doubleday, 1988/2003; James H. Charlesworth (cur.), ''Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism'', Crossroads, 1991.</ref>
==Gesù, Cristianesimo e Storia==
Cosa successe poi? Nella notte del [[w:seder|seder]] (15 [[w:Nisan|Nisan]]; Marco) opuure la notte precedente (14 Nisan; Giovanni), Gesù venne catturato furtivamente, forse da un drappello misto tra guardie del Tempio e soldati romani guidati al luogo dell'imboscata da un discepolo scontento (Gv 18:2,3,12). [[w:Caifa|Caifa]] e Pilato avevano organizzato insieme la faccenda, necessitando di muoversi alla svelta, efficacemente ed in segreto proprio per la ragione specificata dai Vangeli: qualsiasi mossa pubblica contro Gesù avrebbe provocato una sommossa (Mc 14:1-2; per questa stessa ragione, come precauzione, il contingente che va ad eseguire l'arresto è armato). L'eccitazione della folla era aumentata man mano che la [[w:Pesach|Pesach]] si avvicinava, mentre la storia antica della redenzione divina dei figli di Israele dalla loro schiavitù opprimente risuonava della convinzione ora condivisa da molti: ''questa'' era la Pesach della loro redenzione; ''questa'' era l'ora in cui Dio avrebbe rivelato il Suo Messia, redento e ripristinato Israele, eliminato l'ingiustizia, asciugate le lagrime...<ref name="Spirito"/>
A questo punto la cronologia di Marco diventa più drammatica di quella di Giovanni. La transizione notturna dal 14 al 15 Nisan procede con una veloce sequenza di eventi. Al di là dell'eccitazione della folla e delle loro speranze, alla fine del giorno certe cose dovevano essere compiute. Il ''corban Pesach'', l'agnello o capretto per il pasto sacro, doveva esser portato al Tempio, macellato, preparato; le preghiere serali dovevano essere recitate; la storia biblica raccontata e la festa iniziata al calare della notte. Queste procedure necessarie avrebbero creato proprio quel tipo di diversivo che Pilato e Caifa cercavano per attuare il loro piano. A notte tarda, mentre in città alcuni ancora celebravano la festività e altri infine dormivano, i loro soldati trovarono Gesù, che non offrì (come si aspettavano) nessuna resistenza.<ref name="Spirito"/>
Forse Gesù fu portato davanti al Sommo Sacerdote o a suo suocero, sebbene non sia certo. Tra i loro compiti al Tempio e i loro pasti celebratori a casa, questi due avevano già avuto una giornata lunga e faticosa, e inoltre, a quale scopo dovevano aspettare Gesù? Forse Gesù fu brevemente interrogato da Pilato, sebbene anche questo sia alquanto incerto. Non ce n'era ragione. Il suo mandato a morte era già stato firmato proprio dalla folla che lo aveva festeggiato prima, reagendo al suo messaggio di redenzione imminente. I soldati di Pilato avevano i loro ordini e sapevano ciò che dovevano fare.<ref name="Spirito"/>
All'alba la città entro le mura cominciò a destarsi, gradualmente, ed i pellegrini della tendopoli accampati nella valle si sarebbero svegliati. Lentamente all'inizio, poi sempre più rapidamente la notizia si sparse e gruppi di seguaci di Gesù — attoniti? scioccati? addolorati — insieme ai pellegrini cominciarono a dirigersi fuori città, verso una collina appena in periferia, il [[w:Calvario|luogo del Cranio, Golgota]]. E lì videro un uomo che moriva in croce. Gesù di Nazaret. Re dei Giudei. Per quanto lo riguardava, Pilato aveva risolto il problema e la faccenda era chiusa.<ref name="Spirito"/>
===I===
Nei modi che contavano Pilato aveva ragione. Con Gesù morto, la città tornò nella normalità, sotto il suo controllo. Le folle turbolente delle festività pasquali cessarono di agitarsi e aspettarsi l'arrivo del Regno e la rivelazione imminente di Gesù come Suo Messia. Castigati e demoralizzati, si calmarono nuovamente. Il resto della Pesach probabilmente si concluse senza incidenti.
Tuttavia, per i seguaci più intimi di Gesù era diverso. Spaventati dal suo arresto, la maggioranza era scappata. Ciò che successe dopo non lo sappiamo per certo, perché fonti differenti narrano differenti storie: solo le grandi linee sono chiare. Certi che Gesù fosse morto, alcuni membri di questo piccolo gruppo iniziarono a percepire, e poi a proclamare, che Gesù viveva di nuovo. Dio, dissero, l'ha risuscitato dai morti. Ciò che questi discepoli videro o provarono veramente è ora impossibile da dire. Paolo, la cui testimonianza è tarda (circa vent'anni dopo questi fatti) e certamente di seconda mano ("Infatti vi ho prima di tutto trasmesso ciò che ho anch'io ricevuto", 1 Cor. 15:3) insegna che il Cristo Risorto gli apparve in uno ''pneumatikon sōma'' (πνευματικον σωμα), un "corpo spirituale" (1 Cor. 15:44). Sia quello che sia, Paolo insiste che comunque tale corpo ''non'' fosse di carne ed ossa. "Questo vi dico, o fratelli: ''la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio'', né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità" (1 Cor. 15:50). Tradizioni ancora più successive in Luca e Giovanni dicono il contrario: " Guardate le mie mani e i miei piedi," dice in Luca il Cristo Risorto, esortando i suoi discepoli meravigliati di guardargli le ferite ancora presenti, "Sono proprio io! Toccatemi e guardate, perché ''uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che ho io''" (Lc 24:39-40). "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani," ordina il Cristo Risorto di Giovanni a Tommaso che dubita, "stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" (Gv 20:27). A rigor di termini, questi resoconti non ci dicono nulla di Gesù di Nazaret. La sua storia finisce su una croce romana, e queste storie ci offrono ben poco di quello che i discepoli potrebbero aver visto. Scritti considerabilmente dopo i fatti di quella Pasqua, differiscono notevolmente tra di loro.<ref name="GezFre">[[w:Geza Vermes|Géza Vermès]], ''Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels, cit.'', 1973, pp. 192-212; Paula Fredriksen, ''Jesus of Nazaret, King of the Jews'', MacMillan, 2000, pp. 241-259.</ref>
Queste storie delle Risurrezione ci forniscono perlomeno uno sguardo sulle convinzioni dei più stretti discepoli di Gesù, che sono la loro fonte ultima. La risurrezione dei morti era uno degli atti redentivi anticipati dalle tradizioni ebraiche in merito alla Fine dei Giorni, quando Dio avrebbe redento Israele e li avrebbe riportati alla Terra. Se i suoi discepoli credevano di aver visto Gesù risorto — o avessero provato una particolare esperienza, che possiamo interpretarie variamente — allora potevano con tinuare a funzionare nell'ambito del paradigma apocalittico stabilito dalla sua missione.<ref name="GezFre"/>
La risurrezione nell'ambito di forme più tradizionali dell'Ebraismo era stata immaginata come un'esperienza comunitaria, uno degli atti salvifici previsti alla Fine del Mondo. "Io aprirò i vostri sepolcri, vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio," Dio promette nel [[w:Libro di Ezechiele|libro del profeta Ezechiele]], "e vi ricondurrò nel paese d'Israele" (Ez 37:12). "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno," profetizza Daniele (12:2). "Benedetto sei Tu, o Signore," si legge nel testo delle [[w:Amidah|Diciotto Benedizioni]], "Tu che fai rivivere i morti." L'importanza della risurrezione individuale di Gesù per i suoi apostoli fu che annunciasse l'arrivo delle risurrezione generale: Gesù era "la primizia di coloro che sono morti" (1 Cor. 15:20). La sua risurrezione confermava quindi ai suoi seguaci che il Regno, e pertanto la risurrezione di tutti i morti, stesse arrivando; in verità, molto presto. La loro esperienza di questa risurrezione confermava loro l'autorità propria di Gesù e l'autorità del suo messaggio.<ref name="GezFre"/>
Pur tuttavia il Regno non arrivò. Nel frattempo, evidentemente, queste [[w:Apparizioni di Gesù|apparizioni di Risurrezione]] continuarono per un periodo. Paolo elenca una serie di tali epifanie (1 Cor. 15:5-8). Luca chiude il suo Vangelo e apre la sua storia, gli Atti degli Apostoli, con il Cristo Risorto che parla ai discepoli: "Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio" (Atti 1:3). I seguaci più intimi di Gesù — "Cefa, e poi i Dodici" — reagirono a questa esperienza delle apparizioni ritornando a Gerusalemme. Si radunarono in città prevedendo la venuta del Regno? Stavano aspettando, credendo che la risurrezione stessa di Gesù segnalasse l'inizio della Fine? Se fu così, allora la continuazione del tempo alla fine li spinse ad una nuova conclusione, ed ad una differente interpretazione del significato delle risurrezione di Gesù. Ricolmi di energia missionaria profonda, questi discepoli si convinsero che l'apparizione ''definitiva'' del Cristo Risorto sarebbe avvenuta presto, alla sua [[w:Seconda venuta|''Parousia'' (παρουσία)]]. Nel poco tempo che pensavano rimanesse, si dedicarono a diffondere la buona novella, l'[[w:Vangelo|''evangelion'' (εὐαγγέλιον)]] di Gesù, a tutto Israele.<ref name="GezFre"/><ref name="Spirito"/>
Fu in questa fase postrisurrezione, mentre il movimento si diffondeva alle comunità sinagogali lungo la costa e verso la Diaspora, che questi discepoli iniziarono ad incontrare un numero significativo di Gentili simpatizzanti. Ma quanti? Abbastanza, nei tardi anni 40, da motivare gli apostoli riuniti insieme ai capi della comunità cristiana a Gerusalemme di decidere cosa fare di tali Gentili, e come dovevano integrarli nelle ''[[w:Chiesa#Etimologia|ekklēsiai (ἐκκλησίαι)]]'' dei seguaci di Cristo (Gal 2:1-10; per una descrizione differente della stessa assemblea, cfr. Atti 15). Erano questi Gentili più come "timorati di Dio", cioè "giudaizzanti" volontari, e quindi liberi da quasiasi obbligo verso la Torah? O erano più simili a convertiti, quindi "obbligati ad osservare tutta quanta la legge" (Gal 5:3), inclusa la circoncisione dei maschi? La posizione presa da questa assemblea ci fa capire, nuovamente, la misura del continuo impegno apocalittico del movimento ed il bisogno di improvvisazione sociale richiesta dalla loro situazione senza precedenti. Si accordarono che i "Gentili in Cristo" non necessitavano di convertirsi all'Ebraismo: era sufficiente che evitassero l'idolatria ed i relativi peccati. Il solo contesto nell'ambito della tradizione ebraica per tali gentili non pagani era il Regno predicato dai profeti. Questa nuova popolazione cristiana gentile ci fornisce pertanto un'altra misura dell'orientamento apocalittico della prima comunità: il resto del mondo poteva ancor rimanere nella vecchia età, a battersi con le forze delle tenebre e della corruzione, ma coloro che stavano dentro la ''ekklēsia'' vivevano già secondo la nuova età, "guidati dallo Spirito di Dio" (Rom 8:1-39). E come i profeti avevano da tempo previsto, quando il Regnio sarebbe giunto — ed in un certo senso area già giunto per queste comunità i cui membri facevano miracoli e profetizzavano, i cui gentili rinunciavano volontariamente alle proprie fedi religiose d'origine per rendere testimonianza solo al Dio d'Israele — Dio avrebbe radunato non solo Israele, redento dal peccato, ma anche le nazioni, redente infine dalla schiavitù degli dei falsi. Ecco quindi che Paolo dice ai suoi gentili di Galazia (notare il tempo dei suoi verbi): "Allora, non conoscendo Dio, servivate a coloro che per natura non sono dèi; ora invece ''avete conosciuto'' Dio" (Gal 4:8-9).<ref name="GezFre"/><ref name="Cross">John Dominic Crossan, ''Jesus: A Revolutionary Biography'', Harper, 1994, pp. 123-158, 197; Bruce Chilton, ''Judaic Approaches to the Gospels'', Scholar Press, 1994, pp. 48-60; John G. Gager, ''Kingdom and Community'', Prentice Hall, 1975, pp. 101-129.</ref>
La convinzione dei discepoli di aver visto il Cristo Risorto, la loro rilocazione permanente a Gerusalemme, la loro inclusione per principio dei gentili ''in quanto'' gentili — tutto ciò è base storica, fatti noti oltre ogni dubbio circa la primissima comunità dopo la morte di Gesù. Seguono uno schema. Ogni fatto segna un punto lungo l'arco della speranza apocalittica che passa da [[w:Daniele (profeta)|Daniele]] a Paolo, dai [[w:Rotoli del Mar Morto|Rotoli del Mar Morto]] alle [[w:Amidah|Diciotto Benedizioni]] della sinagoga, dai profeti del canone ebraico al [[w:Apocalisse di Giovanni|Libro della Rivelazione]], che conclude il Nuovo Testamento: la convinzione che Dio è buono; che è al controllo della storia; che non permetterà il male indefinitivamente. Tutti i temi numerosi e vari in tutti questi scritti differenti si riuniscono intorno a questa fede fondamentale che, alla Fine, Dio prevarrà sul male, ripristinando e redimendo la Sua creazione.<ref name="Cross"/>
Si possono anche collocare lungo questo arco profeti particolari dell'imminente Regno di Dio: [[w:Giovanni Battista|Giovanni il Battista]], [[w:Teuda|Teuda]], l'Egiziano, i profeti dei segni riportati da [[w:Flavio Giuseppe|Flavio Giuseppe]]. E, naturalmente, Gesù di Nazaret, i cui discepoli, dopo la sua morte, proclamarono il Cristo. La forma di tale proclamazione ci rivela la potenza in questo periodo delle tradizioni specificamente messianiche in merito all'arrivo del Regno. La loro esperienza della risurrezione di Gesù non richiedette che i suoi discepoli gli assegnassero l'importante titolo di "Cristo", o che collegassero la loro credenza nell'imminente compimento del suo messaggio del Regno con un'aspettativa del suo ritorno. Ma lo fecero. La [[w:Seconda venuta|''Seconda'' Venuta di Gesù]] — il contributo singolare del Cristianesimo alla varietà delle aspettative messianiche dell'Ebraismo del [[w:Secondo Tempio|Secondo Tempio]] — risuona precisamente col paradigma davidico: al suono di trombe, a capo di schiere angeliche, sconfiggendo le potenze del male, il Cristo Risorto sarebbe ritornato come guerriero.<ref name="Cross"/>
Furono le folle riunite per la [[w:Pesach|Pesach]] a Gerusalemme, e non questi associati intimi di Gesù, che proclamarono per prime Gesù messia.<ref name="GezFre"/> Lo fecero in parte perché furono prese dall'entusiasmo per questo messaggio autorevole che il Regno stesse arrivando: il Regno sarebbe stato accompagnato dal Figlio di Davide. E lo fecero proprio perché ''non'' lo conoscevano. A differenza di coloro che facevano parte del gruppo ristretto che l'avevano seguito durante la sua missione, e quindi sapevano benissimo quanto Gesù fosse lontano dall'essere un qualsiasi candidato messianico, questi pellegrini non avevano altro contesto per Gesù se non quello in cui l'avevano incontrato per la prima volta: durante la festa di pellegrinaggio nella città di Davide a Pasqua, in tutta l'euforia, gli addobbi e la rievocazione della festività che commemorava la liberazione e redenzione del loro popolo. Il loro entusiasmo per Gesù e per il suo messaggio lo portò direttamente alla morte in croce.<ref name="Cross"/>
La crocifissione di Gesù quale Re dei Giudei fu unn trauma per i suoi seguaci più intimi. Anche le loro esperienze della sua presenza continuativa dopo la morte, secondo l'evidenza dei Vangeli, li sorprese. Cercando di capire cosa stavano provando, si rivolsero alla Scrittura. Lì vi trovarono vari modi di comprendere il loro maestro. Le Lettere di Paolo, i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, e gli altri scritti che alla fine formarono il Nuovo Testamento — tutti registrano le meditazioni creative di questa prima generazione apostolica e di quei credenti che entrarono a far parte della comunità dopo di loro. In questi testi Gesù appare ancora come i suoi primi seguaci lo avevano percepito durante la sua missione: un vero profeta, incaricato da Dio. Attraverso Isaia, videro Gesù come il Servo Sofferente di Dio: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità... Il Signore ha fatto ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti" (Is 53:5-6). Il linguaggio di Levitico offrì immagini di sacrificio sull'altare di Dio: Gesù pertanto poteva essere compreso come un sacrificio, un ''[[w:Korban|corban]]'': "Ecco l'Agnello di Dio!" (Gv 1:36). Era il Figlio dell'Uomo che appariva alla Fine dell'Età, prima soffrendo, ma poi che sarebbe ritornato sulle nubi del cielo. "A lui fu dato dominio, gloria e regno... Il suo regno è tale che non sarà mai distrutto" (Daniele 7:14; Marco 13:26). Ed egli era l'unto di Dio, fautore del Regno, il Suo messia. Quest'ultima designazione nacque specificamente dagli eventi che scaturirono alla Pasqua finale dei discepoli con Gesù — il clamore giubilante del popolo, la terribile esecuzione come Re dei Giudei. Tuttavia la loro esperienza della risurrezione di Gesù mise tutti questi eventi in una nuova luce. Nella retrospettiva del dopo-Risurrezione dei seguaci intimi di Gesù, "messia" — modificato variamente in base a questa retrospettiva — venne a rappresentare il titolo più adatto di tutti.<ref>[http://books.google.co.uk/books/about/Jesus_the_Servant_Messiah.html?id=v8OFQgAACAAJ&redir_esc=y Marinus Jonge, ''Jesus, the Servant-Messiah''], Yale University Press, 1991, pp. 67-73 e segg.; William Horbury, "The Messianic Associations of 'Son of Man'", ''Journal of Theological Studies'' 36, 1985, pp. 34-55.</ref>
===II===
Il Gesù presentato in questa ricostruzione è un profeta che predicava l'arrivo apocalittico del Regno di Dio. Il suo messaggio combacia sia con quello del suo predecessore e mentore, Giovanni il Battista, e sia con quello del movimento che sorse in suo nome. Questo Gesù ''non'' è primariamente un riformatore sociale con un messaggio rivoluzionario; né è un innovatore religioso che ridefinisce radicalmente le idee tradizionali e le pratiche della sua religione d'origine. Il suo messaggio urgente non aveva in vista tanto il presente quanto il futuro immediato. Inoltre, ciò che distingue il messaggio profetico di Gesù da quello degli altri fu innanzi tutto il suo programma temporale, e non il suo contenuto. Come fece Giovanni il Battista, egli enfatizzò la propria autorità di annunciare l'arrivo del Regno; come Teuda, l'Egiziano, i profeti dei segni, e di nuovo come il Battista, Gesù si aspettava il suo arrivo prossimo. Ma la vivida convinzione dei suoi seguaci, anche decine d'anni dopo la Crocifissione, insieme al fenomeno senza precedenti della missione a Israele e l'inclusione dei gentili, indica che Gesùaveva anticipato il programma del Regno da ''presto'' a ''subito''. Annunciando il giorno o la data dell'arrivo del Regno, forse anche per quella stessa Pasqua che divenne la sua ultima, Gesù galvanizzò le folle radunate a Gerusalemme che non erano abituate alla sua missione — cioè al suo tenore pacifista, la sua enfasi sull'azione divina piuttosto che quella umana — e che osannando all'arrivo del Regno lo proclamarono Figlio di Davide e Messia. Fu questa miscela esplosiva di fattori — l'eccitata acclamazione popolare, a Gerusalemme durante il festival di pellegrinaggio più densamente affollato dell'anno, quando Pilato era in città a tener d'occhio la folla — e ''non'' il suo insegnamento di per sé, né i suoi argomenti con altri ebrei sul significato dello Shabbat, del Tempio, della purezza, o di qualsiasi altro aspetto della Torah, che portò direttamente all'esecuzione di Gesù come Re dei Giudei.<ref name="Brown">Raymond E. Brown, ''The Death of the Messiah'', 2 voll., Doubleday, 1994, ''passim''; Fergus Millar, "Reflections of the Trial of Jesus", in ''A Tribute to Geza Vermes'', cur. da Philip R. Davies & Richard T. White, University of Sheffield Press, 1990, pp. 355-381.</ref>
Infine, un Gesù il cui itinerario è descritto primariamente non dai Sinottici ma da Giovanni — un Gesù, cioè, la cui missione si estendendeva regolarmente non solo alla Galilea ma anche alla Giudea e specialmente a Gerusalemme — può essere connesso all'anomalia che egli solo fosse ucciso come rivoluzionario in quella Pasqua, ma nessuno dei suoi discepoli seguirono la sua stessa sorte. Una ripetuta missione a Gerusalemme, specialmente durante le festività di pelligrinaggio quando anche il prefetto, di necessità, si trovava là, spiega come Caifa e Pilato sapessero già che fosse Gesù e cosa predicasse, e quindi sapesse anche che non fosse un pericolo di prim'ordine. Proprio come l'entusiasmo della folla per Gesù acclamato come messia spiega la maniera specifica della sua morte, così il duplice concentrarsi di Gesù — su Giudea, specialmente Gerusalemme intorno al Tempio, come anche la Galilea — spiega la familiarità del sommo sacerdote e del prefetto riguardo alla sua missione, e quindi chiarisce il perché Gesù fosse il solo centro della loro azione.<ref name="Brown"/><ref name="Boteach">[[w:Shmuley Boteach|Shmuley Boteach]], ''Kosher Jesus'', Gefen Publishin House, 2012, II Parte, pp.65-131.</ref>
Questioni essenziali rimangono tuttavia irrisolte. Perché Gesù rispose alla chiamata di pentimento e purificazione di Giovanni il Battista a fronte dell'imminente Regno? Perché i suoi discepoli più stretti, a loro volta, assunsero tale impegno a seguirlo? Perché il suo messaggio apocalittico fu così impellente? Perché i suoi discepoli, unici tra coloro che seguivano figure profetiche carismatiche di questo periodo, affermarono che Gesù era risorto dai morti? Perché infine dedussero da tale esperienza che dovevano continuare la missione di Gesù, estendendola a tutta la [[w:Diaspora ebraica|Diaspora]]? Qui la natura esplicativa dell'indagine storica deve lasciare il posto alla nostra ignoranza ed alle sue proprie limitazioni. Alla fine, la storia stessa è più descrittiva di un'impresa esplicativa. Si basa più su una narrazione coerente che su porpostizioni strettamente comprovabili. Mentre la ricostruzione di una sequenza di eventi permette, anzi invita, a speculare sui collegamenti causali tra di loro, la storia non offre tanto le spiegazioni quanto una descrizione dettagliata di tipo particolare. Non possiamo sperare di misurare la verità di una proposizione storica con la certezza derivante da un test o prova di un'ipotesi sperimentale nelle scienze empiriche. Nessuna ricostruzione storica può essere ''provata'' come vera. Nel migliore dei casi, una volta che l'interpretazione ha elaborato tutta l'evidenza disponibile in un modello significativo, coerente e plausibile, ciò che può fare è persuadere.<ref name="Spirito"/>
L'attuale abbondanza di opere sul Gesù storico riflette le confusioni di narrazioni interpretative antagonistiche. Il profeta apocalittico di uno storico diventa il riformatore sociale radicale di un altro storico, ed il devoto [[w:chassid|chassid]] individualista di un altro, e il critico politico di un altro ancora, ed il saggio cinico di un altro, e così via. Ma tutte la narrazioni non sono create uguali, e le ragioni per scegliere tra di loro, per decidere quale è convincente, non sono arbitrarie. Ciò accade perché, anche se il centro di una narrazione storica è un individuo, tale individuo, che sia Gesù o qualcun altro, visse in un contesto sociale. Questo contesto sociale è il punto critico dello storico. Ciò significa che la ricerca del Gesù storico deve necessariamente essere anche una ricerca del pubblico del primo secolo. Questo potrebbe creare problemi: dopo tutto, se Gesù sembra un soggetto elusivo, coloro che lo ascoltarono lo sembrano ancora di più. Almeno abbiamo dei documenti che parlano di lui; mentre invece, in confronto, abbiamo ben poco degli altri. Tuttavia, riflettendoci, tutte le informazioni delle nostre fonti in verità parlano più direttamente di loro che di lui, poiché Gesù non ci ha lasciato scritti. La Lettere di Paolo, i Vangeli — e, da una prospettiva esterna, Flavio Giuseppe — testimoniano meno di Gesù direttamente che dell'effetto che Gesù ebbe sugli altri. Questi documenti antichi pertanto devono essere letti con l;impegno non solo di ricostruire detti altri ma anche di ricostruire Gesù. È questo nugolo di testimoni — il pubblico anonimo di Gesù; i suoi discepoli; i suoi simpatizzanti, ed i suoi oppositori — che forniscono un punto d'appoggio nel vortice di ricostruzioni storiche in competizione. Il primo scopo dello storico è di trovare un Gesù del primo secolo la cui missione abbia senso per i suoi ascoltatori ebrei contemporanei del primo secolo. Fu su questa intelligibilità fondamentale che dipese tutto il resto della storia del Cristianesimo.<ref name="Spirito"/><ref name="Cross"/><ref name="Dale">Dale C. Allison, ''Jesus of Nazareth: Millenarian Prophet'', Fortress Press, 1998, pp. 44-50; Paula Fredriksen, "What You See Is What You Get: Context and Content in Current Research on the Historical Jesus", ''Theology Today'' 52, 1995, pp. 79-97.</ref>
L'impresa di collocare Gesù coerentemente nell'ambito del suo ambiente natio del primo secolo è assistita da un certo numero di fatti indiscutibili che sono serviti come fondamento di questa ricostruzione: il suo incontro con Giovanni il Battista, il suo seguito popolare, la sua proclamazione del Regno di Dio, la sua crocifissione da parte di Pilato a Gerusalemme, la sopravvivenza dei suoi seguaci più intimi che sostennero la sua proclamazione del Regno mentre identificavano Gesù come il Cristo, risorto dai morti, estendendo la missione dalla sua matrice ebraica ad includere anche i gentili. Nessuna ricostruzione del Gesù storico convince se non riesce anche ad accettare significativamente questa serie di fatti. Tali fatti — alcuni corroborati da fonti esterne — provengono principalmente da scritti del protocristianesimo. ''Tutti'' questi testi sono scritti da una prospettiva post-risurrezione, che a sua volta riflette reminescenze storiche relative. Eccetto Paolo, tutti gli altri autori cristiani scrivono sapendo che il Tempio di Gerusalemme non esisteva più. Questa conoscenza, non meno della loro fede in Gesù, incide su come raccontano le loro rispettive storie su di lui. L'approccio ad un'approssimazione credibile della figura storica di Gesù di Nazaret si basa su tali storie, attraversate e in effetti, mediante una conoscenza critica del contesto di Gesù, corrette da questi successivi punti di vista.<ref name="Corrobora">Paula Fredriksen, ''Jesus of Nazareth, cit.'', pp. 265-270; Sean Freyne, ''Galilee, Jesus and the Gospels: Literary Approaches and Historical Investigations'', Fortress Press, 1998, pp. 89-102; [http://books.google.co.uk/books/about/Sociology_and_the_Jesus_Movement.html?id=14nYAAAAMAAJ Richard A. Horsley, ''Sociology and the Jesus Movement''], Continuum, 1994, ''passim''; [https://books.google.co.uk/books?id=IJP4DRCVaUMC&source=gbs_navlinks_s Mark Allan Powell, ''Jesus as a Figure in History: How Modern Historians View the Man from Galilee''], Westminster John Knox Press, 1998, pp. 51-64, 167 e segg.</ref>
Alla fine, la persona che cerchiamo si erge con la schiena rivoltata verso di noi, il volto verso gli altri della sua generazione — poiché Gesù di Nazaret, come qualsiasi altra persona, visse intatto e interamente dentro la sua propria cultura ed epoca, ignaro di cosa gli riservasse il futuro. E mentre egli ed il suo messaggio si connettono alle varie forme di Cristianesimo che in definitva risultarono dalla sua missione, la loro interpretazione di Gesù come il Cristo non sono identiche né alle sue personali convinzioni religiose, né tra di loro. La figura storica di Gesù sta certamente al punto iniziale delle successive interpretazioni cristiane: per tale ragione, una valutazione accurata del suo vero contesto storico non ha importanza per la teologia. Ma cattiva storia produce cattiva teologia. La corrispondenza tra il Gesù storico e le successive confessioni cristiane di fede su di lui è indiretta piuttosto che diretta, limitata piuttosto che immediata.<ref name="Corrobora"/>
Gli evangelisti stessi dimostrano questo punto ampiamente. Il Gesù "storico" — cioè, Gesù come se lo immaginavano in vita, tra i suoi contemporanei — era il loro punto focale comune. Ma ciascuno lo vedeva dalla prospettiva del proprio tempo e luogo che, sebbene venti secoli più vicino a loro del nostro secolo, influiva inevitabilmente sulla loro visione. Attraverso le loro varie interpretazioni gli evangelisti "aggiornarono" Gesù, portandolo nei loro ambienti storici e politici — dopo il Tempio, antifarisei, misti ebraico-gentili. Marco organizzò e quindi interpretò tradizioni precedenti. Matteo redasse e incrementò Marco. Stessa cosa fece Luca, sebbene differentemente. Giovanni è notevolmente differente da questi altri tre. Se consideriamo la gamma dei Vangeli noncanonici successivi — il [[w:Vangelo di Tommaso|Vangelo di Tommaso]]; il [[w:Vangelo di Pietro|Vangelo di Pietro]]; il [[w:Vangelo greco degli Egiziani|Vangelo degli Egiziani]], a altri ancora — queste differenze di interpretazioni si moltiplicano. Sebbene ogni Vangelo riporti storie ed insegnamenti che chiaramemte sono variazioni di un tema comune, ciononostante ogni evangelista in un certo senso crea e presenta il proprio Gesù, uno che serve a stabilire e quindi legittimizzare le credenze e le pratiche della susseguente comunità propria di quel dato evangelista.<ref name="Corrobora"/><ref name="Dale"/>
Il compito dell'attuale [[w:Ricerca del Gesù storico|ricerca del Gesù storico]] è fondamentalmente diversa, ed i suoi punti di principio lo distinguono sia dalla teologia antica che da quella moderna. Una costruzione teologica di Gesù può appropriatamente tentare di relazionare questa figura fondazionale alle preoccupazioni e tradizioni della comunità moderna dei credenti. Ne risulteranno tante interpretazioni teologiche quante ce ne sono confessioni — cattolici, greco-ortodossi, pentecostali, battisti, presbiteriani, e così via. Lo scopo di tale sforzo è di scoprire cosa ''significhi'' Gesù per coloro che professano la fede in lui, nell'ambito di una data chiesa confessionale. Ma una costruzione storica di Gesù cerca quello che Gesù ''significò'' per coloro che lo seguirono nel corso della loro propria vita, e della sua. In linea di massima funziona in direzione opposta, non inserendo Gesù in un contesto moderno ma ponendolo, il più coerentemente e convincentemente possibile, nel suo proprio. Tale impostazione deve rispettare la distanza tra ora e allora, tra le sue preoccupazioni e responsabilità e le nostre. Il Gesù di Nazaret storico non può né potrà mai essere nostro contemporaneo. Vestirlo di indumenti mutuati da contingenze attuali asserendo che tali contingenze in verità furono le sue, distorce soltanto e quindi oscura chi egli fosse.<ref name="Dale"/>
Se credenti d'oggi cercano un Gesù che sia intelligibile moralmente e pertinente religiosamente, allora sta a costoro la responsabilità di svolgere l'opera necessaria per ottenere una ''rilettura'' creativa e responsabile. Tale progetto non è però storico (la costruzione critica di una figura antica) ma teologico (la generazione di un significato contemporaneo nell'ambito di comunità religiose particolari). E ne risultano inevitabilmente affermazioni teologiche multiple e conflittuali, che variano tanto quante sono le diffferenti comunità che le sostengono. Tuttavia questa ''re''interpretazione teologica non deve essere scambiata erroneamente per una descrizione storica, né presentata come tale. Per considerare Gesù storicamente bisogna liberarlo dall'asservire gli interessi moderni o le identità confessionali. Ciò significa rispettare la sua integrità come persona reale, soggetto a convinzioni appassionate e conseguenze inaspettate, sorpreso da avvenimenti improvvisi ed ignaro come tanti del futuro. Significa concedergli l'alterità irriducibile della propria antichità, la singolarità che Albert Schweitzer catturò nella sua poetica descrizione conclusiva: "Ci viene incontro come Uno sconosciuto, senza nome, per via antica, presso il lago."<ref>[http://books.google.co.uk/books/about/The_Quest_of_the_Historical_Jesus.html?id=dcWZBgAAQBAJ&redir_esc=y Albert Schweitzer, ''The Quest for the Historical Jesus''], Philosophical Library/Open Road, 2015, ''s.v.''</ref> È quando rinunciamo alla familiarità falsa dell'Anacronismo e dell'Interesse che vediamo Gesù, i suoi contemporanei e forse anche noi stessi, più chiaramente nella nostra umanità comune.<ref name="Spirito"/><ref name="Corrobora"/>
==Note==
{{Biografie cristologiche}}
<references/>
{{Avanzamento|100%|7 aprile 2015}}
[[Categoria:Biografie cristologiche|Spirito e Insegnamento]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Toscana/Provincia di Lucca/Camaiore/Camaiore - Chiesa di San Pietro
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397840
2022-07-24T16:29:29Z
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text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
[[File:Camaiore - S. Pietro - organo Mascioni.jpg|350px|Camaiore - S. Pietro - organo Mascioni]]
* '''Costruttore:''' Mascioni (''Opus 1130'')
* '''Anno:''' 1995
* '''Restauri/modifiche:''' no
* '''Registri:''' 32
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica
* '''Consolle:''' a finestra
* '''Tastiere:''' 3 di 54 note (''Do<small>1</small>''-''Fa<small>5</small>'')
* '''Pedaliera:''' dritta di 32 note (''Do<small>1</small>''-''Fa<small>3</small>'')
* '''Collocazione:''' a pavimento, in fondo alla navata laterale di destra
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="10" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''I - ''Grand'Organo'''''
----
|-
|Bordone || 16'
|-
|Principale || 8'
|-
|Flauto cuspide || 8'
|-
|Viola da gamba || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Flauto conico || 4'
|-
|Quinta || 3'
|-
|Ottava || 2'
|-
|Mistura 4 file
|-
|Cimbalo 2 file
|-
|Sesquialtera 2 file || 2.2/3'
|-
|Tromba || 8'
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''II - ''Positivo aperto'''''
----
|-
|Bordone || 8'
|-
|Quintadena || 8'
|-
|Principale || 4'
|-
|Flauto camino || 4'
|-
|Nazardo || 3'
|-
|Ottava || 2'
|-
|Terza || 1.3/5'
|-
|Ripieno 3 file || 1'
|-
|Cromorno || 8'
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''III - ''Organo piccolo'''''
----
|-
|Bordone || 8'
|-
|Flauto || 4'
|-
|Flautino || 2'
|-
|Quinta || 1.1/3'
|-
|Voci bianche || 8'
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Pedale'''
----
|-
|Subbasso || 16'
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Ripieno 4 file || 2.2/3'
|-
|Bombarda || 16'
|-
|Trombone || 8'
|-
|}
|}
== Altri progetti ==
{{interprogetto|w=Badia di Camaiore|w_preposizione=sulla|etichetta=badia di Camaiore}}
== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|url=http://www.mascioni-organs.com/databnuovi/1130.pdf|titolo=Camaiore - Chiesa della Badia - Op. 1130 - Anno 1995|editore=mascioni-organs.com}}
{{Avanzamento|25%|14 maggio 2015}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lazio/Provincia di Frosinone/Settefrati/Settefrati - Chiesa di Santo Stefano
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398618
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text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
* '''Costruttore:''' Eligio Bevilacqua
* '''Anno:''' 2009<ref>inaugurato il 13 agosto 2009.</ref>
* '''Restauri/modifiche:''' no
* '''Registri:''' 24 (14 reali, 4 prolungati, 3 trasmessi, 1 derivati, 1 in parte derivato, 1 combinato)
* '''Canne:''' 1122
* '''Trasmissione:''' elettrica
* '''Consolle:''' mobile indipendente, a pavimento nell'aula
* '''Tastiere:''' 2 di 61 note ciascuna (''Do<small>1</small>''-''Do<small>6</small>'')
* '''Pedaliera:''' concavo-radiale di 32 note (''Do<small>1</small>''-''Sol<small>3</small>'')
* '''Collocazione:''' il ''Grand'Organo'' e il ''Pedale'' in corpo unico sulla cantoria in controfacciata; l<nowiki>'</nowiki>''Espressivo'' in due corpi contrapposti lungo le pareti laterali della seconda cappella di sinistra.
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''I - ''Grand'Organo'''''
----
|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
|Flauto a camino || 8'
|-
|Decimaquinta || 2'
|-
|Decimanona || 1.1/3'
|-
|Ripieno || 3 file
|-
|Voce umana || 8'
|-
|Tromba || 8'
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''II - ''Espressivo'''''
----
|-
|Bordone || 8'<ref>''Do<small>1</small>''-''Sol<small>3</small>'' in derivazione dal Pedale, reale da ''Sol#<small>3</small>''.</ref>
|-
|Flauto || 4'
|-
|Flaugeolet || 2'<ref>prolungato dal registro ''Flauto 4<nowiki>'</nowiki>''.</ref>
|-
|Nazardo || 2.2/3'
|-
|Terza || 1.3/5'<ref>prolungato dal registro ''Nazardo 2.2/3<nowiki>'</nowiki>''.</ref>
|-
|Viola || 8'
|-
|Violino || 4'<ref>prolungato dal registro ''Viola 8<nowiki>'</nowiki>''.</ref>
|-
|Voce celeste || 8'<ref>1 fila.</ref>
|-
|Oboe || 8'
|-
|Cimbalo || 2 file
|-
|Cornetto combinato
|-
|Tremolo
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Pedale'''
----
|-
|Subbasso || 16'
|-
|Bordone || 8'<ref>prolungato dal registro ''Subbasso 16<nowiki>'</nowiki>''.</ref>
|-
|Flauto || 4'<ref>derivato dall<nowiki>'</nowiki>''Espressivo''.</ref>
|-
|Tromba || 8'<ref>derivato dal ''Grand'Organo''.</ref>
|-
|Chiarina || 4'<ref>prolungato dal registro ''Tromba 8<nowiki>'</nowiki>''.</ref>
|-
|}
|}
== Note ==
<references/>
== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|url=http://www.settefrati.net/organosettefrati.htm|titolo=Il nuovo organo a Settefrati|sito=settefrati.net|accesso=13 novembre 2015}}
* {{cita web|url=http://www.settefrati.net/organosantostefano.htm|titolo=Acquista una canna d'organo per la chiesa di S.Stefano - Settefrati|editore=settefrati.net|accesso=13 novembre 2015}}
{{Avanzamento|100%|13 novembre 2015}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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2022-07-24T18:48:46Z
Momimariani1962
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wikitext
text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
{{Doppia immagine|center|Settefrati S.Stefano-organo Bevilacqua.jpg|300|Settefrati S.Stefano-consolle organo Bevilacqua.jpg|300|}}
* '''Costruttore:''' Eligio Bevilacqua
* '''Anno:''' 2009<ref>inaugurato il 13 agosto 2009.</ref>
* '''Restauri/modifiche:''' no
* '''Registri:''' 24 (14 reali, 4 prolungati, 3 trasmessi, 1 derivati, 1 in parte derivato, 1 combinato)
* '''Canne:''' 1122
* '''Trasmissione:''' elettrica
* '''Consolle:''' mobile indipendente, a pavimento nell'aula
* '''Tastiere:''' 2 di 61 note ciascuna (''Do<small>1</small>''-''Do<small>6</small>'')
* '''Pedaliera:''' concavo-radiale di 32 note (''Do<small>1</small>''-''Sol<small>3</small>'')
* '''Collocazione:''' il ''Grand'Organo'' e il ''Pedale'' in corpo unico sulla cantoria in controfacciata; l<nowiki>'</nowiki>''Espressivo'' in due corpi contrapposti lungo le pareti laterali della seconda cappella di sinistra.
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| colspan=2 | '''I - ''Grand'Organo'''''
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|-
|Principale || 8'
|-
|Ottava || 4'
|-
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|Decimaquinta || 2'
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|Decimanona || 1.1/3'
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|-
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| colspan=2 | '''II - ''Espressivo'''''
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|Oboe || 8'
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== Note ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|url=http://www.settefrati.net/organosettefrati.htm|titolo=Il nuovo organo a Settefrati|sito=settefrati.net|accesso=13 novembre 2015}}
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{{Avanzamento|100%|24 luglio 2022}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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<div class="usermessage" style="background-color:aqua; height: 120px; text-align:center; font-size: large; line-height: 35px;"><font size=6>'''SCRIVO LIBRI CHE MI AIUTANO A PENSARE'''</font><br/>
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== WIKIBOOKS COMPLETATI E IN CANTIERE ==
<small><div style="color:#990000;">''('''Wikibooks completed and in progress''')''</div></small>
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|-
! Numero d'ordine !![[File:Wikibooks-logo.svg|20px]] '''MIEI WIKIBOOKS''' [[File:Wikibooks-logo.svg|20px]]!! Stage
|-
| 1 || [[Identità e letteratura nell'ebraismo del XX secolo]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|gennaio 2015|breve}}
|-
| 2 || [[Guida maimonidea]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2014|breve}}
|-
| 3<br/><small>''(supplemento al nr. 2)''</small> || [[La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah]]
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| 4 || [[Antologia ebraica]]
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| 5 || [[Biografie cristologiche]] ''(Nr. 1 della [[Serie cristologica]])''
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| 6 || [[L'invenzione della scienza|L'invenzione della scienza (ovvero "La laguna aristotelica")]]
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|-
| 7 || [[Torah per sempre]]
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| 8 || [[Noli me tangere]] ''(Nr. 2 della [[Serie cristologica]])''
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| 9 || [[Non c'è alcun altro]]
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|-
| 10 || [[Leonardo da Vinci|Leonardo da Vinci - L'espressione del genio]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|settembre 2019|breve}}
|-
| 11 || [[Un fico secco|Un fico secco - La maledizione e il giudizio]] ''(Nr. 3 della [[Serie cristologica]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|settembre 2019|breve}}
|-
| 12 || [[Infinità e generi|Infinità e generi - L'esistenza dei generi letterari]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
|-
| 13 || [[Virtù e legge naturale|Virtù e legge naturale - Connessioni morali ed epistemologiche nell'ebraismo]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
|-
| 14 || [[Noia e attività solitarie]] — ''(Nr.4 della [[Serie dei sentimenti]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
|-
| 15 || [[Valore della storia|Il valore della Storia - Formati storici e modelli alternativi]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
|-
| 16 || [[Iconografia intellettuale|Iconografia intellettuale - Filosofi antichi e moderni nelle immagini]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
|-
| 17 || [[Filosofia dell'amore]] — ''(Nr.1 della [[Serie dei sentimenti]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
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| 18 || [[Essenza trascendente della santità|Santità - L'essenza trascendente della santità]]
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|ottobre 2019|breve}}
|-
| 19 || [[Pensare Maimonide]] — Raccolta di saggi ''(Nr. 8 della [[Serie maimonidea]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|dicembre 2019|breve}}
|-
| 20 || [[Ecco l'uomo]] — Gesù da una prospettiva ebraica ''(Nr. 4 della [[Serie cristologica]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|novembre 2019|breve}}
|-
| 21 || [[Ragionamento sull'assurdo]] — L'assurdità della vita e il Mito di Sisifo ''(Nr.5 della [[Serie dei sentimenti]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|novembre 2019|breve}}
|-
| 22 || [[Emozioni e percezioni]] — Consapevolezza, memoria, sentimenti e flussi di coscienza ''(Nr.2 della [[Serie dei sentimenti]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|dicembre 2019|breve}}
|-
| 23 || [[Bellezza naturale]] — La semplice verità: la bellezza della natura migliora la vita ''(Nr.3 della [[Serie dei sentimenti]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|dicembre 2019|breve}}
|-
| 24 || [[Filosofia dell'amicizia]] — ''(Nr.6 della [[Serie dei sentimenti]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|dicembre 2019|breve}}
|-
| 25 || [[Thomas Bernhard]] — Monografia poliedrica sullo scrittore austriaco
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|-
| 26 || [[Ebrei e Gentili]] — Ebrei e non ebrei secondo Maimonide
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|-
| 27 || [[Interpretazione e scrittura dell'Olocausto]] — Narrazioni drammatiche e storiche di una catastrofe
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| 28<br/><small>''(supplemento al nr. 25)''</small> || [[La prosa ultima di Thomas Bernhard]] — Comunicazione e speranza di felicità
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|-
| 29 || [[Eli Eli Lama Sabachthani]]? — Ester e Gesù invocano Dio con lo stesso Salmo ''(Nr. 5 della [[Serie cristologica]])''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|maggio 2020|breve}}
|-
| 30 || [[Franz Kafka e la metamorfosi ebraica]] — Kafka e crisi d'identità: ''Metamorfosi'' come reazione all'antisemitismo europeo di fine secolo
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|maggio 2020|breve}}
|-
| 31 || [[Le strutture basilari del pensiero ebraico]] — Maimonide, Nieto, Luzzatto e i cinque criteri del ricostruzionismo sociale
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|giugno 2020|breve}}
|-
| 32 || [[L'Impressionismo di Ernest Hemingway]] — Impressionismo come indicatore critico nella valutazione dello stile letterario hemingueiano
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|maggio 2020|breve}}
|-
| 33 || [[Embricazione del trauma in Hemingway]] — Studio della progressione narrativa di Ernest Hemingway in ''Across the River and into the Trees'': testimonianza di un trauma post-bellico
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|giugno 2020|breve}}
|-
| 34 || [[Chaim Potok e lo scontro culturale]] — Figli d'Israele: la figura di Giacobbe come tema nei romanzi di Chaim Potok
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|giugno 2020|breve}}
|-
| 35 || [[Leonard Cohen e la Cabala ebraica]] — Canzoni e poemi di Leonard Cohen in chiave cabalistica
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|giugno 2020|breve}}
|-
| 36 || [[Ebraicità del Cristo incarnato]] — Incarnazione divina nell'antichità ebraica: punti di contatto col cristianesimo
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|agosto 2020|breve}}
|-
| 37 || [[Boris Pasternak e gli scrittori israeliani]] — ''Il dottor Živago'', la letteratura russo-ebraica e gli intellettuali israeliani (1958-1960)
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|luglio 2020|breve}}
|-
| 38 || [[Riflessioni su Yeshua l'Ebreo]] — Possibili immagini del Gesù ebraico: rivelazioni, riflessioni, reazioni
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|agosto 2020|breve}}
|-
| 39 || [[Cambiamento e transizione nell'Impero Romano]] — Trasformazione nella società romana del III secolo e.v.
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|giugno 2021|breve}}
|-
| 40 || [[Interpretare Gesù in contesto]] — Ebraismo rabbinico e Nuovo Testamento
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|settembre 2020|breve}}
|-
| 41 || [[Missione a Israele]] — La chiamata di Gesù e l'annuncio del regno
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|-
| 42 || [[Pluralismo religioso in prospettiva ebraica]] — Divinità contendenti: religione e globalizzazione
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|gennaio 2021|breve}}
|-
| 43 || [[Messianismo Chabad e la redenzione del mondo]] — Il messaggio messianico di un movimento ebraico moderno
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|gennaio 2021|breve}}
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| 44 || [[Introduzione allo Zohar]] — Gli aspetti profondi del misticismo ebraico nel ''Libro dello Splendore''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|febbraio 2021|breve}}
|-
| 45 || [[Isaac Luria e la preghiera]] — Innovazioni lurianiche nella preghiera ''Shema Yisrael''
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|-
| 46 || [[Il Nome di Dio nell'Ebraismo]] — Il Nome santo nelle tradizioni mistiche ebraiche
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|-
| 47 || [[Rivelazione e Cabala]] — Crisi della tradizione mistica nella Cabala
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| 48 || [[Storia intellettuale degli ebrei italiani]] — Ebraismo italiano nella prima età moderna
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|-
| 49 || [[Abulafia e i segreti della Torah]] — Esoterismo, Cabalismo e Profezia in Abramo Abulafia
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| 50 || [[Immagini interpretative del Gesù storico]] — Un ebreo carismatico in Galilea ''(Nr. 10 della [[Serie cristologica]])''
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| 51 || [[La Filigrana Zen di Henry Miller]] — Il lungo percorso interiore di uno scrittore inquieto
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| 52 || [[Shoah e identità ebraica]] — L'Olocausto nella letteratura di Primo Levi e Elie Wiesel
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|-
| 53 || [[Gesù e il problema di una vita]] — ''E voi, chi dite che io sia?'' (Nr. 11 della ''[[Serie cristologica]]'')
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|-
| 54 || [[Indagine Post Mortem]] — Accertamento sulla Risurrezione di Gesù (Nr. 12 della ''[[Serie cristologica]]'')
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| 55 || [[La Conoscenza del Che]] — Alfred Adler e la psicobiografia di Ernesto "Che" Guevara
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|-
| 56 || [[Taumaturgia messianica]] — I Miracoli di Gesù e la Redenzione (Nr. 13 della ''[[Serie cristologica]]'')
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|novembre 2021|breve}}
|-
| 57 || [[Yeshua e i Goyim]] — Gesù e il futuro escatologico dei Gentili (Nr. 14 della ''[[Serie cristologica]]'')
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|-
| 58 || L'[[Interpretazione della realtà]] — Percezioni e consapevolezza individuale
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|-
| 59 || [[Il significato della vita]] — Eudaimonia e lo stato mentale della felicità
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|-
| 60 || [[Esistenzialismo shakespeariano]] — William Shakespeare e la filosofia esistenziale
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|-
| 61 || [[Emozione e immaginazione]] — La forza dell'immaginazione nell'intelletto moderno
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|marzo 2022|breve}}
|-
| 62 || [[Ascoltare l'anima]] — Emozione oltre la ragione: l'espressione emotiva nelle arti
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|aprile 2022|breve}}
|-
| 63 || [[Sorpresa]]! — Israele e la Guerra dello Yom Kippur
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|aprile 2022|breve}}
|-
| 64 || [[Israele – La scelta di un popolo]] — Elezione e Consacrazione nell'Ebraismo
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|maggio 2022|breve}}
|-
| 65 || [[Storia e memoria]] — Il ruolo del passato nella costruzione dell'identità ebraica
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|luglio 2022|breve}}
|-
| 66 || [[Nahmanide teologo]] — La teologia di Moshe ben Nachman, il Ramban
| style="text-align: center;" | {{Stage|50%|luglio 2022|breve}}
|-
| 67 || [[Rivelazione e impegno esistenziale]] — Il testo sacro come guida di vita
| style="text-align: center;" | {{Stage|25%|luglio 2022|breve}}
|}
== SERIE & COLLANE ==
* '''''[[Serie cristologica]]'''''
* '''''[[Serie letteratura moderna]]'''''
* '''''[[Serie dei sentimenti]]'''''
* '''''[[Serie misticismo ebraico]]'''''
* '''''[[Serie maimonidea]]'''''
* '''''[[Serie delle interpretazioni]]'''''
<small>''(nella serie su Maimonide in Wikibooks)''</small>
[[File:Maimonides teaching.jpeg|right|160px|Traduzione in ebraico della "Guida dei perplessi" (scritta originalmente in arabo), datata ca. 1347: Miniatura di Maimonide che insegna "la misura dell'uomo"]]
{|class="itwiki_template_babel" style="background:#f2f2ff;border-color:#99B3FF; align:right"
|class="sigla" style="background:transparent;"|[[File:Maimonides stamp 1953.jpg|70px]]
|'''[[Utente:Monozigote/sandbox4|Libri nella Serie maimonidea]]''':<small><br/>1. ''[[Guida maimonidea]]''<br/>2. ''[[La dimensione artistica e cosmologica della Mishneh Torah]]''<br/>3. ''[[Antologia ebraica]]''<br/>4. ''[[Torah per sempre]]''<br/>5. ''[[Non c'è alcun altro]]''<br/>6. ''[[Virtù e legge naturale]]''<br/>7. ''[[Essenza trascendente della santità]]''<br/>8. ''[[Pensare Maimonide]]''<br/>9. ''[[Ebrei e Gentili]]''<br/>10. ''[[Le strutture basilari del pensiero ebraico]]''<br/>11. ''[[Pluralismo religioso in prospettiva ebraica]]''</small>
|}
{{-}}
{{Serie maimonidea}}
{{Serie dei sentimenti}}
{{Serie misticismo ebraico}}
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Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Memoria e compimento
0
45272
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372323
2022-07-25T06:31:17Z
Eumolpo
4673
ortografia
wikitext
text/x-wiki
{{Interpretazione e scrittura dell'Olocausto}}
[[File:Selected panel from "Die Plage" (The Plague) 02.jpg|left|380px|"Die Plage" di Harley Gaber]]
<br/>
<br/>
<div style="color: teal; text-align: right; font-size: 0.9em;">''Voi che vivete sicuri<br>Nelle vostre tiepide case,<br>Voi che trovate tornando a sera<br>Il cibo caldo e visi amici:<br>Considerate se questo è un uomo<br>Che lavora nel fango<br>Che non conosce pace<br>Che lotta per mezzo pane<br>Che muore per un sì o per un no.<br>Considerate se questa è una donna,<br>Senza capelli e senza nome<br>Senza più forza di ricordare<br>Vuoti gli occhi e freddo il grembo<br>Come una rana d'inverno.<br>Meditate che questo è stato:<br>Vi comando queste parole.<br>Scolpitele nel vostro cuore<br>Stando in casa andando per via,<br>Coricandovi alzandovi;<br>Ripetetele ai vostri figli.<br>O vi si sfaccia la casa,<br>La malattia vi impedisca,<br>I vostri nati torcano il viso da voi.''<br/>
<small>([[w:Primo Levi|Primo Levi]],<br/>Epigrafe, ''Se questo è un uomo'')</small> </div>
<br/><br/><br/><br/>
<br/>
<div style="text-align: center; font-size: 1.9em;">'''Memoria e compimento'''</div>
== Dalla caduta del Muro al presente ==
Nel 1988 Julian Hilton scrisse: "Qualunque cosa l'Occidente tema nella [[w:Repubblica Democratica Tedesca|RDT]], non è la rinascita del fascismo di destra.<ref>Julian Hilton, "Volker Schlöndorf: Back to the Future", in [[w:W.G. Sebald|W. G. Sebald]], cur., ''A Radical Stage. Theatre in Germany in the 1970s and 1980s'', Oxford, New York, Berg Publishers, pp. 124-44; p. 126.</ref> Meno di due anni dopo, tuttavia, la Germania si trovò al centro di una crisi razziale paneuropea. La demolizione del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, e il crollo dell'autoritarismo comunista fu accompagnato da un'ondata di violenza xenofoba in Germania e oltre. L'ascesa della Destra Europea, tuttavia, fu in realtà un problema europeo e non specificamente limitato alla Germania. La frammentazione dell'URSS permise a leader di destra come Milosovic, Karadicz e Zhirinovsky di assicurarsi il potere nell'ex blocco orientale mentre, a ovest, la recessione economica in corso diede ai sostenitori dell'immigrazione come [[w:Jean-Marie Le Pen|Jean-Marie Le Pen]],<ref>Jean-Marie Le Pen in Francia, chiedendo il rimpatrio degli immigrati, ottenne un ampio seguito dai primi anni ’90 in poi, vincendo circa un sesto dei voti alle elezioni parlamentari francesi del 1997. Nel 1996 [[w:Jean-Marie Le Pen#Procedimenti giudiziari|Le Pen venne però condannato]] da un tribunale francese per il reato di incitamento all'odio razziale per aver definito le camere a gas, in cui vennero sterminati gli ebrei, "un semplice dettaglio nella storia della seconda Guerra Mondiale". Nel 2012 venne condannato a 10.000 euro di multa per la frase: "almeno in Francia l'occupazione tedesca non era particolarmente disumana". Nel marzo 2018 Le Pen fu condannato, in via definitiva, a pagare una multa di 30.000 euro per aver nuovamente definito, nell'aprile del 2015, le camere a gas naziste come un "dettaglio" della storia della seconda guerra mondiale.</ref> [[w:Jörg Haider|Jorg Haider]],<ref>Denis Staunton, "Nazi Echoes Haunt Austrian Elections", ''The Observer'' (3 dicembre 1995), p. 26. Jorg Haider, era stato il Primo Ministro dello stato austriaco della Carinthia fin quando non ebbe a commentare nel 1990 sulle "ragionevoli politiche del Führer" e dovette dimettersi. Cinque anni dopo, durante le elezioni nazionali, chiese pubblicamente che l'immigrazione venisse bloccata e che tutti gli immigrati residenti venissero rimpatriati.</ref> e [[:en:w:Derek Beackon|Derek Beackon]]<ref>"Nazis. Danger on the Isle of Dogs", in ''Journalist - Magazine of the National Union of Journalists'' (Aprile/Maggio 1994), p. 6; ''After Miliwall'', BBC2 (2 ottobre 1993): Nel 1993 il candidato del [[w:Partito Nazionale Britannico|BNP]], Derek Beackon, fu eletto democraticamente nella circoscrizione del Tower Hamlet a Londra. Un quinto dei bianchi della zona affermò che gli immigrati avevano causato la disoccupazione e la recessione. Dopo la vittoria elettorale del BNP, vennero presentate denunce contro la polizia che era stata riluttante ad agire dopo che un giovane asiatico era stato duramente picchiato da teppisti razzisti. In questi ultimi anni, programmi politici simili al BNP sono stati presentati da altri partiti dell'estrema destra, di solito capeggiati da [[w:Nigel Farage|Nigel Farage]], ma di basso seguito.</ref> maggiore credibilità nei confronti degli elettori. Furono comunque le immagini televisive dei tedeschi che sventolavano le bandiere nella notte della riunificazione tedesca nel novembre 1990 e gli skinhead che scendevano in strada, a catturare l'immaginazione dei media. La Germania fu messa a fuoco dai riflettori dei media mondiali e vennero tracciati parallelismi storici.<ref>Hermann Kurthen, Werner Bergmann, Rainer Erb, curr., ''Antisemitism and Xenophobia in Germany after Unification'', Oxford University Press, 1997, pp. 8-28: Questa attenzione fu alimentata da un problema di rifugiati unico che improvvisamente travolse la Germania coi problemi in Bosnia-Erzegovina. L'Articolo 16 della Legge Federale Tedesca Basilare concede automaticamente l'asilo politico a qualsiasi individuo in fuga da persecuzioni religiose o politiche. Nessun altro stato europeo è così generoso. Nel 1986, il numero di richiedenti asilo nella Germania occidentale ammontava a poco più di 100.000. Nel 1990, nella nuova Germania, la cifra quasi si raddoppiò a 193.000. Nel 1992 questa cifra di nuovo si più che raddoppiò a 438.000. L'assimilazione di così tanti profughi inevitabilmente prosciugò risorse e portò ad una tensione razziale. Nel 1990 vennero segnalati alla polizia 1.848 incidenti xenofobi. Nel 1992, la cifra salì a 7.684 e nel 1993 raggiunse il picco a 10.561.</ref>
L'ampliamento delle fessure politiche in Europa aveva consentito a un numero crescente di gruppi neonazisti di ottenere un profilo più elevato. I media internazionali si concentrarono su quelli emergenti in Germania, in particolare nell'ex Est.<ref>James Dairymple, "Holocaust Lies of the Neo-Nazis", ''Sunday Times'' (''News Review'' 2) (26 luglio 1992), pp. 1-2: Dalrymple notò che dal 1982 i movimenti neonazisti erano aumentati in numero, forza e organizzazione non solo in Germania ma in tutta Europa.</ref> Come scrive Hermann Kurthen, "L'ansia era diretta in particolare verso i tedeschi orientali perché si sapeva molto poco dei loro atteggiamenti politici.<ref>Kurthen ''Antisemitism and Xenophobia in Germany'', p. 3.</ref> Tuttavia, si verificarono attacchi xenofobi sia a Ovest che a Est. L'8 marzo 1990, un gruppo di vandali attaccò un ostello per richiedenti asilo a Essen. Il 25 novembre, [[w:naziskin|naziskin]] lanciarono pietre e [[w:bomba Molotov|bombe Molotov]] in una moschea di [[w:Herten|Herten]] ([[w: Renania Settentrionale-Vestfalia|Renania Settentrionale-Vestfalia]]). Nel gennaio 1991 fu attaccato un ostello a [[w:Eisenhüttenstadt|Eisenhüttenstadt]]. La violenza continuò nel 1992 quando bombardamenti contro i turchi e slavi a Rostock e di nuovo a Eisenhüttenstadt provocarono oltre cinquecento arresti.<ref>Catherine Field, "Violence Shatters a Tourist Paradise", ''The Observer'' (13 settembre 1992), p. 11.</ref> A settembre pietre e bombe incendiarie vennero lanciate in un ostello per rifugiati a Quedlingburg<ref>Reiner Oschmann, "A Wall Goes Up Again in German Hearts", ''The Observer'' (13 settembre 1992), p. 11. Oschmann è il redattore-capo del giornale ''Neues Deutschland''.</ref> per tre notti consecutive e il 13 ottobre un ostello venne distrutto da un incendio doloso a Immenstadt. Il 3 novembre, nella città nord-occidentale di Mölln, tre donne turche morirono a seguito di un attacco con bombe incendiarie nella loro casa.<ref>Catherine Field, "Violence Shatters a Tourist Paradise", p. 11.</ref> Alla fine del 1992 diciassette persone erano state assassinate da estremisti di estrema destra. La violenza venne interpretata come un segno che ben poco distanziava i tedeschi contemporanei dai loro antenati nazisti. Gran parte di questa ansia, tuttavia, fu alimentata dai media, come osserva Hermann Kurthen:
{{q|Quando agli inizi degli anni ’90 brutte immagini di violenza xenofoba, graffiti con svastica e atti vandalici sostituirono le immagini allegre e pacifiche dell'unificazione tedesca, alcuni osservatori ipotizzarono che il terribile passato della Germania sarebbe tornato in superficie. La paura che un esercito di laboriosi e obbedienti ''Volksgenossen'' (membri del collettivo nazionale tedesco) avrebbe mobilitato e invaso l'Europa non fu soffocata dalle notizie di milioni di manifestanti che protestavano contro la violenza con fiaccole... Il continuo antisemitismo e risentimento xenofobo in una nazione responsabile dell'Olocausto è stato visto come un'indicazione del fallimento della politica tedesca postbellica nel trattare il passato.<ref>Hermann Kurthen, "Antisemitism and Xenophobia in United Germany. How the burden of the Past Affects the Present", in Kurthen, ''Antisemitism and Xenophobia'', pp. 39-61; p. 39.</ref>}}
Gli atteggiamenti non erano uniformi: altri tedeschi protestarono contro la violenza nel 1992 con la dimostrazione della "Catena di luce" e il concerto "Rock contro la Destra".<ref>Wolfssohn, ''Eternal Guilt?'' p. ix.</ref> L'interpretazione errata del problema peculiare della Germania sorse perché la coscienza popolare e la copertura mediatica internazionale confusero la xenofobia con l'antisemitismo. Ad esempio, il 7 gennaio 1989, il Memoriale alla Deportazione degli ebrei di Berlino al Pulitzbrücke di Berlino fu imbrattato di sangue di maiale. Nel 1990, i cimiteri ebraici furono profanati a Stoccarda, Monaco e Baden-Wurtemberg. Nel settembre 1991, alla vigilia del Capodanno ebraico, i neonazisti bruciarono le baracche ebraiche di [[w:Campo di concentramento di Sachsenhausen|Sachsenhausen]] (che erano già state attaccate il 5 agosto di quell'anno). Anche i memoriali ebraici a Ravensbrück e la città sul lago di Uberlingen furono profanati. Il 2 marzo 1992 la sinagoga di Lubecca fu distrutta da un incendio doloso. Era la prima volta che una sinagoga era stata distrutta sul suolo tedesco dal tempo della guerra.<ref>Mary Fullbrook, ''The Two Germanies 1945-90: Problems of Interpretation'', Macmillan, 1992.</ref> Nel 1991, furono segnalati in totale 367 incidenti antisemiti. Nel 1992 la cifra venne quasi raddoppiata a 627. Nel 1994 furono segnalati 1.366 incidenti e nel 1995 la cifra raggiunse il picco a 1.155.<ref>Kurthen "Antisemitism and Xenophobia in United Germany", p. 34.</ref> Queste statistiche vennero prese come prova concreta del crescente neonazismo. Tuttavia Werner Bergmann scrive che queste cifre sono fuorvianti. Venivano segnalati più casi perché vi era una maggiore consapevolezza, in particolare dall'ex settore orientale in cui l'antisemitismo era stato segnalato per la prima volta.<ref>''Ibid.''</ref> Il risentimento antisemita non era mirato contro le persone in quanto tali, ma era espresso in atti simbolici contro le proprietà. Numerosi sondaggi condotti in tutta la Germania negli anni ’90 mostrano che la maggior parte dei suoi cittadini, sia a Est che a Ovest, possiede una notevole conoscenza dell'Olocausto e sostiene giornate commemorative e memoriali. Le indagini indicano anche che molti sono preoccupati per l'antisemitismo.<ref>''Ibid.'', pp. 46-8.</ref> La xenofobia espressa nella Germania riunificata ha ben poco a che fare con la questione ebraica:
{{q|Il rifiuto degli ebrei in Germania oggi deve essere visto nel contesto degli atteggiamenti nei confronti del nazionalsocialismo e della storia tedesca. La colpa, la responsabilità e le riparazioni sono le principali questioni coinvolte, in contrasto con le questioni relative ai diritti civili e ai servizi di assistenza sociale o ai sentimenti di isolamento culturale, che influenzano gli atteggiamenti nei confronti dei lavoratori migranti in Germania. L'estremismo di destra abbina sempre l'antisemitismo alla xenofobia, anche se ognuno svolge una funzione diversa: gli ebrei sono contestati come gruppo politicamente influente che è sospettato di essere dietro agli attacchi statali e mediatici contro la Destra. Gli stranieri (Ausländer), invece, sono considerati concorrenti.<ref>Bergmann, "Antisemitism and Xenophobia in Germany since Unification", in Kurthen, ''Antisemitism and Xenophobia'', pp. 21-38, p. 21.</ref>}}
I commentatori, sia al di fuori della Germania che all'interno, non sono riusciti a distinguere tra xenofobia – causata dalla disoccupazione, da sconvolgimenti politici e da rapidi cambiamenti sociali – e l'antisemitismo reale, derivato da un senso di colpa che è rimasto inespresso a causa dei tabù culturali, e interessa principalmente un piccolo numero dei neonazisti. Inoltre, non hanno differenziato tra le cause basilari della violenza xenofoba nell'Est (isolamento culturale, tradimento, impotenza e povertà) e quelle in Occidente (patriottismo e risentimento).
Gli osservatori, dal 1990, hanno interpretato l'antisemitismo e la xenofobia come sintomi della stessa malattia, la cui radice si trova negli anni 1933-45. L'Olocausto, pertanto, è diventato una pietra miliare grazie alla quale vengono dissezionate le situazioni contemporanee. Ciò non è solo a causa delle apparenti somiglianze, ma perché la situazione, specialmente nei primi anni ’90, sembrava al di là della comprensione. La gente chiedeva semplici formule morali con le quali decifrare le complessità contemporanee.
Con i massacri nei Balcani, l'impulso a comprendere il presente attraverso i detriti del passato acquisì slancio. L'Olocausto divenne un prisma attraverso il quale filtrare gli affari contemporanei. L'attuale situazione indicava che l'umanità era progredita poco dai campi di concentramento di Hitler. Per intellettuali e media era ovvio che il multiculturalismo e la democrazia non funzionavano e che la Storia si ripeteva.<ref>Si veda per esempio, Günter Grass, ''Unkenrufe'', {{it}} ''Il richiamo dell'ululone'', Feltrinelli, 1992; {{en}} ''[[:en:w:The Call of the Toad|The Call of the Toad]]'' trad. Ralph Manheim, Secker and Warburg, 1992.</ref>
L'idea sbagliata della vera natura della xenofobia tedesca non si limitava agli osservatori esterni. Martin Walser in un articolo su ''Der Spiegel'' (1993) si avvicinò alla verità quando sostenne che i leader e gli intellettuali tedeschi, evitando successivamente la questione problematica e persino "imbarazzante" del nazionalismo tedesco, avevano spinto forzatamente il sentimento patriottico in aree pericolose dell'estremismo di destra.<ref>Stuart Parkes, "Postmodern Polemics: Recent Intellectual Debates in Germany", in Durrani, Good, Hilliard, curr., ''The New Germany'', pp. 92-108; p. 100.</ref> Günter Grass, invece, vide un legame diretto tra il nazismo e il problema attuale. Il 2 febbraio 1990 contestò l'euforia della riunificazione con il commento: "Chiunque pensi alla Germania adesso e cerchi risposte alla questione tedesca, deve pensare ad Auschwitz"<ref>Günter Grass, "Losses", trad. {{en}} Michael Hoffman in ''Granta'': "Krauts!", Vol. 42 (Inverno 1992), pp. 97- 108.</ref> Grass fece infuriare molte persone in un momento in cui sembrava che gli anni della guerra potessero finalmente essere archiviati definitivamente. La riunificazione voleva apparire come il tanto atteso esonero ufficiale.<ref>La data dell'unificazione – 9 novembre 1990 – non solo segnò l'anniversario dell'apertura del confine tedesco con la Germania dell'Est, ma coincise con l'anniversario della Kristallnacht. La scelta della data servì quindi a sostituire una narrazione (l'oppressione tedesca degli ebrei) con un'altra (la Liberazione dei tedeschi).</ref> Ma ora, tali speranze venivano frustrate poiché le critiche sia esterne che interne riportavano i tedeschi all'Olocausto. L'Olocausto definiva ancora una volta l'identità tedesca. Dopo la morte delle tre donne turche a Mölln, Grass si rivolse a una Germania profondamente scioccata e divisa con la domanda: "Siamo condannati a rivivere la nostra storia?"<ref>Grass, "Losses", p. 100.</ref> La risposta per la stampa arrivò nel marzo 1994, quando ''[[w:Schindler's List - La lista di Schindler|Schindler's List - La lista di Schindler]]'' di [[w:Steven Spielberg|Steven Spielberg]] fu proiettato a Berlino. In diversi cinema i neonazisti applaudirono quando gli ebrei furono uccisi sullo schermo.<ref>''Kaleidoscope'', BBC Radio 4, (6 aprile 1994) e Adrian Bridge, "Spielberg brings the Holocaust Home to Berliners", ''The Independent'' (5 marzo 1994), p. 7.</ref>
L'establishment teatrale rispecchiava l'impulso di vedere i conflitti contemporanei attraverso l'obiettivo dell'Olocausto. Quando ''Das Ghetto—Tryptichon'' di Joshua Sobol venne diretto da Carl Hermann Rise al Maxim Gorki Theater di Berlino, nell'ottobre 1994, il recensore del ''Der Nord Berliner'' commentò: "''Ghetto'' è ancora una pièce rilevante, il che è una deplorevole rivelazione dopo Rostock e Sachsenhausen."<ref>''Der Nord-Berliner'' (29 gennaio 1994): "''Ghetto'' ist, und das ist nach Rostock und Sachssenhausen eine jämmerliche Erkenntnis, schon wieder em aktuelles Stück."</ref> La drammaturga austriaca, [[w:Elfriede Jelinek|Elfriede Jelinek]] ([[w:Premio Nobel per la letteratura|Premio Nobel per la Letteratura, 2004), collegò in modo specifico il razzismo contemporaneo tedesco al Terzo Reich. Il suo dramma ''Totenauberg'' (1993) rappresentò, secondo un recensore, "un continuum di oppressione dall'antisemitismo del Terzo Reich alla xenofobia dei giorni nostri".<ref>Katrin Sieg, ''Theatre Journal'', Vol. 45 (marzo 1993), pp. 35-47; p. 43.</ref>
{{Immagine grande|Moscow Holocaust Memorial - panoramio (1).jpg|780px|Memoriale dell'Olocausto a Mosca}}
== Teatro nell'ex-Est ==
La crisi tedesca è più che una semplice ripetizione storica. Il problema tedesco deriva dalla riunificazione e dalla divisione di ''Ossies'' e ''[[:en:w:Wessi|Wessies]]''<ref>Gergo per indicare "Orientali" e "Occidentali" rispettivamente.</ref> o, come diceva la giornalista Reiner Oschman, "i ragazzi ricchi viziati" dell'Occidente e i loro "parenti poveri". "La festa è finita", dichiarò.<ref>Oschmann, "A Wall Goes Up Again in German Hearts", p. 11.</ref> La riunificazione non aveva risolto magicamente i problemi della Germania orientale. L'introduzione di un'economia di mercato competitiva portò alla ridondanza e alla povertà in un paese che aveva goduto della piena occupazione sotto i comunisti. Nel 1992, alcune aree dell'ex-Est erano afflitte da tassi di disoccupazione fino al 40%.<ref>''Ibid.''</ref> Senza una dittatura da incolpare, i tedeschi dell'Est dovevano assumersi le proprie responsabilità e lottare per l'autodeterminazione. Non abituati a esercitare le proprie facoltà decisionali, reagirono ritirandosi dalla responsabilità e cercarono un capro espiatorio. E chi, se non gli ebrei?Come dichiarò la scrittrice della Germania dell'Est, Monika Maron, nel 1992, i tedeschi dell'Est si comportarono come se il mondo dovesse loro qualcosa e, quando il sogno di riunificazione divenne amaro, si lamentarono come bambini a cui non era stato dato il regalo che desideravano a Natale:<ref>Monika Maron, "Zonophobia", trad. {{en}} Shaun Whiteside, in ''Granta'' 42: "Krauts!" (Inverno 1992), Vol. 42,pp. 117-24; p. 121.</ref>
{{q|A volte penso che gli oppositori dell'unificazione avessero ragione: i tedeschi dell'Est avrebbero dovuto essere lasciati tribolare da soli attraverso tutte le miserie che dovevano seguire al collasso del comunismo, in modo che potessero finalmente imparare che la loro azione e inazione provocano conseguenze, così come la loro precedente passività e silenzio. Invece hanno semplicemente scambiato le nuove autorità con quelle vecchie. Sono stati loro a scegliere questo governo.<ref>''Ibid.'', p. 123.</ref>}}
Inizialmente, alcuni osservatori occidentali credevano che anni di propaganda sovietica antiebraica e antisraeliana avessero irrimediabilmente contaminato i tedeschi orientali e che l'Occidente avesse ereditato una polveriera antisemita pronta ad esplodere. Prima della riunificazione solo l'uno per cento della popolazione della Germania dell'Est era di origine "straniera". Questa cifra poi crebbe quando i primi rifugiati in cerca d'asilo fuggirono oltreconfine nel 1990.<ref>Wilfried Schubarth, "Xenophobia Among East German Youth", in Kurthen, ''Antisemitism and Xenophobia'', pp. 143-58; pp. 144-5.</ref> Fino a quel momento, i giovani della Germania dell'Est erano rimasti senza conoscenza di altre culture. Fondamentalmente, l'afflusso di profughi coincise con la recessione post-unificazione.
Mentre le società occidentali rilevavano le fabbriche nell'ex Est e attuavano la razionalizzazione e la ridondanza, gli ex tedeschi orientali naturalmente si sentivano traditi. Scrittori e storici dell'ex Repubblica democratica continuarono a mettere i loro concittadini nel ruolo di vittime proprio come avevano fatto Karge e Fühmann negli anni ’80. Ciò fu visto nei cambiamenti al Museo Buchenwald nell'ex Est dopo il 1990. Dal 1945 il campo era stato un memoriale dell'antifascismo tedesco sotto Hitler. Con la riunificazione arrivò la percolazione della narrativa ebraica. Prima del 1990, solo una targa dedicata agli ebrei della Kristallnacht indicava la catastrofe ebraica. Dopo il 1990 un nuovo opuscolo fu pubblicato dal centro visitatori di Buchenwald "per superare un certo unilateralismo nella presentazione".<ref>Ian Burma, ''Buchenwald'', in ''Granta'' 42: "Krauts!" (Inverno 1992), Vol.42, PP. 65-75; p. 70.</ref> I tedeschi orientali dovettero infine accettare la loro complicità storica nell'Olocausto, mentre in precedenza le autorità della Germania orientale avevano sottolineato una narrazione in cui i nazisti, in quanto manipolo di capitalisti pazzi, avevano sfruttato la classe operaia tedesca. Il modo in cui gli ''Ossies'' reagirono a questa nuova narrativa può essere visto nella loro reazione alla scoperta che Buchenwald aveva anche operato come campo di lavoro sovietico. Nel 1983 alcuni costruttori trovarono ossa umane fuori dai confini del campo. Il governo della Germania orientale dichiarò chiusa la questione, ma nel 1989 furono scoperte ancor più ossa. Le autorità hanno infine ammisero che Buchenwald, Sachsenhausen e Ravensbrück erano rimasti operativi come campi di prigionia fino agli inizi degli anni ’50. Sotto le autorità comuniste, un terzo dei prigionieri di Buchenwald era morto di fame e malattie.<ref>''Ibid.''</ref> Dopo il 1990 fu allestita una nuova mostra dedicata ai prigionieri tedeschi sotto i Sovietici. Ciò animò parecchie accese discussioni tra gli storici sul "livellamento" della storia della Germania orientale. Le persone vennero presentate come vittime gemelle sotto consecutive dittature totalitarie, con vittime tedesche ed ebree sotto Hitler alla pari con le vittime tedesche sotto Stalin.
Tuttavia, un gruppo di scrittori criticò la propensione dei loro compagni ''Ossies'' a ricoprire il ruolo di vittima. ''Hauptbahnhof (Stazione Centrale)'' di Michael Peschke presso lo Studio Karl-Marx-Stadt nel 1990 racconta la storia di un emarginato sociale soprannominato "Stazione Centrale" che ha fatto del buffet della stazione la sua casa negli ultimi quarant'anni. Abbandonata sua moglie durante l'era nazista, si era poi finto membro del partito nel dopoguerra. Per tutta la vita egli aveva negato qualsiasi responsabilità. Come ha scritto un recensore, Peschke mirava a dimostrare che "i tedeschi dell'est stanno ancora scappando dal loro passato".<ref>Hugh Rorrison,'' Plays International'' (luglio 1990), p. 31.</ref>
L'opera teatrale di [[:de:w:Stefan Schütz|Stefan Schütz]] del 1989, ''Orestesobsession'',<ref>Stefan Schütz, ''Orestesobsession'', tradotto {{en}} in ''Theatre Forum'', No. 3, (Primavera 1993), pp. 41-53.</ref> fu scritta con un intento simile. Venne rappresentata per la prima volta al Kapuziner Theater in Lussemburgo ed ebbe la sua prima tedesca al Freie Kammerspiele di Magdeburgo nell'aprile 1993. La maggior parte dei precedenti drammi di Schütz, scrive Jonathan Kalb, era stata diretta all'ipocrisia dei legami familiari e dei genitori autoritari.<ref>''Ibid.'', p. 41.</ref> Nell'ex Repubblica democratica la metafora era spesso l'unico modo per portare la politica sul palcoscenico e Schütz aveva usato la metafora delle famiglie corrotte e dei genitori "totalitari" per esprimere il proprio punto politico. Comunista impegnato, Schütz emigrò in Occidente nel 1980, non essendo stato in grado di conciliare le sue convinzioni politiche con quelle della Repubblica Democratica.
All'inizio, ''Orestesobsession'' sembra essere scritto nella stessa vena di ''Uomo a uomo'' di Karge e ''L'angelo caduto'' di Fühmann. In tutti e tre i protagonisti sono egomaniaci ossessivi che si considerano "vittime" della storia e della politica. Ad esempio, in ''Orestesobsession'', Schütz descrive la Germania orientale come un "campo di concentramento" e uno "zoo umano". Sotto il direttore dello zoo (di nome Walter Ulbricht) ogni prigioniero guarda oltre il confine e "impallidisce d'invidia". "Guarda con bramosia le cartoline illustrate. Sogna la vita selvaggia nella natura."<ref>''Ibid.'', p. 44.</ref> Come Ella/Max di Karge e il narratore di Fühmann, il protagonista di Schütz, Oreste, condanna il "ruolo" che è tenuto a svolgere nella società. Tuttavia, Schütz utilizza questa tradizione per invertirla. Chiede che i tedeschi dell'Est accettino la loro complicità sia degli orrori storici sia della presente xenofobia. Lo fa rivolgendosi alla propensione della Germania dell'Est a incolpare "l'altro". Electra si lamenta:
{{q|Perché non posso espellere padre e madre morti dal mio cervello? Film per famiglie: nevi di un tempo. Perché aspetto che l'eroe venga e mi liberi? Dov'è la mia libertà? Dov'è il fuoco che mi fa ballare?}}
A cui Oreste risponde:
{{q|È perché, nonostante tutto quello che è successo, sei ancora la bambina piagnucolosa di tua madre.<ref>''Ibid.'', p. 47.</ref>}}
La madre autoritaria rappresenta il governo totalitario. Sebbene sia madre sia governo esercitino un controllo assoluto, il vantaggio è che il "bambino" non è mai costretto a crescere. Schütz vuole che i tedeschi dell'Est smettano di ricoprire il ruolo di vittime innocenti, rivalutino la loro complicità storica e partecipino attivamente alla costruzione del futuro.
Un'altra produzione che costrinse gli ex tedeschi dell'Est a rivalutare il loro rapporto con il passato fu il revival da parte di [[:de:w:Alexander Stillmark|Alexander Stillmark]] di ''Bruder Eichmann'' di [[w:Heinar Kipphardt|Heinar Kipphardt]]. Il Berliner Ensemble aveva rimosso la rappresentazione dal suo repertorio al Deutsches Theater nel 1988. Quando la compagnia lo riprese nel 1992, Stillmark rimosse tutte le scene di analogia e si concentrò sulla figura di Eichmann e sull'evento specifico dell'Olocausto. Questa nuova attenzione focalizzata fu rafforzata dalla posizione geografica della produzione e dalla sua collocazione tematica all'interno di un evento artistico più ampio: il dramma fu rappresentato nello [[w:Kunsthaus Tacheles|Studio Tacheles]], accanto alla sinagoga nell'ex quartiere ebraico di Berlino, nell'ambito dell'esposizione ''Jewish Spheres of Life''. Stillmark notò che c'erano molti giovani tra il pubblico che, dopo il crollo del governo autoritario, stavano indagando sulla storia del loro paese. In particolare stavano rivalutando la loro complicità nella repressione comunista, la narrativa della Germania orientale sull'Olocausto e il ruolo dei loro genitori nella distruzione degli ebrei europei:
{{q|Nella RDT questa domanda fu sempre delegata ai tedeschi occidentali. Ora, apparteneva a noi. La questione del nostro rapporto con le vittime e i morti venne improvvisamente sollevata. Eravamo circondati da morti: di fronte a noi i morti dell'Olocausto e della Guerra, e dietro di noi, sempre più distinti, i morti dei Gulag e le rivoluzioni culturali.<ref>Alexander Stillmark, "Brother Eichmann. The Story of an Awkward Relationship", p. 5.</ref>}}
Dal 1995, la compagnia ha continuato a rappresentare ''Bruder Eichmann'' nello spazio/studio di Berlino in questa nuova versione compressa. L'ambiente intimo dello studio, con le sue pareti a specchio, costringe ad uno stretto rapporto tra attore e pubblico, passato e presente. In particolare, la produzione solleva la questione della responsabilità. Alla nuova generazione, attraverso l'esempio dell'identificazione sconsiderata di Eichmann con il dogma politico e la mancanza di compassione per i suoi simili, viene chiesto di rispondere nel mondo odierno in modo proattivo.
{{q|Ci sono molti giovani che non si sono mai preoccupati di questo tema e si confrontano con il mondo in un modo totalmente diverso rispetto a noi anziani. Anche il loro mondo è diverso. La [[w:Guerre jugoslave|guerra infuria in Europa]]<ref>Qui, considerando la data del succitato documento, ci si riferisce alla [[w:Guerre jugoslave|Guerre jugoslave 1991-2001]].</ref>, il problema della fame esiste in tutto il mondo, i rifugiati, le guerre nazionali nei paesi arabi e nel Vicino Oriente. Gli sforzi delle parti in guerra non sono, nella maggior parte dei casi, mirati a soggiogare i gruppi/popoli avversari, ma semplicemente a espellerli o sterminarli il più rapidamente possibile.<ref>Stillmark, "Brother Eichmann. The Story of an Awkward Relationship", p. 7.</ref>}}
Concentrando il testo di Kipphardt esclusivamente su Eichmann e sull'Olocausto, il regista cerca di sottolineare la colpevolezza tedesca per un momento unico nella storia. La versione compressa di Stillmark evidenzia la questione della responsabilità individuale:
{{q|Dobbiamo imparare ad ascoltare Eichmann con attenzione, a scendere in profondità nelle branche inferiori dei suoi pensieri per poter comprendere la banalità del male come sua verità virulenta.<br/>
<br/>
La comprensione di questa verità ci include poiché Eichmann non è di un altro mondo. È il prodotto del nostro secolo, come noi. Il dramma si chiama BRUDER EICHMANN.<ref>''Ibid.'', p.8.</ref>}}
I tedeschi dell'Est hanno rapidamente recuperato la loro storia. In risposta a timori di antisemitismo e xenofobia latenti della Germania orientale, all'inizio degli anni ’90 sono stati condotti numerosi studi per stabilire i profili degli elettori, le credenze politiche e l'atteggiamento nei confronti degli stranieri. I sondaggi sulla xenofobia (definita come un atteggiamento eccessivamente timoroso, ostile o sprezzante nei confronti degli stranieri) e l'antisemitismo (definito come un atteggiamento sfavorevole e ostile nei confronti degli ebrei) mostrarono risultati sorprendenti: i dati rivelarono solo lievi differenze nell'atteggiamento tra ''Ossie'' e ''Wessie''.<ref>Kurthen, ''Antisemitism and Xenophobia'', p. 3.</ref> Sebbene gli ex tedeschi dell'Est fossero frazionalmente più xenofobi e più propensi a votare per i partiti di destra, erano meno antisemiti dei loro cugini occidentali. Un'indagine simile di ''Der Spiegel'' nel 1992 mostrò praticamente gli stessi risultati con il sedici per cento dei tedeschi occidentali che si descrivevano antiebraici mentre solo il quattro per cento dei tedeschi orientali rispondeva allo stesso modo.<ref>''Ibid.'', p. 23.</ref> Studi condotti tra il 1994 e il 1997 hanno confermato questi risultati. Inoltre, hanno dimostrato che gli scolari e i giovani adulti della Germania orientale sapevano di più sull'Olocausto e sulla storia dell'antisemitismo rispetto ai loro omologhi della Germania occidentale, austriaca, britannica e americana.<ref>Kurthen, "Antisemitism and Xenophobia in Germany", pp. 40-57; p. 47.</ref> Fino agli anni ’80, lo Stato della Germania orientale aveva ignorato Israele e la narrativa sulla guerra ebraica. Successivamente, il primo parlamento liberamente eletto della Germania orientale, ''[[w:Camera del popolo (Repubblica Democratica Tedesca)|Die Volkskammer]]'', approvò all'unanimità la seguente dichiarazione nell'aprile 1990:
{{q|Chiediamo il perdono degli ebrei in tutto il mondo. Chiediamo perdono al popolo di Israele per l'ipocrisia e l'ostilità della politica ufficiale della RDT verso lo stato di Israele e per la continua persecuzione e umiliazione dei cittadini ebrei nel nostro paese dopo il 1945.<ref>Kurthen, ''Antisemitism and Xenophobia'', p. 12.</ref>}}
La dichiarazione di cui sopra non testimonia necessariamente un cambiamento schiacciante negli atteggiamenti sociali e politici nei confronti degli ebrei che si verificò improvvisamente nell'Est durante questo decennio. Dal 1945, la tragedia ebraica era stata affrontata tramite le arti, sebbene all'interno della rigida struttura del realismo socialista e della storiografia sovietica. La sorpresa mostrata per i risultati dei sondaggi condotti negli anni ’90, indica piuttosto la diseducazione e il pregiudizio dell'Occidente nei confronti dell'Est.
== Teatro nell'ex-Ovest ==
Mentre ex scrittori, registi e politici della Germania orientale hanno tentato di venire a patti con il passato e lo stato attuale delle cose, la violenza xenofoba è stata accolta in modo banale dai tedeschi occidentali, vale a dire con negazione, distanziamento e "livellamento" per analogia. Come negli anni ’70, quando la RAF aveva creato una "cattiva stampa", i cittadini "decenti" si allontanarono dagli elementi radicali che associavano esclusivamente agli ex tedeschi dell'Est. Individui di destra, organizzazioni e orientali furono demonizzati come progenie dei nazisti "lunatici". Quando la violenza si verificò in Occidente,vennero incolpati gli ''Ossie'' migranti. Tali strategie non sono diverse da quelle dei precedenti cinquant'anni. Le vecchie narrazioni di guerra hanno continuato ad essere perpetuate. Ad esempio, un sondaggio di ''Der Spiegel'' nel maggio 1995 indicava che il settantaquattro per cento dei tedeschi di età superiore ai sessantacinque anni credeva che la Wehrmacht non fosse coinvolta nell'Olocausto e che l'espulsione di oltre quattordici milioni di tedeschi etnici dal territorio sovietico fosse un crimine ben più grande.<ref>John Linklater, "Great Peace Tour Rolls into Germany", ''The Glasgow Herald'' (9 maggio 1995), p. 7.</ref> Nel 1997 scene di rabbia e proteste accompagnarono una mostra fotografica a Monaco intitolata ''Crimini della Wehrmacht''. Le lettere ai giornali indicarono che molti credevano che le foto, scattate dai fotografi che avevano accompagnato le truppe, fossero false.<ref>''The Guardian'' (25 febbraio 1997), p. 16.</ref> ''Junge Freiheit'', un settimanale stampato a Berlino, pubblicava una serie di articoli intitolati "Cinquanta anni dopo" sui ricordi della seconda guerra mondiale che si concentravano quasi interamente sulle sofferenze di giovani coscritti e civili, come se Olocausto e nazisti non fossero mai esistiti.<ref>Elliot Neaman, "A New Conservative Revolution? Neo-Nationalism, Collective Memory and the New Right in Germany since Unification", in Kurthen, ''Antisemitism and Xenophobia'', pp. 190-208; p. 202.</ref> A Berlino, nel novembre 1993, fu eretto il Memoriale per le Vittime della Guerra e della Tirannia, unificando così tutte le vittime della guerra. Questa tattica non era diversa dalla scelta di Borchert di universalizzare tutti i morti di guerra in ''[[w:Draußen vor der Tür|Fuori davanti alla porta]]'' o la cerimonia di Bitburg orchestrata da Kohl nel 1985. Film come ''[[w:La ragazza terribile|Das schreckliche Mädchen]]'' (''La ragazza terribile''; 1990) di [[w:Michael Verhoeven|Michael Verhoeven]] e ''[[w:Europa Europa (film)|Europa Europa]]'' (1991) di [[w:Agnieszka Holland|Agnieszka Holland]] rappresentarono un paese che non era ancora completamente riconciliato con il suo passato.
Da Adenauer a Kohl, i politici tedeschi sono stati consapevoli di come le tensioni razziali siano percepite dagli osservatori esterni. Ad esempio, nel 1984, quando Peter Zadek produsse la prima europea di ''Ghetto'' di Sobol al Volkstheater di Berlino, si sollevarono dubbi sul fatto che l'opera fosse adatta a un pubblico tedesco.<ref>Wolfssohn, ''Eternal Guilt'', p. 200.</ref> Il fatto che la maggioranza del pubblico nel 1984 fosse nato dopo la guerra non entrò nel dibattito.<ref>Conversazione con Yehoshua Sobol, Weimar, dicembre 1995.</ref> Dieci anni dopo continuava a sussistere la stessa preoccupazione per il profilo pubblico. Quando un fumetto, progettato per le scuole, su Hitler e l'Olocausto (ispirato a ''[[w:Maus|Maus]]'' di [[w:Art Spiegelman|Art Spiegelman]])<ref>Art Spiegelmann, ''MAUS Racconto di un sopravvissuto'' I e II, traduzione di Ranieri Carano, Milano Libri, 1994.</ref> fu approvato da [[w:Simon Wiesenthal|Simon Wiesenthal]], il governo tedesco respinse la sua richiesta sostenendo che banalizzava l'evento. In realtà, i tedeschi erano preoccupati che sarebbero stati loro a sembrare di banalizzare l'Olocausto usando un ausilio didattico così incongruo come un libro di fumetti per approfondire gli studi sull'Olocausto.<ref>Steve Crashaw, "Hitler Comic For German Schools Raises Only a Grim Smile", ''The Independent'' (18 ottobre 1993), p. 1.</ref>
Questa preoccupazione per le apparenze derivava da una tendenza autoflagellante endemica tra intellettuali tedeschi, come Grass. Fu in parte generata dall'idea sbagliata che la xenofobia degli anni ’90 e l'antisemitismo storico fossero intrinsecamente collegati e, inoltre, che tale violenza fosse dominio unico della nazione tedesca. Ad esempio, Susan Tebbutt dimostrò che nella letteratura per l'infanzia il fascismo era presentato come un fenomeno tedesco non europeo.<ref>Susan Tebbutt, "The Representation of Right-wing Extremism in Post-unification German Jugendliteratur", in Durrani, ''The New Germany. Literature and Society after Unification'', pp. 302-20; pp. 304-5.</ref> Grass sostenne che, storicamente, il potere corrompe i tedeschi. Si è quindi opposto alla riunificazione sin dall'inizio:
{{q|Capisco i tedeschi... L'unità è sempre stata un disastro... L'unità tedesca, da Bismark a Hitler, fu la base di Auschwitz.<ref>''The Independent'' (18 ottobre 1993), p. 13.</ref>}}
Come commentò un osservatore esterno in merito a Grass:
{{q|I tedeschi moderni non si sfidano di sè stessi... Certo, stanno diventando un po' più assertivi, ma finora la loro vulnerabilità, la loro insicurezza e la loro capacità di autocritica sono più evidenti.<ref>''Ibid.''</ref>}}
Uno scrittore tedesco che caratterizza questa "sfiducia" è [[w:Hans Magnus Enzensberger|Hans Magnus Enzensberger]]. Nel 1964 scrisse che Auschwitz era un prodotto della "civiltà" occidentale, non specificamente della nazione tedesca.<ref>Hans Magnus Enzensberger, "Am I German?", in ''Encounter'', Vol. 22, No. 4 (1964), p. 16.</ref> Ma nel 1993 vide la violenza xenofoba come espressione della follia collettiva tedesca.<ref>Hans Magnus Enzensberger, "Ausblicke auf den Bürgerkrieg", in ''Der Spiegel'' (1993) trad. {{en}} in Parkes, ''Postmodern Polemics'', p. 101.</ref> Nel suo racconto, ''Die große Wanderung'' (1992), Enzensberger usa una carrozza ferroviaria moderna come metafora per collegare la xenofobia tedesca contemporanea e il concetto ''Lebensraum'' di Hitler.<ref>Hans Magnus Enzensberger, "The Great Migration", trad. {{en}} Martin Chalmers, in "Krauts!", ''Granta'', (Inverno 1992), Vol. 42, pp. 15-51 (ital. ''La grande migrazione'', 1993, Einaudi, trad. di Paola Sorge).</ref> Nella storia, un viaggiatore siede nello scompartimento. Quando entrano nuovi viaggiatori, si sente "invaso" e invia segnali antagonisti a ogni ondata di "nuova migrazione" per creare un'atmosfera ostile. Enzensberger non è necessariamente d'accordo sul fatto che il popolo tedesco abbia il monopolio del razzismo, ma afferma che il suo popolo mostra una propensione allarmante per questo sentimento. In ultima analisi, scrive che i tedeschi sembrano generare violenza razziale con più facilità e regolarità rispetto agli altri europei.
<div style="color: teal; text-align: center; font-size: 1.4em;">~ • ~</div>
Nel 1994 [[w:Steven T. Katz|Steve Katz]] affrontò la questione dell'"unicità" dell'Olocausto.<ref>Steve Katz, ''The Holocaust in Historical Context. Volume 1: The Holocaust and Mass Death Before the Modern Age'', Oxford University Press, 1994.</ref> È questo dibattito centrale negli studi sull'Olocausto, egli asserisce, che ha sempre confuso ogni valutazione obiettiva. Storicizzando l'evento, conclude Katz, gli scrittori successivi non hanno proposto argomenti concreti nel dimostrare l'unicità trascendentale dell'Olocausto ed egli rifiuta la tendenza a collocare l'evento alteramente sopra la storia come un evento mistico. Scrive, tuttavia, che l'Olocausto fu singolare per ragioni storiche tangibili. Ammantare l'evento nel misticismo semi-religioso e creare un'aura di "intoccabilità", sostiene Katz, ha confuso la ricerca e la comprensione. Tuttavia, affermando, categoricamente, che l'Olocausto è stato un evento unico, Katz paradossalmente lo rende "intoccabile" negando altri punti di riferimento.
La riapparizione del genocidio europeo ha fatto sì che negli ultimi dieci anni vi sia stata una mossa per individuare e studiare l'Olocausto in una varietà di quadri correlati. Per alcuni, questo parallelismo significa che una struttura semplicistica viene forzata su scenari estremamente complessi. Le analogie storiche corrono il rischio di erodere l'identità dell'Olocausto come evento a sé stante. Ma questa erosione equivale ad un deprezzamento? Ronnie S. Landau scrive che diversi gruppi hanno sottolineato l'unicità dell'Olocausto per evidenziarne il significato. Eppure, come sostiene:
{{q|Nel valutare l'importanza dell'Olocausto, la sua unicità e universalità non dovrebbero essere viste come categorie reciprocamente esclusive: ma, al contrario, come modi complementari ed efficaci di venire a patti con l'Olocausto e le sue lezioni per tutti noi. Dobbiamo affrontare il nostro passato, non scappare via da esso, o elevarlo su un piano misterioso che sia completamente al di là della nostra comprensione.<ref>Ronnie S. Landau, "The Nazi Holocaust: Its Moral, Historical and Educational Significance", in Monica Bohm-Duchen, ''After Auschwitz. Responses to the Holocaust in Contemporary Art'', pp. 17-24; p. 17.</ref>}}
Landau sostiene che l'Olocausto dovrebbe essere indagato all'interno di molteplici discorsi: storia tedesca, storia ebraica, storia cristiana e genocidi del ventesimo secolo, tanto per citarne alcuni. Tuttavia, concorda sul fatto che fare confronti nel più generale dei modi tradisca una certa "sciatteria" di pensiero.<ref>''Ibid.'' </ref> Il modo in cui il conflitto bosniaco fu descritto dai media è stato uno di questi casi. Il giorno dopo che i giornalisti britannici Ed Vulliamy (''[[w:The Guardian|The Guardian]]'') e Penny Marshall (''[[:en:w:ITN|ITN]]'') fecero reportage dai campi serbi di [[:en:w:Omarska camp|Omarska]] e [[:en:w:Trnopolje camp|Trnopolje]] il 5 agosto 1992, mostrando le immagini fin troppo familiari di detenuti emaciati, Vulliamy si lamentò:
{{q|La reazione fu così tumultuosa, che, con mia irritazione, fui costretto a dedicare più tempo a sottolineare che Omarska non era Belsen o Auschwitz piuttosto che dettagliare l'abominazione di ciò che avevamo trovato.<ref>Ed Vulliamy, ''Seasons in Hell. Understanding Bosnia's War'', Simon & Schuster, 1993, p. xii.</ref>}}
''ITN'' proiettò le immagini il 6 agosto e vennero immediatamente riprodotte nelle redazioni di tutto il mondo. Il 7 agosto, il ''Daily Mirror'' pubblicò il titolo di testa "Belsen 1992".<ref>Joan Phillips, "Bosnia: a Mess Made in the West", in ''Living Marxism'', No. 56 (gfiugno 1993), pp. 20-8; p.28. Phillips accusò i media occidentali di rappresentare "esagerazioni grossolane" allo scopo di incoraggiare le potenze occidentali ad intervenire. ''ITN'' ha poi fatto causa a ''Living Marxism'' per le sue asserzioni. Si veda Mick Hume, "Good Lies Make Bad News", in ''Living Marxism'' (marzo 1997), pp. 4-5; e ''Living Marxism'' (ottobre 1997), pp. 20-1.</ref> Alcuni osservatori, tuttavia, commentarono che Penny Marshall e il suo cameraman, Jeremy Irving, scelsero di rappresentare Trnopolje, un centro per rifugiati, alla maniera di un campo di concentramento nella speranza che i politici si sentissero in dovere di intervenire. Le immagini di Irving invitavano lo spettatore a guardare le figure dietro il filo spinato a Trnoplje e a codificare queste immagini in un quadro storico di comprensione che ha un imperativo morale molto chiaro: ebrei (vittime) nazisti (persecutori). Dopo l'approvazione della [[:en:w:United Nations General Assembly Resolution 96|Risoluzione 96 (1) ONU]], dopo Norimberga, le [[w:Organizzazione delle Nazioni Unite|Nazioni Unite]] si impegnano a intervenire in aree in cui le testimonianze confermano attività di genocidio.<ref>UN Risoluzione 96 (1), (11 dicembre 1946). Per un contesto della continua battaglia legale tra ''Living Marxism'' e Channel 4, si veda to Guy Westwell, "Reading Trnopolje Camp, Bosnia-Herzegovina, August 5, 1992".</ref> La Risoluzione 96 a tutt'oggi non è mai stata invocata una sola volta. Molti credevano che le foto di Irving avrebbero cambiato tale situazione. Inoltre, l'analogia con l'Olocausto fu incoraggiata perché il pubblico, che aveva bisogno di identificare le questioni belliche in bianco e nero, fino a quel momento non aveva avuto un'immagine dei "cattivi". Dopo l'agosto 1992, il tono delle notizie dalla Jugoslavia si spostò sulla narrazione dei barbari serbi e dei musulmani vittimizzati, una strategia che prevedeva un revisionismo storico e contemporaneo:
{{q|La caratteristica chiave qui è la rappresentazione della Serbia come regime fascista; la sinistra è stata in primo piano nel tracciare parallelismi diretti tra serbi e Germania nazista. Ciò ha l'effetto, non solo di demonizzare i serbi, ma anche di mistificare la verità sulla Germania nazista.<ref>''Ibid.'', p. 28.</ref>}}
Le ragioni per studiare l'Olocausto nel contesto della storia della "civiltà" umana, e in particolare del ventesimo secolo, rimangono forti. Anche se, ad esempio, il conflitto in Bosnia e l'Olocausto sono separati, non sono del tutto incomparabili. Il problema sorge con le conclusioni tratte da tali parallelismi e l'uso a cui sono posti. Le analogie si avvicinano alla verità solo quando si sottolineano le differenze tanto quanto le somiglianze. Nel caso del testo originale di Kipphardt di ''Bruder Eichmann'' o di memoriali pubblici come Bitburg e il Memoriale di Berlino alle Vittime della Tirannia, analogie furono proposte per esonerare le attività di guerra tedesche. Tuttavia questa tecnica era l'unico modo in cui i tedeschi potevano razionalizzare la propria storia mantenendo un certo rispetto per se stessi e, inoltre, dolersi dei propri morti. La narrativa tedesca è caratterizzata da cinquant'anni di soppressione a causa del "peccato" dell'Olocausto. Qualunque siano i peccati dei genitori, i tedeschi devono comunque piangere e seppellire i propri morti. Per i tedeschi, l'ondata crescente di xenofobia unita all'inclinazione dei media a rivisitare l'Olocausto dimostra ancora una volta l'impossibilità di "superare" il loro passato unico. Una scrittrice che tenta di piangere i propri morti è [[:en:w:Helke Sander|Helke Sander]] ma, per molti, il suo libro e il film successivo, ''BeFreier und Befreite'', è un esempio di ''Schadenfreude'' allo stesso modo di ''Bruder Eichmann''.
''BeFreier und Befreite: Krieg, Verwaltigungen, Kinder'' (= Liberatori si prendono libertà: Guerra, Stupro, Bambini)<ref>Helke Sander e Barbara John, ''BeFreier und Befreite: Krieg, Verwaltigungen, Kinde'', Verlag Antje Kunstmann, 1992 (trad. ingl. ''Liberators Take Liberties: War, Rape, Children'').</ref> è una raccolta di interviste fatte con alcune delle circa 1,9 milioni di ragazze e donne tedesche violentate dai soldati alleati nei nove giorni tra il 24 aprile e 3 maggio 1945. Sander considera lo stupro di queste donne come ''Zeitereignis'', un evento la cui enormità lo rende quasi unico nella storia. Non ci sono testimonianze di stupro su una scala comparabile. Nel 1992, quando iniziarono a emergere le prime prove di stupro di massa in Bosnia e le donne coreane iniziarono a parlare della loro prigionia come "donne di conforto" per le truppe giapponesi nella seconda guerra mondiale,<ref>Keith Howard, cur., ''True Stories of the Korean Comfort Women'', Cassell, 1995.</ref> Sander pubblicò la versione cinematografica del libro nel 1992, al Festival del Cinema di Berlino. Si aprì con la frase "Proprio come in Kuwait, proprio come in Jugoslavia" e così si svolge la storia dello stupro come sistema militare e maschile di sottomissione.
Sander divise l'opinione pubblica. Alcuni credevano che stesse tentando il revisionismo storico femminista, mentre altri l'elogiarono per aver affrontato un argomento tabù. Il nocciolo del dibattito si concentrò ancora una volta sull'uso dell'analogia e sul fatto che una tale tecnica portasse al livellamento e all'esculpazione tedesca. In particolare, le interviste con donne ebree e tedesche violentate vengono affiancate. Gertrud Koch:
{{q|Il sesso delle donne assume un'importanza transistorica, sia che la donna sia un'ebrea che vive nascosta o una tedesca intervistata..., tutte le donne ora sembrano essere nella stessa barca.<ref>Gertrud Koch, "Blood, Sperm and Tears", trad. {{en}} Stuart Liebman in ''October'', Vol. 72 (Primavera 1995), Massachusetts Institute of Technology Press, pp. 26-41; p. 35.</ref>}}
La narrazione principale presenta le donne come vittime comuni di una guerra maschile o, come propone David J. Levin:
{{q|Il film ci presenta una nuova comunità di vittime non mitigate e indifferenziate: donne tedesche del 1945. In tal modo, formula una nuova ''Stunde Null'' o Ora Zero, un momento, cioè, quando la politica nazista del genocidio viene sostituita dalla pratica dello stupro diffuso da parte delle Forze d'occupazione.<ref>David J. Levin, "Taking Liberties with Liberties Taken. On the Politics of Helke Sander's BeFreier und Befreite", in ''October'', Vol. 72, pp. 65-77, p. 76.</ref>}}
Il film di Sander non era solo attuale ma molto valido. Sollevò la questione se tutte le narrazioni che trattavano della seconda guerra mondiale dovessero mostrare deferenza o ruotare intorno all'Olocausto e se gli ebrei avessero preso il monopolio della sofferenza. Il dibattito intorno al film indicò che molti intellettuali, in particolare tedeschi, erano a disagio col film o in disaccordo con l'analoga interpretazione della Storia da parte di Sander.
Ci sono state pochissime opere teatrali della Germania occidentale sull'Olocausto negli anni ’90, certamente a causa dei profondi cambiamenti politici e territoriali. Ciò non significa che il pubblico tedesco abbia ignorato l'argomento. Ci sono stati diversi importanti eventi teatrali non tedeschi sull'Olocausto. Negli anni ’90, scrittori israeliani (come Sobol) e compagnie (come il Teatro Akko) hanno fatto ''tournée'' in Germania. E non sono solo gli israeliani che hanno avuto successo lì. Il gruppo britannico, [[:en:w:Towering Inferno (band)|Towering Inferno]], con il loro concerto ''[[:en:w:Kaddish (Towering Inferno album)|rock-cum-performance-art Kaddish]]'' ottenne un enorme successo al Festival della Cultura Ebraica del 1992 a Berlino e il Berliner Ensemble sta attualmente considerando la produzione della commedia di [[:en:w:Roy Kift|Roy Kift]], ''Camp Comedy'' su [[w:Kurt Gerron|Kurt Gerron]] e il suo film del 1944, ''[[w:Theresienstadt. Ein Dokumentarfilm aus dem jüdischen Siedlungsgebiet|Il Führer dona una città agli ebrei]]''.
In particolare, nel cuore della trilogia del ''Ghetto'' di Sobol e dell’''Arbeit Macht Frei'' del [http://www.akko.org.il/en/Acco-Theater-Center Teatro Akko] ci sono domande in competizione tra narrazioni storiche, memorie soggettive e l'uso dell'analogia. Sobol ha sempre posto la nozione di memoria personale al centro del suo lavoro. Ciò è particolarmente vero per la sua sceneggiatura per film di ''Ghetto'', ''J.'' Mentre il numero dei sopravvissuti all'Olocausto diminuisce, Sobol si sente obbligato a registrare le loro storie e intrecciarle con il suo testo. ''J'' rimane inedito, ma nel 1995 Sobol cercò lo stesso ideale nella sua produzione di ''Gens-Ghetto Triptychon'' al Weimar Schauspielhaus. In questa produzione, Sobol affermò di aver concentrato tutti i suoi sforzi per arrivare alla verità su chi fosse Adam e su come operasse il Movimento clandestino.<ref>Conversazione con Yehoshua Sobol, dicembre 1995, Weimar.</ref> Sobol era stato rimproverato alla televisione nazionale israeliana dalla moglie sopravvissuta di uno dei combattenti del Movimento di Vilna che aveva contestato la sua versione degli eventi. Di conseguenza, egli cercò ancora di più di mettere insieme la realtà storica o, piuttosto, la storia composta da ricordi in contrapposizione alla storiografia israeliana.<ref>''Ibid.'' </ref>
Anche David Maayan, il direttore del [http://www.akko.org.il/it/ Teatro Akko], si occupa dei ricordi individuali. Sia lui che Sobol, in quanto israeliani, ritengono che la storia della nazione ebraica sia stata coscientemente spinta in determinate direzioni politiche e che il loro paese sia quello in cui il collettivo è tradizionalmente apprezzato più dell'individuo. Loro, al contrario, hanno sottolineato il soggettivo. ''[[w:Arbeit macht frei|Arbeit Macht Frei]]'' del Teatro Akko affronta l'Olocausto in un modo simile a quello proposto da Ronnie S. Landau: l'Olocausto presentato da prospettive sfaccettate — una cacofonia di voci individuali, a volte discordanti, a volte complementari, per dare una rapide visione dell'Olocausto nella sua interezza. Maayan ha realizzato con successo la sua visione di Auschwitz nello stesso modo in cui Picasso visualizzò la guerra civile spagnola in ''[[w:Guernica (Picasso)|Guernica]]''. Per i [[w:Cubismo|Cubisti]], l'intero quadro emerge solo quando diverse prospettive simultanee sono "concepite" nell'occhio della mente, liberando così l'intelletto e i sensi dai limiti del realismo.
Tradizionalmente, la rappresentazione dell'Olocausto era stata limitata da vari vincoli critici: rappresentare Auschwitz era "barbaro", scrisse Adorno; poiché stava al di fuori dell'immaginazione, era quasi "impossibile" avvertì Lawrence Langer; la rappresentazione dell'Olocausto era una "profanazione" che banalizzava l'evento, sostenne Wiesel.<ref>''Ibid.''</ref> Wiesel fu particolarmente adirato nel suo attacco contro la produzione di ''Ghetto'' a New York.<ref>''Ibid.''</ref> Da Hochhuth a Sobol, scrittori e registi si sono astenuti dal presentare gli orrori per paura di essere blasfemi. Come sostiene [[w:Howard Jacobson|Howard Jacobson]], questa paura ha portato alla perpetuazione di immagini e risposte banali:
{{q|Il filosofo Adorno ci condusse lungo il sentiero del giardino con il suo notoriamente seducente: "Scrivere poesia dopo Auschwitz è barbaro". Il problema non è la poesia, è la poesia quieta. La trappola non è troppo poca riverenza, ma troppa riverenza.<ref>Howard Jacobson, "Jacobson's List", in ''The Independent'' II (2 febbraio 1994), p. 19.</ref>}}
Grass forse fu il più vicino a rappresentare l'inferno in Terra quando descrisse l'attività mineraria sotterranea di Brauksel in ''[[w:Anni di cani|Anni di cani]]''. Eppure il suo linguaggio metaforico velava piuttosto che rivelare realtà storiche. Al contrario, [[w:Steven Spielberg|Steven Spielberg]] diresse i suoi sforzi verso il realismo fotografico nella sua ricostruzione fisica di Auschwitz in ''Schindler’s List'' e nello stile documentativo del movimento della cinepresa. Il film non fu messo in ''[[w:storyboard|storyboard]]'' e gli attori vennero diretti a recitare una scena mentre la cinepresa "origliava".<ref>...o forse meglio dire "spiava"? Quentin Curtis, "Lest We Forget", ''Independent on Sunday'' (13 febbraio 1994), p. 19: circa 40% del film fu girato con cinepresa da mano.</ref> Tuttavia, il realismo riproduce semplicemente immagini familiari e quindi logore che non hanno più la capacità di scioccare. Maayan, con il suo "irrealismo", come i Cubisti, ha creato una realtà più elevata e, soprattutto, ha ricreato lo "shock" iniziale che deve essere stato avvertito da molti spettatori quando hanno assistito al primo ''reportage'' di Richard Dimbleby da Belsen. Maayan è forse arrivato più vicino a una rappresentazione fisica di Auschwitz ricreando questa esperienza traumatica iniziale.
Tuttavia Maayan non era interessato solo ai singoli spettatori che partecipavano alla costruzione del "passato" assistendo a frammenti delle memorie individuali. Si preoccupava anche del presente: come esso sia determinato dal modo in cui il passato è stato codificato. In ''Arbeit Macht Frei'', egli chiede se sia possibile creare una rappresentazione dell'Olocausto che possa fornire preziose lezioni per analogia e, allo stesso tempo, mantenere l'integrità dell'Olocausto come evento storico atipico. Possono essere presentate analogie che non siano né reduttiviste, né dannose, né un caso di "pensiero sciatto"? Inoltre, un'opera d'arte può rappresentare la magnitudine dell'Olocausto come una "lacerazione" nella Storia, mentre allo stesso tempo "ripara" lo squarcio in modo che l'identità nazionale israeliana sia liberata dalla sua relazione amore-odio con il passato e la persecuzione ?
== ''Arbeit Macht Frei'' ==
{{Immagine grande|Gates.jpg|780px|''Arbeit Macht Frei'' — Immagine costruita con alcuni nomi delle vittime della [[w:Shoah|Shoah]], presi dal Database Centrale [[w:Yad Vashem|Yad Vashem]]}}
=== Contesto ===
La situazione in Israele nei primi anni ’90 era caratterizzata da crescenti complessità politiche e dal continuo terrorismo. In particolare la violenza aveva origine da gruppi esterni all'OLP e, per la prima volta, anche da cittadini israeliani. L'OLP alla fine degli anni ’80 era diventato l'organismo rappresentativo accettato del popolo palestinese incaricato di negoziare una patria indipendente palestinese. Dalla fine degli anni ’70, ha fornito fondi per sostenere le infrastrutture della [[w:Cisgiordania|Cisgiordania]], l'assistenza sanitaria, l'istruzione e i programmi agricoli. Arafat divenne il campione del popolo. Tuttavia, riconoscendo il diritto di Israele a esistere e favorendo un accordo attraverso la negoziazione piuttosto che il terrorismo, aveva alienato molti dei suoi sostenitori. Dalla fine degli anni ’80 l'OLP declinò in potere e, quando Arafat fece concessioni agli israeliani, i palestinesi iniziarono a rivalutare le sue capacità. Lo stesso Arafat era a conoscenza della sua calante popolarità e aveva adottato l'[[w:Intifada|Intifada]]<ref>L'Intifada richiedeva la creazione di una patria palestinese nella Striscia di Gaza.</ref> come sua causa per paura di essere oscurato dalla popolarità del movimento e dei suoi leader emergenti. I gruppi arabi militanti stavano togliendogli sostegno, in particolare ''[[w:Hamas|Hamas]]'', ''[[w:Jihād|Jihād]]'' e ''[[w:Hezbollah|Hezbollah]]'', un gruppo terrorista musulmano sciita, sponsorizzato dall'Iran.
La [[w:Guerra del Golfo|Guerra del Golfo del 1990-1991]] approfondì le divisioni tra israeliani e palestinesi poiché molti di quest'ultimi sostenevano apertamente [[w:Saddam Hussein|Saddam Hussein]] il cui obiettivo politico a lungo termine era di sradicare Israele. I palestinesi erano quindi visti collettivamente dagli israeliani come nemici all'interno. Ciò fu visto nella distribuzione di maschere antigas, gratuitamente, ai cittadini ebrei ma non ai palestinesi. Alla fine il governo accettò di vendere le maschere agli arabi per l'equivalente di novanta dollari al pezzo.<ref>Said K. Aburish, ''Cry Palestine. Inside the West Bank'', Bloomsbury, 1991, p. 12.</ref> Naturalmente molti palestinesi, essendo all'estremità inferiore della scala salariale, non potettero permettersi tali spese.
Come in tutte le guerre precedenti, le paure israeliane erano state alimentate dal deliberato parallelismo dell'Olocausto con la minaccia in atto. Come scrive Freddie Rokem:
{{q|Moshe Zuckermann in ''Shoah in the Sealed Room: the 'Holocaust' in Israeli Press during the Gulf War'' (Tel Aviv Authors Press, 1993) ha dimostrato come l'equazione "Sadam <nowiki>=</nowiki> Hitler" fosse stata sviluppata quale reazione alla minaccia dei missili Scud iracheni e come le paure furono accentuate dal fatto che alcune componenti per la produzione del gas iracheno erano state fornite da società tedesche.<ref>Freddie Rokem, "Cultural Transformations of Evil and Pain: Some Recent Changes in the Israeli Perception of the Holocaust", in Hans Peter Bayerdorfer, cur., ''German-Israeli Theatre Relations'', Niemeyer Verlag, 1996. pp. 217-41; p. 219.</ref>}}
Dopo la Guerra del Golfo la società israeliana divenne sempre più polarizzata tra coloro che favorivano una pace negoziata e coloro che desideravano una soluzione militare. La situazione per i palestinesi in Israele generalmente declinò. Nel 1992 David Grossman pubblicò נוכחים נפקדים (ebr. ''Nokhehim Nifkadim'', 1992), una raccolta di interviste con i palestinesi e un documento sulle loro condizioni di vita. Grossman rivelò che nei primi sei mesi erano morti il doppio dei bambini palestinesi rispetto a quelli israeliani e che il novantadue percento dei lavoratori arabi era nella metà inferiore della scala sociale. La metà della popolazione palestinese viveva al di sotto della soglia di povertà.<ref>David Grossman, ''Sleeping on a Wire: Conversations with Palestinians in Israel'' [נוכחים נפקדים / Nokhehim Nifkadim, 1992], Farrar, Straus, & Giroux, 1993, trad. {{en}} Haim Watzman, Farrar, Strauss, Giroux & Jonathan Cape, 1992, p. 110.</ref> Grossman sosteneva che ci fosse un tentativo sistematico di creare una sottoclasse araba incoraggiata da un sistema di istruzione arabo sottofinanziato. Ad esempio, Grossman sottolineò che non c'erano programmi professionali in elettronica e computer per gli arabi, ma numerosi corsi di automeccanica per ragazzi e cucito per ragazze.<ref>''Ibid.'', p.295.</ref> Inoltre, la loro scarsa istruzione era stata ulteriormente interrotta da prolungate detenzioni durante l'Intifada. L'Intifada si era guadagnata il soprannome di "Guerra dei bambini". Molti degli arrestati per sospetto da parte della polizia israeliana avevano meno di diciotto anni ed erano tenuti in detenzione amministrativa in attesa di processo. Alcuni aspettarono due o tre anni in custodia durante i quali venne loro negato l'accesso a libri didattici e materiale di scrittura.<ref>Aburish, ''Cry Palestine'', p. 13.</ref> Il libro di Grossman fu considerato infiammatorio e venne bandito nei centri di detenzione dalle autorità israeliane.
L'indebolito "processo di pace", inaugurato da Rabin e Arafat nel 1993, ha fatto ben poco per migliorare le cose. Nel 1994 Arafat espresse i suoi dubbi sul fatto che si potesse realizzare un vero progresso quando così tanti israeliani e palestinesi erano contrari a fare le concessioni necessarie per la pace.<ref>"Arafat in the Storm", in ''Vanity Fair'' (maggio 1994), pp. 71-7, 129-35, 137.</ref> Naturalmente, non tutti gli israeliani erano favorevoli a negoziare un accordo con i palestinesi, in particolare se coinvolgeva l'abbandono di parte dei territori occupati. Un certo numero di cittadini israeliani nazionalisti fecero quindi ricorso essi stessi al terrorismo. Nel marzo 1994, il colono israeliano-americano [[w:Baruch Goldstein|Baruch Goldstein]], entrò in una moschea nella città di Hebron in Cisgiordania e aprì il fuoco sugli arabi in preghiera. Nel novembre 1995 Rabin fu assassinato da un giovane patriota israeliano, [[w:Yigal Amir|Yigal Amir]], che dichiarò:
{{q|Non ho commesso tale atto per fermare il processo di pace, perché non esiste un concetto come il processo di pace; è un processo di guerra.<ref>''The Independent'' (7 novembre 1997), p. 3.</ref>}}
Come il personaggio immaginario di Yitzhak Dvir nel dramma di Yossi Hadar del 1986, ''Biboff'', Amir considerava Israele come un ghetto assediato e aveva diretto la sua ira contro il "collaboratore". Goldstein fu visto spesso indossare una stella gialla di David come un segno di ricordo.<ref>Rokem, "Cultural Transformations", p. 223.</ref> Come sottolineò il poeta palestinese [[:en:w:Anton Shammas|Anton Shammas]], il peso dell'Olocausto stava paralizzando la progressione nazionale:
{{q|Il mio dolore – e quello dei palestinesi nei campi profughi – non sarà mai ascoltato, perché deve sempre passare attraverso il filtro dell'Olocausto.<ref>Grossman, ''Sleeping on a Wire'', p. 227.</ref>}}
Il teatro in Israele reagì alla crescente situazione affrontando direttamente le questioni o fornendo evasione a un pubblico politicamente stanco. Da ''Sindrome di Gerusalemme'' nel 1987 e ''Adam'' nel 1989, entrambi di Sobol, il teatro di protesta israeliano è nato ai margini o ha avuto luogo all'estero. Ad esempio, ''Underground'' di Sobol fu presentato in anteprima allo [[:en:w:Yale Repertory Theatre|Yale Repertory Theatre]] e Sobol trascorse gran parte dei primi anni ’90 a lavorare all'estero. Il teatro politico sull'Olocausto e sull'identità ebraica venivano dall'estero, in particolare dalla Germania. Dal 1984, quando Theatre Khan produsse il ''Jubiläum'' di Tabori, un flusso costante di stimolanti scritti tedeschi è stato accolto favorevolmente dalla critica israeliana.<ref>Shimon Levy, "German Plays on Hebrew Stages: Israelisch-deutsche Theater-bezeihung", in Bayerdorfer, ''German Israeli Theatre Relations'', pp. 36-46.</ref> ''Schuldig geboren (Nato colpevole)'' di Sichrovsky, ''Der deutsche Mittagstisch'' (= Tavola da pranzo tedesca) di Bernhard e ''Madre Coraggio'' di Tabori sono stati prodotti in Israele. L'accoglienza di ''Mein Kampf'' nel 1991 fu particolarmente significativa. In modo cruciale, ''Haaretz'' dichiarò che Hitler poteva essere superato solo se uno fosse "disposto a identificare le sue caratteristiche dentro di sé".<ref>''Ibid.'', p. 45.</ref> Come Shimon Levy propone:
{{q|Drammi ebrei-tedeschi contemporanei come ''Mein Kampf'' o ''Schuldig geboren''... possono essere considerati dai critici teatrali israeliani come convenienti sostituti di ciò che il dramma ebraico è invitato a fare, ma non a presentare, vale a dire una seria discussione dell'esclusività della sofferenza.<ref>''Ibid.''</ref>}}
La tendenza di Tabori a combinare vittima e vittimizzatore nello stesso ruolo, condivide un'affinità con il lavoro di Sobol, Lerner e Hadar. Per gli israeliani "progressisti", le opere di Tabori hanno importanti implicazioni per la comprensione dell'identità israeliana contemporanea. Giornali come ''[[:en:w:Al HaMishmar|Al HaMishmar]]'' e il defunto ''[[:en:w:Davar|Davar]]'', tuttavia, non apprezzando l'ambiguità della pièce e le immagini ebraiche negative, protestarono che ''Mein Kampf'' paragonava le sofferenze delle vittime e dei vittimizzatori per ottenere un effetto spurio.
Il teatro di protesta indigeno era nato ai margini. [[w:Acri (Israele)|Akko (Acri)]], una città mista arabo-ebraica nel nord di Israele, divenne il centro del teatro politico. Il suo festival teatrale annuale offrì a molti gruppi più piccoli l'opportunità di ottenere il riconoscimento nazionale. Nel 1985, ''Gingham Cohen’s Dance'', alla maniera di Hanoch Bartov, raccontò la storia del fantasma di un ex-internato che si vendicava senza pietà su una ex-guardia. Nell'ottobre 1990 il primo premio all'Akko Theatre Festival fu assegnato a ''Reulim (Masked Faced Terrorists)'' di Ilan Hatzer. Secondo Linda Ben Zvi, questa fu la prima opera teatrale a occuparsi interamente dell'Intifada.<ref>Ben Zvi, ''Theatre in Israel'', p. 41.</ref> Il regista scelse tre attori israeliani come palestinesi nel tentativo di far entrare il pubblico israeliano in empatia con "l’altro". Fu anche un mezzo per diffondere la natura esplosiva dell'opera teatrale. L'obiettivo era di incoraggiare il dialogo e non il confronto. ''Reulim'' ebbe successo e si trasferì per due anni nella seconda sala teatrale del Cameri (1990-92). L'Akko Festival fu determinante nel portare il teatro e le questioni palestinesi al pubblico israeliano. Il 1991, ad esempio, fu il primo anno in cui opere in arabo furono eseguite da attori arabi per un pubblico prevalentemente ebreo.
Una produzione teatrale che mirava a spezzare il divario tra palestinesi e israeliani fu ''Arbeit macht frei vom Toitland Europa'' (= Il lavoro rende liberi nella Terra di morte d'Europa) di David Maayan che vinse il primo premio ad Akko nel 1991. Ironicamente, usando l'analogia Maayan intendeva infrangere il tradizionale parallelismo politico dell'Olocausto con eventi contemporanei per giustificare l'azione del governo. Maayan sostenne che gli israeliani avevano tratto lezioni "sbagliate" dall'Olocausto. Credeva che ci fossero "altre" lezioni da imparare. ''Arbeit Macht Frei'' mostrò come l'analogia potesse essere sia costruttiva che distruttiva, abilitante e proibitiva.
=== ''Arbeit macht frei vom Toitland Europa'' [ארבייט מאכט פריי] ===
Nel 1985 David Maayan fondò un teatro di laboratorio misto ebraico/palestinese ad Akko. Ruota intorno a quattro membri principali: David Maayan, Smadar Maayan, Moni Josef e l'attore palestinese Khaled Abu Mi. ''Arbeit Macht Frei'' (1991) è stata la seconda produzione del gruppo. Veniva ancora eseguita dallo stesso gruppo di base sette/otto anni dopo, mutando per riflettere i cambiamenti politici contemporanei. Per quanto ne so, viene tuttora rappresentata all'Akko Theatre.<ref>[https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/13528165.1996.10871471 "Time and Time Again ‘Arbeit macht frei vom Toitland Europa’: Akko Theatre Centre (Israel)"], consultato 6 marzo 2020.</ref> Non esiste una ''sceneggiatura'' in quanto tale. Molti momenti vengono improvvisati a seconda della composizione del pubblico. Ad esempio, quando fu eseguito in Germania, vennero incorporate modifiche per riflettere sia il pubblico tedesco che gli eventi di attualità. Anche la lingua utilizzata dipende dal pubblico. Generalmente, viene eseguito in a miscela di yiddish, polacco, ebraico, tedesco, arabo e inglese. La seguente analisi è basata sulla mia partecipazione come spettatore ad Akko, primavera 1996, cinque mesi dopo l'assassinio di Rabin. A quel tempo, il Primo Ministro, [[w:Shimon Peres|Shimon Peres]], stava cercando di salvare il processo di pace e il proprio governo contro la montante agitazione della destra, in particolare da parte di [[w:Benjamin Netanyahu|Benjamin Netanyahu]], a quel tempo leader dell'opposizione.
''Arbeit Macht Frei'' impiegò tre anni per svilupparsi. Maayan e i suoi attori idearono la produzione da informazioni raccolte da musei, monumenti e storie familiari, o storie che avevano sentito o letto da sopravvissuti. Il dramma è un amalgama delle memorie degli attori e intende riflettere la coscienza collettiva della società israeliana:
{{q|''Arbeit Macht Frei'' è un dramma sui ricordi dell'Olocausto e il loro posto nella realtà israeliana. I suoi materiali sono la biografia collettiva dei suoi attori e dei loro spettatori, la maggior parte dei quali sono sopravvissuti dell'Olocausto di seconda generazione. Questa è il dramma più sperimentale mai eseguito sul palcoscenico israeliano.<ref>Dan Urian, "Arbeit Macht Frei in Toitland Europe (Work Through Freedom in the Deathland of Europe), Theatre Centre, Akko, Israel", in ''Theatre Forum'', Vol. 3 (1993), pp. 60-6, p. 61.</ref>}}
Durante lo spettacolo, che dura circa cinque ore e mezza, il pubblico è sommerso da immagini, canzoni, odori, ambienti in rapida evoluzione e rapporti contrastanti di "storia", "fatto" e "realtà" che attivano i sensi e stimolano l'intelletto. È deliberatamente frammentario e immaginifico.
''Arbeit Macht Frei'' è interpretato come un ''[[:de:w:stationendrama|stationendrama]]''. La produzione inizia in un museo dell'Olocausto, o museo di guerra, a seconda della produzione individuale. Ad Amburgo, ad esempio, il pubblico fu accompagnato in autobus al [[w:Campo di concentramento di Neuengamme|campo di Neuengamme]]. A Berlino, la produzione iniziò nella [[w:Conferenza di Wannsee|Villa Wannsee di Hitler]]. Momenti teatrali secondari si svolgono sul bus. Il fatto che questi momenti siano "teatrali" diventa evidente al pubblico solo in una fase successiva. Ad Akko la maggior parte della produzione si svolge in un complesso sotterraneo appositamente costruito in cui attori e pubblico si mescolano e si scambiano pensieri. È qui che inizia il dramma "vero e proprio", contrassegnato dalla raccolta dei biglietti all'ingresso. All'interno di questa catacomba simile all'[[w:Ade (regno)|Ade]], il pubblico assiste e partecipa a diverse scene mentre viene condotto in spazi sempre più limitati che ricordano le baracche di Auschwitz. Attraverso un percorso male illuminato e tortuoso all'interno del complesso, il pubblico è disorientato e "esplorato" dagli attori. È il pubblico che sta al centro di questa esperienza teatrale. Poiché la pièce riguarda la percezione israeliana dell'Olocausto e come è stato impiantato nella società israeliana, il pubblico, in quanto rappresentante di tale società, deve necessariamente essere messo al microscopio.
{{Immagine grande|Aqueduct - amphi - Lochamey Hegetaot 2011-3.jpg|780px|[[:en:w:Lohamei HaGeta'ot|Lohamei HaGeta’ot]]: Museo dei Combattenti del Ghetto, visto dall'Acquedotto Ottomano del XVIII secolo (Israele)}}
Nell'aprile 1996, io e altri ventidue spettatori ci siamo incontrati in un parcheggio ad Akko. Il pubblico era volutamente piccolo, non solo, come dovevamo scoprire, a causa dei confini dello spazio di scena, ma perché il discorso generato tra gli attori e gli spettatori e tra gli spettatori stessi è la parte più importante dello spettacolo. Cinque ore e mezza dopo sapevamo delle cose l'uno dell'altro che in condizioni normali non avremmo mai divulgato a totali estranei. Nel parcheggio fummo accolti da Moni Josef che ci accompagnò ad un autobus. Una guida ci informò che saremmo andati a '''[[:en:w:Lohamei HaGeta'ot|Lohamei HaGeta’ot (לוֹחֲמֵי הַגֵּיטָאוֹת, "Combattenti del Ghetto")]]''', un museo dell'Olocausto, istituito da un gruppo di sopravvissuti dell'Olocausto, molti dei quali furono leader della rivolta del ghetto di Varsavia. Tutti i temi esplorati in ''Arbeit Macht Frei'' sono stabiliti nel museo e ampliati nella seconda parte del dramma.
Il primo tema riguarda l'illusione e la realtà, la narrativa e la contro-narrativa. "Il testo è organizzato come una serie di inganni", scrive Dan Urian, che attiva la vigilanza del pubblico. La percezione da parte del pubblico della realtà e della "verità" viene ripetutamente attaccata nel tentativo di stimolare domande su altre "verità" riguardanti la natura dell'Olocausto, i racconti storici e le percezioni politiche. Ad esempio, al museo il pubblico è stato accolto da "Selma", che ci fu comunicato essere una sopravvissuta dell'Olocausto. La sua identità iniziale fu confermata dal suo aspetto ma, mentre ci guidava nel museo, divenne evidente che era una donna molto più giovane di quanto avessimo immaginato e quindi un'attrice (il cui vero nome era Smadar Maayan).
Il secondo tema, simile a quello esplorato nel ''Biboff'' di Hadar, ruota attorno a quello che Anton Shammas chiamò "giudaismo tormentato": la tendenza sado-masochista a risvegliare il dolore dell'Olocausto nell'infliggere un analogo degrado legato alla razza dell'"altro". "Selma", una vittima dei nazisti, paradossalmente sembra ammirare i successi nazisti. Il suo fascino è feticista. Tocca e accarezza i reperti su cui i suoi occhi indugiano intensamente. Il suo atteggiamento è molto sensuale, persino sessuale. Si crogiola in immagini di morte e torture. Ad esempio, ad un certo punto il pubblico fu portato in un piccolo cinema per guardare un film polacco, ''Ambulans'' ("Ambulanza", [[:en:w:Janusz Morgenstern|Janusz Morgenstern]]; 1955). Raffigura un gruppo di bambini che camminano inconsapevolmente verso un furgone/camera a gas mobile. Mentre Selma parla del film, cammina davanti allo schermo e quindi lascia cadere su di sé le immagini proiettate dei bambini. Si crogiola nelle loro immagini, sempre in modo sensuale. Come scrive Freddie Rokem, è un atto di "scrittura sul corpo".<ref>Rokem, "Cultural Transformations of Evil and Pain", pp. 26-7.</ref> Il passato ha lasciato ben più di cicatrici. C'è stata una decisione volontaria di avere le ferite indelebilmente incise sulla pelle. Questo tema è sviluppato più avanti nel dramma, dalla rivelazione che il tatuaggio portato da Smadar nella parte di Selma in effetti è reale.
Il terzo tema ruota attorno a questo atto di iscrizione, in particolare allo scopo di preservare queste ferite infettanti, [[w:Prometeo|prometeiche]], piuttosto che "sanarle". Quando l'atto di ricordare dà fede alla vita e quando è autodistruttivo e esteriormente aggressivo? È possibile dare a queste domande delle risposte definitive? Ad esempio, Selma all'inizio indossa un fazzoletto attorno al polso per nascondere il tatuaggio del campo. Sceglie di non rimuovere questo marchio significativo del passato anche se ovviamente desidera nasconderlo. La sua relazione con il passato, che voglia ricordarlo o dimenticarlo, è molto ambigua. Come il personaggio di Yosel in ''Not of This Time, Not of This Place'' (1963) di [[w:Yehuda Amichai|Yehuda Amichai]], che sfoggia un tatuaggio di sirena per coprire quello inflitto ad Auschwitz, la situazione di Selma sul "ricordo" e il "lasciar perdere", come quella di Israele, è forse insolubile.
Temi del ricordare e del dimenticare inevitabilmente toccano la natura della narrazione. Il tatuaggio, come iscrizione del passato, sul corpo di Smadar (rappresentante dell'attuale corpo politico di Israele) è necessariamente una buona cosa? È finanche legato alla ricerca di integrità storica? Uno ad uno, "Smadar/Selma" sfida preconcetti e narrazioni del pubblico: l'Olocausto, l'imperativo del collettivo israeliano e, soprattutto, gli atteggiamenti israeliani verso i palestinesi. Dopo tutto, sono i palestinesi a sopportare il peso della rabbia generata dalle ferite di un passato che non andrà via. ''Arbeit Macht Frei'' è un'indagine sulla narrativa sionista basilare, più o meno allo stesso modo di ''Cherli Ka Cherli'' di Danny Horowitz. Per molti versi, l'opera di Horowitz è il precursore stilistico e tematico di ''Arbeit Macht Frei''. In entrambi i brani, il pubblico è guidato da una serie di reperti e guide che pongono domande per costringere gli spettatori a interrogare le immagini e le storie proposte. In particolare, ''Arbeit Macht Frei'' utilizza la fotografia del ragazzo nel ghetto di Varsavia, le braccia in alto (visto in ''Cherli Ka Cherli'' e in ''Ha Patriot'' di Hannover Levin). Selma, in piedi davanti a questa fotografia, espone e spiega la gerarchia della sopravvivenza nell'Olocausto. "Ognuno afferma di essere questo ragazzo", dice, insinuando che la narrativa israeliana ha enfatizzato il ruolo dei partigiani ebrei nel continuum dell'identità ebraica e stigmatizzato convenientemente coloro che si sono comportati con acquiescenza "da pecora". Ecco perché Selma, una "vittima" dei campi, nasconde il suo tatuaggio: è lo stigma di un codardo piuttosto che le stimmate di un martire.
Il quarto tema è la politica aggressiva che Israele ha adottato per garantire che l'Olocausto non si ripeta mai. In termini contemporanei questo si manifesta nel trattamento israeliano della minoranza araba. Fermandosi davanti ad un modello del ghetto di Varsavia, Selma chiese agli spettatori se sapessero di altri ghetti odierni. Qualcuno offrì l'analogia dei campi profughi palestinesi. Selma non approvò né disapprovò la risposta, anche se sembrava fosse quella che si aspettava. L'analogia di israeliani come nazisti e arabi come ebrei espropriati è evidenziata con altri mezzi, in particolare attraverso la musica militare. In ''Cherli Ka Cherli'', Horowitz aveva fatto lo stesso parallelo descrivendo i suoi soldati israeliani e nazisti che ripetevano lo stesso ritornello di "sinist, destra, sinist, destra". Nel museo Selma e successivamente Khaled stabiliscono il ''[[w:Leitmotiv|Leitmotiv]]'' della musica nazionalistica, sottolineandone l'impatto drammatico ed emotivo. Mentre guardava ''Ambulans'', ad esempio, "Selma" chiese al pubblico di notare la drammatica qualità della musica, la facilità con cui può essere utilizzata per manipolare la risposta del pubblico. "Perché suonavano musica nei campi?" Khaled chiese in seguito. "Per nascondere le urla degli ebrei', ci disse. La musica militare e nazionalistica copre una profonda bestialità. Copre l'orrore della guerra. Funziona allo stesso livello dell'eufemismo linguistico e distoglie l'attenzione popolare dalla ferocia del nazionalismo.
Il quinto livello, che fu ulteriormente sviluppato ad Akko, è l'esperienza di essere una vittima, in particolare una vittima del Terzo Reich. Selma depone la prima "mina" per questa discussione quando il pubblico passa davanti ad una raccolta di interpretazioni artistiche contemporanee dell'Olocausto. Osservandole, ci disse, "la vera creatività è dove nascondere un pezzo di pane quando non hai né capelli e né vestiti". La fame, il disorientamento, l'ambiente stesso e la privazione saranno usati in seguito per costringere il pubblico a mettersi nei panni dei perseguitati di Hitler. Ad esempio, un altro punto in cui questa strategia entrò in ballo fu quando Selma chiese al pubblico di scendere una rampa di scale per incontrare Khaled. "Tenete la destra', avvertì. Mentre scendevamo, si fermò in cima alle scale, sorridendoci consapevolmente. Stavamo rievocando l'arrivo degli ebrei ad Auschwitz. Eravamo i fortunati, a differenza di "quelli a sinistra" che passarono dal processo di selezione giù per la "scala del paradiso" e nelle camere a gas.
Selma ci aveva condotto sui gradini con la frase "Ora andiamo da Khaled che sa tutto sui campi di concentramento". Ancora una volta le percezioni furono messe alla prova: cosa può mai un arabo insegnare a un pubblico israeliano sull'Olocausto? Khaled, parlando con un forte accento arabo, stava di fronte a un grande modello tridimensionale di Treblinka con un bastone in mano e istruiva il pubblico sui meccanismi di un campo di sterminio. Il tour di Selma era stato strutturato in modo approssimativo sulla storia della ricerca nazista per affinare l'eliminazione di "un segmento alieno della società". Khaled ci informò che i campi costituivano il metodo "finale". L'immagine di un arabo in piedi davanti a un modello di Treblinka, ci ricordò l'immagine precedente del ghetto di Varsavia, in particolare l'analogia con i campi profughi palestinesi. La domanda sollevata dall'immagine di Khaled e Treblinka sollevò la questione se una simile soluzione finale spettasse anche ai palestinesi.
''Arbeit Macht Frei'' propone un diverso tipo di nazionalismo basato sulla comprensione e il rispetto reciproci in una società multiculturale. Khaled ci disse di non aver mai saputo nulla dell'olocausto fino a quando non andò al Yad Vashem, dove fu così scioccato che si mise a piangere. Descrisse quindi le sue successive reazioni. Prima odiò i tedeschi, poi iniziò a odiare l'Uomo. Ora, ci disse, si riferisce alle persone solo come esseri umani piuttosto che come gruppi o tipi. Il suo atteggiamento rifletteva la necessità di distruggere gli stereotipi. Il pubblico venne incoraggiato a capire, non solo gli ebrei e gli arabi, ma anche l'un l'altro. La comprensione può venire solo mediante il contatto individuale nella vita quotidiana. Ci fu un tentativo deliberato di far condividere agli spettatori le proprie storie, i ricordi e la compassione. Ad esempio, nel museo, Selma si fermò alla cabina di vetro di Eichmann. Uno degli spettatori rivelò che suo padre era stato una delle guardie di Eichmann. Un altro infine ammise di essere un turista tedesco. Questi due estranei condivisero quindi un legame e si formò tra loro un rapporto.
Il pubblico fu quindi riportato ad Akko in autobus. Al centro teatrale fummo condotti in un'anticamera buia. Una guida con una torcia ci disse bruscamente di lasciare le nostre cose e andare in bagno perché questa sarebbe stata la nostra ultima opportunità. Ancora una volta il pubblico venne posto nella posizione di vittime. Era un "gioco" teatrale in cui eravamo ora molto consapevoli di essere coinvolti. Nessuno di noi "protestò" e "da pecora" ci incamminammo verso quello che sarebbe diventato il nostro percorso verso Auschwitz.
Fummo condotti in una stanza ancora più buia e profumata di incenso. L'unica luce proveniva dalla torcia dell'usciere mentre ci metteva bruscamente contro il muro. Di nuovo, la questione della narrazione e della natura dei memoriali come generatori di identità nazionale fu evidenziata quando lo spazio in cui ci trovavamo ricordava il memoriale dei bambini a Yad Vashem. Questo particolare monumento è una caverna buia attraverso la quale lo spettatore si fa strada afferrando un corrimano e l'unica guida è un numero apparentemente infinito di candele che brillano e si riflettono in una miriade di specchi. Ogni luce riflessa rappresenta un bambino ucciso nell'Olocausto ed è progettata per creare un profondo impatto emotivo. Nello spazio corrispondente ad Akko, la luce tremolante era fornita dalla torcia dell'usciere e da una proiezione cinematografica che caddeva su Selma seduta al centro della stanza. Ancora una volta, Selma permetteva al suo corpo di essere iscritto. Lentamente e sensualmente Selma si tolse il fazzoletto dal polso per esporre il suo tatuaggio del campo. Sputando sul tessuto, cercò di cancellare il tatuaggio dalla sua pelle, il passato dal suo presente. Il tatuaggio, come il passato, rimase. L'azione dello sfregamento espresse il desiderio di dimenticare il passato. Tuttavia avrebbe potuto farsi rimuovere chirurgicamente il tatuaggio. Invece, come Yosel, ella rimane in un dilemma insolubile tra il ricordare e il dimenticare. Il dilemma la sfinì. Cadde in avanti, a faccia in giù sul pavimento, rimanendo lì mentre ci trascinavamo nella stanza accanto.
Lo spazio successivo aveva un'atmosfera di decadenza. La carta si staccava dalle pareti. Banchi di scuola giacevano contro una parete. Ci venne detto di sederci. Un modello in scala più grande di Treblinka era posto sul pavimento davanti a noi. Intorno ai suoi bordi correva un trenino. Le capanne in miniatura erano diventate dei piedistalli su cui stavano gli attori e si esibivano. Ai lati del "palcoscenico" c'erano schermi televisivi. Uno mostrava le guardie donne costrette a seppellire i cadaveri in un campo di sterminio, l'altro era un film documentario su Smadar che si faceva fare il tatuaggio e il pubblico allora si rese conto che il tatuaggio dell'attrice era reale. Fu inoltre rivelato che la sequenza di numeri che Smadar aveva scelto per il tatuaggio era la data della morte di suo padre, un dolore che, come l'Olocausto, non vuole sradicare del tutto né ricordare del tutto. Smadar entrò poi nella stanza e si fermò accanto a una [[w:tastiera elettronica|tastiera elettronica]]. La guida femminile dell'autobus (l'attrice Miri Tsemach), Moni e Khaled apparvero vestiti da scolari. Procedettero a satirizzare una cerimonia scolastica della [[w:Yom HaShoah|Yom HaShoah]]. I bambini, annoiati da questo vuoto rituale, si prendevano in giro a vicenda e scherzavano con una trombetta giocattolo. Iniziarono a suonare le sirene e un monitor sulla sinistra mostrò una vera cerimonia scolastica, con bambini altrattanto annoiati. Le sirene si mettono ad ululare in tutto Israele nel Giorno del Milite Caduto e in altri giorni di lutto nazionale, come al funerale di Rabin. Il pubblico venne quindi invitato a riflettere sul proprio patrimonio culturale, la sua socializzazione e la natura ritualistica della memoria collettiva israeliana. Smadar accompagnò la scena suonando canzoni nazionaliste kitsch sulla tastiera.
Alla fine di questa breve rappresentazione, la tenda al retro del "palco" si alzò rivelando un altro spazio. Tra i due spazi c'era un grande cancello metallico con sopra la scritta ''Arbeit Macht Frei''. Fummo condotti oltre la grata e istruiti di andare a destra o a sinistra. Io andai a destra. I due gruppi di spettatori vennero pilotati lungo due corridoi stretti che correvano paralleli tra loro, con un terzo spazio nel mezzo. Gli spazi dei corridoi erano delimitati da valigie e da scarpe che penzolavano dall'alto. Molti si dovettero piegare mentre camminavano. Il muro alla nostra sinistra (cioè quello più vicino all'altro gruppo di spettatori) era un amalgama di vetro e filo spinato che sporgeva sullo spazio vuoto intermedio. Uno stretto banco di legno si allungava al lato della parete alla nostra destra. Ci venne detto di sederci. Attraverso la nostra partizione, si poteva percepire affievolita la presenza dell'altro gruppo di spettatori nella stessa posizione, dall'lato opposto oltre lo spazio vuoto. Nella semi-oscurità sentimmo la voce da un altoparlante che istruiva gli attori ad andare alle varie finestre. E così iniziò il nostro interrogatorio. Miri Tsemach si affacciò alla nostra finestra e chiese a ciascuno di noi perché fossimo lì e quale fosse la nostra connessione con l'Olocausto. Ci furono estratte storie di famiglia e personali e, attraverso questa condivisione, diventammo un gruppo più unito ed intimo. Ciò che non sapevamo era che alcune delle nostre storie sarebbero state usate in seguito, durante i momenti più improvvisati.
Dopo l'interrogatorio, il pubblico fu riunito nella stanza successiva che era circa un metro e mezzo scarso, con banchi ai margini. Sembrava una baracca di un campo di concentramento, eccetto per l'inclusione incongrua di Smadar che si appoggiava ad un pianoforte, invitandoci a sedere. Si mise a cantare una canzone israeliana nazionalista a lume di candela e al pubblico venne offerto cognac o acqua. Di nuovo, la musica attirò la nostra attenzione. Smadar parlò dell'effetto socialmente unificatore della musica, mentre cantava una canzone ebraica. Poi, tranquillamente, si mise a cantare una canzone nazista, in tal modo collegando nazisti e israeliani. In questo spazio ristretto, furono rappresentate una quantità di scene. La stanza divenna l'"appartamento" di Selma in un "ghetto" israeliano dove si raggruppava l'ultima ondata di immigranti. Un immigrante russo arrivato recentemente in Israele si avvicinò ad incontrare Selma (sua vicina) e fu sorpreso di scoprire che lei non aveva mai accettato denaro riparatore. Questa scena era accompagnata dal suono di immigrati oltre i muri che vociferavano in una cacofonia di lingue. Gli immigrati russi che erano venuti in Israele nei tardi anni ’80 e primi anni ’90 furono l'ultima ondata. Poiché avevano una propria cultura e lingua, non si assimilarono. I sabra li considerano estranei e ''déclassé''. Ma anche la classe inferiore deve crearsi un certo grado di rispetto denigrando "l'altro". Nella nostra scena per esempio, l'immigrato russo condanna gli arabi, particolarmente il ragazzo arabo che sua figlia sta attualmente frequentando. La scena dimostra come tutti, alla pari dei nazisti, abbiano il proprio ''[[w:Untermensch|Untermensch]]''.
La scena tra Selma e il russo si intensificò e apparve un cavolo. Le due donne litigarono per prenderselo, con Selma che cercò di nasconderne le foglie tra i capelli e dentro le calze. Nel frattempo il pubblico diveniva consapevole dell'odore di cibo. Erano passate circa quattro ore e mezza da quando eravamo saliti sull'autobus ad Akko. Molti di noi erano alquanto affamati. Smadar e l'immigrato si inseguirono fuori dalla stanza e una parte del soffitto cadde in basso per formare una tavola apparecchiata con un pasto. Tuttavia, il cibo ci venne negato.
'Selma' dopo aver cacciato il russo dal suo appartamento, ritornò con Moni che ora recitava il ruolo del figlio adulto, Menashe. Ci invitò a mangiare nella loro "casa", ma divenne evidente che il suo personaggio era tutt'altro che ospitale. Menashe era un ufficiale di riserva nei paracadutisti, sciovinista e di estrema destra, che fece l'occhiolino ai suoi vecchi "amici del Mossad" nel gruppo e suggerì lascivamente alle donne straniere del pubblico cosa un bravo israeliano potesse fare per loro. Ripetutamente, il personaggio sfacciato di Moni, strappò di mano al pubblico il cibo mentre elaborava vari argomenti, in particolare le storie che gli attori avevano raccolto durante il nostro interrogatorio. Ne seguì una discussione politica tra Moni e Selma. Moni, espandendosi sul conflitto libanese, incolpò gli arabi perché "l'avevano iniziato". La sua ripetuta domanda retorica, "chi l'ha iniziata?" divenne sempre più ridicola mentre la sua argomentazione andava sempre più indietro nel tempo fino a quando madre e figlio si tyrovarono a discutere di chi aveva iniziato la Rivoluzione Francese. Questo approccio satirico evidenziò come i conflitti attuali siano radicati in animosità obsolete. Sottolineò inoltre la natura fatua dell'analogia storica.
''Arbeit Macht Frei'' non evidenzia i parallelismi tra gli arabi e gli ebrei dell'Olocausto o tra i nazisti e gli israeliani per far avanzare una causa a scapito dell'altra. Né cerca di fare facili confronti per imporre un quadro onnicomprensivo di interpretazione. Comprendere la situazione israelo-palestinese attraverso l'obiettivo dell'Olocausto sarebbe miopico. Lo scopo del parallelismo è consentire la comprensione reciproca. Solo quando entrambe le parti sono state educate è possibile progredire. Ciò fu reso evidente nella scena successiva.
La tavola si alzò di nuovo verso il soffitto. Khaled venne rivelato in attesa sul pavimento con un vassoio di caffè e dolcetti. Doveva essere stato seduto sotto il nostro "tavolo" per un bel po' di tempo. Ci fu silenzio e poi chiese: "Cosa state aspettando? Vi aspettate che un arabo vi porti il vostro caffè? Ci furono risate immediate. Stava deridendo la percezione israeliana degli arabi come cittadini di seconda classe. Khaled poi parlò della sua vita da palestinese mentre bevevamo il nostro caffè. Il suo tono non era né aggressivo né autocommiserante. Non cercava né di condannare né di condonare.
Dopo averci lasciato a mangiare i dolcetti, l'atmosfera geniale terminò bruscamente e ci fu ricordato che eravamo in viaggio verso Auschwitz. Il soffitto si abbassò di nuovo per rivelare Smadar distesa nuda e a gambe aperte sulla tavola. Il suo corpo ora esposto era dolorosamente magro. Estraendo un pezzo di pane dalla sua vagina, cominciò a mangiarlo. Il commento che ci aveva fatto al museo sulla "vera creatività" in relazione all'occultamento del cibo tornò a perseguitarci. Era di per sé un'immagine scioccante, ma arrivando subito dopo che avevamo finito di mangiare, ci sentimmo responsabili delle sue condizioni. Avevamo mangiato. Smadar, che pesava trentanove chili, non l'aveva fatto.<ref>Lo stato fisico dell'attrice fu una decisione consapevole. Aveva deliberatamente perso peso per il suo "ruolo". Ciò era stato ulteriormente aggravato da una forma di anoressia che l'aveva afflitta a causa della sua esperienza nel recitare la parte di Selma.</ref> La tavola e Smadar poi svanirono e, dopo un'ulteriore scena che coinvolgeva fanatici arabi e israeliani, delle botole si aprirono sopra le nostre teste e fummo invitati a salire e arrampicarsi, un'impresa che richiese agli spettatori di aiutarsi a vicenda. Avevamo condiviso le nostre storie, il nostro spazio personale e il nostro cibo. Ora condividevamo un aiuto reciproco mentre ci arrampicavamo attraverso le piccole aperture.
Una volta attraversato il "soffitto" ci trovammo in un inferno simile a quello di Dante. Ci assalirono musica ad alto volume, luci lampeggianti e fumo. Miri Tsemach giaceva nuda in una vasca di metallo girevole, coperta dai resti del nostro pasto. Usando le mani, si riempì la bocca di cibo che vomitò immediatamente. Era un'immagine che funzionava su due livelli: incapsulava lo spettacolo della sottoclasse israeliana (i palestinesi) che viveva di sussidi israeliani; e commentava la distanza percorsa dall'immagine dell'ebreo in cinquant'anni, dalla fame (Selma, la povertà dell'Olocausto e della Diaspora) alla gozzoviglia, avidità e bulimia (la società dei consumi israeliana e il relativo materialismo).
Nel frattempo Smadar, in piedi in una buca sabbiosa, si esibiva come un fenomeno da baraccone. Ci invitò a fissare ancora una volta il suo corpo magro. Ma l'immagine centrale e più ambigua era quella di Khaled. Se ora stesse rappresentando un ebreo o un arabo era incerto. Correndo nudo<ref>Di certo il nudismo fu essenziale nello spettacolo: prima o poi, tutti gli attori si presentarono nudi.</ref> sul posto, teneva in mano un manganello di gomma con il quale si batteva ripetutamente. Al collo, attaccato a una corda, c'era un apribottiglie. Ci consegnarono bottiglie di birra e incoraggiarono a goderci lo "spettacolo". Khaled quindi offrì il manganello in giro, invitandoci a picchiarlo. Uno spettatore imbarazzato, nello spirito di partecipazione del pubblico, accettò, ma colpì Khaled solo leggermente. Il modo in cui questo spettatore partecipò al "gioco" aveva lo scopo di evidenziare quanto fosse facile, in una società collettiva, diventare il persecutore. Sullo sfondo, Moni come Kommandant di un campo di concentramento, sollevato in alto da una cintura contro la parete opposta, conduceva il procedimento come se dirigesse un'orchestra. La posizione di questo inferno artificiale era ambigua. Eravamo ad Auschwitz o una visione da incubo di Israele? La musica e l'azione si intensificarono con Khaled che si batteva freneticamente. La scena era insopportabile. Non c'era via d'uscita ovvia. Alla fine fummo rilasciati mentre la scena continuava dietro di noi. Mentre venivamo condotti via, Khaled collassò e Smadar lo confortò in un abbraccio simile alla [[w:Pietà (arte)|Pietà]]: ebrei e arabi come vittime gemelle dell'Olocausto — "Selma" a causa della sua tortura sotto Hitler e Khaled a causa del modo in cui l'Olocausto era stato impiantato e utilizzato in Israele per reprimere i non-ebrei. Poi ci ritrovammo nell'anticamera dove avevamo lasciato le nostre cose e venimmo espulsi nell'aria della sera israeliana. Non fu effettuata chiusura di sipario, ma ci diedero dei programmi. Molti di noi singhiozzavano in modo incontrollabile, alcuni volevano restare da soli, la maggior parte aveva bisogno di soffermarsi a parlare con le persone che avevamo incontrato durante il percorso "teatrale".
''Arbeit Macht Frei'' opera su molti livelli e tocca molti temi, tutti correlati. In primo luogo, tratta della memoria dell'Olocausto, di come sia stata inclusa nella narrativa sionista e utilizzata dai politici israeliani. "L'Olocausto è una nuova religione, è l'oppio delle masse in Israele", ha detto Maayan. "Per me questo tipo di teatro è una forma di blasfemia. Sto profanando un santuario."<ref>Hannah Hurtzig, "An Interview with David Maayan, Hamburg 1993", in ''Theaterschrft'' (5 giugno 1993), pp. 248-63, p. 256.</ref> La ritualizzazione sociale, sostiene, ha creato un abisso profondo tra un vero senso di lutto e la realtà politica dell'Olocausto nella memoria collettiva israeliana. Come Dani Horowitz che voleva "ricominciare dall'inizio e decidere", Maayan disse che "poteva solo concepire ''Arbeit Macht Frei'' attraverso la totale cecità, impotenza e oblio".<ref>''Ibid.'', p. 252.</ref> Come Horowitz, egli concentra il suo attacco su simboli, immagini e narrazioni. L'Olocausto è "avvolto in tabù, cliché, modelli di pensiero e sentimenti ideologizzati".<ref>''Ibid.''</ref> Sobol disse che voleva prendere un'ascia "per frantumare l'oceano ghiacciato delle lacrime" e ''Arbeit Macht Frei'' raggiunge questo obiettivo confrontando direttamente gli spettatori e rendendoli il soggetto del dramma, come aveva fatto Horowitz in ''Cherli Ka Cherli'' e ''Zio Arthur''. ''Arbeit Macht Frei'' assale fisicamente gli spettatori, li bombarda e li costringe a partecipare. "Il cinquanta per cento della responsabilità di una ''performance'' spetta al pubblico", ha detto Maayan: "Lo spettatore passivo non esiste".<ref>''Ibid.'', p. 248.</ref> Lo scopo della produzione è provocare la catarsi tramite il confronto con l'Olocausto e forzando fisicamente il pubblico nei panni della vittima. Lo spazio è deliberatamente disorientante. Gli interrogatori e l'uso delle nostre storie personali sono volutamente invasivi. La ''privacy'' viene eliminata. Un gruppetto di persone, in un ambiente così claustrofobico, non può nascondere le proprie reazioni, specialmente quando sono loro che stanno al centro della rappresentazione e del discorso.
[[:de:w:Gad Kaynar|Gad Kaynar]] scrive che, tradizionalmente, il dramma israeliano era stato un "generatore di identità". Sin dalla fondazione dell'Habima, che si reputava un forum ebraico/sionista, i teatri israeliani furono concepiti come aule per la diffusione di ideali politici, codici morali, modelli di comportamento e narrazioni della Storia. Con ''Arbeit Macht Frei'', il pubblico è costretto a guardare il tipo di teatro e gli schemi di risposta che ha generato. Come scrive Kaynar, gli stessi spettatori sono "i creatori di quei presupposti che hanno portato a questa risposta artistica".<ref>Kaynar, "Get Out of the Picture, Kid in the Cap", in Ben Zvi, ''Theatre in Israel'', p. 286.</ref> Lo spettatore è invitato a chiedersi fino a che punto egli sia un prodotto della sua società senza nemmeno saperlo.
La produzione chiede al pubblico di mettere in discussione la sua narrazione dell'Olocausto e il suo sottoprodotto: la sottomissione del non-ebreo alla società israeliana. La consegna del manganello nella scena finale rende il pubblico complice di questa oppressione. Ma Khaled non esiste nel dramma puramente per protestare col pubblico israeliano. Khaled cercava di educare se stesso sull'Olocausto e scelse di partecipare alla rappresentazione. Dimostrò la sua disponibilità a comprendere e ad entrare in empatia con l'"altro". Col suo esempio, al pubblico israeliano viene chiesto di fare lo stesso.
''Arbeit Macht Frei'' illustra l'Olocausto come una "frattura" nella storia e, allo stesso tempo, cerca di guarire le ferite. È veramente catartico e, come vuole Tabori per il suo teatro, funziona allo stesso modo del teatro greco: ricrea la tragedia per poter piangere i morti e poi fermare il dolore. Prepara il terreno per un futuro positivo ed epurato:
{{q|Il passato è commemorato, il ricordo rimane vivo, ma trattato come qualcosa di finito e concluso.<ref>Heike Roms, ''Time and Time Again'', Routledge, 1996, pp. 59-62; p.59.</ref>}}
Quando ''Arbeit Macht Frei'' venne presentato in anteprima in Israele, fu condannato dalla critica come privo di gusto e blasfemo. Solo gradualmente fu accettato dall'establishment come un pezzo fondamentale nello sviluppo del teatro israeliano.<ref>Intervista con Neil Wallace, dicembre 1994.</ref> La compagnia non ha sponsor e non riceve sussidi statali. Il teatro di protesta esiste ancora ai margini.<ref>Rebecca Rovit, "The Theatre Akko Centre Opens its Gates to Auchwitz", in ''The Drama Review'', Vol. 37. (Estate 1993), pp. 161-73; p. 16</ref> Eppure sia ''Arbeit Macht Frei'' che l'Akko Theater Festival sono rimasti influenti coi nuovi scrittori israeliani. Ad esempio, ''Piwnica'' (1994) di [[c:Category:Avishai Milstein|Avishai Milstein]] ripercorre la vita di tre giovani cineasti israeliani ambiziosi, Joel, Mark e Beatrice che usano la vera storia delle esperienze del padre di Joel in un campo di concentramento per lanciare le loro carriere a Hollywood.<ref>Gad Kaynar, "What's Wrong with the Usual Description of Extermination?", p.201.</ref> In tal modo il dolore viene utilizzato per fini egoistici. È importante sottolineare che uno dei temi del dramma è la natura della "rappresentazione" dell'Olocausto. Il direttore dello studio di Hollywood si sforza di ideare la rappresentazione cinematografica più appariscente e più innovativa dell'Olocausto a tutt'oggi.
Il paese in cui ''Arbeit Macht Frei'' ebbe il maggiore impatto fu la Germania. Venne rappresentato a Berlino (aprile 1992), Amburgo (luglio 1993) Recklinghausen (giugno 1995) e anche in Austria, a Vienna (maggio 1995), prevalentemente in una miscela di tedesco, yiddish ed ebraico. Fu anche realizzato un film documentario tedesco, ''Balagan''. Durante le scene degli interrogatori nelle produzioni tedesche, gli attori posero al pubblico domande altrettanto invadenti come "cosa ha fatto tuo padre durante la guerra?"<ref>Heike Roms, ''Time and Time Again'', p. 59.</ref> Secondo Heike Roms, ''Arbeit Macht Frei'' "avviò una discussione sulla politica della commemorazione".<ref>''Ibid.'', p. 60.</ref> Ad esempio, nel campo di concentramento di Neuengamme, fuori Amburgo, la politica di colpa ed espiazione venne messa in scena durante una cerimonia di deposizione di corone parallela alla cerimonia Yom HaShoah di Akko. Spettacoli sia in Israele sia in Germania cercarono di enfatizzare l'effetto paralizzante sul presente di un passato safruttato politicamente. Hermann Kurthen scrive: "La questione di come affrontare adeguatamente il passato ha afflitto la Repubblica Federale Tedesca sin dalla sua fondazione cinquant'anni fa". La questione di come ricordare, commemorare e affrontare l'Olocausto rimane una questione delicata:
{{q|Dalla fondazione della Repubblica Federale Tedesca, i tedeschi hanno percorso una linea sottile tra soppressione e ricordo, tra il desiderio di prendere le distanze dalle azioni del passato e l'accettazione di colpa collettiva, vergogna e responsabilità. Per alcuni il passato imbarazzante è stato una ragione per ignoranza, revisionismo o amnesia provocatoria. Per altri è un costante imbarazzo e un conflitto morale che porta a un serio esame di coscienza.<ref>Hermann Kurthen, "Antisemitism and Xenophobia in United Germany", p.40.</ref>}}
Kurthen conclude: "L'Austria ha esternalizzato il passato come un problema tedesco; la Germania orientale comunista universalizzò il fascismo nazista come parte di una lotta globale; e la Germania occidentale interiorizzò normativamente (cioè accettandola pienamente) responsabilità morale e materiale per i crimini nazisti."<ref>''Ibid.'', p. 41</ref> Il successo percepito o il fallimento del ricordo è importante perché è preso ad indicare il reinserimento della Germania nella comunità delle nazioni civili.
Dalla metà degli anni ’80 in Germania si è assistito a un flusso costante di opere teatrali e film non tedeschi riguardanti l'Olocausto. Quando ''Ghetto'' venne rappresentato al Volkstheater di Berlino, Sobol disse che il dramma ricevette la più straordinaria reazione emotiva che avesse mai visto: "Fu quasi spaventoso", disse, "il pubblico applaudì per un quarto d'ora, in piedi, gridando e chiamando gli attori... ho pensato che fosse una reazione schietta, non falsa."<ref>Sobol intervistato su ''The Daily Telegraph'' (24 aprile 1989).</ref> Dal 1984, la trilogia ''Ghetto'' è stata rappresentata al National Theater Mannheim, al Maxim Gorki Theater di Berlino, a Stoccarda, a Weimar e in altre città tedesche. Il Maxim Gorki Theater scelse di organizzare la trilogia per celebrare il suo quarantesimo anniversario.<ref>''Süddeutsche Zeitung'' (6 ottobre 1992).</ref> Dopo la caduta del Muro, la guerra e l'Olocausto sono ora reinvestigati da una nuova generazione che da sola sta cercando di riscoprire la storia. Con un afflusso di 8000 ebrei dall'URSS, la cultura ebraica è stata riproposta soprattutto lungo la Oranienbergstrasse di Berlino, l'ex quartiere ebraico. Nel 1994 fu aperta la prima scuola media ebraica del dopoguerra in Germania, cinquantadue anni dopo la chiusura dell'ultima. E nell'aprile del 1992 ha avuto luogo il Festival della cultura ebraica di Berlino. Tra le attrazioni c'era il gruppo musicale inglese ''[[:en:w:Towering Inferno (band)|Towering Inferno]]'' che eseguì la propria opera rock, ''[[:en:w:Kaddish (Towering Inferno album)|Kaddish]]'', descritta dalla rivista tedesca ''ZAP'' come un montaggio di "canzoni popolari ebraiche, chitarre metal, discorsi di Hitler, suoni industriali". [[w:Brian Eno|Brian Eno]] proclamò che i compositori di ''Towering Inferno'', [[:en:w:Richard Wolfson (musician)|Richard Wolfson]] e Andy Saunders, avevano scritto la colonna sonora "più spaventosa" mai prodotta.<ref>Bernard McMahon, cur., ''Towering Inferno Press Pack''.</ref>
[[File:Schindler, Oskar.jpg|right|150px|thumb|[[w:Oskar Schindler|Oskar Schindler]], ca. 1946]]
Ma l'evento artistico più singolarmente importante degli anni ’90 fu ''[[w:Schindler's List - La lista di Schindler|Schindler’s List]]'':
{{q|Se uno degli obiettivi di Steven Spielberg era quello di scuotere la coscienza tedesca, allora c'è riuscito nel modo più evidente di chiunque altro.<ref>Adrian Bridge, "Spielberg Brings the Holocaust Home to Berliners", ''The Independent'' (5 marzo 1994), p. 7.</ref>}}
L'esempio di [[w:Oskar Schindler|Oskar Schindler]], l'imprenditore cattolico tedesco che salvò i suoi operai ebrei dalle camere a gas, servì da esempio di "buon tedesco" come Gerstein in ''Il Vicario'' o il personaggio di Meryl Streep in ''Holocaust''. Tuttavia, Schindler fu un personaggio moralmente complesso con molte carenze morali. Ciò venne sottolineato da un diretto parallelismo con il suo malvagio ''[[w:Doppelgänger|Dopplegänger]]'', l'ufficiale delle SS [[w:Amon Göth|Amon Göth]]. Schindler non era un angelo. Inoltre, a differenza del Gerstein di Hochhut, o dell'Harras di Zuckmayer, l'esempio di Schindler mostra che era possibile resistere con successo al regime.<ref>Anche se si può sostenere che la posizione finanziaria di Oskar Schindler gli rese più facile imbrogliare il regime e dare rifugio agli ebrei in un modo che molti tedeschi all'epoca non potevano.</ref> Pertanto, ''Schindler’s List'' non servì a giustificare l'inazione dei tedeschi ordinari come, ad esempio, ''Il Vicario'', ma servì a evidenziare la scelta individuale allo stesso modo del ''Dr Korczak e i bambini''. Come scrisse il ''Frankfurter Aligemeine'': "Lo spettatore è costretto a chiedersi «perché gli altri non hanno provato a fare quello che fece lui?»"
Dieter Stolz scrive che la vera identità nazionale può essere derivata solo dall'interno, dalla cultura e non imposta dai politici: "L'arte dà spiritualità laddove i politici hanno fallito".<ref>Dieter Stolz, "Deutschland - em Literarischer Begriff: Günter Grass and the German Question", in Arthur Williams, Stuart Parkes e Roland Smith, curr., ''German Literature at a Time of Change 1989-1990. German Unity and German Identity in Literary Perspective'', Peter Lang/University of Bradford, 1991, pp. 207-24; p. 207.</ref> Dal 1945, l'identità nazionale nella Germania orientale e occidentale fu generata dall'esterno — dagli americani e dai russi. Secondo [[w:Wim Wenders|Wim Wenders]], i tedeschi diventarono "stranieri" dopo il novembre 1989. Dovevano "colonizzare" la propria terra e diventare i propri generatori di identità.<ref>Anthony S. Coulson, "New Land and Foreign Spaces: the Portrayal of Another Germany in Postunification film", in Durrani, ''Literature and Society After Unification'', pp. 213-30; p. 213-4.</ref> L'identità tedesca e le narrazioni tedesche della Storia sono gli argomenti principali degli scritti tedeschi negli anni ’90. Ad esempio, ''[[:de:w:Wessis in Weimar|Wessis in Weimar]]'' di Hochhuth, diretto da [[:en:w:Einar Schleef|Einar Schleef]] nel 1992 per il Berliner Ensemble, esamina le questioni di "Est incontra Ovest". ''[[:en:w:Schulz & Schulz|Schulz & Schulz]]'', una serie televisiva in cinque parti, parlava dei fratelli gemelli Wolfgang e Walter Schultz, che crebbero in parti opposte del Muro. La serie fu girata tra agosto e settembre 1987 e proiettata nel dicembre 1989, un mese dopo il [[w:Muro di Berlino|crollo del Muro]]. Fu un tale successo che una sequel, ''Aller Anfang ist schwer'', entrò in produzione immediata e fu trasmessa nel 1991.<ref>Andrea Rinke, "From Motzki to Trotzki: Representations of East and West German Cultural Identities on German Television after Unification", in Durani, ''Literature and Society After Unification'', p. 234.</ref> La Germania, per la prima volta, affrontava il passato alle sue condizioni... per conto suo.
== ''Conclusione'' ==
Col passaggio al terzo millennio, le persone hanno ormai fatto il punto della situazione, selezionando le narrazioni che ora accompagnano l'umanità nel ventunesimo secolo. Settantacinque anni dopo la liberazione dei campi, i contesti storici che "contenevano" la storia dell'Olocausto sono stati smantellati e la memoria soggettiva sembra aver sostituito le formali strutture storiciste. "Negli ultimi cinquant'anni abbiamo fatto del tutto per non sentire ciò che i sopravvissuti avevano da dirci", scrive Hank Greenspan, drammaturgo e psicologo. Il suo dramma, ''Remnants'' (= Rimanenze), una serie di monologhi di sopravvissuti, è un "dramma vocale di mezz'ora che è il frutto di quindici anni di conversazione tra il suo autore e i sopravvissuti dell'Olocausto".<ref>Hank Greenspan, ''Remnants'', inedito, 1991. Rappresentato nel 1992 come dramma radiofonico su "Michigan Radio Theater", diretto da Hank Greenspan e Ann K. Lautsch, Radio Michigan WUOM-FM Ann Arbor, Michigan. Da allora è stato messo in scena nei teatri degli Stati Uniti e del Canada.</ref>
Parte di questa spinta verso la raccolta della memoria deriva dal semplice fatto che tale processo di raccolta è ora una corsa contro il tempo. L'Olocausto sarà presto al di là della memoria vivente. Gli ultimi superstiti (allora bambini) stanno gradualmente spegnendosi. La serie di audiolibri della [[w:British Library|British Library]] con testimonianze di sopravvissuti, le interviste video che accompagnano le mostre sull'Olocausto e in particolare i database video di Spielberg e della [[w:Università Yale|Yale University]] di testimonianze di sopravvissuti, confermano questo desiderio travolgente di conservare la memoria soggettiva. Al [[w:United States Holocaust Memorial Museum|Museo dell'Olocausto]] a [[w:Washington|Washington D.C.]], ad esempio, viene consegnata ai visitatori una carta d'identità con il nome di una vittima dell'Olocausto e un pacchetto che traccia la sua vita durante la guerra. Il visitatore segue una singola narrazione dell'Olocausto dall'ingresso fino all'uscita del museo, narrazione che è guidata cronologicamente e storicamente. La storia del singolo individuo è quindi contrapposta alla narrazione storica più convenzionale: il soggettivo contrapposto al peso dell'evidenza storica; la singola vittima contrapposta a numeri sensa senso. Solo alla fine, il visitatore scopre se la sua vittima è sopravvissuta o è morta. Inoltre, l'ultima sala mostra continuamente testimonianze video che enfatizzano nuovamente la memoria individuale rispetto alla narrazione storicamente guidata del resto della mostra.
Con la scomposizione degli storicismi arriva la possibilità multinarrativa della rappresentazione. La presentazione simultanea dell'Olocausto da diverse angolazioni contrastanti non solo mette in evidenza l'entità dell'evento, ma illustra la possibilità che l'evento possa davvero non essere affatto comprensibile. Tale rappresentazione consente anche una scelta da parte dello spettatore. L'[[w:Imperial War Museum|Imperial War Museum]] di Londra, ad esempio, suddivide la sua mostra sulla Seconda Guerra Mondiale in diverse "arene" che non hanno un particolare ordine di importanza. Pertanto, al visitatore è consentito creare la propria narrazione attraverso i percorsi che sceglie arbitrariamente. Quindi nessuna singola narrativa domina sulle altre.
Eppure la scelta è anche ambigua e potenzialmente pericolosa. La responsabilità morale della rappresentazione storica e soprattutto artistica è di certo aumentata nel terzo millennio. Nella nostra era di sovraccarico di informazioni una percentuale crescente dei "fatti" che riceviamo sul mondo e la sua storia sono basati sulla finzione, in particolare quelle immagini registrate su celluloide e video, spesso prodotti di ''[[:w:fake news|fake news]]''. Spero che le possibilità della tecnologia informatica e di Internet risolvano questo squilibrio, ma ho i miei dubbi: per ora l'immagine di [[w:John Wayne|John Wayne]] sta sostituendo quella del vero pioniere del West; ''[[w:Ben-Hur (film 1959)|Ben Hur]]'' e ''[[w:Spartacus|Spartacus]]'' quello dei romani. Proprio come la storia della strage degli indiani del Nord America e dei primi cristiani è stata consumata dalle narrazioni di tali film, così i veri volti dell'Olocausto corrono il rischio di essere erosi. Qualsiasi interpretazione immaginaria dell'Olocausto comporta quindi un onere morale. La Storia sarà sempre articolata da un punto di vista soggettivo e, attraverso il consenso, da una narrazione principale. La funzione delle arti dovrebbe sempre essere quella di mettere in discussione tale narrativa e fornire altre possibilità, mantenendo in vita le storie personali dell'Olocausto.
Quando chiesi a Elie Wiesel <ref>Gli rivolsi questa domanda nel febbraio del 2000, durante una sua lezione talmudica presso l'Aula Magna dell'[[w:Università di Bologna|Università di Bologna]]. La lezione faceva parte di una serie, poi raccolta in volume: ''Sei riflessioni sul Talmud'', traduzione di Valentina Pisanty, Cristina Demaria e Ifat Nesher, con una nota di [[w:Ugo Volli|Ugo Volli]] e introduzione di [[w:Umberto Eco|Umberto Eco]] (lezioni pronunciate fra gennaio e febbraio 2000 presso la Scuola Superiore di Studi Umanistici dell'Università di Bologna), Bompiani, 2000.</ref> quali sarebbero stati i testimoni della Shoah dopo la scomparsa dei sopravvissuti, chi avrebbe mantenuto vivo il ricordo, mi rispose:
{{q|'''Tu'''.}}
{{Immagine grande|Yad Vashem Hall of Names by David Shankbone.jpg|780px|[[w:Yad Vashem#La Sala dei Nomi|Yad Vashem, Sala dei Nomi]]: parte delle 600 foto e biografie di alcune delle vittime della [[w:Shoah|Shoah]]}}
== Note ==
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4">
<references/></div>
{{Avanzamento|100%|8 marzo 2020}}
[[Categoria:Interpretazione e scrittura dell'Olocausto|Memoria e compimento]]
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Cambiamento e transizione nell'Impero Romano/Capitolo II
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{{Cambiamento e transizione nell'Impero Romano}}
{{Immagine grande|Solidus Valentinian II trier RIC 090a.jpg|500px|''"D N VALENTINIANVS IVN P F AVG — VICTOR-IA AVGG T-R COM"''<br/>— [[w:Solido (moneta)|Solido AV]] con l'effigie di [[w:Valentiniano II|Valentiniano II]] (371–392); il rovescio mostra Valentiniano e [[w:Teodosio I|Teodosio I]] seduti di fronte, entrambi nimbati, con un globo tra loro; dietro e in mezzo a loro la Vittoria, in piedi con le ali spiegate, una piccola palma nel mezzo}}
= La struttura economica imperiale =
Se la storia è per natura chiamata, come affermava [[w:Fernand Braudel|Fernand Braudel]] in un noto articolo,<ref>F. Braudel, "Histoire et sciences sociales: la longue durée", ''Annales ESC'', 1958, pp. 725-753. Sul dibattito originatosi con questo articolo di Braudel, oltre alla risposta di W.W. Rostow, ''ibid.'', 1959, pp. 710-718, si veda anche J. Le Goff, ''La Civilisation de l'Occident mediéval'', Parigi, 1964, "Introduction". Sulla lunga discussione di "historie historisante" o "événementielle", cfr. l'opera di Lacombe, ''De l'historie considérée comme science'', Parigi, 1894. Si veda inoltre F. Braudel, "Storia e Sociologia", in G. Gurvitch, cur., ''Trattato di Sociologia'', Milano, 1967, I, pp. 122, 144.</ref> "a sottolinearne la durata, tutti quei movimenti nel cui ambito si può decomporre",<ref>F. Braudel, "Histoire et sciences sociales", p. 751.</ref> allora la "lunga durata" di sicuro appare, anche secondo la mia prospettiva, la line di ricerca più utile per un'indagine sulle strutture che superano le ristrettezze dell'tempo immediato, dell'evento. La "longue dureé", anche per gli storici, è il tempo della strutture; è proprio la struttura, che può spiegare la realtà storica della trasformazione, i lunghi movimenti attraverso cui passa il tempo delle società viventi e organizzate, tempo sacro e solenne; il tempo della storia. La storia tradizionale, quella che all'inizio del secolo scorso [[w:François Simiand|François Simiand]]<ref>F. Simiand, "Methode historique et science sociale", ''Revue de Synthèse historique'', 1903, pp. 1-22.</ref> – tra i primi dopo Paul Lacombe – chiamò "historie événementielle", con una formula dopo largamente usata,<ref>H. Berr la definì "histoire historisante" nel suo noto prologo-programma della ''Revue de Synthèse'', 1900.</ref> è senza dubbio più attenta al tempo breve, all'individuo, all'evento nella sua singolarità ed irripetibilità; e ormai ci siamo abituati alla sua narrazione emotiva, drammatica e di breve durata. In essa il concetto di catastrofe storica trova la sua sistemazione elettiva — da essa si genera la "crisi", almeno nel senso usato per la storia del III secolo. Tale storia è drammatica nel suo disfacimento, nella sequenza di eventi che offre con un sapore di unicità.<ref>Braudel, "Histoire et sciences sociales", p. 727. Poi afferma che "l'événement est explosif, ‘nouvelle sonnante’, comme l'on disait au XVI<sup>e</sup> siècle. De sa fumée abusive, il emplit la coscience des contemporaines, mais il ne dure guère, a peine voit-on sa flamme" (p. 728).</ref>
Tuttavia, l'opposizione è fittizia, a guardar più attentamente: infatti, questa storia acquisisce senso e significato solo nel contesto di una storia strutturale, la storia dei tempi lunghi, della "longue durée"; in essenza, una incorpora l'altra, pulsando con il grande respiro della vita e della natura. In essa dominano, invece degli eventi, le ''strutture'', questo termine ambiguo e complesso<ref>Il termine è al centro di una lunga lista di opere che ne cercano la definizione precisae l'analisi semantica; la letteratura francese su questo argomento è alquanto proligica, ''int. al.'', H. Febvre nella sua Prefazione a H. e P. Chanu, ''Séville et L'Atlantique'', I, Parigi, 1962, XI, p. 195; J. Piaget, ''Le structuralisme'', Parigi, 1968 e la sua vasta bibliografia. Per le sue relazioni col Marxismo, si veda il numero speciale di ''Annales'' dedicato a questo tema [''Annales ESC'', 3-4, 1971].</ref> in cui osservatori sociali vedono un'"organizzazione", una "coerenza", dei rapporti specifici tra realtà e masse sociali, ma che per gli storici – usando nuovamente le parole evocative di Braudel – "è indubbiamente ''assemblage'', architettura, purtuttavia una realtà che il tempo non riesce ad usare e che canalizza molto lentamente".<ref>Braudel, "Histoire et sciences sociales", p. 731.</ref> Tra queste realtà storiche, alcune si dissolvono alquanto velocemente; ma, più spesso, nel corso della loro lunga vita diventano gli elementi stabili di innumerevoli generazioni: occupano la storia, l'attraversano, dominano il suo progresso. Sono quelle che lo storico analizza veramente in quel ''temps révolu'' che è l'oggetto della sua ricerca, anche quando pensa o pretende di esaminare l'evento, anche quando pensa che sta cedendo alla magia evocativa del "documento", ricostruendo il passato attraverso una sequenza di fatti quasi auto-ordinatisi, per ricostruire l'unità del reale. Tuttavia, in effetti, le strutture sono sia ostacoli che supporti di questo tempo del reale, del passato: ostacoli molto duri, a volte impossibili, da superare (posizioni geografiche, certi fatti biologici, certi limiti di produzione — "anche schemi mentali sono ingabbiature durature", dice Braudel)<ref>Braudel, "Histoire et sciences sociales", p. 731. Non c'è bisogna di ribadire che questo aspetto del problema è centrale per la [[w:Nouvelle Histoire|Scuola di ''Annales'']], dall'opera di Febrvre a M. Bloch e il suo ''Rois thaumathurges'', a ''Cadres de la mémoire'' di M. Halbwachs, a [[w:Gaston Bachelard|Gaston Bachelard]], ''Dialectique de la durée'', per non citare i leader della Scuola stessa.</ref>; supporti, perché in loro si articola e sviluppa, fuori dalla causalità, la folla di eventi e individui; perché nella ''longue durée'', nei grandi cicli che determinano il movimento lento e regolare delle civiltà, uno può percepire le trasformazioni reali di una società, le sue fasi di cambiamento, il pulsare lento e regolare della sua vita più intima.
Allora, la storia delle strutture studia i "modelli"<ref>F. Braudel, "Storia e sociologia", p. 137; "Histoire et sciences sociales" ''cit.'', pp 740segg.; cfr. anche Braudel, "Les métaux monétaires et l'économie de XVI siecle", ''XI Congr. Int. Sc. St.'', Roma, 1955, IV, pp. 233-364; C. Lévi-Strauss, ''Bull. Int. Sc. Soc.'', UNESCO VI, n. 4. Per una discussione più pertinente alla prospettiva economic, cfr. W. Kula, "Historie et économie: la longue durée", pp. 294-312.</ref> che costituiscono i nuovi strumenti di conoscenza ed indagine, che mirano a superare l'aridità, diciamo anche la "estraneità" dei dati empirici, in un tentativo di spiegazione "scientifica"?<ref> W. Kula, "Historie et économie", pp. 300, 301 segg.</ref> In cui si ottiene la sintesi di diacroniscmo e sincronismo, che vivifica e muove il processo storico? In cui si realizza, come asserisce giustamente Witold Kula, la dialettica di struttura e sovrastruttura, in cui ogni marxista riconosce lo strumento privilegiato dell'indagine?<ref>Kula, "Historie et économie", pp. 303, 305.</ref> A questo punto lo storico del mondo antico inciampa nella prima difficoltà del suo mestiere — ogniqualvolta vuole liberarsi delle restrizioni della ''histoire événementielle'': la mancanza di documentazione continuativa che costituirebbe una serie omogenea valida a verificare i modelli di spiegazione da lui eventualmente proposti; si prova una profonda mortificazione nel sentirsi quasi rifiutato davasto campo delle "scienze sociali", dalle metodologie e innovazioni di una scienza che produce risultati rimarchevoli in altre aree. Cosa può fare lo storico moderno? Forse dichiarare, come fece A.H.M. Jones con chiarezza e concisione, che il problema principale della storia economica antica è che non esistono statistiche antiche; e tentare essenzialmente, come lui fece, un'esposizione descrittiva delle istituzioni economiche e giuridiche, con una sorprendente conoscenza delle fonti letterarie e papirologiche?<ref>A.H.M. Jones, ''Ancient Economic History'', Londra, 1948, 1. Il metodo di Jones viene esemplificato in tre volumi del suo ''Later Roman Empire''; su economisti e teorici moderni e la loro prospettiva del problema, cfr. N. Georgesco-Roegen, ''Analytical Economics'', Cambridge, 1966.</ref> O lo storico, senza preoccuparsi troppo della teoria, ma mantenendosi ai "fatti" (tuttavia, in realtà, adottando criteri interpretativi per il periodo economico specifico al massimo prekeynesiani), scrivere solide opere di storia economica e sociale, in cui la ricerca descrittiva, intesa come storia, prevale sulla teoria, intesa come astrazione?
Nella ricerca storica, la consapevolezza teorica è tanto necessaria quanto la verifica critica dei dati (la "critique", come direbbe [[w:Louis Robert|Louis Robert]]): l'uno acquisisce significato dall'altro, proprio come il primo è motivato dal secondo.<ref>Indispensabile Tenney Frank, ''Economic Survey'' e Rostovtzeff, ''Economic History''. A parte ''Il Capitale'', importante anche Knut Wicksell, ''Lectures on Political Economy'', Londra, 1934.</ref> Se lo storico viene in qualche modo limitato dalla sua documentazione, egli ha comunque la possibilità, quasi l'obbligo, di provare "modelli" generati da altri settori e di non presupporre come prevalente l'analisi quantitativa dei dati: specialmente quando tratta periodi in cui la ''vécu historique'' ha le sue turbolenze, durante le epoche di trasformazione sociale. Altrimenti uno potrebbe finire col chiedersi domande come quelle di un illustre studioso recente: "La difficoltà maggiore incontrata nell'esame della crisi del III secolo consiste nello stabilire esattamente ciò che stiamo tentando di analizzare. In altre parole, cosa è successo? Che sorta di cambiamenti avvennero?..."<ref>Non c'è bisogno di citare lo studioso, quanto la debolezza teorica sostanziale delle sue e simili posizioni.</ref> E questo è ben giustificato per quanto riguarda le perplessità e i dubbi, ma trova il suo limite teorico nella definizione preliminare di "crisi" che vien data a questo "passato" storico.
Lo storico deve allora rinunciare alla storia strutturale, all'analisi della ''longue durée''? Si deve limitare a quell'empirismo che accumula fatti su fatti, senza pretese di teorie esplicative?<ref>Si veda F. Mauro, "Théorie économique et historie économique", ''recherches et dialogues philosoph. et économiques'', IV, Parigi, 1959, pp. 45-75.</ref> O deve dichiarare insieme a [[w:Paul Veyne|Paul Veyne]],<ref>Paul Veyne, "Panem et Circenses: l'évergetisme devant les sciences humaines", ''Annales ESC'', 1969, pp. 785-825.</ref> in un articolo di cui condivido le premesse e gran parte del suo sviluppo, ma non le sue conclusioni, che la storia, descrizione del passato "vissuto", non può mai raggiungere una formalizzazione concettuale, e attingere alla scienza, ma rimane pur sempre un'arte, una sintesi provvisoria, un ''"compromis"'', in cui vengono alla ribalta le sue due componenti più preziose, l’''esprit théorique'' e l’''esprit critique''? E che un giorno si potrebbero separare nuovamente, quando tale ''"compromis"'' da cui la storia fu possibile come un "grand genre" da Voltaire in poi – insieme a tutto il XIX secolo – sarà esaurito?<ref>''Ibid.'', pp. 824-825.</ref>
Forse il marxista potrebbe essere meno disperato circa il futuro della storia. La dialettica di sovrastruttura e struttura, che è coessenzialeè al concetto storico marxista, potrebbe ripetergli la dialettica del tempo "breve" della storia ''événementielle'', e della "longue durée" della storia "strutturale".<ref>P.Vilar, ''Sviluppo economico e analisi storica'', Bari, 1970, pp. 172 segg. (partic. pp. 200segg.)</ref> In effetti sul fondamento di queste dialettiche ho tentato, nel primo capitolo di questa ricerca, una breve analisi delle posizioni teoriche — che implicavano l'interpretazione del III secolo come epoca o di "decadenza", o di "crisi"; e ho tentato di indicare la sostanza "ideologica" di queste interpretazioni, sia negli antichi che nei moderni. A questo punto, è necessario analizzare, entro i limiti dettati dalla documentazione dispnibile, le strutture entro cui si sviluppò il processo trasformativo dalla società "classica", quella ellenistico-romana, alla società ''Spätantike'', e le forze che la iniziarono; un processo che, come ho già affermato e che analizzerò in seguito, non si sviluppò – quindi non può essere compreso – ad un livello di storia ''événementielle'', ma solo nell'ambito del tempo esteso, "longue", delle strutture. La storia reale, "strutturata", del III secolo apparirà quindi come un processo di "destrutturazione" per una società in cui le forze produttive entrano in opposizione contro i rapporti produttivi esistenti, e contro le forme giuridiche che le distinguono, sconvolgendo quindi la loro base materiale di produzione. Allo stesso tempo apparirà come un'epoca in cui sorgono nuove forze produttive e si riformano nuove associazioni di produzione, ristrutturandosi in un nuovo ''modus'' produttivo non più antico ma, secondo la definizione ampiamente accettata, "feudale".<ref>K. Marx, ''Formen, die der kapitalistischen Produktion vergehen''; K. Marx-F. Engels, ''The German Ideology'', 1938.</ref>
Dalla complessa opera storiografica di [[w:Theodor Mommsen|Theodor Mommsen]] sulla storia imperiale romana, alcuni studiosi hanno estratto essenzialmente la credenza che la storia dell'Impero, particolarmente da un punto di vista economico e sociale, sia la storia delle province.<ref>L. Cracco Ruggini, "Le esperienze economiche e sociali nel mondo romano", ''Nuove Questioni di Storia Antica'', Milano, 1978, p. 752. Un'interessante ''mise au point'' dell'ipotesi di Mommsen sulla romanizzazione provinciale viene data da M. Pavan, "Le provincie nella storia sociale dell'Impero Romano", ''Cultura & Scuola'', 2, 1962, pp. 75-79.</ref> Questa è la ''communis opinio''; e, in quanto tale, contenga delle verità. Tuttavia la cosa appare alquanto problematica, se uno considera dall'interno la prospettiva che Mommsen aveva della storia imperiale romana. ''[[w:Storia di Roma (Mommsen)|Le province dell'Impero Romano]]'' (1895 – vol. 5 della ''Storia di Roma'') è indubbiamente un capolavoro di storiografia positivista; ma è anche vero che l'apparato concettuale sul quale si basa, le premesse teoriche da cui inizia, sono sostanzialmente deboli.<ref>Per una valutazione critica del V Volume e la "lezione" ivi contenuta, cfr. E.A. Freeman, ''The Method of Historical Study'', Londra, 1886, pp. 290ff.; C' Julian, "L'historie romaine de Mommsen", (Vol. V), ''Revue critique d'hist. et de litt.'', 1886, pp. 1ff.</ref> Nel suo famoso quinto volume di ''Römische Geschichte'', il grande storico del XIX secolo descrive il grandioso processo di penetrazione e vittoria delle strutture politiche e amministrative di Roma sulle regioni del mondo antico; esamina, usando la documentazione letteraria, epigrafica e archeologica più vasta possibile, sulle istituzioni della civiltà romana, in mondi diversi e culturalmente eterogenei; alla fine prova come le province rimpiazzarono, quale forza vitale, la decadenza dell’''Urbs'' e dell'Italia — ma non può, o non desidera, spiegare il processo di "decadenza" ancor più grandioso e tragico o la trasformazione di questa civiltà e di queste istituzioni, la dissoluzione del rimarchevole edificio politico e amministrativo che egli ha scandagliato in tutte le sue parti più remote; Mommsen non scrisse mai, come tutti sanno, il quarto volume della sua ''Storia'', quella storia dell'Impero che avrebbe dovuto rispondere a tali domande complesse.<ref>Su questo dibattuto problema, si veda A. Wucher, ''Th. Mommsen, geschichtschreibung und Politik'', Berlino, 1956, pp. 126 ff.; A. Momigliano, ''Gnomon'', 1958, pp. 1-6; S. Mazzarino, "Storia e diritto nello studio delle società classiche", ''Atti I Congr. int. soc. ital. storia e diritto'', 1966, pp. 39-69.</ref>
In realtà, la storia dell'Impero non è la storia delle province, almeno non nel senso prospettato da Mommsen; ora possiamo spiegare, insieme alle motivazioni psicologiche interiori dello studioso,<ref>Almeno da ciò che si può comprendere come dichiarazioni autobiografiche: cfr. Wucher, ''op. cit.'', pp. 126ff.</ref> le ragioni del suo rifiuto.<ref>Si veda A. Momigliano, ''rec. cit.'', p. 426.</ref> La storia dell'Impero è la storia di un organismo unitario, di un tutto altamente strutturato, sia economicamente che socialmente in trasformazione continua; vive tramite una dialettica costante tra governo centrale e realtà provinciale; tra classi dirigenti, educate o assimilate alla cultura ellenistico-romana, e le forze produttive, cioè, il proletariato urbano e rurale vincolato dai suoi schemi culturali; infine, tra la sovrastruttura ideologica proposta dal ''Dominans'', e la struttura economica basilare presentata dalle province. In questo senso, la storia "interna" degli imperatori e della classe dirigente è inseparabile dalla storia "esterna" delle province e delle forze produttive. Possono accavallarsi, come in effetti accadde a Rostovtzeff; ma non possono essere trattate in isolamento.<ref>Cfr. A. Momigliano, "Rostovtzeff's Twofold History of the Hellenic World", pp. 335ff.; "Aspetti di M. Rostovtzeff", p. 330; "In memoria di M. Rostovtzeff", p. 492: tutti in ''Contributo'', 1955-1984.</ref> È la storia di un divenire costante, della destrutturazione della società classica e la ristrutturazione di quella nuova.
L’''imperium romanum'', allora, è un organismo unitario, tuttavia altamente "strutturato", la cui storia socio-economica "reale" si articola come una dialettica continua tra centro e province; tra classe dirigente e realtà provinciali: pertanto, non una "somma" di storie "provinciali". Questo dovrebbe essere l'approccio dello storico che non vuole indugiare sulla storia politica "événementielle" dell'Impero; o sulla descrizione, che è anche storia, ma, bisogna ricordare, quasi sempre della sovrastruttura. Ciò è specialmente valido per lo studioso della trasformazione dell'impero "ellenistico-romano" in impero "tardo-antico": lo studioso deve trattare sia la dissoluzione delle sovrastrutture, sia, soprattutto, la trasformazione delle strutture. Su tale trasformazione egli condurrà la sua ricerca, mantenendo sempre in mente la permanenza delle strutture nel tempo e nello spazio; senza trascurare, naturalmente, come questo processo possa apparire più o meno precoce e con caratteristiche peculiari a seconda delle province e regioni, sollecitato da condizioni storico-ambientali e geopolitiche molto differenti: un concreto intreccio analitico di prospettive locali che potrebbero essere momentaneamente trascurate – ma non ignorate – per concentrare l'attenzione su problemi più generali. Per tali ragioni, prima di cominciare l'analisi degli eventi economici e sociali del III secolo, tenterò di presentare alcune caratteristiche essenziali della struttura socio-economica imperiale, come si sviluppò nel suo complesso, cominciando dagli anni cruciali del [[w:Principato (storia romana)|Principato]] di [[w:Augusto|Augusto]].<ref>Questa transizione, e le sue componenti sociali, viene ben documentata da L. Polverini, "L'aspetto sociale del passaggio dalla Repubblica al Principato", ''Aevum'', 1964, pp. 241-285; 439-467; 1965, pp. 1-24. Cfr. anche M.A. Levi, "La fondazione del Principato", ''Nuove Questioni di Storia Antica, cit.'', pp. 447-501 (le cui opinioni non posso condividere in questa occasione).</ref>
"L'impero, dono al Mediterraneo". Il fatto essenziale, che non sfuggì agli antichi e che è stato giustamente evidenziato dagli studiosi moderni, è che l'Impero Romano in effetti rappresentò un enorme organismo economico,<ref>F. Ortel, ''CAH'', X, 1934, Cap. XIII; Rostovtzeff, ''SEHRE'', 1933, pp. 151ff.</ref> quasi chiuso e praticamente autosufficiente.<ref>F.W. Walbank, ''The Awful Revolution'', p. 20.</ref> La ''Pax Augusta'' aveva veramente generato un'area economica così vasta e pacificata che mai prima era stata sperimentata dall'uomo. La vasta area intorno al Mediterraneo, che era sempre stata interrelata economicamente, era ora anche un'unità politica. Messe da parte le guerre distruttive tra stati rivali, finite le guerre intestine, sconfitta la pirateria che per un periodo aveva dominato specialmente la parte orientale del Mediterraneo, ora era il tempo ideale per sviluppare scambi economici e culturali in modi molto più ampi. Ora uno potevca proprio essere un "cittadino del mondo"; e realizzare un antico sogno dell'utopia politica greca: eccetto che, ora, il prezzo del cosmopolitismo era la perdita della libertà politiva — ora tutto era Roma, e Roma era tutto. L’''imperium romanum'', delimitato dall'Oceano a nord e a ovest, dal deserto dell'Africa a sud; dalle terre inospitali dei barbari tedeschi e [[w:Sarmati|sarmati]] ai confini settentrionali; dagli stati feudali dei [[w:Impero partico|Parti]] a Oriente – riuniva intorno al bacino centrale, un Mediterraneo veramente ''Mare Nostrum'', quelle popolazioni che possedevano la più elevata civilizzazione materiale e spirituale mai conosciuta al mondo prima di quel tempo.<ref>Su questo e la visione "emisferica", si veda R.S. Lopez, ''La nascita dell'Europa, cit.'', pp. 9ff.</ref> Gli antichi, o almeno quei rappresentanti delle classi superiori che ne potevano beneficiare, erano consapevoli di questa situazione e ripagavano Roma con il dovuto riconoscimento. Intellettuali come [[w:Dione Crisostomo|Dione di Prusa]] e [[w:Publio Elio Aristide|Elio Aristide]], che passarono la propria vita durante l'età imperiale più pacifica, celebrarono entusiasticamente, sebbene con enfasi, l'unificazione del mondo civile sotto la ''pax romana'' e pubblicizzarono ampiamente i suoi effetti benefici sulla vita economica generale e sul benessere individuale.
{{q|Ora in verità è possibile per un elleno o non elleno, con o senza la sua proprietà, viaggiare ovunque voglia, come se passasse da patria a patria. Né le [[w:Porte della Cilicia|Porte Cilicie]] né gli stretti approcci sabbiosi dell'Egitto attraverso il territorio arabo, né montagne inaccessibili, né immensi percorsi di fiumi, né tribù inospitali di barbari che provochino terrore, ma per sicurezza basta essere un cittadino romano, o piuttosto uno di coloro che sono uniti sotto la tua egemonia.|Ael. Arist., ''Ἑις Ρώμην'' 100K}}
Così, con profonda ammirazione ed entusiasmo, il retore Elio Aristide proclamava nella sua famosa ''Orazione Romana'', quale eulogia di Roma, Città del Mondo.<ref>Cfr. anche B. Forte, "Rome and the Romans as the Greeks saw them", ''Pap. & Monogr. Am. Acad. in Rome'', XXIV, Roma, 1972, pp. 292-415.</ref> Le classi superiori capirono che l'unificazione politica inevitabilmente comportava un'unificazione economica; i vantaggi così generati potevano ben compensare la perdita di libertà politica: a questo scopo gli intellettuali provenienti da queste entusiaste classi romani seppero come dare consigli sensati sul comportamento politico.<ref>Si veda, per esempio, Dione Crisostomo, ''Or.'' XXXI, 158; III, 51-52; III, 55, 58; Epict., III, 24, 52-53; III, 24, 31ff.; I, 12, 7; III, 24, 1017; III, 26, 36; Plut., ''De fort. Rom.'', 316 F-317A; ''Praec. ger. reipubl.'', 814 C-E; 813 E-F; Filostr., V.S., 532.</ref> D'altra parte, il commercio, protetto da un forte governo alquanto tollerante, prosperò e collegò, senza più barriere politiche, una provincia all'altra; il commercio rappresentò quindi, nell'ambito dell'impero, un fattore potente di integrazione civile e culturale. La tranquillità politica, la sicurezza personale e collettiva, produssero una rivitalizzazione generale della vita economica e infine, un notevole e vasto aumento della prosperità.
Si potrebbe tracciare un quadro ancor più ottimistico dell'Impero, nell’''[[w:Età antonina|Età d'Oro degli Antonini]]'', seguendo le succitate linee, con ulteriori dettagli e sfumature, e con la più vasta erudizione di studiosi della storia economica e sociale dell'impero al suo culmine.<ref>Rostovtzeff, ''SEHRE cit.'', pp. 123-45; F. Oertel, ''CAH'' XII (1939, Cap. VII, pp. 232ff.)</ref> Si potrebbe descrivere il grande sviluppo dell'urbanizzazione e della parte occidentale dell'impero, nella Valle del Po, in Gallia, in Spagna, e specialmente in Nord Africa;<ref>Cfr. spec. Rostovtzeff, ''SEHRE'', pp. 229ff., con alcune esaggerazioni; stesso concetto in Gagé, ''Class. sociales'', pp. 153ff,; per l'Italia, cfr. G.E.F. Chilver, ''Cisalpine Gaul, Social and Economic History from 49BC to the Death of Trajan'', Oxford, 1941.</ref> l'incremento rimarchevole delle strade, orgoglio di molti imperatori (tuttavia non sempre vero), la facilitazione dei trasporti e scambio delle merci, la cura generale della sicurezza e della pace nel commercio marittimo.<ref>C.A. Yeo, "Land and Sea Transportation in Imperial Italy", ''TAPhA'', 1946, pp. 221-244; J. Van Ooteghem, "Le service postal de Rome", ''LEC'', 1959, pp. 187-197.</ref> Inoltre, si potrebbe lodare il miglioramento commerciale e l'imprenditoria delle classi superiori provinciali, la loro ascesa economica e sociale, la loro integrazione progressiva nella classe dirigente romana;<ref>Si veda spec. S. De Laet, "La composition de l'ordre équestre sous Auguste et Tibère", ''RBPhH'', 1941, pp. 509-531. Si veda anche le opinioni generali di R. Syme, ''Colonial Elites: Rome, Spain and the Americas'', Londra, 1958, pp. 1-23.</ref> la maturazione di una consapevolezza di "coresponsabilità" provinciale; quel fenomeno singolare, ma importante nella vita urbana dell'Impero – specialmente nella parte orientale – di euergetismo e munificenza privata, intesa a rimediare quelle deficienze dello stato antico che più attirano l'attenzione dello storico moderno;<ref>Fondamentali sono le analisi sistematiche di Liebenam, ''Städterverwaltung im röm. Kaiserreiche'', 1900, pp. 165ff; M. Rostovtzeff, "Römische Bleitesserae", ''Klio'', 1905 e le sue varie note in ''SEHRE''.</ref> si potrebbe veramente ridisegnare, aggiornandolo, quello scenario ricco e grandioso che Rostovtzeff narrò abilmente riguardo all'Impero al suo "culmine"; e si potrebbe quasi dire che tale scenario, da un particolare punto di vista, corrispondesse alla verità. Purtuttavia, propongo di ridefinire le sue componenti da un'altra prospettiva, e secondo un ''montage'' differente; proprio perché non voglio correre il rischio, avendo presentato una splendida facciata, di dover servirmi del ''deus ex machina'' — la "crisi" del III secolo.
Per evitare un tale rischio, invece di considerare i suoi splendori, uno dovrebbe anche, e specialmente, esaminare le miserie di questa "età d'oro". Non è che studiosi antichi e moderni siano insinceri, anche quando insistono sull'aspetto positivo; piuttosto, sono le premesse ideologiche della loro teoresi storica che deve essere identificata e respinta. In effetti, valutando e apprezzando gli aspetti del nuovo sistema economico stabilito dal Principato, troppo spesso si tende a dimenticare la logica economica basilare che l'ha motivato. Mi soffermerò su questi punti più avanti; ma, in poche parole, tale logica comprese una tendenza verso un'integrazione incoraggiata e sostenuta, in un'unità "strutturata" economicamente, di entità e organismi economici regionali estremamente differenziati. Ma tale tendenza fu contraddetta e vanificata dalla linea fondamentale di economia politica seguita dal governo centrale. Ci fu infatti una contraddizione nella logica del sistema economico dell'impero: da un lato, la costituzione di un'unità economica presuppose, o meglio, richiese un processo di unificazione e razionalizzazione — in altre parole, una qualche sorta di politica di pianificazione economica; dall'altro lato, invece, la teoria economica che era prevalsa e aveva continuato ad informare la politica dell'amministrazione centrale, rispetto agli organi locali economici e amministrativi, dimostrò di rifiutare fermamente questa premessa: cioè, Roma rifiutò di assumere un tale ruolo determinante.
Secondo molti studiosi, la politica economica del governo imperiale sarebbe stata ispirata da principi di liberalismo risoluto e libero commercio. La regola cara ai teorici di economia politica del XVIII secolo, la regola "d'oro" del ''laissez-faire/laissez-passer'', sarebbe state consciamente praticata dall'amministrazione romana, almeno per i primi due secoli dell'impero: Roma avrebbe tenuto al minimo qualsiasi intervento autoritario nella transazioni economiche del cittadino privato. Ciò potrebbe essere considerato vero rispetto alla prassi economica, ma non alla teoria economica; in senso stretto, il governo imperiale non ebbe mai una politica economica. Il rifiuto di una qualche seria interfereza statale o pianificazione economica da parte degli organi di governo, non deve essere spiegata sulla base di una teoria ''laizzez-faire'': né l'una né l'altra dottrina può esistere senza il concetto di economia – che greci e romani non avevano – vale a dire, mancavano quegli elementi concettuali che nel complesso costituiscono quello che i moderni interpretano come "economia".<ref>Si veda A.H.M. Jones, "Postscript a: Rome" in ''The Ancient Empires and the Economics, Trois Conf. Int. Hist. Écon.'', Monaco, 1965, III (1969), pp. 102-103 (ma cfr. anche il "Comment" di R. Thomsen, ''ibid.'', pp. 105ff.).</ref> Tuttavia, questo apparente comportamento disinteressato non deve creare illusioni sulla vera natura della vita economica dell'impero; ad un osservatore moderno potrebbe apparire come una sorta di giungla selvaggia, in cui operano istinti di abuso brutale e la volontà di concorrenza spietata; e in cui gli impulsi autoregolatori non esistono. Non c'è bisogno di dire che, tutto considerato, l'assenza di una politica è di per sé comunque una politica, quando favorisce le classi sociali egemoniche.
Un atteggiamento di non intervento, quindi; in certi casi, in effetti, certe restrizioni imposte dall'amministrazione repubblicana furono persino annullate.<ref>Rostovtzeff, ''SEHRE'', pp. 63ff.; F.W. Walbank, ''The Awful Revolution'', pp. 23ff.; Petit, ''Paix rom.'', pp. 287ff.</ref> Lo stato emergente dalla restaurazione augustea desiderava apparire del tutto "liberale", praticando un'attenta politica di "non intervento", in modo da rassicurare le classi superiori e ricompensarle per aver abdicato il potere politico. Oggi, un governo viene giudicato fondamentalmente sulla base della sua politica economica; il governo imperiale romano, rinunciando a questa prerogativa, in effetti pagò il saldo della sua cambiale sottoscritta al momento del compromesso da cui derivava. Non fu per mancanza di una teoria, o per mancanza di esempi, che il governo perseguì tale condotta: ogni imperatore, ogni membro della élite romana al potere, fu sempre consapevole degli stati ellenistici e particolarmente dell'[[w:Egitto tolemaico|Egitto tolemaico]], dove il mercantilismo basato su regolamenti e monopoli aveva operato con un certo successo;<ref>Rostovtzeff, ''SEHRE'', pp. 63ff.</ref> e che sarebbe stato riadottato, senza esitazione, quando sarebbe cambiata la base sociale del loro potere, in ''Spätantike''. Alcuni storici, analizzando i problemi del lavoro e dei lavoratori nel mondo romano, non hanno mancato di indicare questa "rinuncia" del governo imperiale, affermando che, in generale, si potrebbe affermare che esistano pochissimi esempi nella storia universale di uno stato che prestò così poca attenzione al fenomeno economico e lavorativo di quello romano.<ref>Si veda F.M. De Robertis, ''Lavoro e lavoratori nel mondo romano'', Bari, 1963, pp. 224-228; T. Frank, ''ESAR'', V, pp. 267ff.</ref> Alla fine, questo comportamento risultò nel suo opposto: un interventismo sfrenato da parte dello stato "corporativo" della Tarda Antichità.<ref>Questo è il problema affrontato da Petit, ''Paix rom.'', p. 288: "Rimane da conoscere in che misura questo assenteismo di stato, durato troppo a lungo, fosse responsabile dell'evoluzione che spinse il Tardo Impero al totalitarismo; inoltre, in che misura fosse la causa del ristagno tecnico..."</ref>
Pertanto, sotto l'incentivo dell'impresa privata, si sviluppò la ricostruzione economica dello stato romano, il rinnovo del commercio e dell'industria, dopo il turbolento periodo dei "Signori della guerra".<ref>F.W. Walbank, ''The Awful Revolution'', p. 23.</ref> Tale politica senza dubbio stimolò l'imprenditorialità personale, l'iniziativa degli operatori economici, e l'attività economica in generale. Tuttavia, non fu proprio l'adempimento dell'età d'oro, dello ''status rei publicae felicissimus'' che il "ministero della propaganda" di Augusto stava sbandierando.<ref>Nella lettera di Augusto a Caio Cesare (Malcovati, fr. XIX, p. 11).</ref> Heichelheim ha suggerito che Augusto ed i suoi successori, limitando il ruolo dello stato a quello di "guardiano notturno" dell'imprenditore, in realtà avevano cercato di trarre il meglio da un cattivo affare: avendo ereditato un apparato statale sostanzialmente inadequato a svolgere il difficile compito di riorganizzare un impero,<ref>Heichelheim, ''Storia economica del mondo antico'', pp. 963ff.</ref> avrebbero scelto il minore dei mali, lasciando libere di agire quelle classi su cui erano basate le strutture del nuovo ordine e che avrebbero reagito irosamente a qualsiasi restrizione di privilegi.<ref>M.A. Levi, ''Il tempo di Augusto'', Firenze, 1951, p. 301.</ref> In effetti, non poteva essere altrimenti, in un ordinamento statale risultante dalla convergenza delle classi superiori, coalizzate nella paura di una "rivoluzione dal basso" che avrebbe limitato, se non addirittura sradicato, i loro privilegi.<ref>Per una discussione di questo tema, cfr. L. Polverini, "L'aspetto del passaggio dall Repubblica al Principato", ''Aevum'', 1964, pp. 241-285; 439-467; 1965, pp. 1-24, che ho preso come mia fonte basilare per questa analisi, eccezion fatta per la sua valutazione troppo positiva del ruolo militare. Per gli aspetti costituzionali di questo problema, si veda il fondamentale F. De Martino, ''Storia della costituzione romana'', Napoli 1962, IV, 1 (specialm. Cap. XIII).</ref> Si può quindi capire facilmente l'alacrità economica, sconosciuta fino allora, che la ''Pax Augusta'' risvegliò nelle classi superiori urbane, che erano praticamente risultate le vincitrici della "rivoluzione romana". Il nuovo regime si fondava su di loro, fatto per loro e da loro; non c'è ragione per reputare insincero e adulatore l'entusiasmo degli esppnenti più intelligenti, più attivi e dotati di queste classi: era genuino, perché coincideva esattamente con gli interessi di classe rappresentati da tali esponenti — particolarmente dall'[[w:Intelligencija|Intellighenzia]]. Sicuramente genuina è la dichiarazione formale di libertà e liberalismo che [[w:Plinio il Giovane|Plinio il Giovane]] include per l’''Optimus Princeps'' in quel manifesto pubblico dell'ideologica politica della classe dirigente durante il culmine dell'impero, intitolato ''[[w:Panegirico di Traiano|Panegyricus]]''.<ref>Cfr. specialm. K.L. Born, "The perfect Prince according to the Latin Panegyrists", ''AJPh'', 1934, pp. 20ff.; B. Radice, "Pliny and the Panegyricus", ''G & R'', 1968, pp. 166-172.</ref>
{{q|<sup>3</sup> Nonne cernere datur, ut sine ullius iniuria omnis usibus nostris annus exuberet? Quippe non ut ex hostico raptae perituraeque in horreis messes nequiquam quiritantibus sociis auferuntur. <sup>4</sup> Devehunt ipsi, quod terra genuit, quod sidus aluit, quod annus tulit, nec novis, indictionibus pressi ad vetera tributa deficiunt. <sup>5</sup> Emit fiscus, quidquid videtur emere. Inde copiae, inde annona, de qua inter licentem vendentemque conveniat, inde hic satietas nec fames usquam.|Plinio, ''Paneg.'', 29, 3-5}}
Lo stesso tono viene usato da altri rappresentanti delle classi superiori della società imperiale. Da [[w:Velleio Patercolo|Velleio Patercolo]] a [[w:Plutarco|Plutarco]], da [[w:Epitteto|Epitteto]] lo schiavo-filosofo alla corte imperiale, a [[w:Publio Elio Aristide|Elio Aristide]], da [[w:Appiano di Alessandria|Appiano]] ad [[w:Arriano|Arriano di Nicomedia]], la glorificazione della ''Pax Romana'' si collega alla tranquillità delle attività industriali e commerciali la lode della ''libertas'' è spesso vincolata alla mancanza di restrizioni nella libertà personale, nella impresa privata.<ref>Vell. Pat., ''Hist.'', II, 89; Plut., ''Tranq. anim.'' 469 E; ''Diatr.'', III, 13, 9; App., ''B. C., Proem.'', 7.</ref> ''Libertas'', come studiosi tipo [[:en:w:Chester Starr|Starr]] o [https://www.encyclopedia.com/religion/encyclopedias-almanacs-transcripts-and-maps/wirszubski-chaim Chaim Wirszubski] hanno spiegato, è cosa ben differente dalla libertà politica repubblicana:<ref>Ch. G. Starr, ''loc. cit.'', pp. 7ff.</ref> può significare libertà privata, come anche giustizia sociale; ma tale giustizia non deve essere interpretata nel senso moderno di uguaglianza di diritti politici, della libertà politica individuale rispetto allo stato.<ref>App. B.C., IV, 133; Cass. Dio., XLIV, 2; XLVII, 39; LII, 19, 1; LIV, 6, 1; LVI, 39, 5; Plinio, ''Paneg., 32, 2.</ref> La vera libertà, vera ''demokratia'', secondo Aristide e gli altri ideologi del Principato, consisteva nel fatto che ''ogni'' classe "doveva" mantenere il proprio posto; e che ciascuno doveva mantenere i propri privilegi<ref>Elio Aris., ''Eis Romen'', 60; Cass. Dio., LII, 14, 3-5; Filos., V.</ref> — fatto che naturalmente era valido solo per le classi superiori, gli ''honestiores'', a scapito degli ''humiliores''. In altre parole, la libertà era concepita come liberalismo, e poteva ben essere d'accordo con quella autocrazia reale che era il Principato.
Pertanto, nella "democrazia perfetta dell'Impero Romano" (Starr), l'individualismo rappresentava il motore primo dell'azione economica. Il principio supremo, quindi, era quello dell'impresa privata; che ovviamente favoriva le classi superiori, detentori sia di beni immobili e di capitale mobile. In questo rispetto, alcuni studiosi hanno tentato di negare l'esistenza di un "capitale di mercato" nell'Antichità, e anche nel mondo romano. Tale tesi sembra alquanto esagerata — o perlomeno valida solo per l'età pi archaica, sia greca che romana. In realtà, esisteva veramente, in alcuni periodi dell'Antichità, un mercato mondiale — forse uno dovrebbe dire piuttosto, con [[:en:w:Eric Roll, Baron Roll of Ipsden|Eric Roll]], un complesso di "mercati contigui", integrati da relazioni commerciali col complesso delle nazioni conosciute. Nel mondo greco è evidente che, già nei secoli V e IV [[w:p.e.v.|p.e.v.]], lo sviluppo dei prestiti bancari e marittimi doveva essere messo in relazione all'esistenza del capitale mercantile. La creazione di un mercato mondiale era forse il risultato più importante delle imprese di Alessandro. Durante il periodo ellenistico, il vasto commercio si diffuse ancor di più con la scoperta della [[w:carne ovina|carne ovina]], che permise relazioni regolarfi con l'India, e con la moltiplicazione delle banche e delle loro rispettive transazioni (Bogaert). Nella tarda Roma Repubblicana si può constatare l'importanza determinante della banca e delle società. Nell'impero, nella Gallia per esempio, le società – nel senso tecnico della parola (cioè ''collegia'') – fioriscono: spedizionieri, vettori, ''nautae'', ''navicularii'', ecc. Tutti questi avvenimenti non possono essere compresi se non nel contesto di un "capitalismo mercantile", che deteriorerà, specialmente in Occidente e cambiando in una fase successiva, durante la Tarda Antichità.<ref>Cfr. J. Hicks, ''A Theory of Economic History'', Oxford, 1969, pp. 51ff.; 72ff.</ref> Rostovtzeff in effetti esaminò questo fenomeno, con la sua dottrina della burgeoisie capitalista. Sarebbe antistorico contestare i reali vantaggi acquisiti dall'impero in generale; ma sarebbe troppo facile credere che questa fosse l'unica faccia della moneta: sfortunatamente, la prospettiva degli studiosi della storia economica antica, e di Rostovtzeff in particolare, è sempre stata di questo genere. Ho già menzionato il rifiorire della vita economica. Infatti, nell'ambito della comunità economica mediterranea furono ristabilite intense reti di relazioni commerciali, ed iniziarono ad avvenire scambi commerciali tra regioni precedentemente lasciate reciprocamente impenetrabili. L'enorme area economica rappresentata dall'impero mediterraneo stava diventando "strutturata"; nel senso che, entro di essa, venivano stabilite relazioni di interdipendenza, tra le varie entità economiche regionali. Quelle regioni che producevano materiali grezzi erano collegate con le regioni che sviluppavano la manifattura e raffinavano tali materiali. L'impero era colmo di raggruppamenti di operatori economici che, mentre si aspettavano e richiedevano protezione e sicurezza dal governo centrale, nelle loro operazioni commerciali, applicavano indisturbati la legge economica del massimo profitto.
Senza dubbio, avvenne un notevole miglioramento delle condizioni generali di vita e un aumento di benessere materiale, tra le popolazioni di questo esteso ''imperium''. Ci fu anche un percepibile aumento in ricchezza e proprietà, almeno nei primi due secoli. Ciò deve essere sicuramente considerato un fatto positivo; ma ci fu anche l'altra faccia della moneta. Normalmente, e bisogna ammetterlo, questa prosperità beneficiò in maniera maggiore una certa parte della popolazione nell'impero. Come dimostrerò meglio in seguito, la nuova situazione politica – e la relativa politica econimica – favorì quelle classi che erano emerse vittoriose dalla restaurazione augustea: in sostanza, gli ordini senatoriale ed equestre, e l'esercito fu posto come salvaguardia del nuovo ordine. Queste classi vivevano principalmente sul reddito fondiario, parassiticamente; oppure investivano i propri capitali in iniziative commerciali con alti profitti; vivevano ed operavano nell'ambito di strutture cittadine, che a loro volta profittavano dalla situazione. Per queste classi selezionate, a cui apparteneva anche l'aristocrazia senatoriale che aveva imparato ad investire i rispettivi capitali con scaltrezza, c'erano vantaggi innegabili; d'altra parte, siamo all'oscuro se, e quanto, migliorassero le condizioni delle classi inferiori — quelle classi che continuavano a fornire mano d'opera, senza partecipare in alcun modo nella gestione delle politiche economiche e sociali. Piuttosto, dalla ricerca recente, sembra che esse deteriorarono gradualmente. In un certo modo, le classi inferiori poterono condividere alcuni aspetti esterni di questo benessere; ma furono anche quelle classi che lo pagarono a più caro prezzo.<ref>Si veda J. Szilágy, "Prices and wages in the Western Provinces of the Roman Empire", ''AAntHung'', 1966, 3, pp. 325-391.</ref> In contrasto, le classi urbane superiori, e il circolo governativo che ne godeva i risultati, prosperarono grandemente, godendo la maggior parte dei benefici provenienti da questa struttura economica. Ciò finché – come si vedrà, già negli ultimi decenni del II secolo – furono messi in crisi dall'affioramento di contraddizioni nell'ambito della produzione con schiavi e da modifiche nei poteri produttivi del sistema stabilito.
Un'economia di struttura imperialistica, in un regime praticamente monopolistico a livelli primitivi di sviluppo economico, quando trova condizioni favorevoli come quelle che esistevano nell'Impero Romano per i primi centocinquanta anni della sua fondazione, mantiene in funzione la sua macchina produttiva anche quando soffre sbilanci strutturali o deficienze. Si può sicuramente dire che, per l'Impero Romano dei primi due secoli, ci fu uno sviluppo economico che fu alquanto tangibile, sebbene limitato a strati specifici della società imperiale; ma non si possono trascurare le deficienze strutturali che l'afflissero. In primo luogo, questa economia favorì inevitabilmente la classi egemoniche, creandosi quindi le conseguenti future lotte di classe. Inoltre, poiché non c'erano disposizioni interne per possibili tentativi interventisti da parte del governo centrale nella dinamica economica – in altre parole, rifiutava qualsiasi proposizione o possibilità di pianificazione – istituzionalizzò la sua mancanza di uniformità economica, precludendo quindi per le proprie azioni tutte le possibilità di uno sviluppo organico e graduale, e lasciando incontrollate le forze interne opposte proprio alla logica economica che lo determinava. Infine, nell'evitare qualsiasi tentativo di razionalizzazione interna, l'economia stava diventando vulnerabile ad ogni crisi causata sia dall'esaurimento di fattori che ne assicuravano la vitalità interna, sia dalle pressioni di forze che attaccavano la sua coesione dall'esterno. Mentre aveva il supporto del proletariato all'interno (e all'esterno, delle economie barbare "sottosviluppate") e della mano d'opera degli schiavi, l'apparato economico dell'impero poteva continuare a progredire; ma quando le forze produttive in concorrenza col sistema produttivo degli schiavi si sviluppò e quindi vennero modificate le relazioni della produzione sociale (i sistemi di proprietà e le connessioni delle classi sociali), l'economia smise di espandersi e perse la sua dinamica. È un dato di fatto che le forze economiche agiscono a lungo termine e, una volta in movimento, sono irreversibili.
L'adozione di una regola liberalistica, basata su una concorrenza spietata e implacabile, e il concomitante rifiuto di qualsiasi intervento statale e pianificazione economica, allora costituirono le caratteristiche fondamentali della vita economica dell'impero, almeno durante il periodo del Principato. Tale comportamento chiaramente dimostrò le carenze della struttura entro la quale operava; ma alla fine aiutò a mantenerle. Il lodato sviluppo economico dell'impero fu, in effetti, contenuto nell'ambito di stretti limiti e incontrò ostacoli insuperabili nella sua base agricola e nell'accumulo di capitale, molto raramente impiegato nella sfera produttiva.
In tale organizzazione economica, la decentralizzazione fu uno sviluppo ovvio e anche uno dei vettori di crescita. Non fu il risultato di forze politiche consapevoli, ma sorse proprio dalla struttura del mercato e la natura del sistema produttivo, che non fu diretto verso operazioni su grande scala perché rimase sempre legato alle piccole e medie imprese, senza mai assumere le proporzioni di un'impresa capitalistica moderna.
Proprio perché non c'era uno scopo monopolistico, l'alto livello integrativo ottenuto nell'ambito dell'area economica dell'impero facilitò la trasmissione delle tecniche di produzione e la creazione di centri di produzione locale. Se l'ideale di autosufficienza era uno degli obiettivi fondamentali dell'economia impeiale nel suo complesso, lo era ancor di più nelle regioni individuali. Uno dei fattori basilari, se non il principale, era il costo dei trasporti che, nonostante l'innegabile progresso ottenuto in questo campo dall'amministrazione imperiale, pesava fortemente sui prezzi delle merci. Di conseguenza, i prodotti di consumazione immediata erano di solito preparati ''in loco'' — eccetto naturalmente per l'Italia che aveva una situazione particolare.<ref>Sulla situazione commerciale in Italia, cfr. P. Veyne, "Vie de Trimalcion", ''Annales ESC'', 1961, pp. 213-247.</ref> Pertanto il commercio coinvolgeva merce di alto valore intrinseco. Nonostante le scoperte ed un certo progresso nelle tecniche di navigazione, il trasporto marittimo – usato principalmente dal commercio "pesante" dell'impero perché il traporto via terra era così costoso – presentava fattori di rischio: l'ineffabile [[w:Trimalcione|Trimalcione]], prima di acquisire la sua nuova ricchezza commerciale, aveva perso tutto il patrimonio che aveva ereditato dal suo padrone con traffici irregolari.<ref>Petr., ''Satyr.'', 75, 11.</ref> Per ultimo, non si può trascurare il fatto che la stessa struttura competitiva creava istinti di autodifesa specifici nell'ambito delle sfere economiche individuali; ci fu una tendenza ad acclimatare le coltivazioni di cert specie e, soprattutto, a produrre ''in loco'' articoli manufatti comuni che richiedevano scarse abilità tecniche.
Già nel primo secolo, quindi, le premesse erano poste per unità economiche decentralizzate.<ref>Cfr. P. Petit, ''La paix romaine'', pp.305ff.; Rostovtzeff, ''SEHRE'', p. 189ff; F. Oertel, ''CAH'' XII, pp. 237ff.</ref> Ciò può essere considerato quale fenomeno maggiormente evidente dell'evoluzione economica imperiale; e, secondo alcuni studiosi, forse quello più carico di conseguenze.<ref>F. Oertel, ''CAH'', X. Cfr. anche F. Walbank, ''The Awful Revolution'', pp. 25ff.; 47ff.</ref> Fuori diesso, diventa difficile capire la storia economica e sociale del Principato. Il caso dell'Italia, in tale contesto, è particolarmente significativo.
== Recessione e decentralizzazione ==
{{Immagine grande|Abraham Ortelius - ROMANI IMPERII IMAGO.jpg|800px|Antica mappa dell'Impero Romano, inserita dal cartografo [[w:Abramo ortelio|Abramo Ortelio]] nel suo ''Theatrum Orbis Terrarum '' (1592)}}
Alla fine del primo secolo [[w:e.v.|e.v.]], l'Italia entrò in una fase di recessione economica; e iniziò a perdere la propria supremazia, inclusa quella politica sulle province imperiali. Tale recessione appare a prima vista dovuta a fattori interni alla propria struttura economica e sociale — fattori validi, come dimostreremo, anche per altre parti dell'impero. In effetti, la recessione era dovuta ad una crisi agraria, che influenzava l'intera base economica dell'impero, dove un ruolo fondamentale veniva giocato da una difficoltà nell'ingaggiare la mano d'opera, in competizione con l'immenso ''latifundium'' senatoriale e imperiale;<ref>V.A. Sirago, ''L'Itralia agraria sotto Traiano'', Louvain, 1958, pp. 9ff.; 254ff.; 305ff.; L. Cracco-Ruggini, "Esperienze economiche", pp. 757ff.</ref> e, infine, in misura notevole, da un calo nel potenziale demografico.<ref>App., B.C., I, 7ff.</ref>
Tuttavia, in questa crisi italiana, un'altra parte importante era rappresentata dalle altre regioni, specialmente le Gallie. È interessante osservare uno dei fenomeni caratteristici della storia economica dell'impero — osservare come le province galliche, e altre, lentamente ma costentemente entravano nei mercati e gradualmente riuscivano a portarli via dagli operatori economici italiani. È anche vero che, nonostante le difficoltà, la lana italiana, il vino e l'olio erano ancora ben accetti sui mercati provinciali; e che, nel secondo secolo dell'età imperiale, i vasi metallici di Capua godettero di grande stima nei magazzini occidentali. Ma è anche vero che le vaste e potenti imprese manifatturiere si ridussero gradualmente a negozi artigianali che operavano su un mercato sempre più ristretto, quasi domestico. Cominciarono ad aver timore della concorrenza dell'industria gallica. La produzione di vetro, ceramiche, vasi metallici per esportazione su larga scala gradualmente cessò; e fu rimpiazzata da una produzione diretta quasi totalmente al mercato locale. Nel secondo secolo, anche il monopolio mondiale di lampade di argilla prodotte a Modena dalla rinomata "casa" Fortis si interruppe.<ref>Rostovtzeff, ''SEHRE, pp. 205ff.</ref> In conclusione, l'Italia peninsulare, eccetto le Regioni Settentrionali, sembra lottare per tenere il passo con lo sviluppo economico delle altre province.
Il fenomeno opposto avviene nell'evoluzione economica della province galliche. Nel corso del primo secolo e.v., favorita da particolari situazioni economiche e sociali, l'economia gallica ottenne un rimarchevole salto in avanti. Riuscì nell'imporre la sua supremazia, con grande fortuna, in vari settori.<ref>Petit, ''La paix romaine'', pp. 330ff.</ref> Nel settore dei prodotti primari, l'economia gallica venne favorita sin dall'inizio, e l'unità produttiva rappresentata dalla ''villa'' rustica si espanse vastamente.<ref>L. Harmand, ''L'Occident romain'', pp.17ff.; 355ff.; 395ff; M. Pavan, "Storia d'una provincia, la Gallia romana", ''PP'', 1963, pp. 89-227.</ref> Produttrice di grano, frutta e verdure, non temeva crisi produttiva e non abbisognava di mercati esterni. La Gallia era ricca di pascoli e foreste, e il bestiame costituiva una delle risorse della prosperità dell'economia gallica: già [[w:Strabone|Strabone]] si meravigliava della ricchezza e completezza dell'alimentazione degli agricoltori gallici.<ref>Strabone, IV, 4.3 (C 197).</ref> Allora come ora, i vini rappresentavano uno degli articoli più attivi del "bilancio" economico della Gallia; fecero una tale concorrenza ai prodotti italiani, che l'amministrazione imperiale fu costretta a fare uno dei suoi rari interventi nella sfera della produzione.<ref>Svet., ''Dom.'', 7, 2; Filostr., ''Vita Apoll., VI, 42; ''HA'', ''P.'', XVIII, 8.</ref> Nella [[w:Gallia Narbonense|Narbonense]] l'olio veniva prodotto abbondantemente, e sebbene non potessere competere e soppiantare nei mercati esterni i rendimenti africani e italiani, era comunque sufficiente alla domanda interna. Con una popolazione limitata (che per il terzo secolo e in tutto il corso del quarto, sarebbe diminuita in densità),<ref>Cfr. A.E.R. Boak, ''Manpower shortage'', pp. 40ff.</ref> le regioni galliche, a differenza delle altre unità economiche regionali dell'impero, potevano essere autosufficienti rispetto alla produzione alimentare primaria — e potevano persino esportarne il surplus.
Tuttavia, il forte dell'economia gallica era la produzione artigiana. Le competenze tecniche e artistiche dell'artigiano gallico erano grandemente apprezzati in tutto il mondo romano. Materia grezza veniva importata e le manifatture esportate, prodotti rifiniti che si diffondavano in tutta l'area mediterranea. Spesso collocate dentro e nelle vicinanze di vaste foreste che ricoprivano la Gallia – il "complesso economico" del ''saltus'' a Auvergne è stato molto ben studiato<ref>C. Vigoroux, "Le saltus arverne, complexe économique", ''Rev. arch. Centre'', 1962, pp. 211-220.</ref> – i laboratori gallici lavoravano metalli comuni e preziosi e producevano, oltre a oggetti di uso quotidiano, gioielleria e articoli artistici, piatti d'argento, statue di bronzo, ''[[w:fibula (spilla)|fibulae]]'' e scrigni smaltati (le ''fibulae'' di Ancissa erano ben note in tutto l'impero). Gli artigiani gallici si specilizzarono anche nell'industria tessile basata su materiali primari locali: mantelli, vele e materassi erano i più prodotti in questo campo; l'ecosistema, come già menzionato, permetteva una buona fornitura di prodotti basilari. In primo luogo, tuttavia, lavoravano su merce primaria, che arrivava per via terra o mare in rotte di primissima importanza.<ref>Si veda M.P. Charlesworth, ''Trade-routes and Commerce of the Roman Empire'', Hildesheim, 1961, pp. 179ff.</ref> Le spese generali di produzione erano quindi molto più basse, e questo fatto veniva sfruttato intelligentemente dagli artigiani, produttori e commercianti della classe "media", che iniziarono a fare del lobbismo con l'aristocrazia tradizionale, influenzando quindi fortemente i suoi atteggiamenti politici e modi di pensare.<ref>J.J. Hatt, ''Hist. de la Gaule romaine'', pp. 120-121; 369-76.</ref>
Prodotti di vetro e ceramiche costituivano il successo principale del settore artigianale nelle regioni galliche. Grazie alle condizioni favorevoli di produzione e distribuzione che permetteva di manifatturare a prezzi oltremodo concorrenziali, nel corso del primo secolo e ancor di più nel secondo, le ceramiche galliche rimpiazzarono quelle di [[w:Storia di Arezzo|Arretium]], che erano più di valore artisticamente, ma molto più alte di prezzo. In breve tempo, questa produzione conquistò un monopolio mondiale. Dai centri manufatturieri di La Graufensenque e Montans nel [[w:Massiccio Centrale|Massiccio Centrale]] (I secolo); da quelli di Banassac (I-II secolo); da quello di Lezoux nel territorio degli [[w:Arverni|Arverni]] (II secolo), le ceramiche galliche si diffusero in tutto il mondo occidentale, sostenendo vigorosamente la concorrenza della produzione locale e resistendo inoltre con successo alle importazioni. Solo gli sconvolgimenti del terzo secolo, che avrebbero devastato le Gallie profondamente, sembra provocassero un ritiro di ceramiche e vetri dei famosi artigiani celtici da quesi mercati così faticosamente conquistati.<ref>E. Will, "Recherche sur le développement urbain sous l'Empire romains dans le Nord de la France", ''Gallia'', 1962, pp. 79ff.</ref>
Tuttavia, l'espansione economica delle Gallie, durante i primi due secoli dell'impero, non viene spiegata soltanto dalla relativa abbondanza delle loro risorse naturali, e dalle abilità e imprenditorialità dei loro operatori artigianali ed economici, ma anche dalla loro posizione geopolitica. [[:fr:w:Jean-Jacques Hatt|J.-J. Hatt]] insistette sull'esistenza, nell'ambito della sfera militare e politica, di due Gallie: una nel Sud e Ovest, e una nel Nord e Nord-Est. Questa opposizione esiste e ha radici sia economiche che sociali, ma forse la loro "complementarità" non è stata evidenziata abbastanza. Giocò un ruolo molto importante nell’''essor'' economico del settore. Acutamente, [[:en:w:Eugène Albertini|Eugéne Albertini]] ha sottolineato l'importanza della Gallia settentrionale, "bastione delle due province tedesche", nel sistema amministrativo-militare dell'impero. In effetti, rappresentò il portale per le province renane e danubiane, che costituivano un vasto mercato apero all'imprenditorialità dei mercanti gallici. Gli eserciti dispiegati ai ''limes'' renani, punto-chiave del sistema difensivo imperiale, richiedevano infrastrutture: queste venivano fornite dagli imprenditori gallici, che quindi divennero ricchi. Con l'aiuto di un sistema privilegiato di comunicazioni via acqua e via terra, venne stabilita una rete commerciale molto intensa dentro le province galliche, dal Sud-Ovest al Nord-Est: le province militari della Germania costituirono un polo d'attrazione.<ref>L. Harmand, ''L'Occident romain'', pp. 418ff.; Petit, ''La paix rom.'', pp. 335ff.</ref> Il risultato di questo processo fu lo spostamento dell'asse commerciale del mondo occidentale dal Mediterraneo al bacino Reno-danubiano. Fino alle invasioni del terzo secolo, questo spostamento fu essenzialmente economico; ma, come conseguenza, divenne anche politico. L'episodio dell’''imperium Galliarum'' ci dimostra come [[w:Colonia (Germania)|Colonia]] e [[w:Trèves (Rodano)|Trèves]], originalmente cresciute come centri militari/commerciali (molto importanti anche col mondo barbarico oltre i ''limes'') divennero capitali politiche, a detrimento di quelle città troppo lontane dai ''limes'', come [[w:Autun|Autun]] (''Augustodunum'') e [[w:Lione|Lione]], precedentemente centri della massima importanza. Nelle conseguenze di tale spostamento, [[w:André Piganiol|André Piganiol]] – che, nell'ultima fase del suo pensiero, seguì per un periodo differente la tesi di Pirenne – vide la causa principale del collasso dell Impero Occidentale.<ref>A. Piganiol, ''Historie de Rome'', Parigi, 1962, p. 522.</ref> Sebbene questa non fosse esattamente la ''causa causarum'' di questo evento tragico ma impressionante – se mai ci fu una causa sola – ciononostante le conseguenze dello spostamento furono veramente cariche di segni infausti, per quanto ne possiamo dedurre.<ref>Si veda Remondon, ''La crise de l'Empire romain'', pp. 294ff.; 311ff.</ref>
L'altro polo della struttura economica imperiale era composto dalle province orientali, cioè dalle province ellenistiche (di lingua greca) dell'Asia Minore fino alle province al confine con l'Oriente. Questa area, che praticamente si estendeva dal Mar Nero al Mar Rosso e comprendeva regioni della più elevata urbanizzazione dell'impero, in realtà era il perno delle relazioni con le civiltà millenarie dell'antico Est. L'ellenismo, sin dal tempo di [[w:Alessandro Magno|Alessandro il Macedone]], vi aveva aperto la sua strada, e la civiltà romana doveva soltanto continuare sulla stessa rotta. Già prima della conquista romana, questa area possedeva la sua unità culturale: rappresentava il grande successo politico di uno dei più validi generali di Alessandro, [[w:Seleuco I|Seleuco Nicatore]]. Il dominio romano, che portò ad un'unità politica forzata, creò anche un'unificazione economica.<ref>Cfr. Rostovtzeff, ''SEHHW, II, pp. 1032ff.; Heichelheim, ''Storia economica del mondo antico'', Bari, 1979, pp. 720ff.</ref>
Senza dubbio, la ''Pax Romana'' portò grandi vantaggi alle province orientali. In virtù di un'amministrazione generalmente efficiente e non troppo onerosa, queste province si ripresero velocemente dai saccheggi spietati effettuati contro di loro dai generali romani, i "signori della guerra" dell'età repubblicana. Ma soprattutto, formarono un'unità economica e commerciale che divenne suprema nell'ambito della strttura economica imperiale. Questo penso si debba considerare la causa primaria della loro straordinaria fioritura economica, sociale e culturale durante l'età imperiale — con una vitalità che colpisce l'attenzione dello studioso e in un certo modo distorce il suo giudizio globale sull'impero.
Si può quindi capire come il "rinascimento" culturale della [[w:Seconda sofistica|Seconda Sofistica]] possa essere collegato ad un revival economico di proporzioni considerevoli. Le città e le classi connesse con le strutture socioeconomiche urbane prosperarono. Gli standard di vita, nelle città, raggiunsero livelli mai più ottenuti dopo, nell'età antica, fino al risveglio urbano che anticipò i tempi moderni. [[w:Publio Elio Aristide|Elio Aristide]], l'intellettuale nevrotico che può in un certo senso essere considerato l'apologeta di questa "società benestante" del mondo antico e che rappresenta una delle principali fonti letterarie – sebbene una delle più abusate – per una comprensione di questo fenomeno, riesce ad illustrare con grande abilità ed efficacia il nuovo benessere socio-economico, quando esalta la gloria dell'Asia descrivendo le tre "capitali", [[w:Pergamo|Pergamo]], [[w:Efeso|Efeso]] e [[w:Smirne|Smyrna]], nel suo discorso sull'armonia tra le città<ref>Elio Arist., ''Orat.'', XXI, XXII, XXIV, XXVII, per tutte le informazioni dei paragrafi seguenti.</ref> — o nell'immagine entusiasta che dà di [[w:Cizico|Cizico]] e Smyrna. Tramite i discorsi di un altro retore, [[w:Dione Crisostomo|Dione di Prusa]] in [[w:Bitinia|Bitinia]], si viene a conoscere l'intensa rivalità che esisteva tra le città della sua provincia, che ecrcavano di superarsi tra loro nello splendore dei rispettivi palazzi, le comodità della vita cittadina, la pompa delle loro feste e cortei diplomatici. La sua descrizione viene confermata anche in molti brani delle lettere di [[w:Plinio il Giovane|Plinio il Giovane]], che forniscono numerosi particolari relativi alle attività edilizie spesso febbrili — ovviamente, per edifici per spettacoli e divertimenti, e non "case governative" per il popolino — che in gran parte minacciavano di superare le risorse finanziarie della città, cosicché Traiano gli aveva affidato una missione restrittiva che fermasse tale spreco.<ref>Si veda L. Vidman, ''Etude sur la correspondance de Plinie le Jeune avec Trajan'', Praga, 1960.</ref> I vari documenti epigrafici dell'Asia Minore attestano una vita municipale intensa. La prosperità e ricchezza economica dei dedicatori è comprovata dalla quantità impressionante di donazioni, di elargizioni volontarie fatte da cittadini privati, i cui nomi sono rimasti iscritti per i posteri:: ci sono personaggi come Opramoas, Popilio Python, T. Elio Geminus,<ref>Su Opramoas cfr. ''TAM'' II 905 = IGRR III 739; C.J. Walton, ''JRS'', 1929, pp. 54ff. con relativa documentazione; cfr. anche D. Magie, ''Roman Rule'', I, pp. 531-4.</ref>, gli "[[w:evergete|evergeti]]" mediante i quali le oligarchie governanti pagavano i loro debiti alle comunità e allo stesso tempo riaffermavano simbolicamente il proprio prestigio sociale e politico. Non si potrebbe comunque comprendere appieno queste fonti e questi documenti senza le imponenti rovine – rivelate da una vasta serie di scavi e pertinenti reperti archeologici raccolti pazientemente e illustrati da una lunga serie di archeologi moderni – che hanno permesso una ricostruzione dell'aspetto di molte di queste città, chiarendone inoltre le rispettive condizioni di vita.
Non c'è dubbio che le province imperiali orientali sono state soggette di molti studi meticolosi e spesso eccellenti; basti menzionare le opere fondamentali di Louis Robert e i preziosi dati raccolti con grandi sforzi nel quarto volume dell’''Economic Survey''. Ricerche importanti, a volte di grande respiro – come il ''Roman Rule in Asia Minor'' di Magie<ref>D. Magie, ''Roman Rule in Asia Minor to the End of the Third Century after Christ'', I-II, Princeton, 1950.</ref> – sono disponibili agli studiosi per ogni singola provincia. Tuttavia, ciò non significa che l'intero settore economico sia stato analizzato in tutte le sue varie interrelazioni e con la completezza che si potrebbe desiderare, data la massa di materiale disponibile — specialmente in merito alla sua struttura sociale ed economica. Come c'era da aspettarsi, gli studi degli storici dell'Europa orientale sono diretti, in virtù delle loro stesse metodologie di ricerca, verso le strutture economiche e sociali; tuttavia, sebbene alcuni di questi studi raggiungano risultati rimarchevoli, si ha l'impressione che a volte il dialogo tra studiosi dell'Occidente e studiosi dell'Oriente, specialmente i russi, sia difficile ad iniziare o cada nel vuoto: entrambe le parti si ignorano.
Allo stato attuale della ricerca, e data la sua particolare angolazione, siamo comunque in grado di identificare gli elementi principali di tale sviluppo, anhe se non riusciamo a seguire e spiegare le sue ralazioni e interferenze reciproche. Ciononostante, come ho già detto, è possibile indicare le linee di potere in cui avvenne questo processo di sviluppo economico.
In molti modi le regioni orientali furono privilegiate, dal punto di vista economico, in confronto a molti altri gruppi etnici; proprio per questa ragione, le popolazioni che ne facevano parte poterono dimostrare una vasta gamma di comportamenti e attività, una volta che fu ottenuta un'unità politica sotto l’''imperium'' romano. Questa area in effetti rappresentò un'unità economica, le cui parti si compensavano mutualmente. Estendendosi dalla regione insulare dell'Egeo agli altipiani dell'Anatolia; comprendendo la costa siriana collegata al deserto; incluso tra il Mar Nero e il Mar Rosso, fu un organismo di alto potenziale economico e ben adattato ad una forte attività commericale. Godette di condizioni geografiche particolarmente favorevoli, che permise la produzione di beni primari e inoltre lo rese totalmente autosufficiente. Abbondantemente ricca di materie prime di base, questa area poteva sostenere un'industria di elevati standard tecnici e artistici, in grado di imporre i propri manufatti sul mercato mondiale, a livelli molto concorrenziali. Una cospicua rete di comunicazioni, già migliorata dai Seleucidi e poi curata dall'amministrazione imperiale, permise una comoda mobilità interna: in effetti, fu la base essenziale di un ampliato commercio domestico, e la fonte, a tutti i livelli, di prosperità economica.
Un'altra premessa importante di tale commercio interno e un fattore principale di sviluppo economico fu l'alto coefficiente di urbanizzazione, superiore a quello di qualsiasi altra parte del mondo antico: questo, insieme ad una struttura di proprietà agraria che non è ancora del tutto compresa ma che sembra alquanto differente dal ''latifundium'' generalmente predominante nelle regioni imperiali occidentali,<ref>Uso il termine ''latifundium'' nel senso tradizionale, senza accettare le spiegazioni proposte da K.D. White, "Latifundia", ''BICS'', 1967, pp. 62-79.</ref> permise la massima crescita di questa area privilegiata dell'impero romano e lo sviluppo di possibilità latenti. Con sorprendente rapidità, l'impulso dello sviluppo economico si diffuse dalle città costiere alle regioni montuose interne, poi fino alle vaste valli fluviali, sopra le catene montuose, entrando nel cuore delle zone lontane — spargendo ovunque nuove energie. Le città marittime prosperarono, beneficiando del riflusso prodotto da queste nuove energie, e divennero ricche servendo da intermediarie, distribuendo il surplus della produzione interna dei centri commerciali mediterranei.<ref>Petit, ''La paix rom.'', pp. 323-24.</ref>
Inoltre, si deve aggiungere che questo settore in effetti rappresentò un ponte tra Oriente e Occidente. Non solo, come spesso si potrebbe pensare seguendo le orme di Sir [[w:Mortimer Wheeler|Mortimer Wheeler]], per quei rinomati prodotti del commercio internazionale, i ''Grandi Cinque'': incenso dall'Arabia, avorio dall'Africa, pepe dai [[w:Tamil (popolo)|Tamil]] e seta cinese (escludendo naturalmente l'ambra, che veniva dal Baltico);<ref>Si veda J.I. Miller, ''The Spice Trade of the Roman Empire'', Oxford, 1969 e le opere ivi citate.</ref> ma anche per molti altri articoli portati da carovane o navi dal mondo orientale. In questa sfera, la Siria era in una posizione di assoluto privilegio: durante l'età imperiale, il mercante siriano sembra aver sostituito in ogni aspetto il ''negotiator'' italico, che aveva dettato legge sulla scena commerciale del mondo ellenistico. Gli imprenditori orientali sono presenti su tutti i mercati del mondo antico, pronti a confrontarsi con qualsiasi concorrente, disposti ad reinvestire immediatamente i profitti guadagnati. Sono sempre loro, che impongono sui mercati commerciali i prodotti delle proprie manifatture molto apprezzate: i broccati di lana e le belle lenzuola; e specialmente, la seta pregiata che gli artigiani siriani hanno imparato a lavorare, importando quindo solo la materia grezza. Molto abili anche nelle tecniche metallurgiche, producevano articoli alquanto richiesti da tutte le nazioni: gli armaioli fornivano l'Arabia, i produttori di bronzo fondevano e groffavano lastre per i Sassanidi; gli orafi creavano gioielli complessi indossati da tutte le donne del mondo romano. Ma c'erano due attività industriali che mantenevano il monopolio incontestabile della Siria: la [[w:soffiatura del vetro|soffiatura del vetro]] e la [[w:Porpora|tintura in porpora]]. Sidone divenne ricca col primo prodotto, esportando il suo vetro in tutto il mondo romano, anche nella Germania libera;<ref>H.J. Eggers, ''Der römische Import im freien Germanien'', Amburgo, 1951.</ref> il secondo rappresentava la specialità di [[w:Tiro (Libano)|Tiro]], le cui stoffe non avevano eguali ed erano vendute a prezzi altissimi. I ''mercatores'' fenici, e le loro società, detenevano il monopolio nelle nazioni orientali, il vasto commercio internazionale romano, i ''Grandi Cinque'', come ho già citato. Questo era il commecio che procurava la fortuna delle grandi città carovaniere, come Petra, Bostra e specialmente Palmira e Antiochia, quest'ultima essendo al capolinea di importanti vie commerciali terrestri.<ref>Cfr. G. Downey, ''A History of Antioch in Syria, from Seleucus to the Arab Conquest'', Princeton, 1961, pp. 15ff.</ref> E questo era in effetti il commercio che infiammava moralisti come Plinio il Vecchio, che si indignava alla vista dell'Impero Romano dissanguato finanziariamente a favore di "lavativi" orientali, a causa dei capricci di donne sconsiderate e uomini effemminati: secondo le sue fonti (o stime personali), l'Oriente sottraeva all'economia romana almeno 100 milioni di sesterzi ogni anno.<ref>Plinio, ''N.H.'', XII, 84. Cfr. Tac., ''Ann.'', III, 53.</ref> Sebbene questa cifra debba essere considerata con cautela, e il cosiddetto "salasso dell'oro" verso le nazioni orientali non avesse una tale grande importanza come certi studiosi (Bratianu, Piganiol)<ref>G.I. Bratianu, "La distribution de l'or et les raisons économique de la division de l'Empire Romain", ''Etudes Byzantines d'Historie Econ. et Soc.'', Parigi, 1938, pp. 189ff.; A. Piganiol, "Le problème de l'or au IV siecle", ''Annales d'Hist. Econ. Soc.'', 1, 1945, pp. 47-53.</ref> sembra gli abbiano dato, purtuttavia gran parte di tale flusso aurifero, quale che fosse l'ammonto reale, doveva finire nelle tasche di intermediari: in questo caso, alessandrini, siriani, palmirani; e, comunque, aggiunto aqlle altre entrate attive nel bilancio commerciale siriano, questo fatto di certo influenzava pesantemente la bilancia del commercio interno mediterraneo a favore delle province orientali. Tale trasferimento di capitali, innegabile nonostante certe posizioni prese da alcuni studiosi moderni, deve essere stato uno dei fattori principali per la prosperità del settore orientale, e simultaneamente anche uno degli elementi determinanti nello squilibrio della struttura globale dell'economia imperiale. La decentralizzazione, se fattore dinamico di questa economia, alla fine fu compiuta tramite lo sfruttamento di certe province rispetto ad altre, e dalla creazione o peggioramento di tensioni socioeconomiche insite in essa.
Tale movimento decentralizzatore venne poi risolto dalla formazione, nell'ambito della totale area economica imperiale, di settori economici distinti, strutturati diversamente tra loro e quindi in potenziale concorrenza; infine, come notato precedentemente, dalla superiorità e dallo sfruttamento economico di certe zone economicamente più forti rispetto alle altre "sottosviluppate". Questo fu l'inevitabile risultato di una politica di liberalismo senza limiti e senza restrizioni, professata e sostenuta dall'autorità centrale; tuttavia, non fu l'elemento principale della recessione economica che iniziò ad emergere dopo il "boom" economico dei primi centociunquanta anni del Principato. Molto studiosi dell'economia antica, indubbiamente sopravvalutando sui passi di Rostovtzeff l'importanza reale del fenomeno, hanno costruito su di esso una vasta, e a prima vista allettante, teoria di recessione del commercio interno, con il conseguente arresto di un capitalismo embrionale e la rispettiva rovina della borghesia — in sostanza, il declino dell'Impero Romano. E tutto ciò, di certo come conseguenza della decentralizzazione.
La spiegazione è troppo semplicistica, e spiega l'effetto, non la causa. Le premesse di tale teoria chiaramente si basano sul concetto di una economia imperiale sostanzialmente capitalistica; e sulla sopravvalutazione del ruolo globale del commercio interno dell'impero: ragion per cui la sua contrazione avrebbe avuto ripercussioni letali sull'intera struttura economica. Entrambe queste premesse sono errate, o perlomeno valide solo parzialmente: l'economia imperiale non ebbe una struttura essenzialmente capitalistica (eccetto alcune occasioni peculiari), né il commercio interno ebbe l'estensione o l'importanza assegnatagli dai sostenitori di questa teoria. La decentralizzazione economica, quindi, non influenzò così radicalmente la vitalità economica dell'impero. Piuttosto, fu il risultato di quelle contraddizioni sulle quali fu costruita proprio la struttura economica e sociale dell'impero. La decentralizzazione non risolse, ma aggravò i problemi di produzione – sulle cui basi sorse: la tendenza dell'industria antica ad "esportare se stessa" (Rostovtzeff)<ref>Rostovtzeff, ''SEHRE'', pp. 189ff. e ''passim''.Cfr. Walbank, ''The Awful Revolution'', p. 47.</ref> – che credo rappresenti veramente il problema centrale dell'economia romana (e antica); nel senso che tale tendenza verso un'autarchia regionale fu uno degli elementi che ostacolarono lo sviluppo di un'industria che si sarebbe elevata dal livello di manifattura ad uno di "fabbrica", e quindi producendo su larga scala, aumentando gli indici di produttività e riducendone allo stesso tempo i costi. Si può quindi comprendere l'aspetto alquanto paradossale di sviluppo economico durante i primi secoli dell'impero, che fu, come dire, "inflazionistico" e non determinato da un aumento reale e sostanziale di produttività specifica. Si basò in gran parte si trasferimenti di capitale tramite attività commerciale, a beneficio di quelle classi che detenevano potere politico ed economico, piuttosto che sull'appropriazione in natura, per metterlo in termini marxisti, per la produzione su scala sempre maggiore di beni e servizi, e per la loro distribuzione a tutte le classi della società romana imperiale.
La diffusione dell'urbanizzazione, l'alto grado di civiltà materiale, e la vivace attività commerciale, danno veramente l'impressione che l'Impero Romano stesse godendo di una prosperità senza limiti. Ma era una facciata, sebbene una facciata splendida: in realtà l'impero, anche durante i secoli di tranquillità, non aveva mai superato quelle contraddizioni che l'avevano accompagnato sin dalla nascita e che in generale furono le contraddizioni dell'economia e società ellenistiche.<ref>V. Gordon Childe, ''Il progresso nel mondo antico'' (ediz. ital.), Torino, 1963, pp. 291ff.</ref> In pratica, l’''imperium romanum'', questo enorme organismo che comprendeva tutta la società civile mediterranea, non era riuscito a liberare nuove forze produttive; non era nemmeno riuscito ad estendere l'uso di quelle già disponibili dall'età ellenistica. Di certo ci furono progressi tecnici, come cercò di dimostrare tempo fa Franz Kiechle con una ricerca meticolosa ed esauriente;<ref>[https://www.google.co.uk/books/edition/Sklavenarbeit_und_technischer_Fortschrit/QaTuzAEACAAJ?hl=en Franz Kiechle, ''Sklavenarbeit und technischer Fortschritt im Römischen Reich''], 1967.</ref> e non sarebbero stati ostacolati dall'uso degli schiavi, come ebbe ad affermare. Tuttavia, il problema non deve essere postulato in questi termini, perché lo sviluppo delle forze produttive non è solo progresso tecnico, nuove invenzioni, o il raffinamento di quelle esistenti: al contrario, è lo sviluppo di quelle forze ''che modificano la produttività del lavoro''; che veramente trasformano la natura a vantaggio dell'uomo, che creano vera ricchezza sociale, e non soltanto plusvalore. L'aumento della ricchezza, attestata nei primi decenni dell'impero, fu il risultato dell'espansione superficiale del benessere materiale di un'economia basata sul commercio; e la conseguenza di una sospensione dello stato di guerra permanente in cui era vissuto fino allora il mondo greco-romano: avendo acquisito vaste aree scarsamente popolate, procedette ad una rapida colonizzazione interna; e simultaneamente sfruttò, grazie alla sua supremazia politica, le economie della nazioni "barbare" e "sottosviluppate". Non fu il risultato di un vero cambiamento nella struttura delle forze produttive. Non ci fu una trasformazione sostanziale nella struttura e nel metodo del lavoro tecnico, di evoluzione da teoria scientifica a tecnologia, nel senso moderno della parola.
Come affermò [[w:Vere Gordon Childe|Gordon Childe]], il passo dalla manifattura alla fabbrica e alla macchina quali strumenti fondamentali della produzione non fu mai fatto nel mondo antico.<ref>V. Gordon Childe, ''Il progresso nel mondo antico'', p. 291.</ref> Qui ci scontriamo con uno dei punti cruciali della storia antica greco-romana. Sta di fatto che il mondo antico non riuscì, nel periodo di espansione ellenistica o durante l'unificazione romana, a sviluppare una struttura industriale finanche in embrione; anche se, dal punto di vista della teoria economica astratta, ne esistevano le premesse, i "prerequisiti" di un'evoluzione in quella direzione — abbondanza di manodopera a bassissimo costo; ambito di mercato; condizioni economiche generali di base. Quali furono allora le ragioni per cui una tale struttura non si sviluppò mai? Quali furono gli elementi che impedirono al mondo antico, unificato politicamente ed economicamente sotto l’''imperium'' romano, di "decollare" industrialmente, come invece accadde nell'Inghilterra del XVIII secolo e che creò la struttura economica del mondo moderno? Per rispondere a questa domanda, D. W. Reece, sulla base delle rinomate teorie di Rostow, ribadì la tesi dell'"arretratezza tecnologica del mondo antico"<ref>D.W. Reece, "The technological weakness of the Ancient World", ''G.&R., 1969, pp. 32-47.</ref> — mentre Kiechle cerca di dimostrare la realtà di un "progresso tecnologico" che corre ininterrottamente dal primo secolo alla ''Spätantike''.<ref>Kiechle, ''Sklavenarbeit u. techn. Fortschr.'', pp. 170ff.</ref>
Una "question mal posée"? Addebitare la "mancanza di una tecnologia abbastanza sviluppata" al fenomeno sconcertante di un arresto di sviluppo materiale del mondo antico nella fase manifatturiera – e per alcuni autori, persino con una regressione a forme di economia "domestica"<ref>Cfr. K. Bücher, ''Die Entstehung der Volkswirtschaft'', Berlino, 1922, pp. 98ff.</ref> – mi sembra che si scambi l'effetto con la causa; poiché, per prima cosa, ci dobbiamo chiedere quali furono le ragioni oggettive basilari per cui una tecnologia abbastanza sviluppata non potè svilupparsi, e da lì una struttura industriale di base. Non mi soffermerò sul dibattito tra storici della cultura antica e storici della scienza & tecnologia, alimentato soprattutto dal libro provocatorio di [[:fr:w:Pierre-Maxime Schuhl|P. M. Schuhl]], [https://philpapers.org/rec/SCHMEP-5 ''Machinisme et Philosophie'']:<ref>[[:fr:w:Pierre-Maxime Schuhl|P. M. Schuhl]], [https://philpapers.org/rec/SCHMEP-5 ''Machinisme et Philosophie'', Parigi, 1947]; si veda anche il suo "Perché l'antichità non ha conosciuto il ‘macchinismo’", ''De Homine'', 2-3, 1962, ora anche in Koyré, ''Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione'', Torino, 1967, pp. 115-134.</ref> il famoso dibattito – che ha le sue origini non sempre riconosciute in un capitolo fondamentale del ''Capitale'' di Marx<ref>Marx, ''The Capital'', I, 4, Capp. 12-13.</ref> – sul "macchinismo nell'antichità", cioè sull'incapacità – o meglio, resistenza – della cultura antica di tradurre la sua elevata conoscenza teorica in una tecnologia ugualmente evoluta. Tuttavia, bisogna chiarire senza riserve che teorie come quella di Schuhl sul "blocco mentale"<ref>P.M. Schul, ''Machinisme et philos.'', xii-xiii, p. 44 e ''passim''.</ref> che avrebbe impedito il sorgere di una tecnologia scientifica, e portò ad una decadenza della scienza nel mondo antico; o la ricerca, come quella svolta da Koyré sulle strutture teoriche della scienza antica,<ref>Koyré, ''Dal mondo del pressappoco'', pp. 49-61; 81-115.</ref> sebbene molto interessanti e stimolanti, non possono fornire spiegazioni veramente valide, da un punto di vista storico, sul mancato sviluppo industriale e tecnologico del mondo romano.
Lo storico delle strutture economiche e sociali non può accettare il problema secondo i termini proposti da Schuhl, e da altri studiosi del pensiero antico. In realtà, come ha affermato Victorino De Megalhães-Vilhena, non sono le ragioni ideologiche che stanno all'origine del ''"blocage technique"''. Se c'è un "blocco mentale" (come M. Schuhl desidera chiamarlo), se c'è un "blocco ideologico" (come Vilhena preferisce chiamarlo), è perché alla base esiste un blocco ''sociale''. Il blocco ideologico è solo un aspetto, anche parziale, di un atteggiamento generale della società verso la scienza e la sua applicazione nella tecnologia. Ci si deve ricordare che gli atteggiamenti ideologici di una società rifrangono e riflettono i rapporti sociali materiali e da questi derivano. Alla base del "blocco mentale" teorizzato da P. M. Schuhl stanno in pratica (in maniera più o meno esplicita) le condizioni materiali oggettive di una società. La scienza antica poteva creare, e a volte lo fece, alcune macchine che applicavano i principi teorici da lei scoperti: tra i molti esempi, il mulino ad acqua probabilmente fu inventato nel primo secolo e.v., ma non divenne popolare fino alla fine della caduta dell'Impero Occidentale<ref>V. De Magalhaes-Vilhena, "Progrès technique et blocage social dans la cité ant.", p. 117; L.A. Moritz, ''Grain-Mills and Flour in Classical Antiquity'', Oxford, 1958.</ref> — e, come [[w:Marc Bloch|Marc Bloch]] confermò in una delle sue opere,<ref>M. Bloch, "Avènement et conquête du moulin à eau", ''Annales d'Hist. econ. et soc.'', 1935, pp. 545ff.</ref> fu alla base di innovazioni profonde nella tecnologia agricola medievale e di trasformazioni sociali reali; il potere espansivo del vapore acqueo era già noto agli alessandrini — tuttavia servì a creare ''autómata'', giochi più o meno interessanti: l'orologio ad acqua e l'organo dell'acqua, la [[w:diottra|diottra]], la catapulta a torsione, erano noti agli ingegneri antichi,<ref>L. Sprague Du Camp, ''Die Ingenieure der Antike'', Leipzig, 1964.</ref> ma vennero usati nell'[[w:evergetismo|evergetismo]] o nelle tecniche militari. Si potrebbero citare molti altri esempi, ma ci porterebbero tutti ad un vicolo cieco: l'applicazione che le classi dirigenti ne volevano, o sapevano, fare; poiché la mancanza di uso produttivo per quelle invenzioni offerte dalla scienza in ultima analisi dipende dalla struttura della società classica e, più precisamente, dalla contraddizioni interne della sua economia. Queste spiegano il rifiuto da parte della cultura classica, che eccelleva sul piano speculativo, della scienza applicata, della tecnologia e, infine, la sua incapacità di elevare la produttività a livelli tali da far iniziare un vero processo di accumulazione capitalistica, sebbene primitiva, e quindi uno sviluppo economico duraturo.
== Produzione e crisi del lavoro ==
Desidero qui ritornare su un argomento che ho solo brevemente menzionato nelle pagine precedenti troppo sinteticamente. Come ho avuto modo di dire, da un punto di vista ''teorico'', esistettero nell'ambito della struttura economica dell'impero, alcune prmesse di base per iniziare un processo (per quanto rudimentale) di industrializzazione e "decollo" economico. In primo luogo, l'Impero Romano comprendeva un'area e una popolazione abbastanza vaste da assorbire l'ampio flusso continuo di manufatti prodotti da un'organizzazione che poteva elevarsi al di sopra del livello artigianale. Inoltre, e ''sempre in teoria'', nonostante l'ammonto di spesa attuale e la grandi somme destinate al supporto della complicata macchina militare schierata ai confini (ma non spese sommerse, perché l'esercito giocava un ruolo economico non indifferentenel contesto dell'economia imperiale), l'impero non era veramente povero:<ref>Cfr. spec. Bernardi, "The Economic problems", p. 116, nota 16.</ref> aveva sempre, in teoria, la possibilità di usare negli investimenti produttivi quella parte delle entrate nazionali che i teorici economici reputano indispensabile per l'inizio e mantenimento di un processo di sviluppo economico, e "industriale" in senso lato (circa 10-12% delle entrate nazionali totali). Nonostante certe stime pessimistiche, la disponibilità da parte dell'impero di materiali grezzi e di fonti di energia non era così bassa da escludere ''a priori'' una qualche possibilità di sviluppo tecnologico e industriale. In effetti, il mondo romano, ''sempre in teoria'', avrebbe potuto dar inizio ad un processo di accumulo capitalistico e creare persino una struttura industriale in embrione. Pertanto, in teoria, il "decollo" sarebbe stato possibile, dando alla storia del mondo antico un percorso differente, specialmente per il mondo occidentale.
Formulazioni ed analisi di questo tipo non sarebbero dispiaciute troppo agli economisti abituati agli ''schemata'' di [[w:Walt Whitman Rostow|W. W. Rostow]]. Sfortunatamente, questo non è il tipo di analisi economica alla quale intendo aderire: piuttosto, è il problema della "soglia" che deve essere affrontato, in altre parole, si deve esaminare la trasformazione dei cambiamenti quantitativi maturati nei cambiamenti qualitativi.<ref>P. Vilar, ''Sviluppo economico'', p. 204.</ref> E a questo punto solo una considerazione dei fattori socio-economici, delle loro varie interrelazioni e interazioni, delle loro funzioni di accelerazione o di contenimento, possono fornire la risposta.
Nell'ambito di questa problematica, dobbiamo per prima cosa indagare sui fattori socio-economici, sebbene possano apparirne estranei. L'atteggiamento liberalista che, come ho evidenziato precedentemente, rappresentava la prassi economica dell'amministrazione romana e delle classi imprenditoriali, sebbene da una parte incoraggiassero l'iniziativa privata, dall'altra ne esacerbavano tutte le sue contraddizioni inerenti. F. Ortel,<ref>F. Oertel, ''CAH'' X, 1, p. 493.</ref> insieme ad altri studiosi, ha giustamente sottolineato la cornice di insicurezza in cui si svilupparono le attività imprenditoriali ed economiche dell'impero. All'Impero mancavano, in effetti, quei regolatori economici che entrano in gioco durante mementi particolari di congiuntura. Il sistema di facilitazione del credito era molto scarso, quasi inesistente, e non poteva sostenere le iniziative economiche in situazioni di crisi:<ref>F. Oertel, ''CAH'' X, 1, p. 493.</ref> il sistema bancario, nonostante alcune ipotesi di studiosi moderni,<ref>M. Cary, ''JRS'', 1923, pp. 110ff.</ref> era ancora ai suoi inizi e non poteva supportare imprese individuali nei periodi difficili. Anche perché molto raramente la situazione andava oltre l'impiego di capitale individuale: in merito all'attività per così dire "industriale", per quanto ne so il mondo romano non conobbe mai capitale associato. L'attività "industriale" per natura abbisogna di capitale ingente e investimenti a lunga durata, molto meno profittevoli nell'immediatezza rispetto a quelli utilizzati nelle speculazioni commerciali e puramente finanziarie (cioè, l'usura; tuttavia, sia nel commercio che nell'usura esistevano forme associative – come anche in quei subappalti redditizi che normalmente dovrebbero essere d'interesse diretto dello stato).
Questi elementi di natura generale, inerenti alla struttura economica dell'impero, ostacolavano il passaggio da un'attività a livello artigianale a una produzione di livello industriale; come già detto, ci fu un'inabilità a procedere da manifattura a fabbrica e a macchinari come mezzi di produzione. E la ricchezza, sia nel mondo ellenistico che in quello imperiale romano, rimase sempre ricchezza fondiaria, capitale immobiliare. La nuova richezza di solito proveniva da guerra e politica (e sotto questa "testata" da includere prodotti derivati, come i contratti fiscali), e non da imprese economiche o da appropriazione della natura. A sua volta, questa ricchezza appena acquisita trovava sbocco nei beni terrieri, che diventavano un assetto stabile.
Pertanto, anche se l'impero potenzialmente costituiva un mercato enorme con capacità di assorbimento quasi illimitate, il suo potere d'acquisto totale in pratica rimaneva molto basso. La drammatica ineguaglianza della distribuzione della ricchezza rendeva possibile che, mentre le classi superiori (aristocrazia senatoriale ed equestre, e le oligarchie municipali) e anche l'esercito avevano un potere d'acquisto significativo, per le grandi masse della popolazione dell'impero era estremamente ridotto. Il consumo globale, nonostante il progresso ottenuto, rimaneva quindi molto basso. Rostovtzeff disse che l'espansione della civiltà urbana era un sistema di sfruttamento che organizzava le risorse di terre acquisite di recente e le concentrava nelle mani di una minoranza di capitalisti e uomini d'affari. Di conseguenza questo studioso, nonostante le sue simpatie per il capitalismo commerciale delle classi urbane, biasima la loro prassi socioeconomica.<ref>Rostovtzeff, ''SEHRE'', pp. 403ff.</ref> Le masse contadine e provinciali invece, sfruttate al limite delle loro forze e capacità fiscali, furono incapaci di diventare un vero mercato per i prodotti di un'industria manifatturiera emergente. Da qui si origina anche quello che ho chiamato il carattere inflazionistico dell'economia imperiale: infatti, mentre la produzione industriale, andando di pari passo con l'espansione imperiale, poteva espandersi gradualmente ed estendere il suo campo di sfruttamento, usando la capacità d'acquisto di quelle province recentemente conquistate, non c'erano problemi. Tuttavia, quando l'espansione imperialistica si fermò e furono raggiunte le frontiere del mondo civile (e il mercato esterno divenne molto meno sostenuto), l'industria – che poteva e avrebbe dovuto utilizzare il mercato interno molto più attivamente di prima e avrebbe dovuto estendere la sua sfera ad includere le classi inferiori – invece iniziò a decrescere, finché non si fermò del tutto. Per vincere il mercato interno ci sarebbe voluta una differente distribuzione della ricchezza e. di conseguenza, serie modifiche alla struttura sociale: e questo le classi dirigenti non erano mai disposti a fare. Il proletariato "interno", per usare una terminologia cara ad Arnold Toynbee,<ref>Sulla dottrina di Toynbee del proletariato interno ed esterno, e le sue applicazioni in storia antica, cfr. J. Vogt, ''Saeculum'', 1959, pp. 1ff.</ref> allora iniziò la sua rivoluzione inizialmente impercettibile e silenziosa, e poi sempre più aperta e solida, contro l'ordine sociale esistente. Nella sua lotta, trovò un alleato (sebbene inconsapevole) nel proletariato "esterno" del mondo germanico – generalmente barbaro – che impose un continuo logoramento della macchina imperiale economica e amministrativa, accentuando quindi le difficoltà socioeconomiche che l'espansione imperialista dei primi centocinquanta anni era risuscita in parte a nascondere e in parte a risolvere. Incapace di espandersi, l'impero iniziò a contrarsi; vennero rivelate in tutta la loro vastità e totalità quelle contraddizioni interne, quegli squilibri e tumulti che non poterono più essere dissimulati o diretti verso prospettive di politica imperialista. L'impero entrò così in una "crisi" che, come ho già affermato, fu prima di tutto e sostanzialmente una rivoluzione contro l'ordine sociale esistente.
Sulla debolezza del potere d'acquisto della classi inferiori, ed il loro impoverimento e proletarizzazione progressivi, Michael Rostovtzeff ha insistito alquanto vigorosamente nella sua diagnosi degli elementi che impedirono al mondo antico di ottenere un vero sviluppo economico e ne provocarono il collasso.<ref>Rostovtzeff, "The economic decay", pp. 197ff.</ref> Un'altra debolezza fondamentale, nonché elemento di ristagno, strettamente connesso con quello analizzato ''supra'', fu rappresentato dal lavoro degli schiavi, o in senso più lato, lavoro forzato. L'apparato produttivo dell'impero si fondava in gran parte su tale forza lavorativa; cruciale per comprendere il mondo romano è la valutazione del ruolo che questa forza giocava. Lunghi dibattiti sono stati fatti su di essa: a volte con indubitabili sopravvalutazioni, ma in altre occasioni con inspiegabili minimizzazioni.<ref>L. Edelstein, ''Journal of Hist. of Ideas'', 1952, pp. 573ff.</ref> Tuttavia, bisogna fare il punto della situazione: un ricorso al sistema degli schiavi non può, e non deve, costituire la chiave magica per risolvere tutti i problemi e le contraddizioni nel contesto dell'economia antica; le sue implicazioni sono complesse e spesso elusive. M. I. Finley ha osservato non ci si può riferire spesso agli schiavi per affermare, ''tout court'', che lì possiamo trovare una spiegazione per l'arresto di tecnologia ed economia.<ref>M.I. Finley, "Techn. Innovations", p. 43.</ref> Tuttavia, anche senza considerare la civiltà antica come fosse basata esclusivamente sul lavoro degli schiavi,<ref>E. Ciccotti, ''Il tramonto della schiavitù nel mondo antico'', Torino, 1899.</ref> non si può negare che rappresentasse una concorrenza terribile e pericolosa alla manodopera libera. Alcuni storici, con grande ottimismo, hanno proposto un'ipotesi opposta, concludendo persino che la manodopera libera, grazie alla sua più elevata produttività, era riuscita ad eliminare il lavoro forzato, determinando quindi il collasso della società romana su cui era basato. Credo invece che sia successo l'opposto: se gli schiavi si ridussero di numero ed acquisirono una condizione di relativa indipendenza, come ''quasi-coloni'' dei grandi ''domini'' terrieri, o come ''conductores'' di proprietà rurali, come amministratori o lavoratori semiautonomi in imprese commerciali o manifatturiere,<ref>Si vedano i saggi in M.I. Finley, ''Slavery in Class. Antiquity'', spec. M. Bloch.</ref> d'altra parte gli uomini liberi ma poveri nella Tarda Antichità furono gradualmente ridotti ad uno stato di quasi-schiavitù, vincolati come ''coloni'' al ''popolino'' e forzati a ''inservire terris'', o a registrarsi come ''corporati'' nei ''collegia'', in cui entravano per obbligo ereditato. In pratica, fu il avoro libero che venne eliminato, sebbene nell'ambito di un quadro sociale corporativo che presentava caratteristiche peculiari.
L'età ellenistica aveva trasmesso all'età imperiale romana il lavoro degli schiavi nella manifattura quale forma più efficace di produzione industriale; per questo gli schiavi rappresentarono un'unità lavorativa che poteva essere pienamente sfruttata e, comunque, sostitutiva dell'artigiano. Era una logica economica, la pura logica del profitto, che decideva l'uso della manodopera forzata invece lavoro libero remunerato; non ragioni di natura culturale, cioè idealogica che, come tale, serviva a nascondere la realtà dei processi economici. L'industria antica e generalmente quel settore dell'economia diretto alla produzione industriale, erano basati sul lavoro degli schiavi perché sembrava – ed in effetti lo era – più prontamente disponibile e più immediatamente profittevole, dal punto di vista dello sfruttamento puro e semplice. Di per sé, l'utilizzo di manodopera forzata non era d'ostacolo allo sviluppo tecnologico e industriale: piuttosto, gli effetti a lungo termine erano quelli che minacciavano le sue fondamenta e ne preparavano il collasso. Il lavoro degli schiavi non arricchisce il lavoratore; nel mondo romano, alla fine arricchiva solo il proprietario degli schiavi. Allontanava i ''libertini'' e gli uomini liberi dal lavoro artigianale, e questi andavano a gonfiare le folle di proletariato indigente a Roma e nelle città provinciali – e ciò naturalmente si rifletteva sul mercato del lavoro, agendo come fattore depressivo<ref>E. Ciccotti, ''Il tramonto'', pp. 301ff.</ref> – o ne controllava il tasso di natalità, impoverendo demograficamente l'impero. Ad ogni modo, il potere d'acquisto del proletariato libero o semi-libero venne ulteriormente abbassato, riducendo ancor di più il mercato potenziale dell'industria. Inoltre, la depressione del mercato del lavoro, la relativa abbondanza di una manodopera a basso prezzo, creò delle condizioni così favorevoli che l'antico industriale non si dovette preoccupare troppo del problema (basilare nell'industria moderna) della razionalizzazione della produzione ed economizzazione della forza lavoro, e quindi dell'abbassamento dei costi di produzione.
La scienza non aveva ragione di applicarsi alla produzione, diventando così tecnologia; la mancanza di necessità della divisione del lavoro, e l'inflessibilità della domanda ridusse notevolmente l'incentivo a ricorrere alla tecnica. L'aumento di produttività di norma non era l'obiettivo principale dell'artigiano industriale antico che, essenzialmente artigisno, guardava innanzitutto alla qualità del prodotto. La decentralizzazione della produzione di certo impose la necessità di un decoroso livello medio di produzione manifatturiera; ma allo stesso tempo evitava le necessità di concentrazione e i problemi di razionalizzazione della rispettiva produzione; in effetti bloccò sin dagli inizi qualsiasi tentativo in tale direzione. Per cui, l'organismo socioeconomico dell'impero non riuscì ad ottenere le premesse per uno "sviluppo autosufficiente": infatti, fu un organismo minato internamente e destinato all'autodistruzione.
Il test avvenne, per tale economia, verso l'[[w:età antonina|età antonina]]. Pace e decentralizzazione ridussero il "colonialismo" interno del primo secolo dell'impero; l'arresto dell'espansione militare ai confini ridusse l'"imperialismo" esterno. La fine delle guerre di conquista ridusse l'influsso di schiavi; e quando la pressione barbara alle frontiere, e l'aumento dell'enorme apparato burocratico-amministrativo così creato, richiesero un aumento di produzione, non ci fu risposta. Le classi parassitiche aumentarono – la burocrazia, l'esercito e, nella Tarda Antichità, la burocrazia ecclesiastica – e la disponibilità della manodopera diminuì. La macchina produttiva iniziò a perder colpi. Proprio quando le circostanze avrebbero richiesto un'applicazione della tecnologia per risparmiare lavoro, e una razionalità economica, e l'allargamento della base produttiva con un accrescimento della produttività, le soluzioni presentate – soluzioni politiche, vale a dire, sovrastrutturali – consistettero di una pressione autoritaria dall'alto, un drastico aumento nella tassazione, l'abbassamento generale dello ''status'' giuridico di quelle categorie libere impegnate nella produzione. Non c'è bisogno di dire che tali soluzioni furono ovviamente portate avanti dalle classi dirigenti.
Se questa analisi, anche nello schema generale, è valida, allora deve apparire evidente quanto fosse fragile e contraddittoria la struttura economica imperiale. In effetti si basava, nonostante una certa lucentezza di modernità e innovazione, sui seguenti tre elementi tradizionali: agricoltura, abile artigianato – che non raggiunse mai, eccetto in alcuni casi eccezionali, dimensioni industriali, sebbene lavorasse su vasta scala – e speculazione. Ma in realtà, la vera base produttiva fu l'agricoltura. L'economia antica era agricola in misura difficilmente comprensibile all'uomo moderno; il suo carattere è stato troppo spesso sottovalutato, o frainteso, anche dagli stessi specialisti. È infatti un errore, che io ho cercato di evitare, rappresentare l'economia romana come sistema capitalistico, anche se come relativamente retrogrado, con le sue perculiarità e leggi economiche. Ci fu indubbiamente una certa quantità di capitale privato – a volte alquanto considerevole – nell'Impero Romano; ma la struttura profonda della sua economia non poteva riuscire ad attivare finanche un processo embrionale di accumolo capitalistico. La vera ricchezza, quella apprezzata socialmente, stava nella proprietà terriera: ogni imprenditore economico, non importa quanto fosse abile o fortunato, appena poteva investiva i suoi capitaliu nell'acquisto di terre — come il famigerato [[w:Trimalcione|Trimalchione]] di ''[[w:Satyricon|Satyricon]]''.<ref>Si veda l'interessante scritto di P. Veyne, "Vie de Trimalcion", pp. 213-247.</ref> Era una condizione essenziale di prstigio personale: non era un comportamento ragionevole, dal punto di vista della razionalità economica moderna, ma questa sarebbe una prospettiva anacronistica.
In conclusione, la struttura economica dell'impero può essere definita in senso lato del tipo "inflazionistico". Le condizioni principali della sua esistenza e sopravvivenza furono l'espansione continua e la conquista di nuovi mercati, su cui operare in modo monopolistico (molte guerre della prima età imperiale possono essere spiegate, nonostante i dubbi di alcuni studiosi moderni,<ref>Si vedano le appendici in A. Garzetti, ''L'impero romano da Tiberio agli Antonini'', Bologna, 1960, pp. 596ff.</ref> dall'imperialismo economico che Roma si trovava spinta ad attivare)<ref>Si veda spec. J. Carcopino, "Un retour à l'impérialisme romain: l'or des Daces", ''Points de vue sur l'impérialisme romain'', Parigi, 1934, pp. 73-86.</ref> e il contributo di forze esogene, come il nuovo capitale e le nuove forze produttive a buon mercato (gli schiavi). Una volta che l'Impero Romano fu obbligato a fermare la sua espansione militare, anche la sua economia si fermò ed iniziò una fase recessiva. Già a metà del secondo secolo i segni di ristagno economico appaiono evidenti.
== Note ==
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[[Categoria:Cambiamento e transizione nell'Impero Romano|Capitolo II]]
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Missione a Israele/Appendice
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{{Missione a Israele}}
{{Immagine grande|ChristandThorns.jpg|525px|''Cristo con corona di spine'', olio di [[w:Carl Heinrich Bloch|Carl Heinrich Bloch]] (1890)}}
= Gesù, cristianesimo e storia =
Nella maniera che per lui contava, Pilato ebbe ragione. Con Gesù morto, la città ritornò sotto controllo. Le folle turbolente a Gerusalemme per la festività pasquale, cessarono di agitarsi per la venuta del Regno e per l'imminente rivelazione da parte di Dio che Gesù fosse il Suo Messia. Castigati e demoralizzati, tutti si azzittirono. Il resto della festività probabilmente passò senza incidenti.
Per i seguaci più intimi di Gesù, le cose erano diverse. Nel panico del suo arresto, molti erano fuggiti. Non sappiamo per certo ciò che accadde dopo, perché le nostre fonti differenti ci raccontano storie differenti: solo le grandi linee sono chiare. Assolutamente certi che Gesù fosse morto, alcuni membri di questo piccolo gruppo iniziarono a percepire, e poi a proclamare, che Gesù viveva ancora. Dio, dissero, lo aveva risorto dai morti.
Ciò che videro veramente questi discepoli è ora impossibile a dirsi. Paolo, la cui testimonianza è tarda (circa vent'anni dopo questi eventi) e dichiaratamente di seconda mano ("Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto"), insegna che il Cristo Risorto apparve in uno ''pneumatikon sōma'', un "corpo spirituale". Qualche che fosse, Paolo iniste che questo corpo ''non'' era di carne e sangue. "Questo vi dico, o fratelli: ''la carne e il sangue non possono ereditare il Regno di Dio'', né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità" ({{passo biblico2|1Corinzi|15:3,44,50}}). Le tradizioni ancor più tardive di Luca e Giovanni affermano il contrario. "Guardate le mie mani e i miei piedi" dice il Cristo Risorto di Luca, indicando ai discepoli attoniti le ferite che ancora porta: "Sono proprio io! Toccatemi e guardate; ''un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho''" ({{passo biblico2|Luca|24:39-40}}). "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani" ordina il Cristo Risorto di Giovanni all'incredulo Tommaso: "Stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" ({{passo biblico2|Giovanni|20:27}}).
In senso stretto, questi resoconti non ci dicono nulla di Gesù Nazareno. La sua storia finì su un croce romana. E questi resoconti ci dicono molto poco di ciò che i discepoli potrebbero aver visto. Scritti alquanto tempo dopo gli eventi di quella Pesach, divergono in modo significativo tra di loro.
Quello che invece queste storie della Risurrezione ci danno è un'idea delle convinzioni dei discepoli più intimi di Gesù, che sono la loro fonte ultima. La risurrezione dei morti era uno degli atti redentivi anticipati dalle tradizioni ebraiche riguardo alla Fine del Mondo, quando Dio avrebbe redento Israele e avrebbe riportato gli ebrei alla Terra. Se i suoi discepoli credettero di aver visto Gesù risorto – quale che fosse la loro presunta esperienza, e come la vogliamo interpretare noi oggi (cfr. ''[[Noli me tangere]]'') – allora loro continuarono a funzionare nell'ambito del paradigma apocalittico stabilito dalla sua missione.
La Risurrezione nell'ambito di forme più tradizionali di ebraismo era stata immaginata come un'esperienza comunitaria, uno degli atti di salvezza attesi alla Fine. "Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio," Dio promette nel Libro del profeta Ezechiele, "e vi ricondurrò nel paese d'Israele" ({{passo biblico2|Ezechiele|37:12}}). "Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno" profetizza Daniele ({{passo biblico|Daniele|12:2}}). "Benedetto sei Tu, Signore," riporta il testo delle Diciotto Benedizioni, "Tu che fai rivivere i morti". Per gli apostoli di Gesù, il significato della sua risurrezione individuale era che annunciava quella più generale in arrivo: Gesù era "primizia di coloro che dormono" ({{passo biblico2|1Corinzi|15:20}}). La sua risurrezione confermava quindi ai suoi seguaci che il Regno, e pertanto la risurrezione di tutti i morti, era in arrivo; in verità, molto prossima. La loro esperienza della sua risurrezione confermava sia l'autorità stessa di Gesù sia l'autorità del suo messaggio.
Tuttavia il Regno non arrivò. Nel frattempo, evidentemente [[w:apparizioni di Gesù|queste apparizioni della Risurrezione]] continuarono per un po' di tempo. Paolo elenca una serie di tali epifanie ({{passo biblico2|1Corinzi|15:5-8}}). Luca chiude il suo Vangelo e apre la sua storia degli [[w:Atti degli Apostoli|Atti degli Apostoli]], con il Cristo Risorto che parla ai discepoli: "Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio" ({{passo biblico2|Atti|1:3}}). I seguaci più intimi di Gesù – "Chephas, e poi i Dodici" – reagirono alla loro esperienza di queste apparizioni ritornando a Gerusalemme. Si riunirono in quella città in anticipazione della venuta del Regno? Stavano aspettando, ritenendo la resurrezione stessa di Gesù un segnale della Fine prossima? Se fu così, allora la continuazione del tempo li spinse ad una nuova conclusione, e ad una differente interpretazione del significato della resurrezione di Gesù. Impegnati in un'attività missionaria energica e continuativa, questi discepoli attendevano con ansia l'apparizione ''definitiva'' del Cristo Risorto, alla sua Parusia. Nel poco tempo che pensavano rimanesse, si dedicarono a diffondere la buona novella, l’''euangelion'' di Gesù, a tutto Israele.
Fu in questa fase post-Risurrezione, man mano che il movimento si sparse verso le comunità sinagogali lungo la costa e nella Diaspora, che questi discepoli iniziarono ad incontrare numerosi Gentili simpatizzanti. Quanto numerosi? In numero così elevato che, entro la fine degli anni 40, vari apostoli si riunirono insieme ai capi della comunità cristiana radunata a Gerusalemme onde poter decidere cosa fare di questi Gentili, e come integrarli nelle ''ekklēsiai'' dei seguaci di Cristo ({{passo biblico2|Galati|2:1-10}}; per una descrizione differente della stessa assemblea cfr. {{passo biblico2|Atti|15}}). Questi Gentili erano forse più simili a ''Timorati di Dio'', cioè giudaizzanti volontari, e quindi liberi da qualsiasi obbligo imposto dalla Torah? O erano più simili a convertiti, e quindi "obbligati ad osservare tutta quanta la legge" ({{passo biblico2|Galati|5:3}}) inclusa, per i maschi, la circoncisione?
La posizione presa da questa assemblea ci fornisce, nuovamente, la misura del continuo impegno apocalittico del movimento e la necessità di improvvisazioni sociali richieste dalla loro situazione senza precedenti. I Gentili-in-Cristo, erano tutti d'accordo, non avevano bisogno di convertirsi all'ebraismo. Era sufficiente evitare l'idolatria ed i relativi peccati. L'unico contesto nell'ambito della tradizione ebraica natia per tali Gentili non pagani era il Regno annunciato dai profeti. Questa popolazione cristiana gentile ci dà quindi un'altra misura dell'orientamento apocalittico della primissima comunità. Il resto del mondo poteva rimanere ancora nella vecchia era, faticando sotto le forze delle tenebre e della corruzione, mentre invece coloro che si trovavano dentro l’''ekklēsia'' vivevano già secondo la nuova era, potenziati dallo Spirito di Dio ({{passo biblico2|Romani|8:1-39}}). E come avevano annunciato i profeti tanto tempo prima, quando il Regno sarebbe arrivato – e in un certo senso era già arrivato per queste comunità i cui membri operavano miracoli e profetizzavano, i cui Gentili avevano volontariamente abbandonato le appartenenze religiose natie per impegnarsi soltanto nella fede del Dio di Israele – Dio avrebbe radunato non solo Israele, redento dal peccato, ma anche le nazioni, redente finalmente dalla schiavitù dei falsi dei. Per cui Paolo dice ai suoi Gentili in Galati (da notare il tempo dei suoi verbi): "Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; ora invece ''avete conosciuto Dio''" ({{passo biblico|Galati|4:8-9}}).
La convinzione dei discepoli di aver visto il Cristo Risorto, la lora ricollocazione permanente a Gerusalemme, la loro inclusione di principio dei Gentili ''in quanto'' Gentili — tutto ciò è solida base storica, fatti noti al di là del dubbio, riguardo alla prima comunità dopo la morte di Gesù. Fatti che cadono in uno schema. Ciascuno segna un punto lungo l'arco della speranza apocalittica che passa da Daniele a Paolo, dai Manoscritti del Mar Morto alle Diciotto Benedizioni della sinagoga, dai Profeti del canone ebraico all'Apocalisse, che conclude il Nuovo Testamento: la convinzione che Dio è buono; che Egli è in controllo della Storia; che Egli non sopporterà il male indefinitivamente. Tutti i vari e molteplici temi in tutti questi scritti differenti si uniscono intorno a questa credenza fondamentale che, alla Fine, Dio prevarrà sul male, ripristinando e redimendo la Sua creazione.
Possiamo inoltre collocare lungo tale arco alcuni particolari profeti del Regno di Dio in arrivo: Giovanni il Battista, Teuda, l'Egiziano, i profeti dei segni riportati da Flavio Giuseppe. E, naturalmente, Gesù Nazareno, che i discepoli proclamarono, dopo la sua morte, il Cristo. La forma della loro proclamazione ci rivela in questo periodo la potenza delle tradizioni specificamente messianiche sul Regno prossimo. La loro esperienza della risurrezione di Gesù non richiese che i discepoli gli dessero l'importante titolo di "Cristo", né che collegassero la loro credenza sull'prossimo adempimento del suo messaggio del Regno ad un'aspettativa del suo ritorno. Ma lo fecero comunque. La ''Seconda'' Venuta di Gesù – contributo singolare del cristianesimo alla varietà di aspettative messianiche nell'ebraismo del tardo Secondo Tempio – risuona proprio nel paradigma davidico. Al suono delle trombe, con le schiere di angeli che sconfiggono le potenze del male, Cristo Risorto sarebbe ritornato come guerriero.
Ho sostenuto che furono le folle riunite durante la Pesach a Gerusalemme, e non questi seguaci intimi di Gesù, che proclamarono Gesù il Messia. Lo fecero in parte perché furono spinte dal loro entusiasmo per il suo messaggio autorevole che il Regno era in arrivo: il Regno sarebbe stato accompagnato dal Figlio di Davide. E lo poterono fare proprio perché ''non'' lo conoscevano. A differenza di coloro che nel suo gruppo centrale lo avevano seguito durante la sua missione,, e quindi sapevano perfettamente quanto Gesù fosse distante da una qualsiasi idea di candidatura messianica, questi pellegrini non avevano altro contesto per Gesù se non quello in cui lo avevano incontrato per la prima volta: durante la festa di pellegrinaggio nella città di davide durante la Pasqua, nell'eccitazione, cerimoniale e ricostruzione rituale della festività che commemorava la liberazione e redenzione del loro popolo. Il loro entusiasmo per Gesù e per il suo messaggio aveva causato direttamente la sua morte sulla croce.
La crocifissione di Gesù quale Re dei Giudei fu un trauma per i suoi seguaci più intimi. Anche le loro esperienze della sua presenza continua dopo la morte, secondo la testimonianza dei Vangeli, li sorpresero. Cercando di comprendere ciò di cui erano stati testimoni, si rivolsero alla Scrittura. E lì trovarono vari modi di concepire il loro leader rivendicato dalla risurrezione. Le lettere di Paolo, i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, e altri scritti che sarebbero stati poi inclusi nel Nuovo Testamento — tutti testimoniano le meditazioni creative di questa prima generazione apostolica e di quei credenti che si unirono alla comunità dopo di loro. In questi testi Gesù viene sempre considerato come lo avevano percepito i suoi primi seguaci durante la sua missione: un vero profeta, inviato da Dio. Tramite Isaia, essi considerarono Gesù il Servo Sofferente:
{{q|Egli è stato trafitto per i nostri delitti,<br/>
schiacciato per le nostre iniquità.<br/>
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;<br/>
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.|{{passo biblico2|Isaia|53:5}}}}
Il linguaggio di Levitico offrì immagini di sacrificio sull'altare di Dio: allora Gesù poteva essere ritenuto un sacrificio, un Korban: "Ecco l'agnello di Dio!" ({{passo biblico2|Giovanni|1:36}}). Egli era il Figlio dell'Uomo che appare alla Fine dei Tempi, agli inizi sofferente, ma poi ritornando sulle nubi del cielo: "A lui diede potere, gloria e regno... e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto" ({{passo biblico2|Daniele|7:14}}; {{passo biblico2|Marco|13:26}}). Ed egli era l'unto di Dio, campione del Regno, suo messia.
Quest'ultima designazione era nata specificamente dagli eventi che circondarono l'ultima Pasqua dei discepoli con Gesù — l'acclamazione popolare giubilante, la disastrosa esecuzione come Re dei Giudei. Ma la loro esperienza della risurrezione di Gesù mise in una luce nuova tutti questi eventi precedenti. Nella retrospettiva post-Risurrezione dei seguaci intimi di Gesù, "messia" – di certo modificato in vario modo, alla luce di tale retrospettiva – venne a rappresentare il titolo più adatto di tutti.
<div style="text-align: center;"><big>~ * ~</big></div>
Il Gesù di questa mia ricostruzione è un profeta che predicò l'arrivo del Regno di Dio apocalittico. Il suo messaggio è coerente con quello del suo predecessore e mentore, Giovanni il Battista, e con quello del movimento che sorse in suo nome. Questo Gesù ''non'' è primariamente un riformatore sociale con un messaggio rivoluzionario; né è un innovatore religioso che ridefinisce radicalmente le idee tradizionali e le pratiche della sua religione natia. Il suo urgente messaggio ebbe in vista non tanto il presente quanto il futuro.
Inoltre, ciò che distinse il messaggio profetico di Gesù da quello di altri fu innanzitutto il tempo e non il contenuto. Come Giovanni il Battista, egli enfatizzò la propria autorità nel predicare la venuta del Regno; come Teuda, l'Egiziiano, i profeti dei segni, e ancora come il Battista, Gesù si aspettava che arrivasse presto. Ma la convinzione vibrante dei suoi seguaci anche decenni dopo la Croficissione, insieme al fenomeno senza precedenti della missione a Israele e l'inclusione di Gentili, suggerisce che Gesù avesse anticipato il tempo del Regno da ''presto'' a ''ora''. Nominando effettivamente il giorno o la data dell'arrivo del Regno, forsanche proprio per quella Pasqua che diventò la sua ultima, Gesù galvanizzò le folle raccolte a Gerusalemme che non erano state preparate dalla sua missione – vale a dire, il suo tenore pacifista, la sua enfasi sull'azione divina piuttosto che umana – e che nel lodare il Regno in arrivo lo proclamarono Figlio di Davide e Messia. Fu una miscela combustibile di fattori – l'eccitata acclamazione popolare, nella Gerusalemme densamente popolata da pellegrini festanti, quando Pilato era in città specificamente per tener d'occhio la popolazione – e ''non'' il suo insegnamento in quanto tale, né le sue argomentazioni con altri ebrei sul significato dello Shabbat, del Tempio, della purezza, o un qualche altro aspetto della Torah, che portò Gesù direttamente alla sua esecuzione come Re dei Giudei.
Infine, un Gesù il cui itinerario viene tratteggiato non dai sinottici ma da Giovanni – un Gesù, cioè, la cui missione si estese regolarmente non solo alla Galilea ma anche alla Giudea, e specificamente a Gerusalemme – può comprovare l'anomalia che ha generato questa nostra indagine, vale a dire, che solo Gesù fu ucciso quale insurrezionalista in quella Pesach, ma nessuno dei suoi discepoli lo fu. Una ripetuta missione a Gerusalemme, specialmente durante le feste di pellegrinaggio quando anche il prefetto, di necessità, era lì, spiega come Caifa e Pilato sapessero già chi era Gesù e cosa predicasse, e quindi sapessero bene che egli non era un pericolo di prim'ordine. Proprio come l'entusiasmo della folla per Gesù come messia spiega il modo specifico della morte, così il duplice interesse di Gesù – la Giudea, specialmente Gerusalemme nel Tempio, come anche la Galilea – spiega la familiarità del sommo sacerdote e del prefetto riguardo alla sua missione, e quindi spiega perché Gesù fu il solo bersaglio della loro azione.
Domande essenziali rimangono comunque senza risposta. Perché Gesù rispose alla chiamata a pentimento e purificazione di Giovanni il Battista di fronte al Regno prossimo? Perché i suoi discepoli intimi, a loro volta, si impegnarono così fortemente a seguirlo? Perché il suo messaggio apocalittico fu così avvincente? Perché i suoi discepoli, i soli di tutti coloro che avevano seguito figure profetiche carismatiche in questo periodo, affermarono che Gesù era risorto dai morti? Perché essi dedussero da questa esperienza che dovevano continuare la missione di Gesù, estendendola alla Diaspora?
Qui la natura esplicativa dell'indagine storica deve cedere alla nostra ignoranza e ai suoi limiti. Alla fine, la storia stessa è più un'impresa descrittiva che una esplicativa. Scorrse più su un filo narrativo coerente che su proposizioni strettamente testabili. Mentre la ricostruzione di una sequenza di eventi permette, anzi invita, speculazioni sui collegamenti causali tra di loro, la storia offre non tanto una spiegazione quanto una stretta descrizione di una particolare sorta. Non possiamo sperare di misurare la verità di una proposizione storica con la certezza di poter testare o comprovare un'ipotesi sperimentale nelle scienze empiriche. Nessuna ricostruzione storica può essere ''dimostrata'' di essere vera. Il meglio che possiamo fare – una volta che l'interpretazione ha tessuto quanto più possibile dell'evidenza in un modello plausibile, coerente e significativo – è persuadere.
L'attuale massa di lavoro sul Gesù della storia riflette le confusioni di narrazioni interpretative contrastanti. Il profeta apocalittico di uno storico diventa il riformatore sociale radicale di un altro; uno storico presenta un devoto ''hassid''orientato individualmente, mentre un altro presenta un critico politico, o un saggio cinico. Ma tutte le narrazioni non sono create uguali, e le ragioni per scegliere tra loro, per decidere quale sia più persuasiva, non sono arbitrarie. Ciò accade perché, anche se il centro di una narrazione storica è un individuo, tale individuo, che sia Gesù o un altro, visse in un contesto sociale. Questo contesto sociale è il promontorio critico dello storico.
Ciò significa che la ricerca del Gesù storico deve essere, necessariamente, una ricerca anche del suo pubblico di primo secolo. Ciò potrebbe sembrare problematico: dopotutto, se Gesù sembra un soggetto elusivo, coloro che lo ascoltarono lo sembrano ancor di più. Almeno per lui abbiamo documenti che ne parlano; degli altri, invece e in confronto, ne abbiamo pochi.
Tuttavia, riflettendoci, tutte le informazioni nelle nostre fonti in effetti parlano più direttamente di loro che di lui, dato che Gesù non ci ha lasciato scritti. Lo vediamo scrivere solo una volta, nella sabbia... "Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra" ({{passo biblico2|Giovanni|8:6}}).
Le lettere di Paolo, i Vangeli – e, da una prospettiva esterna, Flavio Giuseppe – testimoniano meno di Gesù direttamente che dell'effetto che ebbe sugli altri. Questi antichi documenti, quindi, devono essere letti cercando di ricostruire tanto lui quanto loro. È questa grande compagine di testimoni – il pubblico anonimo di Gesù; i suoi discepoli, i suoi simpatizzanti, ed i suoi opponenti – che fornisce un punto di appiglio nel vortice delle ricostruzioni storiche concorrenti. Il primo scopo dello storico è di trovare un Gesù del primo secolo la cui missione aveva un senso per i suoi ascoltatori contemporanei del primo secolo. Fu sulla sua intelligibilità per loro fondamentale che dipese tutto il resto della storia del cristianesimo.
La sfida nel porre coerentemente Gesù nel suo contesto natio dell'inizio primo secolo viene assistita da un esiguo numero di fatti indiscutibili che sono serviti come fondamenta per questa ricostruzione: il suo incontro con Giovanni il Battista, il suo seguito popolare, la sua proclamazione del Regno di Dio, la sua crocifissione a Gerusalemme ordinata da Pilato, la sopravvivenza dei suoi seguaci più stretti, che continuarono la sua proclamazione del Regno identificando Gesù come Cristo, risorto dai morti, ed estendendo la missione dalla sua matrice ebraica ad includere anche i Gentili. Nessuna ricostruzione del Gesù storico può essere persuasiva se non include significativamente anche questa manciata di fatti sicuri.
Questi fatti – allcuni corroborati da fonti esterne – ci arrivano principalmente tramite i primi scritti cristiani. ''Tutti'' questi testi sono scritti da una prospettiva post-Risurrezione, che a sua volta rifrangono quelle reminiscenze storiche che contengono. E, eccetto Paolo, tutti gli altri autori cristiani scrivono sapendo che il Tempio di Gerusalemme non esiste più. Tale conoscenza, non meno delle loro credenze riguardo a Gesù, influenza il modo in cui loro raccontano le proprie storie su di lui. L'approccio ad un'approssimazione credibile della figura storica di Gesù Nazareno filtra attraverso queste storie e, in effetti, attraverso una conoscenza critica dell'ambiente di Gesù, corretta da tali successivi punti di vista.
Alla fine, la persona che cerchiamo sta con la schiena rivolta verso di noi, la faccia verso gli altri della sua propria generazione. Poiché Gesù di Nazareth, come qualsiasi persona, visse intatta e totalmente nell'ambito della sua propria cultura e del suo periodo, inconsapevole di ciò che riservava il futuro. E mentre Gesù ed il suo messaggio si relazionano alle varie forme di cristianesimo che alla fine risultarono dalla sua missione, le loro interpretazioni di Gesù quale Cristo non sono identiche né con le sue personali credenze religiose, né tra di loro. La figura storica di Gesù sta invero al punto d'inizio delle successive interpretazioni cristiane. Per questa ragione, una valutazione accurata del suo reale contesto storico ha importanza per la teologia. Una cattiva storia produrrà una cattiva teologia. Ma la corrispondenza tra il Gesù storico e le successive confessioni di fede cristiane su di lui è indiretta piuttosto che diretta, mitigata piuttosto che immediata.
Gli evengelisti stessi dimostrano ampiamente questo punto. Il Gesù "storico" – cioè, Gesù come se lo immaginavano quando era in vita, tra i suoi contemporanei – fu il loro punto centrale. Ma ciascuno di loro lo videro dalla prospettiva del loro proprio tempo e luogo che, sebbene circa venti secoli più vicino del nostro, inevitabilmente influenzò la loro interpretazione. Attraverso le loro varie prospettive gli evangelisti "aggiornarono" Gesù, collocandolo nei loro propri contesti storici e religiosi — post-Tempio, anti-Farisei, mescolanza ebrea-gentile. Marco aggiustò e quindi interpretò tradizioni anteriori. Matteo redasse e accrebbe Marco. Stessa cosa fece Luca, sebbene differentemente. Giovanni è eccezionalmente differente da questi tre. Se consideriamo la gamma dei successivi Vangeli non canonici – il [[Vangelo di Tommaso]]; il [http://www.intratext.com/IXT/ITA0458/_INDEX.HTM Vangelo di Pietro], il [[w:Vangelo greco degli Egiziani|Vangelo degli Egiziani]], e [[w:Vangeli apocrifi|altri ancora]] – queste differenze di interpretazione si moltiplicano solamente. Sebbene ciascun Vangelo riporti storie e insegnamenti che sono chiaramente variazioni su un tema comune, cionondimeno ciascun evangelista in un certo senso crea e presenta il suo Gesù personale, uno che serve a stabilire e quindi a legittimare le credenze e le pratiche della successiva comunità propria dell'evangelista.
Il compito della presente ricerca del Gesù storico è fondamentalmente diversa, ed i suoi punti di principio la distinguono da una teologia sia antica che moderna. Una costruzione teologica di Gesù può certamente cercar di relazionare questa figura fondamentale a interessi e usanze della moderna comunità di credenti. Ne risulteranno tante differenti interpretazioni teologiche quante sono le chiese in esistenza — romana, greco-ortodossa, pentecostale, battista, presbiteriana, e via dicendo. Lo scopo di tale impresa è di trovare ciò che Gesù ''significa'' per coloro che si riuniscono in suo nome, nell'ambito di quella data chiesa. Ma una costruzione storica di Gesù ricerca ciò che Gesù ''significò'' per coloro che lo seguirono durante le proprie vite e la sua. In linea di principio funziona nella direzione opposta, senza tirare Gesù dentro un contesto moderno, ma mettendolo, il più coerentemente possibile, nel suo.
Tale sforzo deve rispettare la distanza tra ora e allora, tra i suoi inretessi ed impegni ed i nostri. Il Gesù Nazareno storico non fu mai né mai potrà essere nostro contemporaneo. Rivestirlo di abiti presi in prestito da programmi correnti e nel contempo affermare che tali programmi furono in effetti i suoi, distorce solo e oscura chi egli fu veramente.
Se i credenti moderni cercano un Gesù che sia moralmente intelligibile e religiosamente pertinente, allora è loro compito ''re''interpretare di necessità creativamente e responsabilmente. Un tale progetto non è storico bensì teologico (generando un significato moderno/contemporaneo per una data comunità religiosa). Ne risulteranno inevitabilmente molteplici e conflittuali affermazioni teologiche, tante quante le varie e differenti comunità che le producono. Tuttavia, questa reinterpretazione teologica non deve essere scambiata né presentata come una descrizione storica.
Per considerare Gesù storicamente richiede liberarlo dal servire interessi moderni o identità confessionali. Significa rispettare la sua integrità come persona reale, quale soggetto di convinzioni appassionate e conseguenze inaspettate, sorpreso dalle svolte degli eventi e ignaro del futuro quanto ogni altro. Significa permettergli l'irriducibile ''alterità'' della propria antichità, la stranezza che [[w:Albert Schweitzer|Albert Schweitzer]] rappresenta nella sua poetica descrizione di chiusura: "Viene a noi come Uno sconosciuto, senza nome, come un tempo, in riva al lago". È proprio quando rinunciamo alla familiarità falsa profferta dagli angeli oscuri della Rilevanza e dell'Anacronismo che vediamo Gesù, i suoi contemporanei, e forse anche noi stessi, più chiaramente nella nostra comune umanità.
{{Vedi anche|Biografie cristologiche|Interpretare Gesù in contesto|Noli me tangere}}
{{Avanzamento|100%|22 gennaio 2021}}
[[Categoria:Missione a Israele|Appendice]]
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Serie misticismo ebraico
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Monozigote
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/* WIKIBOOKS DELLA SERIE MISTICISMO EBRAICO */ avanz.
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text/x-wiki
[[File:Isaac Luria signature.svg|center|400px|Firma di Isaac Luria]]
== WIKIBOOKS DELLA SERIE MISTICISMO EBRAICO ==
{| class="wikitable"
|-
! Numero d'ordine !![[File:Wikibooks-logo.svg|30px]] '''SERIE MISTICISMO EBRAICO''' [[File:Wikibooks-logo.svg|30px]]!! Stage
|-
| 1 || '''''[[Messianismo Chabad e la redenzione del mondo]]''''' — Il messaggio messianico di un movimento ebraico moderno
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|gennaio 2021|breve}}
|-
| 2 || '''''[[Introduzione allo Zohar]]''''' — Gli aspetti profondi del misticismo ebraico nel ''Libro dello Splendore''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|febbraio 2021|breve}}
|-
| 3 || '''''[[Isaac Luria e la preghiera]]''''' — Innovazioni lurianiche nella preghiera ''Shema Yisrael''
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|marzo 2021|breve}}
|-
| 4 || '''''[[Il Nome di Dio nell'Ebraismo]]''''' — Il Nome santo nelle tradizioni mistiche ebraiche
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|aprile 2021|breve}}
|-
| 5 || '''''[[Rivelazione e Cabala]]''''' — Crisi della tradizione mistica nella Cabala
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|maggio 2021|breve}}
|-
| 6 || '''''[[Storia intellettuale degli ebrei italiani]]''''' — Ebraismo italiano nella prima età moderna
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|luglio 2021|breve}}
|-
| 7 || '''''[[Abulafia e i segreti della Torah]]''''' — Esoterismo, Cabalismo e Profezia in Abramo Abulafia
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|maggio 2022|breve}}
|-
| 8 || '''''[[Israele – La scelta di un popolo]]''''' — Elezione e Consacrazione nell'Ebraismo
| style="text-align: center;" | {{Stage|100%|giugno 2022|breve}}
|-
| 9 || '''''[[Nahmanide teologo]]''''' — La teologia di Moshe ben Nachman, il Ramban
| style="text-align: center;" | {{Stage|50%|luglio 2022|breve}}
|-
|}
{{Serie misticismo ebraico}}
[[Categoria:Serie misticismo ebraico]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Veneto/Provincia di Padova/Piove di Sacco/Piove di Sacco - Santuario Santa Maria delle Grazie
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430891
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Matteovar02org
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precisazioni e aggiornamento
wikitext
text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
* '''Costruttore:''' Fratelli Giacobbi
* '''Anno:''' 1891
* '''Restauri/modifiche:''' Malvestio (1910, modifiche), Piccinelli (1968), Paccagnella (2022, restauro conservativo)
* '''Registri:''' 14
* '''Canne:''' 631
* '''Trasmissione:''' meccanica
* '''Consolle:''' a finestra, al centro della parete anteriore della cassa
* '''Tastiere:''' 1 di 52 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Sol<small>5</small>'')
* '''Pedaliera:''' a leggio di 17 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Sol#<small>2</small>'') + pedale del ''Rollante''
* '''Collocazione:''' in corpo unico in cantoria
* '''Accessori:''' ''Combinazione libera alla lombarda
* '''Note:''' strumento precedentemente collocato nella chiesa di Santa Maria dei Penitenti (in vulgo "Chiesuola") di Piove di Sacco.
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Colonna di sinistra - ''Concerto'''''
----
|-
|Voce umana || 8'
|-
|Fagotto || 8' Bassi
|-
|Trombe || 8' Soprani
|-
|Flauto VIII || 4' Bassi
|-
|Flauto VIII || 4' Soprani
|-
|Ottavino || 2' Soprani
|-
|Violetta || 4' Bassi
|-
|Violetta || 4' Soprani
|-
|Violino ||4'
|-
|Voce flebile || 8' Soprani
|-
|}
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Colonna di destra - ''Ripieno'''''
----
|-
|Principale ||8' Bassi
|-
|Principale ||8' Soprani
|-
|Ottava ||4' Bassi
|-
|Ottava ||4' Soprani
|-
|Decimaquinta ||2'
|-
|Decimanona ||1'1/3
|-
|Vigesimaseconda ||1'
|-
|Vigesimasesta ||
|-
|Basso ||8' <small>(al Pedale)</small>
|}
|}
{{Avanzamento|100%|9 aprile 2022}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lombardia/Provincia di Varese/Leggiuno
0
50164
430897
414697
2022-07-25T09:46:45Z
Phyrexian
4924
/* Frazioni */
wikitext
text/x-wiki
{{disposizioni foniche di organi a canne}}
Disposizioni foniche del comune di [[w:Leggiuno|Leggiuno]] raggruppate per edificio.
== Frazioni ==
* [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lombardia/Provincia di Varese/Leggiuno/Quicchio - Chiesa di Santa Caterina del Sasso|Quicchio - Chiesa di Santa Caterina del Sasso]]
{{Avanzamento|75%|21 agosto 2021}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne|Leggiuno]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lombardia/Provincia di Varese/Leggiuno/Quicchio - Chiesa di Santa Caterina del Sasso
0
50165
430895
414698
2022-07-25T09:46:27Z
Phyrexian
4924
Phyrexian ha spostato la pagina [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lombardia/Provincia di Varese/Leggiuno/Quicchio - Chiesa dei Santa Caterina del Sasso]] a [[Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lombardia/Provincia di Varese/Leggiuno/Quicchio - Chiesa di Santa Caterina del Sasso]]: refuso
wikitext
text/x-wiki
{{Disposizioni foniche di organi a canne}}
[[File:Leggiuno, eremo di Santa Caterina del Sasso (86).jpg|center|300px]]
* '''Costruttore:''' Domenico Antonio Rossi
* '''Anno:''' 1783
* '''Restauri/modifiche:''' sì (restauri conservativi)
* '''Registri:''' 6
* '''Canne:''' ?
* '''Trasmissione:''' meccanica
* '''Consolle:''' a finestra, al centro della parte anteriore della cassa
* '''Tastiere:''' 1 di 45 note con prima ottava scavezza (''Do<small>1</small>''-''Do<small>5</small>'')
* '''Pedaliera:''' no
* '''Collocazione:''' in corpo unico, a pavimento
{| border="0" cellspacing="0" cellpadding="20" style="border-collapse:collapse;"
| style="vertical-align:top" |
{| border="0"
| colspan=2 | '''Manuale'''
----
|-
|Principale || 8'
|-
|Flauto in XII || 2.2/3'<ref>da ''Fa#<small>2</small>''.</ref>
|-
|Ottava || 4'
|-
|Decimaquinta || 2'
|-
|Decimanona || 1.1/3'
|-
|Vigesimaseconda || 1'
|-
|}
|}
== Note ==
<references/>
== Altri progetti ==
{{ip|w=Eremo di Santa Caterina del Sasso|w_preposizione=sull'|w_etichetta=eremo di Santa Caterina del Sasso a Quicchio}}
== Collegamenti esterni ==
* {{cita web|url=https://www.myrrha.it/la-tradizione-organaria-napoletana-di-mario-manzin-numero-4/|autore=Mario Manzin|titolo=La tradizione organaria napoletana. Organo Rossi a Santa Caterina|sito=myrrha.it|accesso=21 agosto 2021}}
{{Avanzamento|100%|21 agosto 2021}}
[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne|Leggiuno]]
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Nahmanide teologo
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Monozigote
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avanz.
wikitext
text/x-wiki
<div style="text-align:center"><span style="font-size: 1.7em;">'''NAHMANIDE TEOLOGO'''</span>
<span style="font-size: 1.25em;">''La teologia di Moshe ben Naḥman, il Ramban''</span>
<br/>
''[[Serie misticismo ebraico|Nr. 9 della Serie misticismo ebraico]]''
<br/>
<span style="font-size: 1.25em;">''Autore:'' '''[[Utente:Monozigote|Monozigote]] 2022'''</span>
<br/>
[[File:Nahmanides - Wall painting in Acre, Israel.jpg|550px|center|Nahmanides (Ramban), wall painting in Acre, Israel.]]
</div>
==Indice==
[[File:V08p532001 Mezuzah.jpg|left|140px|Mezuzah: "Li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte" (Deut.6:9)]]
[[File:Menora Titus.jpg|350px|right|Menorah di Tito]]
'''{{Modulo|Nahmanide teologo/Copertina|Copertina}}'''
: ● — {{Modulo|Nahmanide teologo/Introduzione|Introduzione}}
: 1. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 1|L'anima umana}}
: 2. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 2|Fede}}
: 3. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 3|Tradizione}}
: 4. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 4|Miracoli}}
: 5. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 5|Naturale e soprannaturale}}
: 6. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 6|La Terra di Israele}}
: 7. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 7|I Comandamenti}}
: 8. — {{Modulo|Nahmanide teologo/Capitolo 8|Escatologia}}
'''{{Modulo|Nahmanide teologo/Bibliografia|Bibliografia scelta}}'''
<br/>
[[File:Isaiah Scroll 2.jpg|840px|center|Uno dei [[w:Manoscritti del Mar Morto|Rotoli del Mar Morto]]: il ''Rotolo di Isaia'']]
== PREMESSA ==
Rabbi '''[[w:Nahmanide|Moshe ben Nahman Girondi]]''' (מֹשֶׁה בֶּן־נָחְמָן ''Mōšeh ben-Nāḥmān'', "Moshe figlio di Nahman", noto come '''Nahmanide''', con il nome catalano ''Bonastruc ça (de la) Porta'' e coll'acronimo '''Ramban''' ([[w:Gerona|Gerona]], 1194 – [[w:Acri (Israele)|Acri]], 1270), fu tra gli esegeti ebrei più importanti e innovativi del Medioevo. Tuttavia, come dimostrerò in questo wikilibro, in tutti i suoi commentari biblici Nahmanide mantenne una teologia coerente, spesso in conversazione con quella di [[Maimonide]]. Qui ricostruisco sistematicamente questa teologia, attingendo alla mia conoscenza delle opere sparse di Nahmanide, alle fonti accademiche secondarie sull'argomento, e informato da una moderna sensibilità filosofica che spero traspaia dal mio testo.
=== Abbreviazioni ===
* AJS ⇒ ''Association for Jewish Studies''<br/>
* B. ⇒ [[w:Talmud babilonese|Talmud Babilonese]] (''Bavli'')<br/>
* CT ⇒ ''Nahmanides, Commentary on the Torah'', cur. {{en}} C. B. Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1959-63). <br/>
* ED ⇒ Saadiah, ''Sefer ha-Nivhar ba-’Emunot ve-De’ot''<br/>
* JLA ⇒ ''Jewish Law Annual''<br/>
* JJS ⇒ ''Journal of Jewish Studies''<br/>
* JJTP ⇒ ''Journal of Jewish Thought and Philosophy''<br/>
* JPS ⇒ Jewish Publication Society
* JQR ⇒ ''Jewish Quarterly Review''<br/>
* JSJT ⇒ ''Jerusalem Studies in Jewish Thought''<br/>
* JTS ⇒ Jewish Theological Society of America<br/>
* KR ⇒ ''Nahmanides, Kitvei Ramban'', cur. {{en}} Chavel (Gerusalemme: Mosad Harav Kook, 1963)<br/>
* M. ⇒ [[w:Mishnah|Mishnah]]<br/>
* T. ⇒ [[w:Talmud|Talmud]]<br/>
* Y. ⇒ [[w:Talmud di Gerusalemme|Talmud Yerushalmi]] (o gerosolimitano)<br/>
<small>''(cfr. anche nota in '''[[Discussione:Nahmanide teologo|Discussioni]]''')''</small>
<div style="background-color:yellow; color:brown; padding:3px 3px"><div style="text-align:center ">
'''NOTA''': Si consiglia questo ''wikilibro'' a lettori esperti in materia di '''[[w:Ebraismo|ebraismo]]''' e con una buona conoscenza {{Lingue|en|he}}.<br/>Le citazioni estese in queste due lingue sono lasciate nell'originale.</div></div>
{{Serie misticismo ebraico}}
[[Categoria:Nahmanide teologo| ]]
[[Categoria:Serie misticismo ebraico]]
[[Categoria:Filosofia]]
[[Categoria:Religione]]
[[Categoria:Dewey 120]]
[[Categoria:Dewey 188]]
[[Categoria:Dewey 296]]
{{alfabetico|N}}
{{Avanzamento|50%|24 luglio 2022}}
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Storia e memoria/Capitolo 6
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2022-07-25T06:32:31Z
Eumolpo
4673
ortografia
wikitext
text/x-wiki
{{Storia e memoria}}
[[File:Sefer Yetzirah Circle.jpg|540px|thumb|center|Ruota Yetziratica secondo il ''[[w:Sefer Yetzirah|Sefer Yetzirah]]'']]
== Critica e tradizione: la Cabala e le vocali ebraiche ==
=== Introduzione: Storia, Memoria e Apologetica ===
Gli ebrei hanno abbracciato una memoria collettiva della loro tradizione come divina, eterna e perfetta.<ref>Per un'affermazione di questo punto di vista, si veda il [[w:Judah Loew|Maharal di Praga]], "Tiferet Yisrael", in ''Da-at'', cur. Zahava Gerlitz (2004): capp. 65, 66.</ref> Sul Monte Sinai, Mosè ricevette insegnamenti scritti e orali che trasmise alla generazione successiva e poi ogni generazione alla successiva. A causa delle origini divine della tradizione e delle qualità sante dei suoi portatori, gli ebrei rabbinici e cabalistici credevano che fosse rimasta incorrotta e immutata nel corso delle generazioni. Tuttavia, la consapevolezza degli anacronismi e delle contraddizioni aveva il potenziale per mettere in discussione l'autenticità della tradizione e la legittimità di coloro che l'avevano trasmessa. Per rispondere a questa sfida, gli ebrei hanno adottato diversi approcci. Alcuni, quasi a negare qualsiasi problema di sorta, hanno creato un meccanismo [[w:apologetica|apologetico]] per armonizzare le imperfezioni percepite nella tradizione. Altri, impegnati da curiosità intellettuale e inclinazioni accademiche, hanno abbracciato uno studio critico con l'intento di difendere la tradizione. La constatazione di anacronismi e contraddizioni nella tradizione ebraica e i tentativi di affrontarli sollevano la questione se queste attività critiche minaccino o aumentino la memoria collettiva ebraica.
[[File:Yosef Hayim Yerushalmi 1989.jpg|240px|right|thumb|[[w:Yosef Hayim Yerushalmi|Yosef Hayim Yerushalmi]] (1989)]]
Durante gli ultimi tre decenni, '''[[w:Yosef Hayim Yerushalmi|Yosef Hayim Yerushalmi]]''',<ref>Yosef Hayim Yerushalmi, "Clio and the Jews: Reflections on Jewish Historiography in the Sixteenth Century", ''Proceedings of the American Academy for Jewish Research'' 46–47 (1980): 607–638; Yerushalmi, ''Zakhor: Jewish History and Jewish Memory'' (Seattle: University of Washington Press, 1982).</ref> come anche i suoi critici,<ref>Yaakov Shavit, "Review: Zakhor, Jewish History and Memory, by Yosef Hayim Yerushalmi", ''Studies in Zionism'' 11 (1985): 143–148; Ivan Marcus, "Beyond the Sephardic Mystique", ''Urim'' 1 (1985): 35–53; Robert Bonfil, "How Golden was the Age of the Renaissance in Jewish Historiography?", ''History and Theory'', Beihaft 27, cur. Ada Rapoport-Albert (1988): 78–102; Amos Funkenstein, "Collective Memory and Historical Consciousness", ''History and Memory'' 1 (1989): 5–26; Amos Funkenstein, ''Perceptions of Jewish History'' (Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 1993), capp. 1, 2; David Myers, "Remembering Zakhor: A Super-Commentary", ''History and Memory'' 4 (1992): 129–148.</ref> hanno esaminato le interazioni tra la memoria collettiva e lo studio della storia tra ebrei. Yerushalmi osservò che durante il sedicesimo secolo vi fu un'improvvisa, ma limitata, efflorescenza della scrittura storica ebraica. Si chiese se questi scritti costituissero una nuova direzione storiografica o una continuazione di generi medievali di temi midrashici, tipologici e messianici. Da un lato, Yerushalmi presentò le opere storiografiche del Cinquecento come un superamento del reagire a eventi specifici in termini tradizionali e sperimentando la presentazione di un'ampia serie di storia ebraica in modo critico e sistematico. Tuttavia, mise anche a confronto la scrittura storica ebraica del XVI secolo con la scrittura storica generale dell'epoca e la trovò carente a causa della sua incapacità di presentare nessi causali intrinseci. Yerushalmi poi individuò [[w:Azaria de' Rossi|Azaria de’ Rossi]] (1511–1578) di [[w:Mantova|Mantova]] e [[w:Ferrara|Ferrara]], autore di ''Meor eynayim'', per aver creato un'opera di critica storica informata da approcci storici non-ebraici del periodo piuttosto che basarsi esclusivamente su approcci [[w:apologetica|apologetici]] tradizionali ebraici interni.
=== Critica o tradizione: Azariah de’ Rossi ===
{{Doppia immagine verticale|right|Dei Rossi Meor Enayim.jpg|Meʾor ʻenayim p451.JPG|240|''Me’or Eynayim'' di [[w:Azaria de' Rossi|Azaria de' Rossi]], stampato a Mantova nel 1574|Riproduzione di una moneta con iscrizioni in ebraico antico da ''Me’or Eynayim'' del 1574 – sotto la pagina una fotografia della moneta originale}}
Secondo Yerushalmi, ''[[w:Azaria de%27 Rossi#Il suo "'Me'or_Enayim"|Meor eynayim]]'' (Luce degli Occhi) era una raccolta pionieristica e "audace" di saggi critici antiquari, che trattavano in particolare di anacronismi, contraddizioni e problemi della cronologia ebraica nei testi tradizionali. Inoltre Yerushalmi afferma "...the humanist spirit has penetrated the very vitals of the work". Yerushalmi osserva, tuttavia, che de’ Rossi era cauto a causa della sensibilità degli ebrei del suo tempo. Nonostante ciò, i contemporanei rabbinici di de’ Rossi pensavano che il ''Meor eynayim'' fosse così audace da cercare di censurarlo, indicando così i limiti dell'indagine aperta per gli ebrei italiani del XVI secolo. ''Meor eynayim'' ebbe gravi ripercussioni, esibendo una cultura umanistica profondamente radicata e costituendo il "vero inizio della critica storica". ''Meor eynayim'' segnò la fine di seri tentativi di storiografia ebraica fino al diciannovesimo secolo, suscitando scarso interesse.<ref>Yerushalmi, "Clio", 69–75; ''Zakhor'', 57–58, 60, 69–75.</ref>
Come Yerushalmi, altri che hanno studiato ''Meor eynayim'' si sono chiesti se costituisse un'innovazione critica o se fosse un'opera [[w:apologetica|apologetica]]. L'insegnante di Yerushalmi, [[:en:w:Salo Wittmayer Baron|Salo Baron]], descrisse come l'opera di de’ Rossi, pur costituendo un allontanamento dalla storiografia ebraica tradizionale, rimanesse comunque un'opera di [[w:apologetica|apologetica]]. Baron notò che, sebbene non fosse un mistico, de’ Rossi accettava la memoria collettiva che la [[w:Cabala ebraica|Cabala]] fosse la verità ultima, che i testi cabalistici erano stati scritti da antichi rabbini e che questi testi contenevano verità divine trasmesse da Mosè dal Monte Sinai. De’ Rossi ammise che questi testi non erano esenti da aggiunte successive. Baron sollevò la questione se de’ Rossi stesse assumendo una posizione lodando le discussioni critiche con una debole condanna.<ref>Salo W. Baron, "Azariah de’ Rossi’s Historical Method", in ''History and Jewish Historians: Essays and Addresses'', cur. Arthur Hertzberg e Leon A. Feldman (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1964), 205–239.</ref>
[https://huji.academia.edu/RobertBonfil Robert Bonfil] ha affermato che ''Meor eynayim'' è un'opera conservatrice basata su una visione del mondo medievale tradizionale ebraico, in particolare per quanto riguarda il radicamento della Cabala in una tradizione orale del Sinai. Bonfil ha tuttavia ammesso che in questo testo difficile e digressivo, nascosto sotto il mantello della tradizione e delle convenzioni, de’ Rossi offre tatticamente una ricerca indipendente e critica sulla tradizione ebraica utilizzando materiali non-ebraici, nonché un nuovo modo di presentare la storia. Bonfil ha osservato che quando de’ Rossi riformula le dichiarazioni critiche per soddisfare le richieste dei suoi detrattori rabbinici, a volte le ha effettivamente rafforzate. I pochi aspetti critici, e in definitiva apologetici, dell'opera, tuttavia, appaiono come ripensamenti in una presentazione tradizionale, o almeno lo fanno a parole.<ref>Robert Bonfil, "Mavo", ''Kitvei azariah min ha-adumim, mivhaperakim mitokh sefer me-or eynayim'' (Gerusalemme: Mossad Bialik, 1991), 11–129, specialmente 42–43, 58–60; Bonfil, "Some Reflections on the Place of Azariah de’ Rossi’s Meor eynayim in the Cultural Milieu of Italian Renaissance Jewry", in ''Jewish Thought in the Sixteenth Century'', cur. Bernard Dov Cooperman (Cambridge: Harvard University, 1983), 23–48.</ref> Joanna Weinberg, che ha prodotto la traduzione inglese di ''Meor eynayim'', accompagnata da un ampio commentario, introduzione e ''apparatus'', la vede come un'opera critica pionieristica in cui le intuizioni radicali sono coperte da apologetiche forzate, che costituiscono gesti simbolici.<ref>Joanna Weinberg, "Introduction", ''Azariah de’ Rossi, The Light of the Eyes'' (New Haven: Yale University Press, 2001), xiii–xlv.</ref> Questi studiosi hanno tutti riconosciuto, a vari livelli, le ambiguità di ''Meor eynayim''. Per verificare le loro interpretazioni, guarderò come [[w:Leone Modena|Leon Modena]] (1571–1648), rabbino veneziano del XVII secolo, insegnante, predicatore, poeta, letterato, operatore comunitario, autorità legale e, soprattutto per i nostri scopi, scrittore polemico, legge ''Meor eynayim'' e bilancia la memoria collettiva e la storia critica.
=== Leon Modena legge Azariah de’ Rossi ===
[[File:Leon of Modena 2.jpg|right|240px|thumb|[[w:Leone Modena|Leon Modena]]]]
Modena nacque versao il periodo della morte di de’ Rossi, ma attraverso le sue opere sviluppò un'affinità personale e intellettuale per quest'ultimo. Intorno al 1618 Modena ottenne la sua prima edizione del ''Meor eynayim'' del 1573, e nel 1622, all'età di 51 anni,<ref>Parma, Ms. no. 983, fol. 4a; Kassel, 6.</ref> firmò il frontespizio. Mentre lo leggeva, sottolineava molte cose e scrisse circa 140 commenti marginali sui suoi contenuti oltre che sulla propria vita.<ref>Parma, Ms. no. 983; G. B., ''Libri Stampati di letteratura sacra del dottore. G. Bernardo de Rossi divisi per classi e con note'' (Parma: dalla Stamperia imperial, 1812); farò inoltre riferimento all'edizione di David Kassel (Vilna: Bidfus Romm, 1866), ristampata (Gerusalemme: Hamakor, 1970).</ref> In essi evidenziava un evento cardine in entrambe le loro vite: il terremoto di Ferrara del 1570, che causò alle due famiglie di fuggire dalla città. A seguito di questo evento, de’ Rossi incontrò qualcuno che gli fece conoscere la ''[[w:Lettera di Aristea|Lettera di Aristea]]'', un testo che descrive la traduzione greca della Bibbia. La sua traduzione ebraica di questa lettera e la sua descrizione del terremoto divennero il punto di partenza per ''Meor eynayim''. Poiché il terremoto aveva spostato la sua famiglia, Modena nacque a Venezia, che creò un sodalizio tra uomo e città che continua ancora oggi.<ref>Leon Modena, ''The Life of Judah'', in ''The Autobiography of a Seventeenth Century Venetian Rabbi'', trad. {{en}} e cur. Mark R. Cohen (Princeton: Princeton University Press, 1988), 78–81, 189–193; Kassel, 3–26.</ref> Modena ebbe accesso ad un altro manoscritto che conteneva almeno alcune poesie di de’ Rossi. Modena dimostrò il suo legame con de’ Rossi imitando una poesia che de’ Rossi aveva scritto su un sogno riguardante la propria morte.<ref>Modena, ''Life of Judah'', 10, 217–218.</ref> Modena riconobbe il suo personale attaccamento all'opera e al suo metodo quando descrisse come de’ Rossi scrisse di due suoi zii, prestando particolare attenzione alle realizzazioni critiche dello zio Avtalion Modena a Ferrara.<ref>Parma, Ms. no. 983, foll. 9a, 86b, 123a; Kassel, 21, 235, 323; introduzione, capp. 19, 39.</ref> De’ Rossi scrive che alla [[w:yeshivah|yeshivah]] [[w:Sefarditi|sefardita]] di [[w:Ferrara|Ferrara]] i presenti si alternavano quotidianamente per condurre lo studio. Quando fu il turno di Avtalion Modena di discutere un particolare passo talmudico, approfondì il problema prendendo diversi manoscritti del compendio talmudico di [[w:Isaac Alfasi|Isaac Alfasi]] (1013–1103) – spesso studiato in Italia quando il Talmud non era disponibile a causa di confische, censure e roghi – e confrontandoli con l'edizione pubblicata, dimostrò che l'edizione pubblicata del Talmud conteneva molteplici aggiunte al testo. Nella sua autobiografia, Modena espresse la sua affinità con de’ Rossi dicendo che la maggior parte del libro di de’ Rossi era "farina macinata nel mulino" di suo zio Avtalion.<ref>Modena, ''The Life of Judah'', 78–80.</ref> Sulle pagine di ''Meor eynayim'', Modena reagì ad alcuni dei pensieri critici di de’ Rossi sulla storia ebraica, e in particolare sulla letteratura biblica, rabbinica e cabalistica. A partire dal 1618 circa, Modena utilizzò ''Meor eynayim'' in diversi ''responsa'' alle attuali controversie con l'autorità rabbinica, il cristianesimo e l'autenticità della Cabala; l'opera sarebbe anche stata una fonte per due dei suoi testi più estesi su questi argomenti, ''Magen veherev'' e ''Ari nohem''.<ref>Leon Modena, ''Ari nohem'', cur. Nehemiah Libowitz (Gerusalemme: Eretz Yisrael, 1929), capp.17–23; Modena, ''Magen veherev'', cur. S. Simonsohn (Gerusalemme: Mekitzei nirdamim, 1960).</ref>
Le discussioni di de’ Rossi sugli anacronismi nei testi biblici, rabbinici e cabalistici ebraici nei suoi studi di storia erano centrali per gli interessi di Modena. Il modo in cui Modena adottò le argomentazioni critiche e le posizioni apologetiche riscontrate in ''Meor eynayim'', costituisce un'indicazione significativa della sua sensibilità storica e polemica e della sua esigenza di equilibrio tra critica storica e memoria collettiva.
=== Critica della tradizione ebraica: Modena legge de’ Rossi ===
In una trattazione dell'anacronismo biblico, de' Rossi si occupa della cronologia biblica secondo la quale sembrava che i capi biblici Esdra e Neemia vivessero un tempo eccessivamente lungo. De' Rossi suggerisce che un grande uomo di una generazione successiva avesse alterato questi versetti biblici di propria mano, presentando una sfida significativa alla comprensione ebraica della natura del testo biblico. De' Rossi criticò anche la paternità mosaica della Torah stessa invocando il commento di [[w:Abraham ibn ‛Ezra|Abraham ibn Ezra]] (1089–1164) a {{passo biblico2|Deuteronomio|1:2}}. Lì, ibn Ezra suggerisce che se si potesse capire il segreto dei dodici, cioè i dodici versetti dell'ultimo capitolo della Torah che descrivono in dettaglio la morte di Mosè, una circostanza che potrebbe aver impedito la paternità di Mosè, allora si potrebbe capire l'intera Torah. Per chiarire il suo punto, ibn Ezra elenca poi alcuni altri versetti biblici i cui aspetti anacronistici gettano ulteriori dubbi sulla paternità mosaica della Torah. De' Rossi suggerisce ai suoi lettori di guardare loro stessi questi versetti e poi, fedele alla forma, esprime rammarico per aver menzionato questa idea inaccettabile. Per ribadire il suo punto critico, de' Rossi cita brani di [[w:Filone di Alessandria|Filone d'Alessandria]] (25 p.e.v.-50 e.v.) che allo stesso modo provocano incertezze sulla paternità mosaica del capitolo finale della Torah. Modena si unisce alla conversazione semplicemente affermando a margine che, secondo ibn Ezra, ci sono dodici versetti della Torah che Mosè non ha scritto. Attirando ulteriormente l'attenzione sul suo commento, Modena abbozzò in modo significativo una mano con un dito puntato su tali versetti, l'unico punto in cui lo fece.<ref>Parma, Ms. no. 983, fol. 123a; Kassel, 324; cap. 39; sull'uso dei ''marginalia'' nello scrivere la [[w:Storia|Storia]], cfr. Anthony Grafton e Joanna Weinberg, ''"I have always loved the Hebrew Tongue": Isaac Casaubon, the Jews, and a Forgotten Chapter in Renaissance Scholarship'' (Cambridge: Harvard University Press, 2011).</ref> Le idee critiche di Ibn Ezra sull'anacronismo, difficilmente compatibili con la memoria collettiva ebraica della Torah, avrebberi formato esplicitamente la base del trattamento critico di [[Baruch Spinoza]] sulla paternità mosaica della Torah nel suo ''[[w:Trattato teologico-politico|Trattato teologico-politico]]''. Un ulteriore studio dei commentari biblici recentemente scoperti di Modena potrebbe confermare fino a che punto le idee sull'anacronismo abbiano influenzato i suoi scritti sulla Bibbia.<ref>Binyamin Richler, "Ketavim bilti yedu-im shel rabi yehudah aryeh mimodena", ''Asufot'' 7 (1992–1993): 157–172.</ref>
De' Rossi si occupò dell'anacronismo nella letteratura rabbinica in molti capitoli, tra cui molti riguardanti ''Seder olam'', un'opera rabbinica sulla cronologia ebraica attribuita al primo saggio rabbinico, Rabbi Yose, del II secolo.<ref>Chaim Milikowsky, "Seder ‘olam and Jewish Chronography in the Hellenist and Roman Periods", ''Proceedings of the American Academy of Jewish Research'' 56 (1988): 115–139.</ref> De' Rossi si impegnò in un'ampia analisi critica della datazione degli eventi fornita da ''Seder olam'' e delle contraddizioni riscontrate in diverse versioni dell'opera a stampa e manoscritta, in particolare l'aspetto anacronistico dei rabbini successivi in essa. De' Rossi ammise che ''Seder olam'' era un antico testo rabbinico, ma che era corrotto, forse contraffatto (''mezuyefet''). A margine, Modena apparentemente espresse shock per l'esibizione pubblica da parte di de' Rossi di anacronismi e falsi nei testi rabbinici, quando scrisse: "Questo detto mi ha davvero sorpreso: come è stato stampato se non a causa del peccato della generazione".<ref>Parma, Ms. n. 983, fol. 85b; Kassel, 230; cap. 19.</ref>
=== Critica di Cabala e apologetica ebraica: Leon Modena ===
Fu la discussione di de' Rossi sugli anacronismi nei testi cabalistici a suscitare l'interesse di Modena a causa del suo crescente atteggiamento critico nei confronti della Cabala. Fino ad allora, Modena aveva studiato, insegnato e predicato regolarmente aspetti della Cabala e li aveva usati nelle sue apologetiche rabbiniche. Ad esempio – e particolarmente rilevante per lo sviluppo ed espressione delle sue opinioni sulla Cabala – ebbe una corrispondenza con David Farar di Amsterdam. Farar chiese di disputare con [[:en:w:Hugh Broughton|Hugh Broughton]] (1549–1612), un dissidente inglese, missionario presso gli ebrei di Amsterdam, ed ebraista, che era in grado di scrivere una prosa ebraica fluente.<ref>Hugh Broughton, ''Works of the Great Albionean Divine, Renoun’d in many Nations for rare sill in Salems and Athens Tongues and familiar Acquaintance with all Rabbinic Learning'', cur. John Lightfoot (Londra: Nath. Elkins, 1662), pagine s.n.</ref> L'ospitante della disputa fu [[:en:w:Matthew Slade|Matthew Slade]] (1569–1628), uno dei primi anziani della congregazione [[:en:w:Brownist|brownista]] inglese dissenziente e preside di una scuola latina, il cui fratello Samuele (1568–1612) era stato allievo di Modena a Venezia. Nella loro corrispondenza, Modena e Farar discussero aspetti controversi della polemica ebraico-cristiana, comprese le interpretazioni rabbiniche della Bibbia, che Modena affermava non era monolitica o vincolante per tutti gli ebrei. Discusse le identificazioni dei quattro regni in Daniele e le interpretazioni delle scritture basate sullo ''[[Zohar]]'', indicando che considerava la lettura dei testi nello ''Zohar'' adatta a rappresentare l'ebraismo in un contesto polemico.<ref>Isaiah Sonne, "Leon Modena and the da Costa circle", ''Hebrew Union College Annual'' 21 (1948): 20, 25, 27–28; Leon Modena, ''Ziknei yehuda'', cur. Shlomo Simonsohn (Gerusalemme: Mosad harav kook, 1956), nn. 33, 35.</ref>
Modena paradossalmente mostrò anche un approccio critico alla Cabala, coinvolgendo ancora una volta Farar. Dopo la disputa di Amsterdam, diverse comunità ebraiche scomunicarono Farar perché derideva gli insegnamenti omiletici dei rabbini e parlava contro la saggezza della Cabala. Secondo [[:en:w:Joel Sirkis|Joel Sirkis]] (1561–1640), un importante rabbino dell'Europa orientale che partecipò alla scomunica, la Kabbalah "...è la fonte della Torah e la sua essenza e tutto ciò è timorato di Dio". Sirkes decretò che "egli merita di essere bandito perché ha voltato le spalle alla saggezza della Cabala e alle parole dei nostri saggi di beata memoria, i cabalisti. È opportuno essere estremamente severi con lui e scomunicarlo con tutte le severità dell'editto di scomunica".<ref>Joel Sirkes, ''She-elot utshuvot bayit hadash'', n. 4b; in Elijah Shochet, ''Bach: Rabbi Joel Sirkes'' (New York: Feldheim, 1971), 248–253.</ref> Le accuse secondo cui Farar derideva i rabbini e negava la Torah orale e la tradizione dei saggi (''kabbalat hakhamim'') giunsero a Venezia. Un rappresentante di Farar comparve davanti alle autorità rabbiniche, che avevano ricevuto una testimonianza scritta in merito al caso. Modena difese Farar scrivendo ai rabbini di Salonicco nella primavera del 1619 e proclamando che l'attacco contro di lui era fuori luogo e frivolo perché era un ebreo innocente, timorato di Dio, ''kosher'' (''kasher'') che credeva nella Torah.<ref>Modena, ''Ziknei'', n. 33.</ref> La lettera di Modena sottolineava che gli ebrei non sono tenuti ad accettare tutte le interpretazioni rabbiniche della Scrittura perché c'è poco accordo tra coloro che la interpretano. Né devono credere che ci siano coloro che possono compiere miracoli usando il nome divino (''baal shemot'') o la [[w:Cabala pratica|Cabala pratica]]. Qui Modena tenta di accettare la gamma delle interpretazioni rabbiniche della Bibbia e di rendere perlomeno volontaria la fede in aspetti della Cabala.
Forse in connessione con Farar e certamente rilevante, Modena in una lettera di risposta a [[:en:w:Isaac Uziel|Isaac Uziel]], Hakham di Amsterdam (m. 1622), affronta i tre motivi per i quali contesta la partecipazione di Uziel alla scomunica di una persona imprecisata.<ref>Leon Modena, ''Kitvei yehudah arye mi-modena'', cur. Yehudah Blau (Budapest: Bidfus A. Alkalai, 1907), nn. 154–155; Leon Modena, ''Iggerot'', cur. Yaacob Boksenboim (Tel Aviv: Tel Aviv University, 1984), nn. 146–147.</ref> L'attualità dei suoi tre punti sulla Cabala appaiono in ordine inverso: nel suo terzo punto sulla Cabala, Modena espresse riluttanza a scrivere di cose di cui si dovrebbe solo parlare. Spiegò che voleva trattare solo un piccolo aspetto senza entrare nei dettagli effettivi, e preferiva limitare qualsiasi discussione in modo da non sembrare come se stesse deridendo la Cabala o come se fosse uno sciocco (''sakhal''). Spiegò come cercasse di comprendere la Cabala, e in particolare la questione della sua trasmissione orale, inclusa la speculazione che fosse stata rivelata e nascosta nel corso dei secoli. Leggeva libri cabalistici e parlava con i cabalisti, ma non riusciva ad imparare nulla da loro. Si rivolse a opere classiche della storiografia ebraica del XVI secolo, ''Sefer yuhasin'' di [[w:Abraham Zacuto|Abraham Zacuto]] (c.1452–1515) e ''Shalshelet haKabbalah'' di Ghedalia ibn Yahyah (1515 circa–1587 circa), di cui possedeva una copia.<ref>Clemente Ancona, "L’inventario dei beni Leon di Modena", ''Bolletino dell’istituto di storia della società e dello stato veneziano'' 10 (1967): 256–267.</ref> Seguendo le concatenzaioni della tradizione riportate in queste opere, Modena si chiedeva come gli insegnamenti orali segreti potessero essere stati trasmessi da Mosè a Uziel senza essere stati conosciuti in modo più dettagliato ai saggi del Talmud e ai [[w:Gaon|geonim]] medievali. Modena si chiedeva se il misticismo ebraico dei suoi tempi potesse essere lo stesso che Mosè aveva ricevuto o se fosse un'invenzione successiva. Modena affermò di non voler tuttavia negare la saggezza della Cabala, "Dio non voglia!"<ref>Modena, ''Ziknei'', n. 35.</ref> Nel suo secondo punto, Modena si occupò delle interpretazioni rabbiniche della Bibbia. A differenza della precedente lettera a Farar, Modena distingue tra interpretazione giuridica (halakhica) e letteraria (aggadica o midrashica). Sebbene anche l'interpretazione legale rabbinica più banale non debba essere contestata dagli ebrei, affermato che c'era una grande libertà mostrata tra gli interpreti rabbinici classici nei loro approcci alla sfida delle interpretazioni non legali delle scritture, soprattutto considerando che molti di essi erano progettati per soddisfare i bisogni dei bambini e delle donne. Per chiarire il suo punto, Modena usa ''Meor eynayim'', che sa che anche Uziel conosceva. Si scusa per aver discusso l'opera per iscritto perché di persona se ne può trasmettere il senso con più sottigliezza. Modena fa riferimento al capitolo di ''Meor eynayim'' che tratta di modi non letterali e critici di intendere passaggi nel midrash e aggadah rabbinici,<ref>Nel testo di ''Ziknei yehudah'', n. 35, Modena fa riferimento a ''Meor eynayim'', cap. 15, sezione ''Imrei binah'', e all'intero secondo articolo, che contiene capp. 14–28; Kassel, 196–274.</ref> specialmente quelli che sembrava strani. Da questo brano e da altre lettere risulta chiaro che Modena aveva studiato ''Meor eynayim'' già nel 1619 ed era ambivalentemente consapevole delle sue controverse implicazioni, sia citandole che evitandole a seconda delle situazioni.<ref>In un altro caso ad Amsterdam, un saggio stava considerando di punire qualcuno che predicava che il mondo era eterno piuttosto che essere stato creato da Dio come descritto nella Genesi. Modena scrisse in una lettera che la visione dell'eternità del mondo poteva essere supportata nella letteratura ebraica, citando Filone, Maimonide e altri, ma che si preferiva la visione tradizionale e che era sbagliato sollevare l'altra visione in pubblico. Modena citava Azariah de' Rossi che aveva dedicato un capitolo a questa questione, ma che anche lui aveva concluso che non era saggio farsi coinvolgere in questa questione e certamente non in pubblico, ''Meor eynayim'', capitolo 44.</ref>
Infine, Modena affrontò la molteplicità delle interpretazioni della Torah, riferendosi ai quattro modi tradizionali in cui la Scrittura poteva essere interpretata (''[[w:Pardes|pardes]]''), utilizzando l'atto della Creazione (''ma-aseh bereshit''), tema principale della mistica ebraica, come il fulcro della discussione. Notò che c'erano molti commentatori della [[w:Tanakh|Bibbia ebraica]] che spiegavano la Creazione come un fenomeno mistico mentre altri la spiegavano come un evento naturale. Modena era consapevole che le sue opinioni sulla Cabala rimanevano ambivalenti, ma sembrava accettare una spiegazione cabalistica, pur riconoscendo che una spiegazione naturale della Creazione poteva conformarsi meglio alla Torah.
In questo periodo Modena acquisì e studiò diversi libri che utilizzavano la Cabala a sostegno del cristianesimo. Lesse la ''Bibliotheca sancta'' di [[w:Sisto Senese|Sisto da Siena]] (1529–1569), convertito dall'ebraismo. Siena credeva che lo ''[[Zohar]]'' confermasse le dottrine del cristianesimo, che "i cristiani possono pugnalare gli ebrei con le loro stesse armi" e che la Cabala fosse un'esposizione segreta di leggi divine. Nel maggio del 1627 Modena aveva formulato una risposta a questo libro, ma le autorità veneziane non gli permisero di pubblicarlo.<ref>Leon Modena, “Diffesa da quello che scrive Fra’ Sisto Sanesenella sua Bibliotheca de precetti da Talmudisti a Hebrei contra Christiani,” in “Attacchi contro il Talmud di Fra Sisto da Siena e la riposta, finora inedita di Leon Modena, Rabbino in Venezia,” ed. Clemente Ancona, Bollettino dell’ istituto di storia della società e dello stato 5–6 (1963–1964): 297–323.</ref> Modena lesse subito dopo il ''De Arcanis Catholicae Veritatis'' di [[w:Pietro Colonna (letterato)|Pietro Galatino]] (1460–1540). Questo era uno dei libri cabalistici cristiani più popolari del periodo e Modena fece annotazioni marginali nella sua copia del libro, ma sfortunatamente la sua collocazione oggi non è nota.<ref>Riferimenti alle sue annotazioni si trovano in ''Magen veherev'', 5:1 e la relativa introduzione da parte di suo genero Jacob min haleviim.</ref> Ulteriori conversazioni con i cristiani, come Jean de Plantavit de la Pause ( 1579–1651), Andreas Colvius di Dort (1594–1671) e [[:en:w:Jacques Gaffarel|Jacques Gaffarel]] (1601–1681), convinsero ulteriormente Modena che l'uso cristiano della Cabala rappresentava un pericolo per gli ebrei, e le sue reazioni contro di essa divennero più critiche.<ref>Per ulteriori dettagli su queste conversazioni, cfr. Howard Adelman, "Rabbi Leon Modena and the Christian Kabbalists", in ''Renaissance Rereadings: Intertext and Context'', cur. Maryanne Cline Horowitz, Anne J. Cruz, e Wendy A. Furman (Urbana: University of Illinois Press, 1988), 271–286.</ref> Nel 1611 , Modena acquistò un manoscritto trecentesco di [[w:Alfonso di Valladolid|Abner di Burgos o Alfonso di Valladolid]] (c. 1270–1340) con l'intenzione di confutarne il contenuto. Burgos/Valladolid era un ebreo apostata al cristianesimo che, forse influenzato da [[Nahmanide]] (1194–1270), fece occasionali riferimenti alla Cabala insieme a tutti gli altri rami della cultura ebraica per giustificare la sua conversione. Modena si rivolse al manoscritto nel 1634. Nei suoi commenti, Modena espresse la preoccupazione che l'apprendimento ebraico in generale, non esplicitamente la Cabala,<ref>Parma, Ms. No. (533) 2440, foll. 1a–b, 21–6a, 10b–12a, 15a–21b.</ref> potesse mostrare agli apostati metodi per comprovare che nella Bibbia si poteva trovare qualsiasi insegnamento che potesse legittimare interpretazioni cristiane e fare grandi danno all'ebraismo. Nonostante le affermazioni contrarie, Abner di Burgos sembra aver avuto scarso impatto sulla polemica di Modena contro la Cabala.<ref>La saggezza convenzionale sulle influenze cabalistiche sulla conversione di Abner di Burgos è stata proposta con grande ambiguità da Yitzhak Baer, “Abner aus Burgos,” ''Korrespondenzblatt des Vereins zur Gruendung und Erhaltung einer Akademie fuer die Wissenschaft des Judentums'' 10 (1929): 26; ''Toldothayehudimbisfaradhanotzrit'' 1 (Tel Aviv: Am Oved, 1945), 212–237; ''History of the Jews in Christian Spain'' 1, trad. {{en}} Louis Schoffman (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1961), 330–337; “Torat hakabbalah bemishnato hakristologit she lavner miburgos,” in Sefer hayovel likhvod gershom scholem (Gerusalemme: Magnes, 1958), 152–163. Yaacob Dweck, ''The Scandal of Kabbalah: Leon Modena, Jewish Mysticism, Early Modern Venice'' (Princeton: Princeton University Press, 2011), 154–155 sottolinea correttamente la mancanza di impatto di Abner of Burgos sulla polemica di Modena contro la Cabala. Per cui ci fu troppo poco materiale sulla Cabala in Abner che Modena potesse usare.</ref>
=== Critica della Cabala: Modena legge de’ Rossi ===
[[File:Tree of life hebrew.svg|240px|thumb|right|''[[w:Albero della vita (cabala)|Albero della Vita]]'' cabalistico, con le [[w:Sĕfirōt|Sefirot]] in ebraico e la "spada infuocata" (''Fulmine della Creazione'') in giallo]]
Mentre Modena leggeva ''Meor eynayim'', vide che de' Rossi discuteva con cautela le questioni dell'anacronismo e della pseudoepigrafia nella letteratura cabalistica. Ad esempio, de' Rossi spiegava la Creazione secondo Filone d'Alessandria come un processo mediante il quale Dio emanava dalla Sua mente verso il mondo tangibile. De' Rossi notava in uno dei numerosi riferimenti casuali ''en passant'' a opere cabalistiche che i cabalisti, da lui definiti "studiosi della verità", lo chiamavano il mondo delle emanazioni, ''[[w:Atziluth|atziluth]]'' o ''[[w:sĕfirōt|sefirot]]''. Nel confrontare gli scritti attribuiti al cosiddetto [[w:Ermete Trismegisto|Ermete Trismegisto]], a Filone e alla Cabala, de' Rossi propese ad attribuire le opere ai cabalisti, dicendo "se si può presumere che i cabalisti abbiano scritto l'opera [...]". In un altro punto de' Rossi scrisse: "l'illuminato li capirà con buona ragione", locuzione usata sia da cabalisti come [[Nahmanide]] che da critici della tradizione come Abraham ibn Ezra (1089-1164) per riferirsi a idee radicali senza articolarle. Quindi, de' Rossi cercava di prendere le distanze dai cabalisti, tuttavia ne affermava le loro verità.
Modena, a questo punto a margine, dà il senso del perché delle sue crescenti critiche alla Cabala. Quando de' Rossi citava idee attribuite a Ermete Trismegisto e usava espressioni come "figlio di Dio", Modena scrive a margine "riguardo alla Trinità" e "Su questa costruirono i cristiani, e il muro e la sua caduta si spiegherà più avanti." Modena stava esprimendo la sua preoccupazione che se la Cabala fosse stata considerata saggezza di verità, le sue opinioni sull'emanazione potevano essere utilizzate per giustificare le credenze cristologiche. De' Rossi aveva accennato al legame tra il figlio di Dio e le ''sefirot'' nelle sue note a margine — Modena lo esplicitò.<ref>Parma, Ms. n. 983, fol. 35a; Kassel, 100; cap. 4; Baron, "Azariah de Rossi’s Attitude to Life", in ''History and Jewish Historians'', 44–45; Baron, "Azariah de’ Rossi’s Historical Method", 224–225.</ref>
De' Rossi presentò un messaggio misto sugli aspetti anacronistici dei libri cabalistici. Da un lato, libri di Cabala, come lo ''[[Zohar]]'', furono attribuiti al ''[[w:Tannaim|tanna]]'' del I secolo, [[w:Shimon bar Yohai|Shimon bar Yohai]], e de' Rossi dichiarò che "...chiunque abbia palato assaporerà da sé che in certi punti il linguaggio non è del gusto e dello stile dell'autore". De' Rossi espresse il suo stupore per il fatto che ''Midrash hane-elam'' nello ''Zohar'' contenesse citazioni non solo di Shimon bar Yohai, ma anche del [[:en:w:Rava (amora)|Rava]], di Rav Joseph e Rav Nahman, ''[[w:Amoraim|amoraim]]'' vissuti nel terzo e quarto secolo.<ref>Si vedano le [[Storia e memoria/Capitolo 6#Ere rabbiniche (Ere storiche della Legge ebraica):|Tabelle delle Ere Rabbiniche specificate nella Conclusione]].</ref> Per cui de' Rossi commentò: "Se è così, quindi, secondo noi [la Cabala] non è così precedente come pensiamo, allo stesso modo, i nostri libri di leggi e decisioni". D'altra parte, concluse questa affermazione radicale con "bisogna stare attenti in tali questioni". Pertanto de' Rossi mette in dubbio l'autenticità non solo dei libri cabalistici ma anche della letteratura halakhica. Questo è il classico de' Rossi: audaci osservazioni storiche critiche e un timido appello alla cautela nel diffonderle, soprattutto se tali opinioni ostacolano il tradizionale adempimento dei comandamenti religiosi.<ref>Kassel, 232; cap. 19.</ref>
[[File:Mose ben Sem Tob.jpg|240px|thumb|right|Busto di [[w:Moses de León|Moses de León]] a [[w:Guadalajara (Spagna)|Guadalajara (Spagna)]]]]
De' Rossi presentò affermazioni simili riguardo al rabbino del XVI secolo Abraham Halevi il Vecchio, autore del ''Sefer meshare kitrin'',<ref>Kassel, 230; cap. 19; su ''Meshare kitrin'', cfr. Moti Benmelech, "History, Politics, and Messianism: David Ha-Reuveni’s Origin and Mission", ''AJS Review'' 35, no. 1 (2011): 42.</ref> pubblicato in Turchia nel 1510. De' Rossi asserì che una certa dichiarazione nello ''Zohar'' sulla venuta del messia non doveva confondere nessuno, anche se non era stata trovata in nessuno dei primi testi rabbinici ed era chiaro che era stata inventata di recente. Ancora una volta, dopo aver introdotto questa idea critica, de' Rossi scrive di sperare che Dio ne perdoni l'autore, perché questo era il suo modo di parlare.
Quando de' Rossi presentò ai suoi lettori gli anacronismi nella letteratura cabalistica, sostenne comunque la cautela in tali questioni. I suoi critici non apprezzarono il suo approccio sfumato, forse equivoco. Dopo che ''Meor eynayim'' fu pubblicato nel novembre 1573, i rabbini obbligarono de' Rossi a rivedere diverse affermazioni, cosa che fece pubblicando pagine sostitutive per placare i suoi critici. In un'edizione successiva, in passi che non apparivano nell'edizione modenese, de' Rossi in realtà aggiunse ulteriori informazioni contro l'autenticità storica della Cabala.<ref>Kassel, 232–233; cap. 19.</ref> Per spiegare perché opere cabalistiche, come lo ''Zohar'', ''Midrash Ruth hane-elam'' e ''Raya mehemna'', che furono attribuiti ai rabbini del I secolo, contenessero affermazioni attribuite a saggi successivi, suggerì che le affermazioni fossero state effettivamente scritte da saggi precedenti. In questo modo cercò di preservare l'antichità delle affermazioni senza intaccare il testo per anacronismi. De' Rossi aggiunse poi una discussione dall'edizione del 1566 del ''Sefer yuhasin'' di Abraham Zacuto, che Modena aveva utilizzato anche nella sua precedente corrispondenza con Hakham Uziel ad Amsterdam. Zacuto aveva citato rapporti del XIV secolo che accusavano [[w:Moses de León|Moses de León]] (1250–1305) di aver inventato lo ''Zohar'' per la propria autoesaltazione.<ref>Gershom Scholem, "Ha-im hibber r. moshe di leon et sefer hazohar", ''Mada-ei hayahadut'' 1 (1926): 16–29; Scholem, ''Major Trends in Jewish Mysticism'' (New York: Schocken, 1941), 190–192; Adolf Neubauer, "The Bahir and the Zohar", ''Jewish Quarterly Review'' 4 (1892): 360–8; Abraham Zacuto, ''Sefer yuhasin hashalem'', cur. Tzvi Filipowski (Londra: Filipowski, 1857), ristampa (Gerusalemme: Vardi, 1963), 88–89.</ref> Zacuto, tuttavia, non trasse da ciò alcuna conclusione critica sull'autenticità dello ''Zohar''. L'editore di Zacuto non ritenne opportuno pubblicare questa storia, ma infine acconsentì e stampò invece un disconoscimento a margine. De' Rossi elogiò il ''disclaimer'' dell'editore – forse consapevole che le versioni manoscritte di questa storia erano più dure, ma scrisse che sarebbe stato meglio se questo inserto non fosse stato pubblicato – e in effetti le versioni successive di Zacuto lo omisero.<ref>Kassel, 233; Baron, "Azariah de’ Rossi’s Historical Method", 232.</ref> Nonostante ciò, il de' Rossi stesso lo ripubblicò e richiamò l'attenzione su di esso a beneficio di coloro che avrebbero potuto glissarlo la prima volta.<ref>Su Zacuto, cfr. Yerushalmi, ''Zakhor'', 57–66; Zacuto, ''Sefer yuhasin'', 88–90.</ref>
=== La concatenazione della critica: Modena, de’ Rossi e Levita sulle vocali e accenti ebraici e la Cabala ===
{{Immagine grande|Aleppo Codex Joshua 1 1.jpg|743px|Ingrandimento di sezione del [[w:Codice di Aleppo|Codice di Aleppo]] (X secolo) con l'[[w:Ebraico tiberiense|ebraico tiberiense]]<ref>Riporta i versetti di {{passo biblico2|Giosuè|1:1}}: "Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè..."</ref>}}
Una delle principali sfide all'antichità e all'autenticità dei testi cabalistici era la comparsa di riferimenti ai segni vocalici e di accento ebraici. In ''Meor eynayim'', de' Rossi presentò le opinioni di [[w:Elia Levita|Elia Levita]] (anche ''Elijah Levita Bahur'', 1469–1549), un importante grammatico ebraico che, nella terza introduzione al suo ''Masoret hamasoret'' nel 1538, si chiese se i segni vocalici e di accento ebraici risalissero al Monte Sinai e se apparissero in presunti testi cabalistici antichi come lo ''[[Zohar]]'':
{{citazione|Combatterò contro coloro che dicono che [le vocali e gli accenti] sono stati dati al Sinai; dimostrerò chi li ha inventati e quando sono stati stabiliti e combinati con le lettere. Chiunque possa convincermi con una chiara prova che il mio punto di vista è contrario alla comprensione dei saggi e contro la vera Cabala che è nel ''Libro dello Zohar'', il mio punto di vista sarà sostituito dal suo. Ma fino ad allora, non ho trovato, non ho visto e non ho sentito una parola di prova o un valido supporto che le vocali e gli accenti fossero stati dati al Sinai.}}
Anche se lo ''[[Zohar]]'' non era stato ancora pubblicato, le sue prime pagine contenevano riferimenti alle vocali e ai segni di accentuazione per nome. Levita si stava incagliando nello sfidare l'antichità delle vocali basate sullo ''Zohar'': se i cabalisti potevano smentirlo, sarebbe stata una prova dell'antichità delle vocali o della tardività dei principali testi cabalistici.<ref>Su questioni che coinvolgono Levita, de' Rossi, Modena e altri riguardanti l'antichità o la tardività delle vocali, si veda Yitzhak (Jordan) S. Penkower, "Iyun mehadash besefer masoret hamasoret le-eliyahu bahur: ihur hanikud uvikoret sefer hazohar", ''Italia'' 8 (1989): 7–73; Penkower, "S. D. Luzzatto, Vowels and Accents, and the Date of the Zohar", in ''Samuel David Luzzatto: The Bi-Centennial of His Birth'', cur. Robert Bonfil, Isaac Gottlieb, e Hannah Kasher (Gerusalemme: Hebrew University Magnes Press, 2004), 79–130.</ref> Contestò quindi l'antichità dei segni vocalici e degli accenti e affermò che la tradizione aveva trasmesso la pronuncia, ma non i veri segni vocalici e di accento come esistevano ai suoi giorni, e che, in effetti, la tradizione non li aveva mai menzionati. Levita affermò che i segni vocalici e di accento erano un'invenzione arbitraria apparsa molto più tardi di Mosè, Esdra lo Scriba e dei rabbini del Talmud, e che furono inventati dai [[w:Masoreti|Masoreti]] a [[w:Tiberiade|Tiberiade]] nel V o VI secolo. Come prova, fornì esempi di passaggi talmudici in cui le parole erano state confuse in modo tale che non dovevano esserci stati segni vocalici al momento della loro composizione e citò affermazioni a sostegno di rabbini medievali che affermavano che le vocali erano date con la Torah al Sinai, ma poi dimenticate. Avendo visto tre [[w:Caldei|Caldei]], presumibilmente provenienti dalla mitica terra di [[w:Prete Gianni|Prete Gianni]], che leggevano correttamente l'[[w:lingua aramaica|aramaico]] senza segni vocalici, Levita era convinto che i segni vocalici veri e propri non fossero necessari nemmeno per leggere l'ebraico e che la pronuncia corretta fosse trasmessa come parte di una tradizione orale.<ref>Gerard Weil, ''Elie Levita, humaniste et massorete'' (Leiden: Brill, 1963), 118, 216–219, 297–300, 307–322; Elias Levita, ''Massoreth ha-Massoreth'', cur. e trad. Christian D. Ginsberg (Liverpool: Longmans, Green, Reader, and Dyer, 1867), 44–53, 121–134.</ref> Levita fece un rapido riferimento all'assenza di descrizioni delle vocali e degli accenti nei testi cabalistici. Diversi anni prima, nel 1531, l'inedito di Levita ''Meturgeman'' offrì informazioni dai cabalisti che gli antichi ''Zohar'' e ''[[w:Sefer haBahir|Bahir]]'' non contenevano riferimenti alle vocali e agli accenti, a differenza dei recenti testi cabalistici. Levita doveva sapere che la sua affermazione in ''Meturgeman'' era fuorviante, poiché i suoi viaggi e studi implicavano molti contatti con cabalisti e testi cabalistici; rimane un enigma il motivo per cui mantennbe la questione aperta in ''Masoret hamasoret''.
De' Rossi contestò la presentazione di Levita offrendo prove da fonti ebraiche, cristiane, musulmane e pagane al fine di dimostrare l'antichità dei segni vocalici. Anche lui faceva riferimento ai visitatori della leggendaria terra di Prete Gianni, ma secondo lui la loro pronuncia senza segni vocalici era inadeguata. L'attenzione di Modena fu catturata dall'argomento di de' Rossi basato su due importanti opere cabalistiche, lo ''Zohar'' e il ''Bahir'', entrambi attribuiti ai primi [[w:tannaim|tannaim]]<ref>Si vedano le [[Storia e memoria/Capitolo 6#Ere rabbiniche (Ere storiche della Legge ebraica):|Tabelle delle Ere Rabbiniche specificate nella Conclusione]].</ref> rabbinici. Contenevano riferimenti espliciti a nomi e forme di vocali e segni di accento. Per de' Rossi, la discussione sui segni vocalici e di accento in questi testi dimostrava che i cabalisti conoscevano i segreti tramandati sin dai tempi di Mosè.<ref>Kassel, 471–473; Weil, ''Levita'', 321.</ref> Basandosi sulla sua lettura di ''Masoret hamasoret'', de' Rossi affermò che Levita non conosceva i riferimenti a vocali e accenti perché questi libri cabalistici non erano ancora stati pubblicati. Se Levita avesse conosciuto questi riferimenti, avrebbe confermato l'antichità delle vocali. De' Rossi dichiarò: "Se [Levita] fosse con noi oggi, direbbe sicuramente che ‘ho avuto una risposta’". Modena si unì alla conversazione testuale rispondendo a questa affermazione a margine della sua stessa copia di ''Meor eynayim'':
{{citazione|Se lui [Levita] fosse con noi oggi, sono sicuro che a uno che volesse dimostrargli l'antichità delle vocali e degli accenti dei libri cabalistici apparsi ai nostri tempi, anche lui [Levita] gli risponderebbe e direbbe: ‘È più facile per me credere che tutti questi libri siano fabbricazioni da zero, apparse successivamente dopo le vocali e gli accenti, che per me credere che le vocali e gli accenti siano anteriori a questi libri, perché ci sono altre prove in questi libri che dimostrano la loro formazione recente’. Per me è sempre ovvio che egli parlerebbe di conseguenza, e io me ne andrei allegramente per la mia strada.<ref>Parma Ms. n. 983, fol. 179b; Kassel, 473; cap. 59; cfr. {{passo biblico2|Salmi|26:11}}. Questa citazione viene discussa da Dweck, ''Scandal'', 92–95.</ref>}}
Pertanto, Modena prese la discussione di de' Rossi secondo cui i testi cabalistici sostenevano l'antichità delle vocali e degli accenti ebraici, e la rivolse contro l'antichità dei testi cabalistici. Poiché in questi libri c'erano riferimenti a vocali e accenti, non erano così antichi come sostenevano i cabalisti e non contenevano verità antiche ma piuttosto invenzioni successive. De' Rossi, tuttavia, non aveva tratto conclusioni critiche esplicite dalla sua presentazione storica sull'antichità dei testi cabalistici. Come al solito, lasciava la questione aperta ad almeno tre possibilità: le vocali provenivano dal Sinai, da Esdra o dopo il Talmud. Come posizione di compromesso, suggerì che dopo che Dio le aveva date al Sinai, gli israeliti se l'erano dimenticate e successivamente le avevano riscoperte in diversi momenti critici, tra cui anche al tempo dei Masoreti di Tiberiade. Modena, almeno in privato, giunse alla conclusione che i testi cabalistici e le vocali erano ''recenti''. Come vedremo, c'erano delle ragioni per cui non avrebbe potuto usare pubblicamente questo potente argomento contro la Cabala.<ref>Grafton e Weinberg, ''Casaubon'', 307–328.</ref>
=== Critica della tradizione ebraica: polemica cristiana e vocali ebraiche ===
Se Modena basava un'argomentazione contro la Cabala sulla presenza anacronistica di riferimenti alle vocali ebraiche, allora avrebbe potuto fare il gioco dei critici cristiani riguardo alla tradizione ebraica, che costoro fossero cattolici o protestanti; questi avevano usato argomenti che si opponevano all'antichità delle vocali e degli accenti nelle loro polemiche contro gli approcci ebraici alla Bibbia. Da secoli polemisti cattolici, come [[w:Raimondo Martí|Raimondo Martí]] (c.1220–1287), [[w:Niccolò di Lira|Nicolas de Lyre]] (1270–1340), Jacob Perez da Valencia (1420–1491) e [[w:Pietro Colonna (letterato)|Pietro Galatino]] (1460–1540), affermavano che i rabbini avevano corrotto il testo della Bibbia per alterare le profezie su Gesù. Al [[w:Concilio di Trento|Concilio di Trento]] del 1546, la Chiesa affermò che il canone definitivo era la ''[[w:Vulgata|Vulgata]]'' latina e non le Scritture Ebraiche. Parimenti, i protestanti, come [[w:Martin Lutero|Martin Lutero]] (1483–1546), [[w:Ulrico Zwingli|Ulrico Zwingli]] (1484–1537) e [[w:Giovanni Calvino|Giovanni Calvino]] (1509–1564), cercarono di liberarsi da qualsiasi restrizione testuale, cattolica o ebraica, nel loro ritorno alle Scritture utilizzando argomenti contro l'antichità dei segni vocalici e di accento. In diverse occasioni, inclusa una lettera del 1606 a [[w:Johannes Buxtorf|Johannes Buxtorf il Vecchio]] (1564–1629), l'ugonotto [[w:Giuseppe Giusto Scaligero|Joseph Justus Scaliger]] (1540–1609) espresse alcuni dubbi sull'antichità dello ''[[Zohar]]'' e delle vocali.<ref>Francois Secret, ''Le Zohar chez les Kabbalistes Chrétiens de la Renaissance'' (Parigi: Libraire Durlacher, 1958), 100; cfr. Grafton e Weinberg, ''Casaubon'', 313–317, 324–325.</ref> Nel 1624, [[w:Louis Cappel|Louis Cappel]] (1585 –1658), anch'egli ugonotto, al seguito di Levita, si oppose all'antichità delle vocali. [[w:Jean Morin (teologo)|Jean Morin]] (1591–1659), un protestante convertito al cattolicesimo, contestò l'antichità delle vocali, presentandole come un segno della corruzione del testo ebraico e invocando l'argomento cattolico secondo cui la libertà dalle vocali rafforzerebbe le tradizioni della Chiesa.<ref>Modena, ''Kitvei'', 108.</ref>
[[File: Golem and Loew.jpg|240px|thumb|right|''Loew e il Golem'' di [[w:Mikoláš Aleš|Mikoláš Aleš]], 1899.<ref>L'illustrazione rappresenta la leggenda di Rabbi [[w:Judah Loew|Judah Loew]] e del suo [[w:Golem|Golem]]. La leggenda del Golem, pubblicata oltre due secoli dopo la sua morte, narra che Loew, per proteggere gli ebrei del ghetto di Praga da attacchi antisemiti e pogrom, avrebbe creato un essere vivente fatto d'argilla, utilizzando le conoscenze esoteriche riguardo alla creazione di Adamo (cfr. [[w:Cabala pratica|Cabala pratica]]). Secondo la leggenda, nel 1580 plasmò dal fango della Moldava il Golem, con l'aiuto del genero Jizchak ben Simson e il discepolo Jakob ben Chajim Sasson.</ref>]]
Tuttavia, altri protestanti alla ricerca di una fonte autorevole e autentica delle scritture, soprattutto contro il tentativo tridentino di imporre la ''Vulgata'' ai cattolici, accettarono l'antichità delle vocali e degli accenti nelle scritture ebraiche.<ref>Cfr. Johannes Buxtorf, ''Tiberias, sive, Commentarius Masoreticus'' (Basel: Lodovici Koenig), 1620, cap. 9, non vidi: cfr. Grafton e Weinberg, ''Casaubon'', 321 e 324.</ref> Questi includevano Johannes Buxtorf (1564–1629) in ''Tiberias, Sive Commentarius Masoreticus'' nel 1620, che, sulla base della sua lettura di de' Rossi, raccolse le prove dello ''Zohar'' per l'antichità delle vocali al fine di confutare le affermazioni di Levita e Cappel secondo cui si trattava di un'invenzione tardiva e arbitraria. Cappel continuò la controversia sull'antichità delle vocali con il figlio di Buxtorf, Johannes Buxtorf II (1599–1664).<ref>Ginsberg, ''Massoreth'', 45–48; 121, nota 75; Baron, "Attitude", 44–5; Weil, ''Levita'', 317; Francois Secret, ''Les Kabbalists Chrétiens de la Renaissance'' (Parigi: Dunot, 1964), 249, 334–335; Secret, ''Le Zohar'', 99–103; Joseph Blau, ''The Christian Kabbalah'' (New York: Columbia University Press, 1944), 108–109.</ref> Tra le difese protestanti dell'antichità delle vocali e degli accenti c'era il rapporto di Hugh Broughton del 1608 sulla sua lunga disputa con David Farar contenuto in ''Our Lordes Familie''. Modena era rimasto in contatto con David Farar e tramite lui potrebbe aver avuto accesso agli scritti di Broughton in una delle lingue in cui erano stati pubblicati, compreso l'ebraico, o almeno sentito della loro esistenza. In ogni caso, la discussione di Broughton sull'antichità delle vocali dà un senso alle preoccupazioni contemporanee delle discussioni ebraico-cristiane all'inizio del XVII secolo, certamente in ambienti con cui Modena aveva familiarità. Esagerando il caso più sfumato addotto da [[w:Judah Loew|Judah Loew ben Bezalel]], il Maharal di Praga (1520–1609), nel suo ''Tiferet yisrael'',<ref><http://www.daat.ac.il/daat/mahshevt/tifeeret/66-2.htm>, cap. 66 [consultato 26 giugno 2022].</ref> Broughton affermò che le ventidue lettere ebraiche così come le vocali e gli accenti non furono inventati da Esdra, ma piuttosto discese sulle tavolette da Dio sul Monte Sinai. La varietà delle quattordici vocali non poteva essere una creazione umana, né alcuna autorità umana avrebbe potuto imporle a una nazione. Fornì alcuni esempi in cui il testo biblico non poteva essere compreso senza vocali. Contrariamente a Levita, Broughton affermò che nessun grammatico ebraico aveva mai considerato antiche le vocali e diede l'esempio del commento di [[w:David Kimchi|David Kimhi]] (1160–1235) su [[w:Libro di Osea|Osea]], in cui menzionava riferimenti alle vocali nella traduzione aramaica della Torah fatta da Jonathan, contemporaneo di Gamliel (identificato da Broughton come il rabbino di Saint Paul). Anche se così fosse stato, collocherebbe le vocali prima del tempo dei Masoreti, dei rabbini e dei cabalisti, ma non al tempo di [[w:Esdra|Esdra lo Scriba]] e certamente non a quello di Mosè.<ref>Hugh Broughton, ''Our Lordes Famile and many other points depending on it opened against a Jew Rabbi David Farar who disputed many hours, with hope to overthrow the Gospel'' (Amsterdam: s.n., 1608). Su Osea, cap. 11.</ref> Broughton riferì che Azaria de' Rossi rispose a Levita con l'affermazione che tutte le nazioni avevano le vocali, specialmente gli ebrei, poiché avevano un grande interesse per la scrittura accurata. Broughton indicò che il suo caso a favore dell'antichità delle vocali era una reazione contro il papa che aveva accettato la negazione di Levita che le vocali e gli accenti fossero discese da Dio a Mosè sul Monte Sinai. Fu anche una reazione contro la ''[[w:Septuaginta|Septuaginta]]'', la Bibbia greca usata dai primi cristiani: "The lxx used only an unvowelled; to hide with more facilitie, holy things from dogges, when danger was".<ref>Broughton, ''Our Lordes Famile''. Pagine e capitoli non sono numerati. Gran parte di ciò che ho usato si troverebbe nel capitolo 11, "Of Gregorie Naianzen for Tartaros", verso i foll. 32b–39b.</ref> Broughton presentò quindi un atto d'accusa sull'affidabilità della versione greca della Bibbia e su aspetti del cristianesimo basati su di essa. Affermò che il testo ebraico era più affidabile poiché seguiva le vocali date da Dio. Quindi, se Modena avesse preso posizione contro l'antichità delle vocali per minare l'autenticità delle principali opere cabalistiche, allora avrebbe fornito supporto ai cristiani che affermavano che gli ebrei avevano corrotto le scritture per nascondere la verità su Cristo e, non più legati dai vincoli delle vocali, i cristiani potevano presentare la loro propria lettura della Bibbia per convertire gli ebrei.
=== Critica della tradizione ebraica: dissidenti ebrei e vocali ebraiche ===
Se Modena avesse usato argomenti contro l'antichità delle vocali e degli accenti contro la Cabala, avrebbe anche potuto fornire foraggio agli ebrei e agli ex cripto-ebrei che usavano questioni sull'antichità della vocalizzazione e dei segni di accento per sfidare l'autorità rabbinica e la validità di una tradizione orale che risaliva al tempo di Mosè. Ad esempio, tra il 1615 e il 1616, un dissidente ebreo ad Amburgo, forse [[w:Uriel da Costa|Uriel da Costa]] (1585–1640), preparò undici tesi contro l'ebraismo rabbinico. Queste pervennero ai capi sefarditi di Venezia che si rivolsero a un rabbino, forse Modena e forse in collaborazione con [[w:Simone Luzzatto|Simone Luzzatto]] (1583–1663), per una risposta.<ref>Samuel Aboab, ''Davar shmuel'', n. 152; Modena, ''Kitvei'', n. 155–6; Modena, ''Iggerot'', n. 209; L. L. Fuks e R. G. Fuks-Mansfield, ''Catalogue of the Manuscripts of the EtsHaim/Livraria Montezinos'' (Leiden: Brill, 1975), pl. 84, n. 176; HS. EH 48 A11, 178r–196v, 355–391; Jean-Pierre Osier, ''Le Bouclier et la Targe'' (Parigi: Centre d’Etudes Don Isaac Abravanel, 1980), 33–34; Uriel da Costa, ''Die Schriften des Uriel da Costa'', cur. Carl Gebhardt (Amsterdam: M. Hertzberger, 1922), 3–32, 195–198, 250.</ref> Questa risposta, ora denominata ''Magen vetzinah'', circolò in manoscritti ebraici, italiani e portoghesi. Prima di rispondere a ciascuna delle tesi specifiche, l'autore iniziava con prove generali per la continuità della tradizione orale. Includeva una descrizione delle controversie sul fatto che i segni vocali e di accento fossero o del tempo di Mosè o solo del tempo di Esdra. Dopo aver sollevato la questione, ma non volendo discuterne, il rabbino veneziano, tuttavia, affermò che una Torah dei giorni di Mosè non avrebbe avuto vocali, accenti o punteggiatura. Da ciò concluse che, poiché le informazioni sulla pronuncia non erano nella Torah, dovevano essere state trasmesse oralmente dal tempo di Mosè. Pertanto, l'assenza di vocali nella Torah era una prova dell'antichità della tradizione orale.53 Allo stesso modo, de' Rossi scrisse che Mosè voleva che le persone contemplassero i comandamenti secondo la tradizione orale e come anche secondo quanto stava scritto, riportando ancora una volta l'esposizione di de' Rossi alla centralità del corretto adempimento della legge rabbinica tradizionale.
=== Conclusione: critica e suoi limiti ===
Nel suo successivo scritto contro la Cabala, che includeva molti argomenti in opposizione all'autenticità dello ''Zohar'', Modena non elaborò aspetti del dibattito sull'antichità dei segni vocalici e di accentuazione per minare l'autenticità dei testi cabalistici. Il punto più vicino a cui si avvicinò all'argomento fu in ''Ari nohem'', il suo ''magnum opus'' contro la Cabala, quando menzionò la possibilità che le vocali potessero non essere state usate prima del tempo di Esdra, ma l'unica conclusione che ne trasse fu che non potevano essere usate per la [[w:gematria|gematria]].<ref>Modena, ''Arinohem'', cap.10.</ref> In altre opere, sottolineò l'importanza delle vocali e degli accenti e la necessità di conoscere le differenze tra loro per comprendere la Bibbia e mantenere un testo accurato. Nel 1639, lo stesso anno in cui terminò ''Ari nohem'', Modena scrisse nell'introduzione al ''Mikra gedolah'' di Jacob Lombroso, la [[w:Tanakh|Bibbia rabbinica]], che ogni punto e ogni segno di uno ''[[w:Jodh|yud]]'' cambiava il significato di una parola e la posizione di un accento in una parola il suo [[w:tempo (linguistica)|tempo]]. "Grandi montagne sono appese a una ciocca di capelli." Sempre l'apologista, Modena notava che i non-ebrei disprezzavano gli ebrei perché gli ebrei avevano così poca comprensione della propria lingua. Mantenendo il suo ruolo di polemista contro il cristianesimo, nel suo poema dedicatorio a detta Bibbia, Modena aggiunse: "Anche con gli accenti le nazioni hanno errato", nel senso che senza la tradizione delle vocali e degli accenti il cristianesimo non capiva come leggere correttamente la Bibbia.<ref>Leon Modena, ''Leket ketavim'', cur. Peninah Naveh (Gerusalemme: Mosad Bialik, 1968), 287–288; Leon Modena, ''Divan'', cur. Shimon Bernstein (Philadelphia: Jewish Publication Society, 1932), n. 38.</ref>
Nelle sue note marginali in ''Meor eynayim'', Modena aggiunse la sua voce a una conversazione durata cento anni tra tre uomini le cui vite si sovrapponevano appena. Cioè, dal 1538, quando apparve ''Masoret hamasoret'' di Levita, fino al 1638, quando Modena scrisse ''Ari nohem''. Questa era una piccola parte di una discussione più ampia tra studiosi ebrei ed ebraisti cristiani, nonché cabalisti ebrei e anti-cabalisti, e sarebbe diventata una questione importante nel diciannovesimo secolo tra studiosi e scrittori ebrei come [[w:Mosè Luzzatto|Moses Hayim Luzzatto]] (1707–1746 ) e [[w:Samuel David Luzzatto|Samuel David Luzzatto]] (1800–1865).<ref>Si veda il mio wikilibro ''[[Le strutture basilari del pensiero ebraico]]'' ("Maimonide, Nieto, Luzzatto e i cinque criteri del ricostruzionismo sociale").</ref>
Il primo round della discussione, che coinvolse Levita, de' Rossi e Modena, secondo l'analisi contemporanea di Yerushalmi, Baron, Bonfil e Weinberg, offrì un misto di audace critica storica e cauta apologetica alla tradizione. Levita, ritenuto dagli altri due l'istigatore della discussione, fu in realtà molto cauto nel presentare le sue opinioni. Annunciò la sua disponibilità a considerare nuove informazioni dai testi cabalistici sulle vocali. Prese una posizione di compromesso sul fatto che le vocali fossero state date al Sinai, trasmesse come suoni ma non come segni reali, ma furono perse e poi reclamate dai Masoreti a Tiberiade. Lo stesso Levita minimizzò i dubbi basati su testi cabalistici circa l'antichità delle vocali.
De' Rossi, nonostante la sua tesi per l'antichità delle vocali, prese le distanze dalla Cabala e discusse con cautela gli aspetti anacronistici e pseudepigrafici dei testi cabalistici e le origini dello ''[[Zohar]]'', ma non trasse alcuna implicazione esplicitamente critica riguardo all'antichità dei testi cabalistici. Fu cauto in modo che la critica ai testi cabalistici non portasse a mettere in discussione i testi legali rabbinici, il che poteva minare la pratica religiosa ebraica. Nonostante i suoi tentativi di sostenere la tradizione con le sue prove tendenziose sull'antichità delle vocali, sollevò comunque dubbi sull'affidabilità della tradizione. Ad esempio, quando cercò di dimostrare che nella lettura della Bibbia i rabbini del Talmud e i Masoreti di Tiberiade non erano sempre d'accordo, de' Rossi sottolineò gli aspetti contraddittori della tradizione. De' Rossi presentava regolarmente idee critiche e poi si rammaricava di averlo fatto, facendole circolare e allo stesso tempo prendendone le distanze, un tira e molla che non ci dà un quadro chiaro della sua posizione.
Per Modena i segni vocalici e di accento del testo biblico, qualunque fosse la loro esatta origine storica, erano un aspetto integrante dell'ebraismo rabbinico e un importante supporto contro le interpretazioni cristiane della Bibbia. Anche dopo aver riconosciuto nell'intimità dei [[w:marginalia|marginalia]] della sua copia del ''Meor eynayim'' l'anacronismo storico implicito e l'utilità di attaccare l'antichità delle vocali per sostenere le sue opinioni contro la Cabala, Modena non potè farlo con enfasi in un'opera che poteva essere pubblicata o ricevere una circolazione pubblica. Il rischio era troppo grande che questo argomento potesse consentire sia ai proselitari cristiani che ai dissidenti ebrei di promuovere le loro polemiche contro le distorsioni dell'ebraismo rabbinico. Il motivo principale per cui Modena si oppose alla Cabala in primo luogo fu per difendere l'ebraismo rabbinico. Ora, per le stesse ragioni, scelse di tacere sulle sue argomentazioni più convincenti contro la Cabala.
Anche se Modena aveva studiato, insegnato e difeso la Cabala, mentre si impegnava nella difesa dell'ebraismo rabbinico contro i suoi detrattori, fossero essi ebrei, cristiani o quelli nel mezzo, iniziò a vedere la necessità di dirigere le sue energie polemiche contro la Cabala. Tuttavia, poiché la Cabala era basata sugli stessi fondamenti dell'ebraismo rabbinico, specialmente nella sua memoria collettiva come tradizione orale divinamente ispirata, gli attacchi alla legittimità dell'una potevano mettere in discussione anche l'altro. Poiché Modena attingeva a materiali storici per affinare la sua polemica contro la Cabala, si sentiva obbligato a proteggere l'autorità rabbinica. Come per Elia Levita Bahur e Azariah de' Rossi, c'erano dei limiti alla volontà di Modena di lasciare che la critica storica sconvolgesse la memoria collettiva.
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* I ''[[w:Zugot|Zugot]]'' (-200→0)
* I ''[[w:Tannaim|Tannaim]]'' (letteralmente i "ripetitori") sono i saggi ebrei della ''[[w:Mishnah|Mishnah]]'' (0→200 e.v.)
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* I ''[[w:Savoraim|Savoraim]]'' (letteralmente i "[[w:Induzione|ragionatori]]") sono i rabbini classici dell'[[w:Impero sasanide|Impero sasanide]] (500→650)
* I ''[[w:Geonim|Geonim]]'' (letteralmente i "gloriosi" o "geni") sono i rabbini di [[w:Sūra|Sūra]] e [[w:Pumbedita|Pumbedita]], in [[w:Babilonia|Babilonia]] (650→1038)
* I ''[[w:Rishonim|Rishonim]]'' (letteralmente i "primi") sono i rabbini del [[w:Tardo Medioevo|tardo periodo medievale]] (1038→1563 ca.) prima dello ''[[w:Shulchan Arukh|Shulchan Arukh]]''
* Gli ''[[w:Acharonim|Acharonim]]'' (letteralmente gli "ultimi") sono i rabbini dal 1500 ca. al tempo presente.
== Note ==
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie misticismo ebraico}}
<div style="height: 200px; overflow: auto; padding: 3px; border:1px solid #AAAAAA; reflist4" ><references/></div>
{{Avanzamento|100%|26 giugno 2022}}
[[Categoria:Storia e memoria|Capitolo 6]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Liguria/Provincia della Spezia/Monterosso al Mare/Soviore
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[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne|Soviore]]
'''Costruttore''': Daitta Giosuè Agati e Figli, Pistoia
'''Anno''': 1822-24, su materiale fonico precedente
'''Restauri/modifiche''': Tamburini
'''Registri''': 18
'''Canne''': ?
'''Trasmissione''': meccanica
'''Consolle''': a finestra, al centro della cassa
'''Tastiera''': 1 di 54 note; divisione bassi/soprani Fa3, con ottava corta
'''Pedaliera''': a leggio di 21 note, costantemente unita al manuale
'''Pedaletti''': Terza mano, combinazione libera alla lombarda, tirasse ripieni
'''Collocazione''': in corpo unico, sulla sinistra della navata
'''''Manuale'''''
'''Colonna di sinistra - Concerto'''
Oboe bassi 8'
Clarone bassi 8'
Musetta soprani 16'
Oboe soprani 8'
Flutto soprani 16'
Flauto bassi 8'
Flauto soprani 8'
Flauto in ottava bassi 4'
Flauto in ottava soprani 4'
Ottavino bassi 2'
Flagioletto soprani 2'
Viola Bassi 8'
Voce angelica soprani 8'
Cornetto chinese soprani (muto)
Contrabbassi e rinforzi 16'
'''Colonna di destra - Ripieno'''
Principale 8' Bassi
Principale 8' Soprani
Principale di rinforzo soprani 8'
Ottava 4' Bassi
Ottava 4' Soprani
Quinta decima 2'
Decima nona 1.1/3'
Vigesima seconda e Vigesima sesta
Vigesima nona e Trigesima terza (Due di ripieno)
Sesquialtera bassi 2 file
Cornetto a due file soprani
Fagotto bassi
Trombe soprani
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[[Categoria:Disposizioni foniche di organi a canne|Soviore]]
'''Costruttore''': Daitta Giosuè Agati e Figli, Pistoia
'''Anno''': 1822-24, su materiale fonico precedente
'''Restauri/modifiche''': Tamburini
'''Registri''': 28
'''Canne''': ?
'''Trasmissione''': meccanica
'''Consolle''': a finestra, al centro della cassa
'''Tastiera''': 1 di 54 note; divisione bassi/soprani Fa3, con ottava corta
'''Pedaliera''': a leggio di 21 note, costantemente unita al manuale
'''Pedaletti''': Terza mano, combinazione libera alla lombarda, tirasse ripieni
'''Collocazione''': in corpo unico, sulla sinistra della navata
'''''Manuale'''''
'''Colonna di sinistra - Concerto'''
Oboe bassi 8'
Clarone bassi 8'
Musetta soprani 16'
Oboe soprani 8'
Flutto soprani 16'
Flauto bassi 8'
Flauto soprani 8'
Flauto in ottava bassi 4'
Flauto in ottava soprani 4'
Ottavino bassi 2'
Flagioletto soprani 2'
Viola Bassi 8'
Voce angelica soprani 8'
Cornetto chinese soprani (muto)
Contrabbassi e rinforzi 16'
'''Colonna di destra - Ripieno'''
Principale 8' Bassi
Principale 8' Soprani
Principale di rinforzo soprani 8'
Ottava 4' Bassi
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Quinta decima 2'
Decima nona 1.1/3'
Vigesima seconda e Vigesima sesta
Vigesima nona e Trigesima terza (Due di ripieno)
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Fagotto bassi
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Nahmanide teologo/Capitolo 3
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2022-07-24T16:30:55Z
Monozigote
19063
/* Tradizione */ testo
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text/x-wiki
{{Nahmanide teologo}}
[[File:Hubert Herkomer - Herkomer-97896new - A Rabbi at prayer.jpg|thumb|480px|center|''Rabbino in preghiera'', di [[w:Hubert von Herkomer|Hubert von Herkomer]] (1891)]]
== Tradizione ==
'''[3.1]''' Nahmanide era profondamente consapevole che la conoscenza immediata di Dio è uno stato esaltato, profetico, al di là delle capacità della gente comune. È necessaria una mediazione tra la conoscenza diretta di Dio e la conoscenza umana ordinaria. Ma tale mediazione non può venire attraverso la conoscenza del mondo fisico. Perché la natura non ha coscienza di Dio. La tradizione assume il ruolo critico di veicolare tale conoscenza. La sua credibilità deriva dalla nostra fede nella veridicità dei nostri genitori. Il fattore più basilare nell'identità dell'infanzia, "Di chi sono figlio?", può essere una questione di certezza solo quando il bambino ha fiducia nelle intenzioni dei genitori. I genitori, quindi, non sono solo il legame biologico tra il bambino e il creato, ma anche il legame noetico con esso. Stabiliscono la fiducia che farà emergere la fede religiosa. La veridicità della tradizione ebraica si basa sull'affidabilità degli antenati. La fonte della tradizione è la verità divina e, secondo Nahmanide, solo la colpa morale dell'inganno umano, non la colpa intellettuale dell'errore umano, potrebbe rendere falsa questa tradizione. Ma l'inganno da parte dei nostri antenati è impensabile. La tradizione che riceviamo da loro non può essere messa in dubbio. Dell'esperienza del Sinai, Nahmanide scrive:
{{citazione|Il valore (''ha-to‘elet'') di questo comandamento è immenso. Perché, se le parole della Torah ci venissero solo dalla bocca di Mosè... allora se un profeta o un sognatore sorgesse in mezzo a noi e ci comandasse di agire contro la Torah... il dubbio entrerebbe nel cuore degli uomini. Ma poiché la Torah viene dalla bocca di Dio (''mi-pi ha-Gevurah'') alle nostre orecchie, e abbiamo visto con i nostri occhi che non c'è intermediario (''emtsa‘i''), possiamo confutare tutti coloro che la contestano e smentire tutti coloro che ne dubitano... Perché quando lo diciamo ai nostri figli, sanno che è vero. Senza dubbio, è come se (''ke’ilu'') tutte le generazioni lo vedessero da sole. Poiché non lasceremmo loro in eredità qualcosa di vano (''hevel'') e di inutile.|CT: {{passo biblico2|Dt|4:9}} - II, 362}}
'''[3.2]''' Nahmanide legge la presentazione delle genealogie da parte della Torah come una dimostrazione che la tradizione è stata trasmessa dai testimoni oculari ai loro discendenti senza interruzioni, preservando l'affidabilità del resoconto:
{{citazione|È chiaro il motivo per cui queste famiglie e le loro dimore [sono menzionate] e perché sono state disperse nel mondo: per convalidare (''l’ammet'') il resoconto della creazione. Se si fa fatica a capire quanto fosse vicina la creazione... la Torah toglie questo dubbio ricordando la genealogia delle famiglie, i loro nomi, e il motivo della loro dispersione e cambio di lingue... Perché ci furono solo tre generazioni da Adamo al Diluvio, e ciascuno aveva ricevuto la tradizione da suo padre.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 170}}
'''[3.3]''' A sostegno della veridicità della tradizione scritturale, Nahmanide scrive:
{{citazione|La Torah illumina gli occhi anche nelle sue storie e narrazioni. Perché tutte loro sono di grande saggezza e fondamentali per la nostra fede. Poiché sai dal senso palese dei versetti scritturali che Amram, il padre di Mosè, vide Levi, che vide Giacobbe, che imparò la Torah da Sem, figlio di Noè... Mosè... [in effetti] dichiarò pubblicamente: "me lo disse mio padre"... Inoltre, Sem figlio di Noè vide Adamo... Se questo fosse stato falso, tutti lo avrebbero saputo e sarebbe stato confutato da molti anziani e saggi del popolo che conoscevano la storia (''divrei ha-yamim''). Perché tutti noi conosciamo questi eventi pubblici dalla bocca dei nostri anziani.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 144}}
'''[3.4]''' La tradizione è chiaramente una necessità per coloro la cui fede è ancora in via di sviluppo. Questo processo di sviluppo non è semplicemente un progetto individuale; implica la trasmissione della tradizione autentica da una generazione all'altra. Avanzando nella conoscenza di Dio, colui che "cammina il percorso" torna indietro attraverso le generazioni per avere una guida. Nahmanide illustra:
{{citazione|Poiché Noè vide suo padre, che vide il primo uomo... e gli uomini di ogni generazione conoscono (''yod‘im'') dai loro padri.|CT: {{passo biblico2|Genesi|10:5}} - I, 65}}
'''[3.5]''' Il nostro legame, per tradizione autentica, con gli eventi primordiali della storia sacra poggia su quella che si potrebbe chiamare emanazione patriarcale: l'autorità di un padre umano ha la sua fonte e il suo limite nella paternità primordiale di Dio:
{{citazione|Un padre è per i suoi discendenti come un creatore, un compagno nell'atto della formazione. Perché il Signore è il nostro primo padre, e il nostro progenitore umano (''ve-ha-moleed'') è il nostro padre ultimo.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:12}} - I, 403}}
'''[3.6]''' Benché i genitori siano "secondi creatori", onorarli non è fine a se stesso come il riconoscimento di Dio, che è fondamentale:
{{citazione|Ora si compie quanto è comandato alla persona umana riguardo alla fede in Dio. Si comincia con il padre. Perché, come ti comando di onorare il primo Creatore, così ti comando di onorare il secondo, che ti ha dato l'essere, tuo padre e tua madre. Così si dice: "affinché i tuoi giorni siano prolungati [sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Perché è un comandamento riguardante gli esseri terreni (''tahtonim'') e richiede una ricompensa esterna. Ma il comandamento relativo alla fede nel Creatore non ha bisogno di una ragione (''ta‘am'') per stabilirne la validità.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 152}}
'''[3.7]''' L'enfasi di Nahmanide sul legame inestricabile tra tradizione e rivelazione è chiaramente visibile nella sua disputa con Maimonide sullo status di esegesi legale rabbinica (''derash'') della Torah scritta. I Rabbini distinguevano due tipi di esegesi giuridica. Quando chiamavano un'interpretazione "una questione di Torah" (''dvar Torah''), intendevano che l'interpretazione è la ''denotazione'' prescrittiva della Scrittura (per es., B. Baba Metsia 47b). Quando chiamavano un'interpretazione ''asmakhta'', intendevano che l'interpretazione è solo la ''connotazione'' prescrittiva del testo (per es., B. Pesahim 81b). Qui una norma formulata dai Rabbini è collegata a un versetto appropriato della Scrittura.
Molto spesso i Rabbini non etichettavano la loro [[w:esegesi|esegesi]] (lettura di un testo) o la loro [[:en:w:Eisegesis|eisegesi]] (lettura in un testo) con nessuno dei due termini. Tutte le interpretazioni non designate per Maimonide hanno lo status minore di interpretazioni connotative. In generale, sminuisce la tradizione a favore della ragione indipendente nell'Halakhah (cfr. specialmente, ''Hilkhot Mamrim'', 1.1ss.). Ma per Nahmanide la tradizione è la nostra unica connessione con la storia, ed è nella storia piuttosto che nella natura che Dio è più manifesto. La concezione di Nahmanide in merito alla continuità tra tradizione e Scrittura lo porta alla sorprendente affermazione che in definitiva tutti i comandamenti che i Rabbini hanno derivato dalla Scrittura mediante l'esegesi sono biblici:
{{citazione|Se questi [comandamenti che i Rabbini appresero tramite i principi dell'esegesi legale] si diramano da queste radici [scritturali], ne fanno ancora parte... Sebbene non siano contati come comandamenti separati, è tuttavia corretto chiamarli "parole della Torah", anche se non sono annoverati tra i 613 comandamenti... Riteniamo quindi al contrario a quanto dice Maimonide: qualsiasi cosa derivata attraverso i tredici principi dell'esegesi legale ha status scritturale (''mi-d’oraitia'') a meno che non sentiamo i rabbini designarla esplicitamente come ''asmakhta''.|''Notes sul Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'' , intro., sez. 2, pp. 32, 34}}
La maggior parte dei successivi talmudisti preferì l'approccio tradizionalista di Nahmanide rispetto all'approccio razionalista di Maimonide qui (cfr., ad esempio, Yorn Tov ben Abraham Ishbili, ''Hiddushei ha-Ritba'': Rosh Hashanah 16a). Nel glossare i testi talmudici in cui il confine tra la legge della Torah e la legge rabbinica era oscuro, alcuni talmudisti successivi (''[[w:Acharonim|aharonim]]'') in effetti a volte ricaddero sulla posizione di Nahmanide, che alla fine non c'è differenza (per es., Samuel Strashun, ''Hagahot ve-Hiddushei ha-Rashash'': Gittin 49b).
'''[3.8]''' La valutazione da parte di Nahmanide dell'autorità del precedente, semplicemente sulla base della sua antichità, può essere vista nella sua posizione su una fondamentale controversia medievale sui requisiti per abrogare la legislazione rabbinica. Il Talmud (B. 'Avodah Zarah 36a) ha stabilito che una legge rabbinica può essere abrogata dalle autorità successive se non è stata accettata dalla maggioranza di Israele. Rashi (s.v. ''lo pashat'') prende questo come riferito al tempo della promulgazione della legge. Un passaggio correlato (‘Avodah Zarah 35a) afferma che la ragione di una data legge rabbinica non dovrebbe essere rivelata per un anno, fornendo il tempo per accertare se la legge proposta abbia ottenuto l'accettazione popolare. Presumibilmente, senza tale accettazione una ragione sarebbe superflua. Ma una volta che una legge rabbinica fosse stata accettata, il rifiuto popolare non sarebbe stato sufficiente per la sua abrogazione.
Per Maimonide qualsiasi disuso, anche molto tempo dopo la prima promulgazione di una legge rabbinica, è sufficiente per la sua formale abrogazione da parte di un tribunale successivo (''Hilkhot Mamrim'', 2.7; cfr. Joseph Karo, ''Kesef Mishneh ad loc.''). Il rispetto di Nahmanide per l'autorità della tradizione porta al suo accordo con Rashi:
{{citazione|Dovresti sapere che il decreto dei discepoli di Shammai e Hillel di non mangiare pane sfornato dai gentili era uno che la maggior parte della comunità non poteva mantenere... Dico che se i saggi e le principali autorità di Israele (''gedoleihem'') avessero concordato nel permettere il pane cotto dai gentili, ciò sarebbe consentito, anche se la loro statura fosse inferiore a quella dei discepoli di Shammai e Hillel sia in saggezza che in numero [di discepoli]... Con qualsiasi decreto rabbinico (''gezerah'') che si ritiene la maggioranza della comunità sia in grado di obbedire, l'abrogazione richiede un tribunale successivo maggiore di quello originario sia per saggezza che per numero [M. ‘Eduyot 1.5]. Ma solo se non diventasse effettivamente la pratica comune di Israele. Se il decreto è divenuto prassi comune (''pashta''), nessun tribunale successivo può abrogarlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': ‘Avodah Zarah 35b, pp. 98-99}}
'''[3.9]''' Nahmanide non si stanca di insistere sul fatto che "il principio onnicomprensivo è che la tradizione (''ha-qabbalah'') è sempre vera" [CT: Es. 21:22/1:425]. È per questo motivo che le porzioni narrative della Torah hanno un significato normativo e sono più che semplici sfondi per le porzioni esplicitamente prescrittive:
{{citazione|La Torah include le storie (''sippurim'') dall'inizio della Genesi in poi. Istruisce (''moreh'') gli uomini che progrediscono in materia di fede.|CT: Introduzione - I, 1}}
'''[3.10]''' Seguendo l'insegnamento del Midrash [''Shemot Rabbah'' 3.11; 5.1], Nahmanide sostiene che il motivo per cui il popolo d'Israele ascoltò per la prima volta Mosè quando tornò in Egitto da Madian era che avevano una tradizione ancestrale "che Giuseppe trasmise (''masrah'') a Levi, dicendo che Giacobbe rivelò il suo messaggio mistico (''galah sodo'') a Giuseppe in amore" [CT: Es. 3:18 - I, 294]. Il messaggio era che il primo che sarebbe venuto e avrebbe usato le parole di Giuseppe: "Dio verrà certo a visitarvi (''paqod yifqod'')" ({{passo biblico2|Genesi|50:25}}), doveva essere accettato come il loro redentore inviato da Dio. E Mosè fu davvero colui che disse loro: "Il Signore, Dio dei vostri padri, mi è apparso... dicendo: ‘Io vi ho visitati (''paqod paqadti''), ho visto quello che vi fanno in Egitto’" ({{passo biblico2|Esodo|3:16}}).
'''[3.11]''' Il primato che Nahmanide attribuisce alla tradizione sembra essere in contrasto con la ben nota affermazione talmudica secondo cui "dal giorno in cui il Tempio fu distrutto la profezia fu sottratta ai profeti ma non ai saggi" [B. Baba Batra 12a]. Questo ''dictum'' è spesso interpretato nel senso che la ragione ora funziona come una forza indipendente nella formazione dell'ebraismo. Ma Nahmanide vede nel passaggio una distinzione tra ispirazione superiore e inferiore:
{{citazione|Ciò che il passaggio significa è questo: anche se la profezia dei profeti è stata rimossa, cioè le rivelazioni e le visioni, la profezia dei saggi, cioè il metodo della saggezza, non è stata tolta. Perché conoscono la verità attraverso lo spirito santo nel loro essere più intimo (''be-qirbam''). Secondo le esigenze del momento Dio fa dimorare la Sua presenza sui pii, anche se non sono saggi.|''Hidushei ha-Ramban'': B. Baba Batra 12a, p. 105}}
'''[3.12]''' In una sorprendente interpretazione di un passaggio talmudico spesso citato riguardante [[w:Eliezer ben Hurcanus|R. Eliezer ben Hyrkanus]], Nahmanide dimostra fino a che punto si spinge il suo tradizionalismo. Il venerabile saggio è stato messo al bando per aver rifiutato di accettare la sentenza dei suoi colleghi in una questione di Halakhah. Nonostante la sua invocazione di fenomeni soprannaturali a sostegno della sua posizione, si rifiutarono di accettarla. L'ostinazione di R. Eliezer è solitamente attribuita al rifiuto di accettare come base di una norma nient'altro che una tradizione esplicita (cfr. B. Sukkah 28a). Ma Nahmanide legge il brano come una dimostrazione che la maggioranza aveva la tradizione dalla propria parte: la tradizione aveva la precedenza sugli argomenti e persino sui fenomeni soprannaturali invocati da R. Eliezer:
{{citazione|In realtà, R. Eliezer rischiava solo di essere messo al bando temporaneo (''niddui''), che viene usato quando è in gioco l'onore di un rabbino [qui, l'onore del suo collega, R. Joshua, che sembrava prendere in giro in sue osservazioni polemiche], come con Aqabiah ben Mehallalel [cfr. M. ‘Eduyot 5.6-7]. Alcuni dicono che poiché non voleva cedere e disse... "una voce dal cielo rivendicherà la mia opinione", la sua posizione sembrava essere eresia (''ke’afqaruta''); stava prolungando eccessivamente la disputa, quindi lo misero sotto un divieto a tempo indeterminato (''berkuhu''). Poiché ciò che sostenevano era basato su una tradizione specifica (''mi-pi ha-shemu‘ah''). Ma quello che aveva detto era la sua opinione personale (''kakh hu b‘einei''). Ecco perché non accettarono nessuna delle sue prove. Se avesse sentenziato così ai giorni del Tempio, sarebbe stato dichiarato anziano in dispregio del Sinedrio (''zaqen mamre''). Di conseguenza, furono severi con lui, ponendolo sotto un divieto a tempo indeterminato.|''Hiddushei ha-Ramban'': B. Baba Metzia 59b, p. 53}}
Sorprendentemente, Baba Metsia non afferma che R. Eliezer abbia presentato la sua opinione come fosse sua propria. Ma Nahmanide applica un brano da un altro contesto, B. Sanhedrin 88a, che sostiene che uno ''zaqen mamre'' doveva essere giustiziato se avesse detto "tale mi sembra" ma i suoi colleghi del Sinedrio dissero: "è una tradizione (''mi-pi ha-shemu‘ah'')".
'''[3.13]''' Nahmanide rifiuta Aristotele come guida alla vera conoscenza di Dio perché "egli rifiutava tutta la verità tranne ciò che poteva sperimentare attraverso i suoi sensi (''ha-murgash lo'')... Perché si presumeva che tutto ciò che non afferrava con la propria intelligenza riteneva essere falso» (CT: Lv. 16,8 - II, 91). Era già abbastanza grave che ad Aristotele mancasse la rivelazione, ma molto peggio per gli ebrei, che avevano ricevuto la Torah, tentare di costituire la conoscenza religiosa senza di essa. È dubbio che Nahmanide abbia mai letto Aristotele, ma la sua obiezione non è tanto contro il filosofo stesso quanto contro quei teologi ebrei, in particolare Maimonide, che cercarono di basare il pensiero ebraico su un fondamento così inadeguato come la filosofia aristotelica.
'''[3.14]''' Il pensiero di Aristotele, sostiene Nahmanide, poggia su una base troppo ristretta. Se non gli fosse mancata la rivelazione e una tradizione più antica (cfr. Platone, ''[[w:Timeo (dialogo)|Timeo]]'' 22B), non avrebbe dedotto l'impossibilità di una vera innovazione nel mondo:
{{citazione|Nega una serie di cose che molti hanno visto. Noi stessi siamo stati testimoni della loro verità, ed essi sono conosciuti (''ve-nitpar-semu'') in tutto il mondo... A causa della loro [le prime generazioni di esseri umani] vicinanza alla creazione del mondo e al Diluvio, non c'era nessuno che negò la creazione del mondo ''de novo'' o si ribellò a Dio stesso... Ma quando sorsero i Greci, un popolo nuovo che non ereditò la saggezza, come spiega Ha-Levi nel ''Kuzari'' [1.65], sorse questo famoso uomo [Aristotele], che credeva solo nelle caratteristiche sensoriali della natura (''pe‘ulah raq le-tiv‘im''). Eppure è risaputo (''u-mefursam'') che ciò non è corretto.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 147}}
'''[3.15]''' Nahmanide sostiene che la rivelazione fornisce la conoscenza a cui i filosofi aspirano ma non ottengono mai con i loro sforzi indipendenti, un punto fatto in precedenza da Ha-Levi (''Kuzari'', 1.4; 4.13; 5.14):
{{citazione|Nessuno dei filosofi conosce l'ordine creato (''ba-yetsirah'') ciò che il minimo in Israele invece sa. Perché chiaramente il valore (''to‘elet'') delle altre scienze è solo come una scala verso quella saggezza che è chiamata "conoscenza del Creatore".|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155}}
'''[3.16]''' Nahmanide sottolinea la differenza tra il pensiero creato dall'uomo e la saggezza di Dio nel contrapporre Elihu agli altri amici di Giobbe:
{{citazione|Si vede che una volta udite le parole di Elihu, Giobbe non gli rispose affatto. Questo in effetti ci mostra che la sua risposta era nuova, non come quella degli altri amici... Si vede che le argomentazioni degli amici erano opinioni che nascevano dai loro stessi pensieri... Non troviamo che nessuno di loro chiamasse il loro argomenta saggezza (''hokhmah'')... ma con Elihu, tutte le sue parole sono chiamate saggezza, ad esempio: "Taci, e t'insegnerò meravigliosa saggezza" ({{passo biblico2|Giobbe|33:33}})... Questa è un'indicazione che la sua argomentazione era unica e che si trattava di saggezza rivelata, proveniente dagli uomini della Torah e dai profeti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 32:2 - 1 , 96-97}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
{{Avanzamento|75%|24 giugno 2022}}
[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 3]]
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19063
/* Tradizione */ testo
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Hubert Herkomer - Herkomer-97896new - A Rabbi at prayer.jpg|thumb|480px|center|''Rabbino in preghiera'', di [[w:Hubert von Herkomer|Hubert von Herkomer]] (1891)]]
== Tradizione ==
'''[3.1]''' Nahmanide era profondamente consapevole che la conoscenza immediata di Dio è uno stato esaltato, profetico, al di là delle capacità della gente comune. È necessaria una mediazione tra la conoscenza diretta di Dio e la conoscenza umana ordinaria. Ma tale mediazione non può venire attraverso la conoscenza del mondo fisico. Perché la natura non ha coscienza di Dio. La tradizione assume il ruolo critico di veicolare tale conoscenza. La sua credibilità deriva dalla nostra fede nella veridicità dei nostri genitori. Il fattore più basilare nell'identità dell'infanzia, "Di chi sono figlio?", può essere una questione di certezza solo quando il bambino ha fiducia nelle intenzioni dei genitori. I genitori, quindi, non sono solo il legame biologico tra il bambino e il creato, ma anche il legame noetico con esso. Stabiliscono la fiducia che farà emergere la fede religiosa. La veridicità della tradizione ebraica si basa sull'affidabilità degli antenati. La fonte della tradizione è la verità divina e, secondo Nahmanide, solo la colpa morale dell'inganno umano, non la colpa intellettuale dell'errore umano, potrebbe rendere falsa questa tradizione. Ma l'inganno da parte dei nostri antenati è impensabile. La tradizione che riceviamo da loro non può essere messa in dubbio. Dell'esperienza del Sinai, Nahmanide scrive:
{{citazione|Il valore (''ha-to‘elet'') di questo comandamento è immenso. Perché, se le parole della Torah ci venissero solo dalla bocca di Mosè... allora se un profeta o un sognatore sorgesse in mezzo a noi e ci comandasse di agire contro la Torah... il dubbio entrerebbe nel cuore degli uomini. Ma poiché la Torah viene dalla bocca di Dio (''mi-pi ha-Gevurah'') alle nostre orecchie, e abbiamo visto con i nostri occhi che non c'è intermediario (''emtsa‘i''), possiamo confutare tutti coloro che la contestano e smentire tutti coloro che ne dubitano... Perché quando lo diciamo ai nostri figli, sanno che è vero. Senza dubbio, è come se (''ke’ilu'') tutte le generazioni lo vedessero da sole. Poiché non lasceremmo loro in eredità qualcosa di vano (''hevel'') e di inutile.|CT: {{passo biblico2|Dt|4:9}} - II, 362}}
'''[3.2]''' Nahmanide legge la presentazione delle genealogie da parte della Torah come una dimostrazione che la tradizione è stata trasmessa dai testimoni oculari ai loro discendenti senza interruzioni, preservando l'affidabilità del resoconto:
{{citazione|È chiaro il motivo per cui queste famiglie e le loro dimore [sono menzionate] e perché sono state disperse nel mondo: per convalidare (''l’ammet'') il resoconto della creazione. Se si fa fatica a capire quanto fosse vicina la creazione... la Torah toglie questo dubbio ricordando la genealogia delle famiglie, i loro nomi, e il motivo della loro dispersione e cambio di lingue... Perché ci furono solo tre generazioni da Adamo al Diluvio, e ciascuno aveva ricevuto la tradizione da suo padre.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 170}}
'''[3.3]''' A sostegno della veridicità della tradizione scritturale, Nahmanide scrive:
{{citazione|La Torah illumina gli occhi anche nelle sue storie e narrazioni. Perché tutte loro sono di grande saggezza e fondamentali per la nostra fede. Poiché sai dal senso palese dei versetti scritturali che Amram, il padre di Mosè, vide Levi, che vide Giacobbe, che imparò la Torah da Sem, figlio di Noè... Mosè... [in effetti] dichiarò pubblicamente: "me lo disse mio padre"... Inoltre, Sem figlio di Noè vide Adamo... Se questo fosse stato falso, tutti lo avrebbero saputo e sarebbe stato confutato da molti anziani e saggi del popolo che conoscevano la storia (''divrei ha-yamim''). Perché tutti noi conosciamo questi eventi pubblici dalla bocca dei nostri anziani.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 144}}
'''[3.4]''' La tradizione è chiaramente una necessità per coloro la cui fede è ancora in via di sviluppo. Questo processo di sviluppo non è semplicemente un progetto individuale; implica la trasmissione della tradizione autentica da una generazione all'altra. Avanzando nella conoscenza di Dio, colui che "cammina il percorso" torna indietro attraverso le generazioni per avere una guida. Nahmanide illustra:
{{citazione|Poiché Noè vide suo padre, che vide il primo uomo... e gli uomini di ogni generazione conoscono (''yod‘im'') dai loro padri.|CT: {{passo biblico2|Genesi|10:5}} - I, 65}}
'''[3.5]''' Il nostro legame, per tradizione autentica, con gli eventi primordiali della storia sacra poggia su quella che si potrebbe chiamare emanazione patriarcale: l'autorità di un padre umano ha la sua fonte e il suo limite nella paternità primordiale di Dio:
{{citazione|Un padre è per i suoi discendenti come un creatore, un compagno nell'atto della formazione. Perché il Signore è il nostro primo padre, e il nostro progenitore umano (''ve-ha-moleed'') è il nostro padre ultimo.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:12}} - I, 403}}
'''[3.6]''' Benché i genitori siano "secondi creatori", onorarli non è fine a se stesso come il riconoscimento di Dio, che è fondamentale:
{{citazione|Ora si compie quanto è comandato alla persona umana riguardo alla fede in Dio. Si comincia con il padre. Perché, come ti comando di onorare il primo Creatore, così ti comando di onorare il secondo, che ti ha dato l'essere, tuo padre e tua madre. Così si dice: "affinché i tuoi giorni siano prolungati [sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Perché è un comandamento riguardante gli esseri terreni (''tahtonim'') e richiede una ricompensa esterna. Ma il comandamento relativo alla fede nel Creatore non ha bisogno di una ragione (''ta‘am'') per stabilirne la validità.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 152}}
'''[3.7]''' L'enfasi di Nahmanide sul legame inestricabile tra tradizione e rivelazione è chiaramente visibile nella sua disputa con Maimonide sullo status di esegesi legale rabbinica (''derash'') della Torah scritta. I Rabbini distinguevano due tipi di esegesi giuridica. Quando chiamavano un'interpretazione "una questione di Torah" (''dvar Torah''), intendevano che l'interpretazione è la ''denotazione'' prescrittiva della Scrittura (per es., B. Baba Metsia 47b). Quando chiamavano un'interpretazione ''asmakhta'', intendevano che l'interpretazione è solo la ''connotazione'' prescrittiva del testo (per es., B. Pesahim 81b). Qui una norma formulata dai Rabbini è collegata a un versetto appropriato della Scrittura.
Molto spesso i Rabbini non etichettavano la loro [[w:esegesi|esegesi]] (lettura di un testo) o la loro [[:en:w:Eisegesis|eisegesi]] (lettura in un testo) con nessuno dei due termini. Tutte le interpretazioni non designate per Maimonide hanno lo status minore di interpretazioni connotative. In generale, sminuisce la tradizione a favore della ragione indipendente nell'Halakhah (cfr. specialmente, ''Hilkhot Mamrim'', 1.1ss.). Ma per Nahmanide la tradizione è la nostra unica connessione con la storia, ed è nella storia piuttosto che nella natura che Dio è più manifesto. La concezione di Nahmanide in merito alla continuità tra tradizione e Scrittura lo porta alla sorprendente affermazione che in definitiva tutti i comandamenti che i Rabbini hanno derivato dalla Scrittura mediante l'esegesi sono biblici:
{{citazione|Se questi [comandamenti che i Rabbini appresero tramite i principi dell'esegesi legale] si diramano da queste radici [scritturali], ne fanno ancora parte... Sebbene non siano contati come comandamenti separati, è tuttavia corretto chiamarli "parole della Torah", anche se non sono annoverati tra i 613 comandamenti... Riteniamo quindi al contrario a quanto dice Maimonide: qualsiasi cosa derivata attraverso i tredici principi dell'esegesi legale ha status scritturale (''mi-d’oraitia'') a meno che non sentiamo i rabbini designarla esplicitamente come ''asmakhta''.|''Notes sul Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'' , intro., sez. 2, pp. 32, 34}}
La maggior parte dei successivi talmudisti preferì l'approccio tradizionalista di Nahmanide rispetto all'approccio razionalista di Maimonide qui (cfr., ad esempio, Yorn Tov ben Abraham Ishbili, ''Hiddushei ha-Ritba'': Rosh Hashanah 16a). Nel glossare i testi talmudici in cui il confine tra la legge della Torah e la legge rabbinica era oscuro, alcuni talmudisti successivi (''[[w:Acharonim|aharonim]]'') in effetti a volte ricaddero sulla posizione di Nahmanide, che alla fine non c'è differenza (per es., Samuel Strashun, ''Hagahot ve-Hiddushei ha-Rashash'': Gittin 49b).
'''[3.8]''' La valutazione da parte di Nahmanide dell'autorità del precedente, semplicemente sulla base della sua antichità, può essere vista nella sua posizione su una fondamentale controversia medievale sui requisiti per abrogare la legislazione rabbinica. Il Talmud (B. 'Avodah Zarah 36a) ha stabilito che una legge rabbinica può essere abrogata dalle autorità successive se non è stata accettata dalla maggioranza di Israele. Rashi (s.v. ''lo pashat'') prende questo come riferito al tempo della promulgazione della legge. Un passaggio correlato (‘Avodah Zarah 35a) afferma che la ragione di una data legge rabbinica non dovrebbe essere rivelata per un anno, fornendo il tempo per accertare se la legge proposta abbia ottenuto l'accettazione popolare. Presumibilmente, senza tale accettazione una ragione sarebbe superflua. Ma una volta che una legge rabbinica fosse stata accettata, il rifiuto popolare non sarebbe stato sufficiente per la sua abrogazione.
Per Maimonide qualsiasi disuso, anche molto tempo dopo la prima promulgazione di una legge rabbinica, è sufficiente per la sua formale abrogazione da parte di un tribunale successivo (''Hilkhot Mamrim'', 2.7; cfr. Joseph Karo, ''Kesef Mishneh ad loc.''). Il rispetto di Nahmanide per l'autorità della tradizione porta al suo accordo con Rashi:
{{citazione|Dovresti sapere che il decreto dei discepoli di Shammai e Hillel di non mangiare pane sfornato dai gentili era uno che la maggior parte della comunità non poteva mantenere... Dico che se i saggi e le principali autorità di Israele (''gedoleihem'') avessero concordato nel permettere il pane cotto dai gentili, ciò sarebbe consentito, anche se la loro statura fosse inferiore a quella dei discepoli di Shammai e Hillel sia in saggezza che in numero [di discepoli]... Con qualsiasi decreto rabbinico (''gezerah'') che si ritiene la maggioranza della comunità sia in grado di obbedire, l'abrogazione richiede un tribunale successivo maggiore di quello originario sia per saggezza che per numero [M. ‘Eduyot 1.5]. Ma solo se non diventasse effettivamente la pratica comune di Israele. Se il decreto è divenuto prassi comune (''pashta''), nessun tribunale successivo può abrogarlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': ‘Avodah Zarah 35b, pp. 98-99}}
'''[3.9]''' Nahmanide non si stanca di insistere sul fatto che "il principio onnicomprensivo è che la tradizione (''ha-qabbalah'') è sempre vera" [CT: Es. 21:22/1:425]. È per questo motivo che le porzioni narrative della Torah hanno un significato normativo e sono più che semplici sfondi per le porzioni esplicitamente prescrittive:
{{citazione|La Torah include le storie (''sippurim'') dall'inizio della Genesi in poi. Istruisce (''moreh'') gli uomini che progrediscono in materia di fede.|CT: Introduzione - I, 1}}
'''[3.10]''' Seguendo l'insegnamento del Midrash [''Shemot Rabbah'' 3.11; 5.1], Nahmanide sostiene che il motivo per cui il popolo d'Israele ascoltò per la prima volta Mosè quando tornò in Egitto da Madian era che avevano una tradizione ancestrale "che Giuseppe trasmise (''masrah'') a Levi, dicendo che Giacobbe rivelò il suo messaggio mistico (''galah sodo'') a Giuseppe in amore" [CT: Es. 3:18 - I, 294]. Il messaggio era che il primo che sarebbe venuto e avrebbe usato le parole di Giuseppe: "Dio verrà certo a visitarvi (''paqod yifqod'')" ({{passo biblico2|Genesi|50:25}}), doveva essere accettato come il loro redentore inviato da Dio. E Mosè fu davvero colui che disse loro: "Il Signore, Dio dei vostri padri, mi è apparso... dicendo: ‘Io vi ho visitati (''paqod paqadti''), ho visto quello che vi fanno in Egitto’" ({{passo biblico2|Esodo|3:16}}).
'''[3.11]''' Il primato che Nahmanide attribuisce alla tradizione sembra essere in contrasto con la ben nota affermazione talmudica secondo cui "dal giorno in cui il Tempio fu distrutto la profezia fu sottratta ai profeti ma non ai saggi" [B. Baba Batra 12a]. Questo ''dictum'' è spesso interpretato nel senso che la ragione ora funziona come una forza indipendente nella formazione dell'ebraismo. Ma Nahmanide vede nel passaggio una distinzione tra ispirazione superiore e inferiore:
{{citazione|Ciò che il passaggio significa è questo: anche se la profezia dei profeti è stata rimossa, cioè le rivelazioni e le visioni, la profezia dei saggi, cioè il metodo della saggezza, non è stata tolta. Perché conoscono la verità attraverso lo spirito santo nel loro essere più intimo (''be-qirbam''). Secondo le esigenze del momento Dio fa dimorare la Sua presenza sui pii, anche se non sono saggi.|''Hidushei ha-Ramban'': B. Baba Batra 12a, p. 105}}
'''[3.12]''' In una sorprendente interpretazione di un passaggio talmudico spesso citato riguardante [[w:Eliezer ben Hurcanus|R. Eliezer ben Hyrkanus]], Nahmanide dimostra fino a che punto si spinge il suo tradizionalismo. Il venerabile saggio è stato messo al bando per aver rifiutato di accettare la sentenza dei suoi colleghi in una questione di Halakhah. Nonostante la sua invocazione di fenomeni soprannaturali a sostegno della sua posizione, si rifiutarono di accettarla. L'ostinazione di R. Eliezer è solitamente attribuita al rifiuto di accettare come base di una norma nient'altro che una tradizione esplicita (cfr. B. Sukkah 28a). Ma Nahmanide legge il brano come una dimostrazione che la maggioranza aveva la tradizione dalla propria parte: la tradizione aveva la precedenza sugli argomenti e persino sui fenomeni soprannaturali invocati da R. Eliezer:
{{citazione|In realtà, R. Eliezer rischiava solo di essere messo al bando temporaneo (''niddui''), che viene usato quando è in gioco l'onore di un rabbino [qui, l'onore del suo collega, R. Joshua, che sembrava prendere in giro in sue osservazioni polemiche], come con Aqabiah ben Mehallalel [cfr. M. ‘Eduyot 5.6-7]. Alcuni dicono che poiché non voleva cedere e disse... "una voce dal cielo rivendicherà la mia opinione", la sua posizione sembrava essere eresia (''ke’afqaruta''); stava prolungando eccessivamente la disputa, quindi lo misero sotto un divieto a tempo indeterminato (''berkuhu''). Poiché ciò che sostenevano era basato su una tradizione specifica (''mi-pi ha-shemu‘ah''). Ma quello che aveva detto era la sua opinione personale (''kakh hu b‘einei''). Ecco perché non accettarono nessuna delle sue prove. Se avesse sentenziato così ai giorni del Tempio, sarebbe stato dichiarato anziano in dispregio del Sinedrio (''zaqen mamre''). Di conseguenza, furono severi con lui, ponendolo sotto un divieto a tempo indeterminato.|''Hiddushei ha-Ramban'': B. Baba Metzia 59b, p. 53}}
Sorprendentemente, Baba Metsia non afferma che R. Eliezer abbia presentato la sua opinione come fosse sua propria. Ma Nahmanide applica un brano da un altro contesto, B. Sanhedrin 88a, che sostiene che uno ''zaqen mamre'' doveva essere giustiziato se avesse detto "tale mi sembra" ma i suoi colleghi del Sinedrio dissero: "è una tradizione (''mi-pi ha-shemu‘ah'')".
'''[3.13]''' Nahmanide rifiuta Aristotele come guida alla vera conoscenza di Dio perché "egli rifiutava tutta la verità tranne ciò che poteva sperimentare attraverso i suoi sensi (''ha-murgash lo'')... Perché si presumeva che tutto ciò che non afferrava con la propria intelligenza riteneva essere falso» (CT: Lv. 16,8 - II, 91). Era già abbastanza grave che ad Aristotele mancasse la rivelazione, ma molto peggio per gli ebrei, che avevano ricevuto la Torah, tentare di costituire la conoscenza religiosa senza di essa. È dubbio che Nahmanide abbia mai letto Aristotele, ma la sua obiezione non è tanto contro il filosofo stesso quanto contro quei teologi ebrei, in particolare Maimonide, che cercarono di basare il pensiero ebraico su un fondamento così inadeguato come la filosofia aristotelica.
'''[3.14]''' Il pensiero di Aristotele, sostiene Nahmanide, poggia su una base troppo ristretta. Se non gli fosse mancata la rivelazione e una tradizione più antica (cfr. Platone, ''[[w:Timeo (dialogo)|Timeo]]'' 22B), non avrebbe dedotto l'impossibilità di una vera innovazione nel mondo:
{{citazione|Nega una serie di cose che molti hanno visto. Noi stessi siamo stati testimoni della loro verità, ed essi sono conosciuti (''ve-nitpar-semu'') in tutto il mondo... A causa della loro [le prime generazioni di esseri umani] vicinanza alla creazione del mondo e al Diluvio, non c'era nessuno che negò la creazione del mondo ''de novo'' o si ribellò a Dio stesso... Ma quando sorsero i Greci, un popolo nuovo che non ereditò la saggezza, come spiega Ha-Levi nel ''Kuzari'' [1.65], sorse questo famoso uomo [Aristotele], che credeva solo nelle caratteristiche sensoriali della natura (''pe‘ulah raq le-tiv‘im''). Eppure è risaputo (''u-mefursam'') che ciò non è corretto.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 147}}
'''[3.15]''' Nahmanide sostiene che la rivelazione fornisce la conoscenza a cui i filosofi aspirano ma non ottengono mai con i loro sforzi indipendenti, un punto fatto in precedenza da Ha-Levi (''Kuzari'', 1.4; 4.13; 5.14):
{{citazione|Nessuno dei filosofi conosce l'ordine creato (''ba-yetsirah'') ciò che il minimo in Israele invece sa. Perché chiaramente il valore (''to‘elet'') delle altre scienze è solo come una scala verso quella saggezza che è chiamata "conoscenza del Creatore".|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155}}
'''[3.16]''' Nahmanide sottolinea la differenza tra il pensiero creato dall'uomo e la saggezza di Dio nel contrapporre Elihu agli altri amici di Giobbe:
{{citazione|Si vede che una volta udite le parole di Elihu, Giobbe non gli rispose affatto. Questo in effetti ci mostra che la sua risposta era nuova, non come quella degli altri amici... Si vede che le argomentazioni degli amici erano opinioni che nascevano dai loro stessi pensieri... Non troviamo che nessuno di loro chiamasse il loro argomenta saggezza (''[[:en:w:Chokhmah|hokhmah]]'')... ma con Elihu, tutte le sue parole sono chiamate saggezza, ad esempio: "Taci, e t'insegnerò meravigliosa saggezza" ({{passo biblico2|Giobbe|33:33}})... Questa è un'indicazione che la sua argomentazione era unica e che si trattava di saggezza rivelata, proveniente dagli uomini della Torah e dai profeti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 32:2 - 1 , 96-97}}
'''[3.17]''' Poiché il riconoscimento di Dio presuppone rivelazione e tradizione, Nahmanide attribuisce l'antico punto di vista secondo cui Giobbe era un [[w:Edomiti|edomita]], discendente da Abramo e Isacco attraverso Esaù. Ecco perché poteva riconoscere Dio e osservare i comandamenti razionali:
{{citazione|Quindi è probabile che quest'uomo fosse della stirpe di Abramo, un edomita. Riconobbe il suo Creatore e lo servì per mezzo dei comandamenti razionali (''ha-mitsvot ha-sikhliyot'')... La Scrittura menziona che questi uomini, Giobbe e i suoi amici, erano del seme dell'uomo [Abramo] che fu il fondatore della fede. Conservarono ancora la sua via, come è scritto: "Infatti, io l'ho prescelto perché ordini ai suoi figli, e alla sua casa dopo di lui, ecc." ({{passo biblico2|Genesi|18:19}}).|KR: ''Commentario a Giobbe'' 1:1 - I, 27}}
Nahmanide segue qui un'opinione rabbinica secondo cui Giobbe era un gentile (B. Baba Batra 15a-b; Bereshit Rabbah 57.4, cur. Theodor-Albeck, 614, 617). Ma molte fonti rabbiniche presumono che fosse ebreo (cfr. [[w:Louis Ginzberg|Louis Ginzberg]], ''Legends of the Jewish'', 5.381-82, n. 3).
'''[3.18]''' Ai teologi ebrei aristotelici la storia sembrava appartenere al reame dell'effimero e quindi mancare di una reale intelligibilità. Ma per Nahmanide, come per Ha-Levi, la storia custodita nella memoria dal popolo d'Israele, rivela Dio come "il Custode (''ha-manhig'') del tempo mediante la Sua potenza" (CT: {{passo biblico2|Genesi|21:33}} - I, 1125). Tuttavia, la visione storica di Nahmanide non è focalizzata sullo sviluppo. Come gli antichi, considerava il cambiamento insignificante. Piuttosto, la storia per lui era la manifestazione di eventi unici, da raccontare e rivivere ritualmente. Questi eventi diventano gli archetipi di tutte le successive esperienze comunitarie della presenza di Dio. Come afferma: "l'intera Torah è la storia (''toldot'') dell'uomo" (CT: {{passo biblico2|Genesi|5:1}} - I, 47).
[[Maimonide]] trova sviluppo storico anche all'interno della Torah, ma Nahmanide non accetterà nulla di tutto questo. Per lui, la Torah è tutta d'un pezzo. È, immediatamente, la prospettiva divina sulla condizione umana. Ma alla fine, è il copione di un dramma divino interiore in cui ad alcuni ebrei benedetti vengono concessi ruoli di supporto. Nel proporre questo punto di vista, Nahmanide ha posto le basi per la comprensione cabalistica della Torah, che trova il vero significato dei comandamenti nel loro portento come espressioni simboliche della vita divina:
{{citazione|[[Maimonide]] nella ''[[Guida dei perplessi]]'' [3.46] disse che il motivo dei sacrifici è che... gli Israeliti dovevano essere curati dalle credenze corrotte, che sono una malattia dell'anima... ma queste sono parole vuote (''divrei hava‘i'')... È più corretto accettare la spiegazione che, poiché le azioni degli esseri umani comprendono il pensiero, la parola e l'azione, così il Signore ha comandato che quando uno pecca e porta un sacrificio, vi preme le mani – corrispondente a l'atto – confessa con la bocca – corrispondente alla parola – e brucia gli intestini e i reni, strumenti del pensiero e della lussuria... Questa interpretazione fa appello all'immaginazione, come ''aggadah''. Ma, secondo la via della verità più profonda (''derekh ha-’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') riguardo ai sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
{{Avanzamento|75%|24 giugno 2022}}
[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 3]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Hubert Herkomer - Herkomer-97896new - A Rabbi at prayer.jpg|thumb|480px|center|''Rabbino in preghiera'', di [[w:Hubert von Herkomer|Hubert von Herkomer]] (1891)]]
== Tradizione ==
'''[3.1]''' Nahmanide era profondamente consapevole che la conoscenza immediata di Dio è uno stato esaltato, profetico, al di là delle capacità della gente comune. È necessaria una mediazione tra la conoscenza diretta di Dio e la conoscenza umana ordinaria. Ma tale mediazione non può venire attraverso la conoscenza del mondo fisico. Perché la natura non ha coscienza di Dio. La tradizione assume il ruolo critico di veicolare tale conoscenza. La sua credibilità deriva dalla nostra fede nella veridicità dei nostri genitori. Il fattore più basilare nell'identità dell'infanzia, "Di chi sono figlio?", può essere una questione di certezza solo quando il bambino ha fiducia nelle intenzioni dei genitori. I genitori, quindi, non sono solo il legame biologico tra il bambino e il creato, ma anche il legame noetico con esso. Stabiliscono la fiducia che farà emergere la fede religiosa. La veridicità della tradizione ebraica si basa sull'affidabilità degli antenati. La fonte della tradizione è la verità divina e, secondo Nahmanide, solo la colpa morale dell'inganno umano, non la colpa intellettuale dell'errore umano, potrebbe rendere falsa questa tradizione. Ma l'inganno da parte dei nostri antenati è impensabile. La tradizione che riceviamo da loro non può essere messa in dubbio. Dell'esperienza del Sinai, Nahmanide scrive:
{{citazione|Il valore (''ha-to‘elet'') di questo comandamento è immenso. Perché, se le parole della Torah ci venissero solo dalla bocca di Mosè... allora se un profeta o un sognatore sorgesse in mezzo a noi e ci comandasse di agire contro la Torah... il dubbio entrerebbe nel cuore degli uomini. Ma poiché la Torah viene dalla bocca di Dio (''mi-pi ha-Gevurah'') alle nostre orecchie, e abbiamo visto con i nostri occhi che non c'è intermediario (''emtsa‘i''), possiamo confutare tutti coloro che la contestano e smentire tutti coloro che ne dubitano... Perché quando lo diciamo ai nostri figli, sanno che è vero. Senza dubbio, è come se (''ke’ilu'') tutte le generazioni lo vedessero da sole. Poiché non lasceremmo loro in eredità qualcosa di vano (''hevel'') e di inutile.|CT: {{passo biblico2|Dt|4:9}} - II, 362}}
'''[3.2]''' Nahmanide legge la presentazione delle genealogie da parte della Torah come una dimostrazione che la tradizione è stata trasmessa dai testimoni oculari ai loro discendenti senza interruzioni, preservando l'affidabilità del resoconto:
{{citazione|È chiaro il motivo per cui queste famiglie e le loro dimore [sono menzionate] e perché sono state disperse nel mondo: per convalidare (''l’ammet'') il resoconto della creazione. Se si fa fatica a capire quanto fosse vicina la creazione... la Torah toglie questo dubbio ricordando la genealogia delle famiglie, i loro nomi, e il motivo della loro dispersione e cambio di lingue... Perché ci furono solo tre generazioni da Adamo al Diluvio, e ciascuno aveva ricevuto la tradizione da suo padre.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 170}}
'''[3.3]''' A sostegno della veridicità della tradizione scritturale, Nahmanide scrive:
{{citazione|La Torah illumina gli occhi anche nelle sue storie e narrazioni. Perché tutte loro sono di grande saggezza e fondamentali per la nostra fede. Poiché sai dal senso palese dei versetti scritturali che Amram, il padre di Mosè, vide Levi, che vide Giacobbe, che imparò la Torah da Sem, figlio di Noè... Mosè... [in effetti] dichiarò pubblicamente: "me lo disse mio padre"... Inoltre, Sem figlio di Noè vide Adamo... Se questo fosse stato falso, tutti lo avrebbero saputo e sarebbe stato confutato da molti anziani e saggi del popolo che conoscevano la storia (''divrei ha-yamim''). Perché tutti noi conosciamo questi eventi pubblici dalla bocca dei nostri anziani.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 144}}
'''[3.4]''' La tradizione è chiaramente una necessità per coloro la cui fede è ancora in via di sviluppo. Questo processo di sviluppo non è semplicemente un progetto individuale; implica la trasmissione della tradizione autentica da una generazione all'altra. Avanzando nella conoscenza di Dio, colui che "cammina il percorso" torna indietro attraverso le generazioni per avere una guida. Nahmanide illustra:
{{citazione|Poiché Noè vide suo padre, che vide il primo uomo... e gli uomini di ogni generazione conoscono (''yod‘im'') dai loro padri.|CT: {{passo biblico2|Genesi|10:5}} - I, 65}}
'''[3.5]''' Il nostro legame, per tradizione autentica, con gli eventi primordiali della storia sacra poggia su quella che si potrebbe chiamare emanazione patriarcale: l'autorità di un padre umano ha la sua fonte e il suo limite nella paternità primordiale di Dio:
{{citazione|Un padre è per i suoi discendenti come un creatore, un compagno nell'atto della formazione. Perché il Signore è il nostro primo padre, e il nostro progenitore umano (''ve-ha-moleed'') è il nostro padre ultimo.|CT: {{passo biblico2|Esodo|20:12}} - I, 403}}
'''[3.6]''' Benché i genitori siano "secondi creatori", onorarli non è fine a se stesso come il riconoscimento di Dio, che è fondamentale:
{{citazione|Ora si compie quanto è comandato alla persona umana riguardo alla fede in Dio. Si comincia con il padre. Perché, come ti comando di onorare il primo Creatore, così ti comando di onorare il secondo, che ti ha dato l'essere, tuo padre e tua madre. Così si dice: "affinché i tuoi giorni siano prolungati [sulla terra che il Signore, il tuo Dio, ti dà" ({{passo biblico2|Esodo|20:12}}). Perché è un comandamento riguardante gli esseri terreni (''tahtonim'') e richiede una ricompensa esterna. Ma il comandamento relativo alla fede nel Creatore non ha bisogno di una ragione (''ta‘am'') per stabilirne la validità.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 152}}
'''[3.7]''' L'enfasi di Nahmanide sul legame inestricabile tra tradizione e rivelazione è chiaramente visibile nella sua disputa con Maimonide sullo status di esegesi legale rabbinica (''derash'') della Torah scritta. I Rabbini distinguevano due tipi di esegesi giuridica. Quando chiamavano un'interpretazione "una questione di Torah" (''dvar Torah''), intendevano che l'interpretazione è la ''denotazione'' prescrittiva della Scrittura (per es., B. Baba Metsia 47b). Quando chiamavano un'interpretazione ''asmakhta'', intendevano che l'interpretazione è solo la ''connotazione'' prescrittiva del testo (per es., B. Pesahim 81b). Qui una norma formulata dai Rabbini è collegata a un versetto appropriato della Scrittura.
Molto spesso i Rabbini non etichettavano la loro [[w:esegesi|esegesi]] (lettura di un testo) o la loro [[:en:w:Eisegesis|eisegesi]] (lettura in un testo) con nessuno dei due termini. Tutte le interpretazioni non designate per Maimonide hanno lo status minore di interpretazioni connotative. In generale, sminuisce la tradizione a favore della ragione indipendente nell'Halakhah (cfr. specialmente, ''Hilkhot Mamrim'', 1.1ss.). Ma per Nahmanide la tradizione è la nostra unica connessione con la storia, ed è nella storia piuttosto che nella natura che Dio è più manifesto. La concezione di Nahmanide in merito alla continuità tra tradizione e Scrittura lo porta alla sorprendente affermazione che in definitiva tutti i comandamenti che i Rabbini hanno derivato dalla Scrittura mediante l'esegesi sono biblici:
{{citazione|Se questi [comandamenti che i Rabbini appresero tramite i principi dell'esegesi legale] si diramano da queste radici [scritturali], ne fanno ancora parte... Sebbene non siano contati come comandamenti separati, è tuttavia corretto chiamarli "parole della Torah", anche se non sono annoverati tra i 613 comandamenti... Riteniamo quindi al contrario a quanto dice Maimonide: qualsiasi cosa derivata attraverso i tredici principi dell'esegesi legale ha status scritturale (''mi-d’oraitia'') a meno che non sentiamo i rabbini designarla esplicitamente come ''asmakhta''.|''Notes sul Sefer ha-Mitzvot di Maimonide'' , intro., sez. 2, pp. 32, 34}}
La maggior parte dei successivi talmudisti preferì l'approccio tradizionalista di Nahmanide rispetto all'approccio razionalista di Maimonide qui (cfr., ad esempio, Yorn Tov ben Abraham Ishbili, ''Hiddushei ha-Ritba'': Rosh Hashanah 16a). Nel glossare i testi talmudici in cui il confine tra la legge della Torah e la legge rabbinica era oscuro, alcuni talmudisti successivi (''[[w:Acharonim|aharonim]]'') in effetti a volte ricaddero sulla posizione di Nahmanide, che alla fine non c'è differenza (per es., Samuel Strashun, ''Hagahot ve-Hiddushei ha-Rashash'': Gittin 49b).
'''[3.8]''' La valutazione da parte di Nahmanide dell'autorità del precedente, semplicemente sulla base della sua antichità, può essere vista nella sua posizione su una fondamentale controversia medievale sui requisiti per abrogare la legislazione rabbinica. Il Talmud (B. 'Avodah Zarah 36a) ha stabilito che una legge rabbinica può essere abrogata dalle autorità successive se non è stata accettata dalla maggioranza di Israele. Rashi (s.v. ''lo pashat'') prende questo come riferito al tempo della promulgazione della legge. Un passaggio correlato (‘Avodah Zarah 35a) afferma che la ragione di una data legge rabbinica non dovrebbe essere rivelata per un anno, fornendo il tempo per accertare se la legge proposta abbia ottenuto l'accettazione popolare. Presumibilmente, senza tale accettazione una ragione sarebbe superflua. Ma una volta che una legge rabbinica fosse stata accettata, il rifiuto popolare non sarebbe stato sufficiente per la sua abrogazione.
Per Maimonide qualsiasi disuso, anche molto tempo dopo la prima promulgazione di una legge rabbinica, è sufficiente per la sua formale abrogazione da parte di un tribunale successivo (''Hilkhot Mamrim'', 2.7; cfr. Joseph Karo, ''Kesef Mishneh ad loc.''). Il rispetto di Nahmanide per l'autorità della tradizione porta al suo accordo con Rashi:
{{citazione|Dovresti sapere che il decreto dei discepoli di Shammai e Hillel di non mangiare pane sfornato dai gentili era uno che la maggior parte della comunità non poteva mantenere... Dico che se i saggi e le principali autorità di Israele (''gedoleihem'') avessero concordato nel permettere il pane cotto dai gentili, ciò sarebbe consentito, anche se la loro statura fosse inferiore a quella dei discepoli di Shammai e Hillel sia in saggezza che in numero [di discepoli]... Con qualsiasi decreto rabbinico (''gezerah'') che si ritiene la maggioranza della comunità sia in grado di obbedire, l'abrogazione richiede un tribunale successivo maggiore di quello originario sia per saggezza che per numero [M. ‘Eduyot 1.5]. Ma solo se non diventasse effettivamente la pratica comune di Israele. Se il decreto è divenuto prassi comune (''pashta''), nessun tribunale successivo può abrogarlo.|''Hiddushei ha-Ramban ha-Shalem'': ‘Avodah Zarah 35b, pp. 98-99}}
'''[3.9]''' Nahmanide non si stanca di insistere sul fatto che "il principio onnicomprensivo è che la tradizione (''ha-qabbalah'') è sempre vera" [CT: Es. 21:22/1:425]. È per questo motivo che le porzioni narrative della Torah hanno un significato normativo e sono più che semplici sfondi per le porzioni esplicitamente prescrittive:
{{citazione|La Torah include le storie (''sippurim'') dall'inizio della Genesi in poi. Istruisce (''moreh'') gli uomini che progrediscono in materia di fede.|CT: Introduzione - I, 1}}
'''[3.10]''' Seguendo l'insegnamento del Midrash [''Shemot Rabbah'' 3.11; 5.1], Nahmanide sostiene che il motivo per cui il popolo d'Israele ascoltò per la prima volta Mosè quando tornò in Egitto da Madian era che avevano una tradizione ancestrale "che Giuseppe trasmise (''masrah'') a Levi, dicendo che Giacobbe rivelò il suo messaggio mistico (''galah sodo'') a Giuseppe in amore" [CT: Es. 3:18 - I, 294]. Il messaggio era che il primo che sarebbe venuto e avrebbe usato le parole di Giuseppe: "Dio verrà certo a visitarvi (''paqod yifqod'')" ({{passo biblico2|Genesi|50:25}}), doveva essere accettato come il loro redentore inviato da Dio. E Mosè fu davvero colui che disse loro: "Il Signore, Dio dei vostri padri, mi è apparso... dicendo: ‘Io vi ho visitati (''paqod paqadti''), ho visto quello che vi fanno in Egitto’" ({{passo biblico2|Esodo|3:16}}).
'''[3.11]''' Il primato che Nahmanide attribuisce alla tradizione sembra essere in contrasto con la ben nota affermazione talmudica secondo cui "dal giorno in cui il Tempio fu distrutto la profezia fu sottratta ai profeti ma non ai saggi" [B. Baba Batra 12a]. Questo ''dictum'' è spesso interpretato nel senso che la ragione ora funziona come una forza indipendente nella formazione dell'ebraismo. Ma Nahmanide vede nel passaggio una distinzione tra ispirazione superiore e inferiore:
{{citazione|Ciò che il passaggio significa è questo: anche se la profezia dei profeti è stata rimossa, cioè le rivelazioni e le visioni, la profezia dei saggi, cioè il metodo della saggezza, non è stata tolta. Perché conoscono la verità attraverso lo spirito santo nel loro essere più intimo (''be-qirbam''). Secondo le esigenze del momento Dio fa dimorare la Sua presenza sui pii, anche se non sono saggi.|''Hidushei ha-Ramban'': B. Baba Batra 12a, p. 105}}
'''[3.12]''' In una sorprendente interpretazione di un passaggio talmudico spesso citato riguardante [[w:Eliezer ben Hurcanus|R. Eliezer ben Hyrkanus]], Nahmanide dimostra fino a che punto si spinge il suo tradizionalismo. Il venerabile saggio è stato messo al bando per aver rifiutato di accettare la sentenza dei suoi colleghi in una questione di Halakhah. Nonostante la sua invocazione di fenomeni soprannaturali a sostegno della sua posizione, si rifiutarono di accettarla. L'ostinazione di R. Eliezer è solitamente attribuita al rifiuto di accettare come base di una norma nient'altro che una tradizione esplicita (cfr. B. Sukkah 28a). Ma Nahmanide legge il brano come una dimostrazione che la maggioranza aveva la tradizione dalla propria parte: la tradizione aveva la precedenza sugli argomenti e persino sui fenomeni soprannaturali invocati da R. Eliezer:
{{citazione|In realtà, R. Eliezer rischiava solo di essere messo al bando temporaneo (''niddui''), che viene usato quando è in gioco l'onore di un rabbino [qui, l'onore del suo collega, R. Joshua, che sembrava prendere in giro in sue osservazioni polemiche], come con Aqabiah ben Mehallalel [cfr. M. ‘Eduyot 5.6-7]. Alcuni dicono che poiché non voleva cedere e disse... "una voce dal cielo rivendicherà la mia opinione", la sua posizione sembrava essere eresia (''ke’afqaruta''); stava prolungando eccessivamente la disputa, quindi lo misero sotto un divieto a tempo indeterminato (''berkuhu''). Poiché ciò che sostenevano era basato su una tradizione specifica (''mi-pi ha-shemu‘ah''). Ma quello che aveva detto era la sua opinione personale (''kakh hu b‘einei''). Ecco perché non accettarono nessuna delle sue prove. Se avesse sentenziato così ai giorni del Tempio, sarebbe stato dichiarato anziano in dispregio del Sinedrio (''zaqen mamre''). Di conseguenza, furono severi con lui, ponendolo sotto un divieto a tempo indeterminato.|''Hiddushei ha-Ramban'': B. Baba Metzia 59b, p. 53}}
Sorprendentemente, Baba Metsia non afferma che R. Eliezer abbia presentato la sua opinione come fosse sua propria. Ma Nahmanide applica un brano da un altro contesto, B. Sanhedrin 88a, che sostiene che uno ''zaqen mamre'' doveva essere giustiziato se avesse detto "tale mi sembra" ma i suoi colleghi del Sinedrio dissero: "è una tradizione (''mi-pi ha-shemu‘ah'')".
'''[3.13]''' Nahmanide rifiuta Aristotele come guida alla vera conoscenza di Dio perché "egli rifiutava tutta la verità tranne ciò che poteva sperimentare attraverso i suoi sensi (''ha-murgash lo'')... Perché si presumeva che tutto ciò che non afferrava con la propria intelligenza riteneva essere falso» (CT: Lv. 16,8 - II, 91). Era già abbastanza grave che ad Aristotele mancasse la rivelazione, ma molto peggio per gli ebrei, che avevano ricevuto la Torah, tentare di costituire la conoscenza religiosa senza di essa. È dubbio che Nahmanide abbia mai letto Aristotele, ma la sua obiezione non è tanto contro il filosofo stesso quanto contro quei teologi ebrei, in particolare Maimonide, che cercarono di basare il pensiero ebraico su un fondamento così inadeguato come la filosofia aristotelica.
'''[3.14]''' Il pensiero di Aristotele, sostiene Nahmanide, poggia su una base troppo ristretta. Se non gli fosse mancata la rivelazione e una tradizione più antica (cfr. Platone, ''[[w:Timeo (dialogo)|Timeo]]'' 22B), non avrebbe dedotto l'impossibilità di una vera innovazione nel mondo:
{{citazione|Nega una serie di cose che molti hanno visto. Noi stessi siamo stati testimoni della loro verità, ed essi sono conosciuti (''ve-nitpar-semu'') in tutto il mondo... A causa della loro [le prime generazioni di esseri umani] vicinanza alla creazione del mondo e al Diluvio, non c'era nessuno che negò la creazione del mondo ''de novo'' o si ribellò a Dio stesso... Ma quando sorsero i Greci, un popolo nuovo che non ereditò la saggezza, come spiega Ha-Levi nel ''Kuzari'' [1.65], sorse questo famoso uomo [Aristotele], che credeva solo nelle caratteristiche sensoriali della natura (''pe‘ulah raq le-tiv‘im''). Eppure è risaputo (''u-mefursam'') che ciò non è corretto.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 147}}
'''[3.15]''' Nahmanide sostiene che la rivelazione fornisce la conoscenza a cui i filosofi aspirano ma non ottengono mai con i loro sforzi indipendenti, un punto fatto in precedenza da Ha-Levi (''Kuzari'', 1.4; 4.13; 5.14):
{{citazione|Nessuno dei filosofi conosce l'ordine creato (''ba-yetsirah'') ciò che il minimo in Israele invece sa. Perché chiaramente il valore (''to‘elet'') delle altre scienze è solo come una scala verso quella saggezza che è chiamata "conoscenza del Creatore".|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155}}
'''[3.16]''' Nahmanide sottolinea la differenza tra il pensiero creato dall'uomo e la saggezza di Dio nel contrapporre Elihu agli altri amici di Giobbe:
{{citazione|Si vede che una volta udite le parole di Elihu, Giobbe non gli rispose affatto. Questo in effetti ci mostra che la sua risposta era nuova, non come quella degli altri amici... Si vede che le argomentazioni degli amici erano opinioni che nascevano dai loro stessi pensieri... Non troviamo che nessuno di loro chiamasse il loro argomenta saggezza (''[[:en:w:Chokhmah|hokhmah]]'')... ma con Elihu, tutte le sue parole sono chiamate saggezza, ad esempio: "Taci, e t'insegnerò meravigliosa saggezza" ({{passo biblico2|Giobbe|33:33}})... Questa è un'indicazione che la sua argomentazione era unica e che si trattava di saggezza rivelata, proveniente dagli uomini della Torah e dai profeti.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 32:2 - 1 , 96-97}}
'''[3.17]''' Poiché il riconoscimento di Dio presuppone rivelazione e tradizione, Nahmanide attribuisce l'antico punto di vista secondo cui Giobbe era un [[w:Edomiti|edomita]], discendente da Abramo e Isacco attraverso Esaù. Ecco perché poteva riconoscere Dio e osservare i comandamenti razionali:
{{citazione|Quindi è probabile che quest'uomo fosse della stirpe di Abramo, un edomita. Riconobbe il suo Creatore e lo servì per mezzo dei comandamenti razionali (''ha-mitsvot ha-sikhliyot'')... La Scrittura menziona che questi uomini, Giobbe e i suoi amici, erano del seme dell'uomo [Abramo] che fu il fondatore della fede. Conservarono ancora la sua via, come è scritto: "Infatti, io l'ho prescelto perché ordini ai suoi figli, e alla sua casa dopo di lui, ecc." ({{passo biblico2|Genesi|18:19}}).|KR: ''Commentario a Giobbe'' 1:1 - I, 27}}
Nahmanide segue qui un'opinione rabbinica secondo cui Giobbe era un gentile (B. Baba Batra 15a-b; Bereshit Rabbah 57.4, cur. Theodor-Albeck, 614, 617). Ma molte fonti rabbiniche presumono che fosse ebreo (cfr. [[w:Louis Ginzberg|Louis Ginzberg]], ''Legends of the Jewish'', 5.381-82, n. 3).
'''[3.18]''' Ai teologi ebrei aristotelici la storia sembrava appartenere al reame dell'effimero e quindi mancare di una reale intelligibilità. Ma per Nahmanide, come per Ha-Levi, la storia custodita nella memoria dal popolo d'Israele, rivela Dio come "il Custode (''ha-manhig'') del tempo mediante la Sua potenza" (CT: {{passo biblico2|Genesi|21:33}} - I, 1125). Tuttavia, la visione storica di Nahmanide non è focalizzata sullo sviluppo. Come gli antichi, considerava il cambiamento insignificante. Piuttosto, la storia per lui era la manifestazione di eventi unici, da raccontare e rivivere ritualmente. Questi eventi diventano gli archetipi di tutte le successive esperienze comunitarie della presenza di Dio. Come afferma: "l'intera Torah è la storia (''toldot'') dell'uomo" (CT: {{passo biblico2|Genesi|5:1}} - I, 47).
[[Maimonide]] trova sviluppo storico anche all'interno della Torah, ma Nahmanide non accetterà nulla di tutto questo. Per lui, la Torah è tutta d'un pezzo. È, immediatamente, la prospettiva divina sulla condizione umana. Ma alla fine, è il copione di un dramma divino interiore in cui ad alcuni ebrei benedetti vengono concessi ruoli di supporto. Nel proporre questo punto di vista, Nahmanide ha posto le basi per la comprensione cabalistica della Torah, che trova il vero significato dei comandamenti nel loro portento come espressioni simboliche della vita divina:
{{citazione|[[Maimonide]] nella ''[[Guida dei perplessi]]'' [3.46] disse che il motivo dei sacrifici è che... gli Israeliti dovevano essere curati dalle credenze corrotte, che sono una malattia dell'anima... ma queste sono parole vuote (''divrei hava‘i'')... È più corretto accettare la spiegazione che, poiché le azioni degli esseri umani comprendono il pensiero, la parola e l'azione, così il Signore ha comandato che quando uno pecca e porta un sacrificio, vi preme le mani – corrispondente a l'atto – confessa con la bocca – corrispondente alla parola – e brucia gli intestini e i reni, strumenti del pensiero e della lussuria... Questa interpretazione fa appello all'immaginazione, come ''aggadah''. Ma, secondo la via della verità più profonda (''derekh ha-’emet''), c'è un mistero nascosto (''sod ne‘elam'') riguardo ai sacrifici.|CT: {{passo biblico2|Levitico|1:9}} - II, 11-12}}
Nahmanide preferisce un'interpretazione psicologica e aggadica dei sacrifici all'interpretazione storicistica di Maimonide (cfr. anche, CT: Lev. 4:2 - II, 22). Assunse una posizione eclettica nei confronti dell'Aggadah (cfr. KR: ''Disputazione'', sez. 39, I, 308), ma la considera chiaramente come parte della tradizione autentica. La teologia ebraica razionalista per lui non lo era. Alla fine, più l'Aggadah si avvicinava alla verità della Cabala, più sembrava autentica a Nahmanide. In effetti usò la Cabala come criterio per riformulare molti ''aggadot''; cfr. E. R. Wolfson, "By Way of Truth".
'''[3.19]''' Nahmanide insiste spesso sulla compatibilità dell'Aggadah con la verità superiore della Cabala. In un punto scrive: "queste sono parole di Aggadah e sono anche parole di verità superiore" (CT: {{passo biblico2|Esodo|1:1}} - I, 280). Sebbene l'Aggadah sia su un piano inferiore rispetto alla Cabala, a volte viene data la preferenza al significato apparente (''peshat'') di un verso:
{{citazione|Dovremmo lasciare il versetto scritturale nel suo significato letterale (''ke-mashma‘uto'') e perseguire l'interpretazione midrashica... Questo è ciò che sembra il significato più profondo del passaggio, così le parole dei saggi possono perdurare. Questo è ciò che è bello e accettabile.|CT: {{passo biblico2|Levitico|14:46}} - II, 84}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 3]]
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Nahmanide teologo/Capitolo 4
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Krestin – Rabbi reading.jpg|thumb|540px|center|''Rabbino che legge'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]]
== Miracoli ==
'''[4.1]''' Per Nahmanide l'atto di fede (''emunah'') è l'anticipazione umana della provvidenza. Senza tale fede, non si riconoscerebbe il potere provvidenziale quando viene esercitato. La Provvidenza si manifesta in quelli che Nahmanide chiama "miracoli segreti" (''nissim nistarim''):
{{citazione|‘Dio Onnipotente’ (''El Shaddai'')... questo nome esprime l'attributo della potenza (''ha-Gevurah'') che governa il mondo quaggiù... La ragione per cui è menzionato ora [alla promessa pattizia di Dio ad Abramo] è che è attraverso questo nome che si compiono miracoli segreti per i giusti... come tutti i miracoli compiuti per Abramo e gli altri patriarchi, e come... le benedizioni e le maledizioni [che accompagnano l'obbedienza o la disobbedienza di Israele ai comandamenti], sono tutti miracoli. Poiché non è per natura che la pioggia cada a tempo debito a causa del nostro servizio a Dio... Così con tutti gli eventi designati (''ha-ye‘udim'') nella Torah... l'influenza delle costellazioni celesti (''ha-mazalot'') è superata. Tuttavia questi miracoli non si discostano dal corso abituale del mondo (''miminhago shel ‘olam''), come fecero i miracoli compiuti da Mosè.|CT: {{passo biblico2|Genesi|17:1}} - I, 98}}
Non c'è alcuna reale differenza nella teologia cabalistica tra rivelazione e creazione, quindi le parole della Torah sono tutte efficaci. Sono tutte permutazioni dei nomi divini (cfr. [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]], ''On the Kabbalah and its Symbolism'', trad. R. Manheim [New York: Schocken, 1969], 36ss.). Ciò è più chiaro quando viene utilizzato un nome esplicito, come è il caso qui. Nahmanide sottolinea il potere del nome di Dio di dirigere favorevolmente il corso della natura per i giusti.
'''[4.2]''' I miracoli segreti sono nascosti nel fatto che la loro apparente causalità è ordinaria. È naturale che [[w:Giuda (patriarca)|Giuda]] sia attratto da [[w:Tamar|Tamar]]. Ma il risultato della sua attrazione fu il compimento del piano di Dio. Come in questo caso, i miracoli segreti richiedono una rivelazione successiva per essere apprezzati. I miracoli pubblici (''nissim mefursamim''), al contrario, sono immediatamente evidenti, poiché la loro causalità palese è straordinaria.
{{citazione|I Rabbini affermano esplicitamente che R. Huna disse a nome di R. Idi: Non si dovrebbe dire che Tamar fornicò o che Giuda desiderasse fornicare, ma che queste cose provenivano da Me [Dio]. Vale a dire (''kelomar''), questo era uno dei miracoli segreti che si trovano costantemente nella Torah, come abbiamo spiegato. Perché fu dal Creatore benedetto che la volontà divina e il decreto determinante (''gezerat ratson'') raggiunsero le potenze vicine alla situazione, l'angelo nominato per questa materia [attrazione sessuale]. Ci fu un'emanazione da Dio alle potenze celesti che agiscono sulle cose terrene sia in generale che in particolare.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 26}}
La fonte rabbinica qui citata non si trova in nessun testo stampato. Per una possibile fonte manoscritta, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' (New York: n.p, 1948) '''6'''.1476, n. 114.
'''[4.3]''' Ciò che i miracoli pubblici e privati hanno in comune per giustificare che ognuno sia chiamato miracolo (''nes'') è che entrambi sono intesi come espressioni dirette della volontà di Dio. Tutti gli altri eventi appartengono all'ordine naturale, rappresentato dal movimento regolare delle costellazioni. I miracoli segreti non contraddicono ovviamente questo ordine. Lo stesso evento può essere interpretato da un miscredente come naturale e da un credente come miracoloso. La differenza essenziale che lo rende miracolo, è un semplice incidente per il miscredente. Quindi, ciò che è più importante per il credente è meno importante per il miscredente. Ma i miracoli pubblici sono contrari all'ordine naturale. Infrangono le normali aspettative. Laddove c'è una predisposizione alla fede, tali esperienze straordinarie possono rimuovere l'impedimento alla sua crescita.
Nahmanide parla del "miracolo che è evidente (''galui'') e pubblico e contrario alla natura" (CT: {{passo biblico2|Genesi|46:15}} - I, 254). Con miracoli segreti, non si vede nulla di non familiare. Ciò che è insolito è la posizione favorevole nel mondo fisico della persona benedetta da un tale miracolo. Si può spiegare naturalisticamente come e quando piove. Ma perché pioverà in un punto particolare a beneficio di persone particolari non è spiegabile dalla legge naturale. Solo una precedente fede nella potenza di Dio può cogliere un tale miracolo. Perché solo la potenza di Dio ha fatto accadere l'evento proprio quando e come avvenne. La combinazione della normalità esteriore con l'unicità interiore era nota anche ai patriarchi:
{{citazione|Perché apparve ai patriarchi con questo nome [''El Shaddai''], il che significa che sottomise le costellazioni celesti a compiere tramite esse grandi miracoli, miracoli che non annullarono il normale corso del mondo... Ma le ricompense e le punizioni della Torah sono tutti miracoli segreti, che appaiono a coloro che li vedono come appartenenti al normale corso del mondo, anche se la verità è che sono punizioni e ricompense per gli esseri umani.|CT: {{passo biblico2|Esodo|6:2}} - II, 303}}
Nella fisica aristotelica ogni specie ha la sua propria natura o essenza, una "forma" indelebile, per cui i membri della specie si comportano come devono. Questo comportamento esprime l'inclinazione di ogni essere verso il proprio fine naturale (''inclinatio naturalis''). Una volta che si comprende la natura corretta di ogni essere, si può prevedere come si comporterà. Deviazioni grossolane sono impossibili. Sono ammesse solo deviazioni "accidentali" non essenziali. Queste sono attribuite a fattori casuali ([[w:Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Fisica (Aristotele)|Fisica]]'', 193b 22ss.; 197b 14ss.), che sono sempre meno significativi del modello "essenziale". Per Nahmanide, invece, nulla è impossibile per il Creatore, poiché trascende la natura. Ciò che è impossibile per un aristotelico è miracoloso per Nahmanide, come per Ha-Levi. L'"impossibile" in questo senso non è solo possibile, ma reale, e visibile nei miracoli pubblici.
Nella scienza moderna, così come si è sviluppata dai tempi di [[w:Niccolò Copernico|Copernico]], [[w:Galileo Galilei|Galileo]] e [[w:Isaac Newton|Newton]], le entità non sono più trattate come aventi nature o essenze innate o come parti di specie inalterabili. Piuttosto, tutte le entità sono dati effettivi o potenziali. Le loro interrelazioni nello spazio-tempo sono soggette a quantificazione matematica, da cui vengono astratti i modelli causali. Dal momento che le cose non sono più viste come dotate di proprietà essenziali intrinseche, l'idea di impossibilità intrinseca ha perso il suo valore. L'unica impossibilità ancora universalmente riconosciuta è l'impossibilità logica, e anche questa si è sviluppata in modi nuovi per mano di logici come [[w:Alfred North Whitehead|Alfred North Whitehead]] e [[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]], che furono fortemente influenzati dai grandi sviluppi della scienza moderna. Fenomeni ora non spiegabili all'interno di un paradigma intelligibile possono essere spiegabili una volta costituito un paradigma appropriato, con l'espansione della nostra esperienza. Il più grande esempio di tale espansione nel XX secolo è la costituzione da parte di [[w:Albert Einstein|Einstein]] di un nuovo paradigma – la [[w:Relatività ristretta|Teoria della Relatività Speciale]] – per spiegare fenomeni non spiegati dalla [[w:Meccanica newtoniana|Meccanica Newtoniana]]. (Cfr. T. S. Kuhn, ''The Structure of Scientific Revolutions'' [Chicago: University of Chicago Press, 1962] 43ss.; e per l'espandibilità indefinita dell'esperienza, David Hume, ''A Treatise of Human Nature'' I 3.14, cur. L. A. Selby-Bigge [Oxford: Clarendon Press, 1888] 170-72).
Data l'espansione dell'idea di possibilità nelle scienze naturali, la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici diventa poco plausibile nel contesto dei paradigmi regnanti nelle scienze naturali oggi. Ma la sua teoria dei miracoli segreti rimane plausibile. Perché qui un miracolo è un evento nello spazio-tempo storico piuttosto che un evento nello spazio-tempo fisico. Il suo significato sta nel quando è accaduto l'evento, a chi è accaduto e chi ora lo apprezza. Solo allora è importante il luogo in cui è successo. (Per il primato del tempo-spazio sullo spazio-tempo nel pensiero ebraico classico, si veda [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], ''The Sabbath'', ediz. ampliata [New York: Farrar, Straus, 1963], Appendice: "Space, Time and Reality: The Centrality of Time in the Biblical World View").
Lo spazio-tempo storico non può essere inteso in un modo deterministico quasi quanto lo spazio-tempo fisico, anche per i filosofi che vedono i modelli naturali nella storia. Inoltre, la [[w:evoluzione|teoria evolutiva]] in biologia e la [[w:meccanica quantistica|teoria quantistica]] in fisica affrontano le probabilità statistiche piuttosto che le rigide leggi causali (cfr. Bernard Lonergan, ''Insight'', III ed. [New York: Philosophical Library, 1970], 97ss.). Quindi la maggior parte delle scienze naturali contemporanee non contraddice la possibilità di eventi unici, non predeterminati sistematicamente. Ma un miracolo ha bisogno di ''un solo evento solitario'' che non sia sistematicamente predeterminato. Così non c'è più un divario incolmabile tra le scienze naturali e l'intuizione spirituale. La teoria dei miracoli segreti di Nahmanide – di certo ampliata e adattata – ci consente di sviluppare una teologia in cui Dio può essere apprezzato sia come Creatore dell'universo fisico che come Signore della storia.
Si può persino mantenere la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici, se si considerano i miracoli segreti come esperienze individuali dell'interesse speciale da parte di Dio e i miracoli pubblici come esperienze collettive di quello stesso interesse. Poiché il linguaggio è pubblico, il linguaggio utilizzato dalla comunità nel trasmettere la memoria della sua esperienza collettiva dell'interesse di Dio può consentire ai singoli di percepire ed esprimere i propri miracoli privati nel contesto della comunità in cui si parla un linguaggio di fede condiviso (cfr. Max Kadushin, ''The Rabbinic Mind'' [New York: JTS, 1952] 216-17). Per Nahmanide i miracoli pubblici presuppongono miracoli segreti. Ma nella visione che ho appena proposto, i miracoli individuali presuppongono miracoli collettivi. Poiché il ricordo di quest'ultimo fornisce il linguaggio per l'intelligibilità del primo.
'''[4.4]''' I miracoli nascosti segnano la distinzione tra la provvidenza generale di Dio, evidente nell'ordine naturale nel suo insieme, e la Sua speciale provvidenza, visibile solo nella vita dei giusti e di coloro che condividono la loro fede:
{{citazione|La conoscenza del Signore, che è la Sua provvidenza nel mondo quaggiù (''ba-‘olam ha-shafal''), serve a proteggere la specie. E per questo anche l'uomo può essere vittima di vicissitudini particolari (''miqrim'')... ma con i Suoi santi (''hasidav''), rivolge ad essi individualmente un'attenzione consapevole, rendendo per loro continua la Sua cura. La Sua conoscenza e consapevolezza non si allontanano mai da loro.|CT: {{passo biblico2|Genesi|18:19}} - I, 111}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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19063
/* Miracoli */ testo
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Krestin – Rabbi reading.jpg|thumb|540px|center|''Rabbino che legge'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]]
== Miracoli ==
'''[4.1]''' Per Nahmanide l'atto di fede (''emunah'') è l'anticipazione umana della provvidenza. Senza tale fede, non si riconoscerebbe il potere provvidenziale quando viene esercitato. La Provvidenza si manifesta in quelli che Nahmanide chiama "miracoli segreti" (''nissim nistarim''):
{{citazione|‘Dio Onnipotente’ (''El Shaddai'')... questo nome esprime l'attributo della potenza (''ha-Gevurah'') che governa il mondo quaggiù... La ragione per cui è menzionato ora [alla promessa pattizia di Dio ad Abramo] è che è attraverso questo nome che si compiono miracoli segreti per i giusti... come tutti i miracoli compiuti per Abramo e gli altri patriarchi, e come... le benedizioni e le maledizioni [che accompagnano l'obbedienza o la disobbedienza di Israele ai comandamenti], sono tutti miracoli. Poiché non è per natura che la pioggia cada a tempo debito a causa del nostro servizio a Dio... Così con tutti gli eventi designati (''ha-ye‘udim'') nella Torah... l'influenza delle costellazioni celesti (''ha-mazalot'') è superata. Tuttavia questi miracoli non si discostano dal corso abituale del mondo (''miminhago shel ‘olam''), come fecero i miracoli compiuti da Mosè.|CT: {{passo biblico2|Genesi|17:1}} - I, 98}}
Non c'è alcuna reale differenza nella teologia cabalistica tra rivelazione e creazione, quindi le parole della Torah sono tutte efficaci. Sono tutte permutazioni dei nomi divini (cfr. [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]], ''On the Kabbalah and its Symbolism'', trad. R. Manheim [New York: Schocken, 1969], 36ss.). Ciò è più chiaro quando viene utilizzato un nome esplicito, come è il caso qui. Nahmanide sottolinea il potere del nome di Dio di dirigere favorevolmente il corso della natura per i giusti.
'''[4.2]''' I miracoli segreti sono nascosti nel fatto che la loro apparente causalità è ordinaria. È naturale che [[w:Giuda (patriarca)|Giuda]] sia attratto da [[w:Tamar|Tamar]]. Ma il risultato della sua attrazione fu il compimento del piano di Dio. Come in questo caso, i miracoli segreti richiedono una rivelazione successiva per essere apprezzati. I miracoli pubblici (''nissim mefursamim''), al contrario, sono immediatamente evidenti, poiché la loro causalità palese è straordinaria.
{{citazione|I Rabbini affermano esplicitamente che R. Huna disse a nome di R. Idi: Non si dovrebbe dire che Tamar fornicò o che Giuda desiderasse fornicare, ma che queste cose provenivano da Me [Dio]. Vale a dire (''kelomar''), questo era uno dei miracoli segreti che si trovano costantemente nella Torah, come abbiamo spiegato. Perché fu dal Creatore benedetto che la volontà divina e il decreto determinante (''gezerat ratson'') raggiunsero le potenze vicine alla situazione, l'angelo nominato per questa materia [attrazione sessuale]. Ci fu un'emanazione da Dio alle potenze celesti che agiscono sulle cose terrene sia in generale che in particolare.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 26}}
La fonte rabbinica qui citata non si trova in nessun testo stampato. Per una possibile fonte manoscritta, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' (New York: n.p, 1948) '''6'''.1476, n. 114.
'''[4.3]''' Ciò che i miracoli pubblici e privati hanno in comune per giustificare che ognuno sia chiamato miracolo (''nes'') è che entrambi sono intesi come espressioni dirette della volontà di Dio. Tutti gli altri eventi appartengono all'ordine naturale, rappresentato dal movimento regolare delle costellazioni. I miracoli segreti non contraddicono ovviamente questo ordine. Lo stesso evento può essere interpretato da un miscredente come naturale e da un credente come miracoloso. La differenza essenziale che lo rende miracolo, è un semplice incidente per il miscredente. Quindi, ciò che è più importante per il credente è meno importante per il miscredente. Ma i miracoli pubblici sono contrari all'ordine naturale. Infrangono le normali aspettative. Laddove c'è una predisposizione alla fede, tali esperienze straordinarie possono rimuovere l'impedimento alla sua crescita.
Nahmanide parla del "miracolo che è evidente (''galui'') e pubblico e contrario alla natura" (CT: {{passo biblico2|Genesi|46:15}} - I, 254). Con miracoli segreti, non si vede nulla di non familiare. Ciò che è insolito è la posizione favorevole nel mondo fisico della persona benedetta da un tale miracolo. Si può spiegare naturalisticamente come e quando piove. Ma perché pioverà in un punto particolare a beneficio di persone particolari non è spiegabile dalla legge naturale. Solo una precedente fede nella potenza di Dio può cogliere un tale miracolo. Perché solo la potenza di Dio ha fatto accadere l'evento proprio quando e come avvenne. La combinazione della normalità esteriore con l'unicità interiore era nota anche ai patriarchi:
{{citazione|Perché apparve ai patriarchi con questo nome [''El Shaddai''], il che significa che sottomise le costellazioni celesti a compiere tramite esse grandi miracoli, miracoli che non annullarono il normale corso del mondo... Ma le ricompense e le punizioni della Torah sono tutti miracoli segreti, che appaiono a coloro che li vedono come appartenenti al normale corso del mondo, anche se la verità è che sono punizioni e ricompense per gli esseri umani.|CT: {{passo biblico2|Esodo|6:2}} - II, 303}}
Nella fisica aristotelica ogni specie ha la sua propria natura o essenza, una "forma" indelebile, per cui i membri della specie si comportano come devono. Questo comportamento esprime l'inclinazione di ogni essere verso il proprio fine naturale (''inclinatio naturalis''). Una volta che si comprende la natura corretta di ogni essere, si può prevedere come si comporterà. Deviazioni grossolane sono impossibili. Sono ammesse solo deviazioni "accidentali" non essenziali. Queste sono attribuite a fattori casuali ([[w:Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Fisica (Aristotele)|Fisica]]'', 193b 22ss.; 197b 14ss.), che sono sempre meno significativi del modello "essenziale". Per Nahmanide, invece, nulla è impossibile per il Creatore, poiché trascende la natura. Ciò che è impossibile per un aristotelico è miracoloso per Nahmanide, come per Ha-Levi. L'"impossibile" in questo senso non è solo possibile, ma reale, e visibile nei miracoli pubblici.
Nella scienza moderna, così come si è sviluppata dai tempi di [[w:Niccolò Copernico|Copernico]], [[w:Galileo Galilei|Galileo]] e [[w:Isaac Newton|Newton]], le entità non sono più trattate come aventi nature o essenze innate o come parti di specie inalterabili. Piuttosto, tutte le entità sono dati effettivi o potenziali. Le loro interrelazioni nello spazio-tempo sono soggette a quantificazione matematica, da cui vengono astratti i modelli causali. Dal momento che le cose non sono più viste come dotate di proprietà essenziali intrinseche, l'idea di impossibilità intrinseca ha perso il suo valore. L'unica impossibilità ancora universalmente riconosciuta è l'impossibilità logica, e anche questa si è sviluppata in modi nuovi per mano di logici come [[w:Alfred North Whitehead|Alfred North Whitehead]] e [[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]], che furono fortemente influenzati dai grandi sviluppi della scienza moderna. Fenomeni ora non spiegabili all'interno di un paradigma intelligibile possono essere spiegabili una volta costituito un paradigma appropriato, con l'espansione della nostra esperienza. Il più grande esempio di tale espansione nel XX secolo è la costituzione da parte di [[w:Albert Einstein|Einstein]] di un nuovo paradigma – la [[w:Relatività ristretta|Teoria della Relatività Speciale]] – per spiegare fenomeni non spiegati dalla [[w:Meccanica newtoniana|Meccanica Newtoniana]]. (Cfr. T. S. Kuhn, ''The Structure of Scientific Revolutions'' [Chicago: University of Chicago Press, 1962] 43ss.; e per l'espandibilità indefinita dell'esperienza, David Hume, ''A Treatise of Human Nature'' I 3.14, cur. L. A. Selby-Bigge [Oxford: Clarendon Press, 1888] 170-72).
Data l'espansione dell'idea di possibilità nelle scienze naturali, la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici diventa poco plausibile nel contesto dei paradigmi regnanti nelle scienze naturali oggi. Ma la sua teoria dei miracoli segreti rimane plausibile. Perché qui un miracolo è un evento nello spazio-tempo storico piuttosto che un evento nello spazio-tempo fisico. Il suo significato sta nel quando è accaduto l'evento, a chi è accaduto e chi ora lo apprezza. Solo allora è importante il luogo in cui è successo. (Per il primato del tempo-spazio sullo spazio-tempo nel pensiero ebraico classico, si veda [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], ''The Sabbath'', ediz. ampliata [New York: Farrar, Straus, 1963], Appendice: "Space, Time and Reality: The Centrality of Time in the Biblical World View").
Lo spazio-tempo storico non può essere inteso in un modo deterministico quasi quanto lo spazio-tempo fisico, anche per i filosofi che vedono i modelli naturali nella storia. Inoltre, la [[w:evoluzione|teoria evolutiva]] in biologia e la [[w:meccanica quantistica|teoria quantistica]] in fisica affrontano le probabilità statistiche piuttosto che le rigide leggi causali (cfr. Bernard Lonergan, ''Insight'', III ed. [New York: Philosophical Library, 1970], 97ss.). Quindi la maggior parte delle scienze naturali contemporanee non contraddice la possibilità di eventi unici, non predeterminati sistematicamente. Ma un miracolo ha bisogno di ''un solo evento solitario'' che non sia sistematicamente predeterminato. Così non c'è più un divario incolmabile tra le scienze naturali e l'intuizione spirituale. La teoria dei miracoli segreti di Nahmanide – di certo ampliata e adattata – ci consente di sviluppare una teologia in cui Dio può essere apprezzato sia come Creatore dell'universo fisico che come Signore della storia.
Si può persino mantenere la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici, se si considerano i miracoli segreti come esperienze individuali dell'interesse speciale da parte di Dio e i miracoli pubblici come esperienze collettive di quello stesso interesse. Poiché il linguaggio è pubblico, il linguaggio utilizzato dalla comunità nel trasmettere la memoria della sua esperienza collettiva dell'interesse di Dio può consentire ai singoli di percepire ed esprimere i propri miracoli privati nel contesto della comunità in cui si parla un linguaggio di fede condiviso (cfr. Max Kadushin, ''The Rabbinic Mind'' [New York: JTS, 1952] 216-17). Per Nahmanide i miracoli pubblici presuppongono miracoli segreti. Ma nella visione che ho appena proposto, i miracoli individuali presuppongono miracoli collettivi. Poiché il ricordo di quest'ultimo fornisce il linguaggio per l'intelligibilità del primo.
'''[4.4]''' I miracoli nascosti segnano la distinzione tra la provvidenza generale di Dio, evidente nell'ordine naturale nel suo insieme, e la Sua speciale provvidenza, visibile solo nella vita dei giusti e di coloro che condividono la loro fede:
{{citazione|La conoscenza del Signore, che è la Sua provvidenza nel mondo quaggiù (''ba-‘olam ha-shafal''), serve a proteggere la specie. E per questo anche l'uomo può essere vittima di vicissitudini particolari (''miqrim'')... ma con i Suoi santi (''hasidav''), rivolge ad essi individualmente un'attenzione consapevole, rendendo per loro continua la Sua cura. La Sua conoscenza e consapevolezza non si allontanano mai da loro.|CT: {{passo biblico2|Genesi|18:19}} - I, 111}}
'''[4.5]''' Per Nahmanide, la provvidenza è ciò che spiega i comandamenti, le ricompense e le punizioni nella Torah. Così, nella sua lettura del [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]], Elihu, non Giobbe, è l'eroe, poiché la sua affermazione di provvidenza è la più forte e coerente di tutte le posizioni presentate. Nahmanide chiama Elihu "il più grande amico di Giobbe in saggezza" (KR: ''Commentario a Giobbe'' 22:1 - I, 76). Il suo insegnamento è convincente, ma "non perché Elihu abbia alcuna prova convincente (''r’ayah mukhrahat''). Perché nessuno può risolvere questo problema se non attraverso la tradizione (''be-derekh qabbalah'')" [KR: ''Commentario a Giobbe'' 38:1 - 1 , 115]
Nahmanide evidenzia continuamente questo punto:
{{citazione|La fede nell'onniscienza di Dio, esaltato Egli sia, è qualcosa di chiaro ed evidente... [la conoscenza di Dio] delle classi di cose e di individui particolari è una pietra angolare della Torah di Mosè nostro maestro... Data questa affermazione, la Torah e i comandamenti perdurano. Perché una volta che crediamo che Dio sa ed è provvidente, la nostra fede si estenderà alla profezia, e crederemo che Egli, esaltato Egli sia, conosce e ha cura, comanda e ammonisce: ci comanda di fare ciò che è buono e giusto, ci ammonisce su ciò che è male; veglierà su di noi e manterrà per noi tutti i beni promessi nella Torah, e porterà tutte le retribuzioni su coloro che trasgrediscono contro ciò che Egli ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
'''[4.6]''' Nahmanide parla della creazione ''de novo'' del mondo da parte di Dio, della conoscenza del mondo e della provvidenza su di esso come i tre fondamenti (''mosdot'') della Torah. [KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155].
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 4]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Krestin – Rabbi reading.jpg|thumb|540px|center|''Rabbino che legge'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]]
== Miracoli ==
'''[4.1]''' Per Nahmanide l'atto di fede (''emunah'') è l'anticipazione umana della provvidenza. Senza tale fede, non si riconoscerebbe il potere provvidenziale quando viene esercitato. La Provvidenza si manifesta in quelli che Nahmanide chiama "miracoli segreti" (''nissim nistarim''):
{{citazione|‘Dio Onnipotente’ (''El Shaddai'')... questo nome esprime l'attributo della potenza (''ha-Gevurah'') che governa il mondo quaggiù... La ragione per cui è menzionato ora [alla promessa pattizia di Dio ad Abramo] è che è attraverso questo nome che si compiono miracoli segreti per i giusti... come tutti i miracoli compiuti per Abramo e gli altri patriarchi, e come... le benedizioni e le maledizioni [che accompagnano l'obbedienza o la disobbedienza di Israele ai comandamenti], sono tutti miracoli. Poiché non è per natura che la pioggia cada a tempo debito a causa del nostro servizio a Dio... Così con tutti gli eventi designati (''ha-ye‘udim'') nella Torah... l'influenza delle costellazioni celesti (''ha-mazalot'') è superata. Tuttavia questi miracoli non si discostano dal corso abituale del mondo (''miminhago shel ‘olam''), come fecero i miracoli compiuti da Mosè.|CT: {{passo biblico2|Genesi|17:1}} - I, 98}}
Non c'è alcuna reale differenza nella teologia cabalistica tra rivelazione e creazione, quindi le parole della Torah sono tutte efficaci. Sono tutte permutazioni dei nomi divini (cfr. [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]], ''On the Kabbalah and its Symbolism'', trad. R. Manheim [New York: Schocken, 1969], 36ss.). Ciò è più chiaro quando viene utilizzato un nome esplicito, come è il caso qui. Nahmanide sottolinea il potere del nome di Dio di dirigere favorevolmente il corso della natura per i giusti.
'''[4.2]''' I miracoli segreti sono nascosti nel fatto che la loro apparente causalità è ordinaria. È naturale che [[w:Giuda (patriarca)|Giuda]] sia attratto da [[w:Tamar|Tamar]]. Ma il risultato della sua attrazione fu il compimento del piano di Dio. Come in questo caso, i miracoli segreti richiedono una rivelazione successiva per essere apprezzati. I miracoli pubblici (''nissim mefursamim''), al contrario, sono immediatamente evidenti, poiché la loro causalità palese è straordinaria.
{{citazione|I Rabbini affermano esplicitamente che R. Huna disse a nome di R. Idi: Non si dovrebbe dire che Tamar fornicò o che Giuda desiderasse fornicare, ma che queste cose provenivano da Me [Dio]. Vale a dire (''kelomar''), questo era uno dei miracoli segreti che si trovano costantemente nella Torah, come abbiamo spiegato. Perché fu dal Creatore benedetto che la volontà divina e il decreto determinante (''gezerat ratson'') raggiunsero le potenze vicine alla situazione, l'angelo nominato per questa materia [attrazione sessuale]. Ci fu un'emanazione da Dio alle potenze celesti che agiscono sulle cose terrene sia in generale che in particolare.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 26}}
La fonte rabbinica qui citata non si trova in nessun testo stampato. Per una possibile fonte manoscritta, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' (New York: n.p, 1948) '''6'''.1476, n. 114.
'''[4.3]''' Ciò che i miracoli pubblici e privati hanno in comune per giustificare che ognuno sia chiamato miracolo (''nes'') è che entrambi sono intesi come espressioni dirette della volontà di Dio. Tutti gli altri eventi appartengono all'ordine naturale, rappresentato dal movimento regolare delle costellazioni. I miracoli segreti non contraddicono ovviamente questo ordine. Lo stesso evento può essere interpretato da un miscredente come naturale e da un credente come miracoloso. La differenza essenziale che lo rende miracolo, è un semplice incidente per il miscredente. Quindi, ciò che è più importante per il credente è meno importante per il miscredente. Ma i miracoli pubblici sono contrari all'ordine naturale. Infrangono le normali aspettative. Laddove c'è una predisposizione alla fede, tali esperienze straordinarie possono rimuovere l'impedimento alla sua crescita.
Nahmanide parla del "miracolo che è evidente (''galui'') e pubblico e contrario alla natura" (CT: {{passo biblico2|Genesi|46:15}} - I, 254). Con miracoli segreti, non si vede nulla di non familiare. Ciò che è insolito è la posizione favorevole nel mondo fisico della persona benedetta da un tale miracolo. Si può spiegare naturalisticamente come e quando piove. Ma perché pioverà in un punto particolare a beneficio di persone particolari non è spiegabile dalla legge naturale. Solo una precedente fede nella potenza di Dio può cogliere un tale miracolo. Perché solo la potenza di Dio ha fatto accadere l'evento proprio quando e come avvenne. La combinazione della normalità esteriore con l'unicità interiore era nota anche ai patriarchi:
{{citazione|Perché apparve ai patriarchi con questo nome [''El Shaddai''], il che significa che sottomise le costellazioni celesti a compiere tramite esse grandi miracoli, miracoli che non annullarono il normale corso del mondo... Ma le ricompense e le punizioni della Torah sono tutti miracoli segreti, che appaiono a coloro che li vedono come appartenenti al normale corso del mondo, anche se la verità è che sono punizioni e ricompense per gli esseri umani.|CT: {{passo biblico2|Esodo|6:2}} - II, 303}}
Nella fisica aristotelica ogni specie ha la sua propria natura o essenza, una "forma" indelebile, per cui i membri della specie si comportano come devono. Questo comportamento esprime l'inclinazione di ogni essere verso il proprio fine naturale (''inclinatio naturalis''). Una volta che si comprende la natura corretta di ogni essere, si può prevedere come si comporterà. Deviazioni grossolane sono impossibili. Sono ammesse solo deviazioni "accidentali" non essenziali. Queste sono attribuite a fattori casuali ([[w:Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Fisica (Aristotele)|Fisica]]'', 193b 22ss.; 197b 14ss.), che sono sempre meno significativi del modello "essenziale". Per Nahmanide, invece, nulla è impossibile per il Creatore, poiché trascende la natura. Ciò che è impossibile per un aristotelico è miracoloso per Nahmanide, come per Ha-Levi. L'"impossibile" in questo senso non è solo possibile, ma reale, e visibile nei miracoli pubblici.
Nella scienza moderna, così come si è sviluppata dai tempi di [[w:Niccolò Copernico|Copernico]], [[w:Galileo Galilei|Galileo]] e [[w:Isaac Newton|Newton]], le entità non sono più trattate come aventi nature o essenze innate o come parti di specie inalterabili. Piuttosto, tutte le entità sono dati effettivi o potenziali. Le loro interrelazioni nello spazio-tempo sono soggette a quantificazione matematica, da cui vengono astratti i modelli causali. Dal momento che le cose non sono più viste come dotate di proprietà essenziali intrinseche, l'idea di impossibilità intrinseca ha perso il suo valore. L'unica impossibilità ancora universalmente riconosciuta è l'impossibilità logica, e anche questa si è sviluppata in modi nuovi per mano di logici come [[w:Alfred North Whitehead|Alfred North Whitehead]] e [[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]], che furono fortemente influenzati dai grandi sviluppi della scienza moderna. Fenomeni ora non spiegabili all'interno di un paradigma intelligibile possono essere spiegabili una volta costituito un paradigma appropriato, con l'espansione della nostra esperienza. Il più grande esempio di tale espansione nel XX secolo è la costituzione da parte di [[w:Albert Einstein|Einstein]] di un nuovo paradigma – la [[w:Relatività ristretta|Teoria della Relatività Speciale]] – per spiegare fenomeni non spiegati dalla [[w:Meccanica newtoniana|Meccanica Newtoniana]]. (Cfr. T. S. Kuhn, ''The Structure of Scientific Revolutions'' [Chicago: University of Chicago Press, 1962] 43ss.; e per l'espandibilità indefinita dell'esperienza, David Hume, ''A Treatise of Human Nature'' I 3.14, cur. L. A. Selby-Bigge [Oxford: Clarendon Press, 1888] 170-72).
Data l'espansione dell'idea di possibilità nelle scienze naturali, la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici diventa poco plausibile nel contesto dei paradigmi regnanti nelle scienze naturali oggi. Ma la sua teoria dei miracoli segreti rimane plausibile. Perché qui un miracolo è un evento nello spazio-tempo storico piuttosto che un evento nello spazio-tempo fisico. Il suo significato sta nel quando è accaduto l'evento, a chi è accaduto e chi ora lo apprezza. Solo allora è importante il luogo in cui è successo. (Per il primato del tempo-spazio sullo spazio-tempo nel pensiero ebraico classico, si veda [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], ''The Sabbath'', ediz. ampliata [New York: Farrar, Straus, 1963], Appendice: "Space, Time and Reality: The Centrality of Time in the Biblical World View").
Lo spazio-tempo storico non può essere inteso in un modo deterministico quasi quanto lo spazio-tempo fisico, anche per i filosofi che vedono i modelli naturali nella storia. Inoltre, la [[w:evoluzione|teoria evolutiva]] in biologia e la [[w:meccanica quantistica|teoria quantistica]] in fisica affrontano le probabilità statistiche piuttosto che le rigide leggi causali (cfr. Bernard Lonergan, ''Insight'', III ed. [New York: Philosophical Library, 1970], 97ss.). Quindi la maggior parte delle scienze naturali contemporanee non contraddice la possibilità di eventi unici, non predeterminati sistematicamente. Ma un miracolo ha bisogno di ''un solo evento solitario'' che non sia sistematicamente predeterminato. Così non c'è più un divario incolmabile tra le scienze naturali e l'intuizione spirituale. La teoria dei miracoli segreti di Nahmanide – di certo ampliata e adattata – ci consente di sviluppare una teologia in cui Dio può essere apprezzato sia come Creatore dell'universo fisico che come Signore della storia.
Si può persino mantenere la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici, se si considerano i miracoli segreti come esperienze individuali dell'interesse speciale da parte di Dio e i miracoli pubblici come esperienze collettive di quello stesso interesse. Poiché il linguaggio è pubblico, il linguaggio utilizzato dalla comunità nel trasmettere la memoria della sua esperienza collettiva dell'interesse di Dio può consentire ai singoli di percepire ed esprimere i propri miracoli privati nel contesto della comunità in cui si parla un linguaggio di fede condiviso (cfr. Max Kadushin, ''The Rabbinic Mind'' [New York: JTS, 1952] 216-17). Per Nahmanide i miracoli pubblici presuppongono miracoli segreti. Ma nella visione che ho appena proposto, i miracoli individuali presuppongono miracoli collettivi. Poiché il ricordo di quest'ultimo fornisce il linguaggio per l'intelligibilità del primo.
'''[4.4]''' I miracoli nascosti segnano la distinzione tra la provvidenza generale di Dio, evidente nell'ordine naturale nel suo insieme, e la Sua speciale provvidenza, visibile solo nella vita dei giusti e di coloro che condividono la loro fede:
{{citazione|La conoscenza del Signore, che è la Sua provvidenza nel mondo quaggiù (''ba-‘olam ha-shafal''), serve a proteggere la specie. E per questo anche l'uomo può essere vittima di vicissitudini particolari (''miqrim'')... ma con i Suoi santi (''hasidav''), rivolge ad essi individualmente un'attenzione consapevole, rendendo per loro continua la Sua cura. La Sua conoscenza e consapevolezza non si allontanano mai da loro.|CT: {{passo biblico2|Genesi|18:19}} - I, 111}}
'''[4.5]''' Per Nahmanide, la provvidenza è ciò che spiega i comandamenti, le ricompense e le punizioni nella Torah. Così, nella sua lettura del [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]], Elihu, non Giobbe, è l'eroe, poiché la sua affermazione di provvidenza è la più forte e coerente di tutte le posizioni presentate. Nahmanide chiama Elihu "il più grande amico di Giobbe in saggezza" (KR: ''Commentario a Giobbe'' 22:1 - I, 76). Il suo insegnamento è convincente, ma "non perché Elihu abbia alcuna prova convincente (''r’ayah mukhrahat''). Perché nessuno può risolvere questo problema se non attraverso la tradizione (''be-derekh qabbalah'')" [KR: ''Commentario a Giobbe'' 38:1 - 1 , 115]
Nahmanide evidenzia continuamente questo punto:
{{citazione|La fede nell'onniscienza di Dio, esaltato Egli sia, è qualcosa di chiaro ed evidente... [la conoscenza di Dio] delle classi di cose e di individui particolari è una pietra angolare della Torah di Mosè nostro maestro... Data questa affermazione, la Torah e i comandamenti perdurano. Perché una volta che crediamo che Dio sa ed è provvidente, la nostra fede si estenderà alla profezia, e crederemo che Egli, esaltato Egli sia, conosce e ha cura, comanda e ammonisce: ci comanda di fare ciò che è buono e giusto, ci ammonisce su ciò che è male; veglierà su di noi e manterrà per noi tutti i beni promessi nella Torah, e porterà tutte le retribuzioni su coloro che trasgrediscono contro ciò che Egli ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
'''[4.6]''' Nahmanide parla della creazione ''de novo'' del mondo da parte di Dio, della conoscenza del mondo e della provvidenza su di esso come i tre fondamenti (''mosdot'') della Torah. [KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155].
'''[4.7]''' Afferma che la natura non può spiegare perché certe cose accadono alle persone a causa del loro merito o colpa. Il significato morale di tali avvenimenti può essere spiegato solo nel contesto della causalità divina diretta nei miracoli:
{{citazione|Non c'è differenza tra ciò che le preghiere di David figlio di Jesse realizzano e ciò che le nostre stesse preghiere o qualsiasi miracolo compiono. Perché se uno dicesse, è per natura che Dio nutre tutti, allora nessuno morirebbe o vivrebbe per merito o colpa... Al contrario, tutte queste cose sono miracoli durevoli che cambiano il corso del naturale divenire e alterano il potere delle eccelse costellazioni in cielo e in terra... tutte queste cose sono continui portenti miracolosi (''moftim qayyamim'').|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 18-19}}
'''[4.8]''' Il patriarca Giacobbe è sicuro della distinzione cruciale tra provvidenza individuale e generale nella sua visione:
{{citazione|Dio gli mostrò in sogno che tutto ciò che si fa sulla terra è fatto per mezzo degli angeli e per decreto dell'Altissimo nei loro confronti... Eppure assicurò Giacobbe con una potente certezza che non sarebbe stato nelle mani degli angeli, ma sarebbe stato nella porzione propria del Signore.| CT: {{passo biblico2|Genesi|28:12}} - I, 157}}
'''[4.9]''' I miracoli nascosti non sono registrati nella Torah come i miracoli pubblicamente previsti dai profeti. Perché questi miracoli continui sono il fondamento stesso della Torah. Dimostrano che l'osservanza della Torah ha conseguenze ben oltre i confini del mondo naturale. Perché la Torah è fondata sul principio che tutti gli eventi appartengono al piano intenzionale di Dio. Non esiste alcuna probabilità cieca. Se la Torah fosse semplicemente parte della natura, non ci sarebbe nulla di unico o desiderabile nel rapporto di Israele con Dio. Sarebbe una relazione limitata alle possibilità mondane, ma non sarebbe e non potrebbe essere una relazione con un Padre amorevole. Così, per Nahmanide, la natura rimane sullo sfondo. Ciò che è vitale è la consapevolezza da parte di Israele della presenza di Dio, che è alimentata solo dalla Torah:
{{citazione|I miracoli compiuti da un profeta che li predissero, o da un angelo apparso in missione dal Signore, sono registrati dalla Scrittura. Ma quelli compiuti per aiutare una persona giusta o per distruggere una persona malvagia non sono registrati nella Torah o nei Profeti... Tutti i fondamenti (''yesodot'') della Torah si trovano in miracoli segreti, non nella natura o nel reame della consuetudine (''ha-minhag''). Perché gli eventi predetti (ye‘udei) dalla Torah non manifestano alcun cambiamento nella natura del mondo.|CT: {{passo biblico2|Genesi|46:15}} - I, 254}}
'''[4.10]''' Il fondamento soprannaturale della Torah è un tema costante:
{{citazione|Quando indaghiamo attentamente, vediamo che nessuno ha una porzione nella Torah di Mosè, nostro maestro, la pace sia su di lui, finché non crede che tutte le nostre parole e azioni, tutte, sono miracoli. Niente della natura o dell'ordinario li riguarda. Perché tutti i compensi della Torah (''ye‘udei ha-Torah'') sono presagi assoluti (''moftim gemurim'') [del potere divino].|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 153}}
'''[4.11]''' Gli "eventi destinati ad accadere dalla Torah" sono le ricompense e le punizioni promesse per l'obbedienza o la disobbedienza ai suoi comandamenti. Il compenso esige l'operazione di miracoli segreti nel mondo:
{{citazione|Perché tutti gli eventi designati nella Torah da promesse e avvertimenti sono dimostrabili dai miracoli segreti... Così la Torah mette in guardia qui su ''karet'' ["escissione"], un soggetto miracoloso (''‘inyan nissi''). Ma qui non ci assicura la sopravvivenza ordinaria (''qiyyum''), che è qualcosa che ci si aspetta (''ra’uy'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:29}} - II, 114}}
Il significato esatto di ''karet'' è molto dibattuto (B. Mo‘ed Qatan 28a rif. Deut. 31:14 e Tos. s.v. ''mitah''), ma sembra implicare un'incursione miracolosa della potenza di Dio nel mondo, forse implicando una morte prematura.
'''[4.12]''' Tutti i miracoli pubblici servono in definitiva a richiamare la nostra attenzione sull'atto di creazione di Dio. Ma i miracoli segreti, essendo conseguenze della nostra osservanza dei comandamenti di Dio, segnano la nostra partecipazione alla vita di Dio:
{{citazione|È già stato chiarito che i miracoli pubblici insegnano la creazione del mondo ''de novo'', la conoscenza di Dio dei particolari e la Sua provvidenza. Ma i miracoli segreti insegnano ciò che ogni credente dovrebbe sapere sulla punizione dei peccati e sulla ricompensa per l'osservanza dei comandamenti.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155}}
'''[4.13]''' Il legame tra i pii e i miracoli invisibili di Dio è il merito. Questi miracoli sono compiuti da Dio per i pii perché se li meritano. Con le loro opere meritorie, dunque, i pii partecipano con Dio alla Sua attività creatrice e provvidenziale. Le vite dei patriarchi sono archetipi di questo processo:
{{citazione|Dio è apparso ai patriarchi con questo nome che indica che è Colui che vince le configurazioni celesti e compie per loro grandi miracoli... ma la piena ricompensa per l'osservanza della Torah e la punizione per averla trasgredita sono miracoli segreti. Chi li vede potrebbe pensarli parte dell'ordine mondiale familiare, sebbene in realtà siano punizioni o ricompense per un individuo.|CT: {{passo biblico2|Esodo|6:2}} - I, 303}}
{{Vedi anche|Serie misticismo ebraico|Serie maimonidea|Serie delle interpretazioni}}
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[[Categoria:Nahmanide teologo|Capitolo 4]]
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{{Nahmanide teologo}}
[[File:Krestin – Rabbi reading.jpg|thumb|540px|center|''Rabbino che legge'', di [[:en:w:Lazar Krestin|Lazar Krestin]] (c.1930)]]
== Miracoli ==
'''[4.1]''' Per Nahmanide l'atto di fede (''emunah'') è l'anticipazione umana della provvidenza. Senza tale fede, non si riconoscerebbe il potere provvidenziale quando viene esercitato. La Provvidenza si manifesta in quelli che Nahmanide chiama "miracoli segreti" (''nissim nistarim''):
{{citazione|‘Dio Onnipotente’ (''El Shaddai'')... questo nome esprime l'attributo della potenza (''ha-Gevurah'') che governa il mondo quaggiù... La ragione per cui è menzionato ora [alla promessa pattizia di Dio ad Abramo] è che è attraverso questo nome che si compiono miracoli segreti per i giusti... come tutti i miracoli compiuti per Abramo e gli altri patriarchi, e come... le benedizioni e le maledizioni [che accompagnano l'obbedienza o la disobbedienza di Israele ai comandamenti], sono tutti miracoli. Poiché non è per natura che la pioggia cada a tempo debito a causa del nostro servizio a Dio... Così con tutti gli eventi designati (''ha-ye‘udim'') nella Torah... l'influenza delle costellazioni celesti (''ha-mazalot'') è superata. Tuttavia questi miracoli non si discostano dal corso abituale del mondo (''miminhago shel ‘olam''), come fecero i miracoli compiuti da Mosè.|CT: {{passo biblico2|Genesi|17:1}} - I, 98}}
Non c'è alcuna reale differenza nella teologia cabalistica tra rivelazione e creazione, quindi le parole della Torah sono tutte efficaci. Sono tutte permutazioni dei nomi divini (cfr. [[w:Gershom Scholem|Gershom Scholem]], ''On the Kabbalah and its Symbolism'', trad. R. Manheim [New York: Schocken, 1969], 36ss.). Ciò è più chiaro quando viene utilizzato un nome esplicito, come è il caso qui. Nahmanide sottolinea il potere del nome di Dio di dirigere favorevolmente il corso della natura per i giusti.
'''[4.2]''' I miracoli segreti sono nascosti nel fatto che la loro apparente causalità è ordinaria. È naturale che [[w:Giuda (patriarca)|Giuda]] sia attratto da [[w:Tamar|Tamar]]. Ma il risultato della sua attrazione fu il compimento del piano di Dio. Come in questo caso, i miracoli segreti richiedono una rivelazione successiva per essere apprezzati. I miracoli pubblici (''nissim mefursamim''), al contrario, sono immediatamente evidenti, poiché la loro causalità palese è straordinaria.
{{citazione|I Rabbini affermano esplicitamente che R. Huna disse a nome di R. Idi: Non si dovrebbe dire che Tamar fornicò o che Giuda desiderasse fornicare, ma che queste cose provenivano da Me [Dio]. Vale a dire (''kelomar''), questo era uno dei miracoli segreti che si trovano costantemente nella Torah, come abbiamo spiegato. Perché fu dal Creatore benedetto che la volontà divina e il decreto determinante (''gezerat ratson'') raggiunsero le potenze vicine alla situazione, l'angelo nominato per questa materia [attrazione sessuale]. Ci fu un'emanazione da Dio alle potenze celesti che agiscono sulle cose terrene sia in generale che in particolare.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 26}}
La fonte rabbinica qui citata non si trova in nessun testo stampato. Per una possibile fonte manoscritta, cfr. M. M. Kasher, ''Torah Shlemah'' (New York: n.p, 1948) '''6'''.1476, n. 114.
'''[4.3]''' Ciò che i miracoli pubblici e privati hanno in comune per giustificare che ognuno sia chiamato miracolo (''nes'') è che entrambi sono intesi come espressioni dirette della volontà di Dio. Tutti gli altri eventi appartengono all'ordine naturale, rappresentato dal movimento regolare delle costellazioni. I miracoli segreti non contraddicono ovviamente questo ordine. Lo stesso evento può essere interpretato da un miscredente come naturale e da un credente come miracoloso. La differenza essenziale che lo rende miracolo, è un semplice incidente per il miscredente. Quindi, ciò che è più importante per il credente è meno importante per il miscredente. Ma i miracoli pubblici sono contrari all'ordine naturale. Infrangono le normali aspettative. Laddove c'è una predisposizione alla fede, tali esperienze straordinarie possono rimuovere l'impedimento alla sua crescita.
Nahmanide parla del "miracolo che è evidente (''galui'') e pubblico e contrario alla natura" (CT: {{passo biblico2|Genesi|46:15}} - I, 254). Con miracoli segreti, non si vede nulla di non familiare. Ciò che è insolito è la posizione favorevole nel mondo fisico della persona benedetta da un tale miracolo. Si può spiegare naturalisticamente come e quando piove. Ma perché pioverà in un punto particolare a beneficio di persone particolari non è spiegabile dalla legge naturale. Solo una precedente fede nella potenza di Dio può cogliere un tale miracolo. Perché solo la potenza di Dio ha fatto accadere l'evento proprio quando e come avvenne. La combinazione della normalità esteriore con l'unicità interiore era nota anche ai patriarchi:
{{citazione|Perché apparve ai patriarchi con questo nome [''El Shaddai''], il che significa che sottomise le costellazioni celesti a compiere tramite esse grandi miracoli, miracoli che non annullarono il normale corso del mondo... Ma le ricompense e le punizioni della Torah sono tutti miracoli segreti, che appaiono a coloro che li vedono come appartenenti al normale corso del mondo, anche se la verità è che sono punizioni e ricompense per gli esseri umani.|CT: {{passo biblico2|Esodo|6:2}} - II, 303}}
Nella fisica aristotelica ogni specie ha la sua propria natura o essenza, una "forma" indelebile, per cui i membri della specie si comportano come devono. Questo comportamento esprime l'inclinazione di ogni essere verso il proprio fine naturale (''inclinatio naturalis''). Una volta che si comprende la natura corretta di ogni essere, si può prevedere come si comporterà. Deviazioni grossolane sono impossibili. Sono ammesse solo deviazioni "accidentali" non essenziali. Queste sono attribuite a fattori casuali ([[w:Aristotele|Aristotele]], ''[[w:Fisica (Aristotele)|Fisica]]'', 193b 22ss.; 197b 14ss.), che sono sempre meno significativi del modello "essenziale". Per Nahmanide, invece, nulla è impossibile per il Creatore, poiché trascende la natura. Ciò che è impossibile per un aristotelico è miracoloso per Nahmanide, come per Ha-Levi. L'"impossibile" in questo senso non è solo possibile, ma reale, e visibile nei miracoli pubblici.
Nella scienza moderna, così come si è sviluppata dai tempi di [[w:Niccolò Copernico|Copernico]], [[w:Galileo Galilei|Galileo]] e [[w:Isaac Newton|Newton]], le entità non sono più trattate come aventi nature o essenze innate o come parti di specie inalterabili. Piuttosto, tutte le entità sono dati effettivi o potenziali. Le loro interrelazioni nello spazio-tempo sono soggette a quantificazione matematica, da cui vengono astratti i modelli causali. Dal momento che le cose non sono più viste come dotate di proprietà essenziali intrinseche, l'idea di impossibilità intrinseca ha perso il suo valore. L'unica impossibilità ancora universalmente riconosciuta è l'impossibilità logica, e anche questa si è sviluppata in modi nuovi per mano di logici come [[w:Alfred North Whitehead|Alfred North Whitehead]] e [[w:Bertrand Russell|Bertrand Russell]], che furono fortemente influenzati dai grandi sviluppi della scienza moderna. Fenomeni ora non spiegabili all'interno di un paradigma intelligibile possono essere spiegabili una volta costituito un paradigma appropriato, con l'espansione della nostra esperienza. Il più grande esempio di tale espansione nel XX secolo è la costituzione da parte di [[w:Albert Einstein|Einstein]] di un nuovo paradigma – la [[w:Relatività ristretta|Teoria della Relatività Speciale]] – per spiegare fenomeni non spiegati dalla [[w:Meccanica newtoniana|Meccanica Newtoniana]]. (Cfr. T. S. Kuhn, ''The Structure of Scientific Revolutions'' [Chicago: University of Chicago Press, 1962] 43ss.; e per l'espandibilità indefinita dell'esperienza, David Hume, ''A Treatise of Human Nature'' I 3.14, cur. L. A. Selby-Bigge [Oxford: Clarendon Press, 1888] 170-72).
Data l'espansione dell'idea di possibilità nelle scienze naturali, la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici diventa poco plausibile nel contesto dei paradigmi regnanti nelle scienze naturali oggi. Ma la sua teoria dei miracoli segreti rimane plausibile. Perché qui un miracolo è un evento nello spazio-tempo storico piuttosto che un evento nello spazio-tempo fisico. Il suo significato sta nel quando è accaduto l'evento, a chi è accaduto e chi ora lo apprezza. Solo allora è importante il luogo in cui è successo. (Per il primato del tempo-spazio sullo spazio-tempo nel pensiero ebraico classico, si veda [[w:Abraham Joshua Heschel|Abraham Joshua Heschel]], ''The Sabbath'', ediz. ampliata [New York: Farrar, Straus, 1963], Appendice: "Space, Time and Reality: The Centrality of Time in the Biblical World View").
Lo spazio-tempo storico non può essere inteso in un modo deterministico quasi quanto lo spazio-tempo fisico, anche per i filosofi che vedono i modelli naturali nella storia. Inoltre, la [[w:evoluzione|teoria evolutiva]] in biologia e la [[w:meccanica quantistica|teoria quantistica]] in fisica affrontano le probabilità statistiche piuttosto che le rigide leggi causali (cfr. Bernard Lonergan, ''Insight'', III ed. [New York: Philosophical Library, 1970], 97ss.). Quindi la maggior parte delle scienze naturali contemporanee non contraddice la possibilità di eventi unici, non predeterminati sistematicamente. Ma un miracolo ha bisogno di ''un solo evento solitario'' che non sia sistematicamente predeterminato. Così non c'è più un divario incolmabile tra le scienze naturali e l'intuizione spirituale. La teoria dei miracoli segreti di Nahmanide – di certo ampliata e adattata – ci consente di sviluppare una teologia in cui Dio può essere apprezzato sia come Creatore dell'universo fisico che come Signore della storia.
Si può persino mantenere la distinzione di Nahmanide tra miracoli segreti e pubblici, se si considerano i miracoli segreti come esperienze individuali dell'interesse speciale da parte di Dio e i miracoli pubblici come esperienze collettive di quello stesso interesse. Poiché il linguaggio è pubblico, il linguaggio utilizzato dalla comunità nel trasmettere la memoria della sua esperienza collettiva dell'interesse di Dio può consentire ai singoli di percepire ed esprimere i propri miracoli privati nel contesto della comunità in cui si parla un linguaggio di fede condiviso (cfr. Max Kadushin, ''The Rabbinic Mind'' [New York: JTS, 1952] 216-17). Per Nahmanide i miracoli pubblici presuppongono miracoli segreti. Ma nella visione che ho appena proposto, i miracoli individuali presuppongono miracoli collettivi. Poiché il ricordo di quest'ultimo fornisce il linguaggio per l'intelligibilità del primo.
'''[4.4]''' I miracoli nascosti segnano la distinzione tra la provvidenza generale di Dio, evidente nell'ordine naturale nel suo insieme, e la Sua speciale provvidenza, visibile solo nella vita dei giusti e di coloro che condividono la loro fede:
{{citazione|La conoscenza del Signore, che è la Sua provvidenza nel mondo quaggiù (''ba-‘olam ha-shafal''), serve a proteggere la specie. E per questo anche l'uomo può essere vittima di vicissitudini particolari (''miqrim'')... ma con i Suoi santi (''hasidav''), rivolge ad essi individualmente un'attenzione consapevole, rendendo per loro continua la Sua cura. La Sua conoscenza e consapevolezza non si allontanano mai da loro.|CT: {{passo biblico2|Genesi|18:19}} - I, 111}}
'''[4.5]''' Per Nahmanide, la provvidenza è ciò che spiega i comandamenti, le ricompense e le punizioni nella Torah. Così, nella sua lettura del [[w:Libro di Giobbe|Libro di Giobbe]], Elihu, non Giobbe, è l'eroe, poiché la sua affermazione di provvidenza è la più forte e coerente di tutte le posizioni presentate. Nahmanide chiama Elihu "il più grande amico di Giobbe in saggezza" (KR: ''Commentario a Giobbe'' 22:1 - I, 76). Il suo insegnamento è convincente, ma "non perché Elihu abbia alcuna prova convincente (''r’ayah mukhrahat''). Perché nessuno può risolvere questo problema se non attraverso la tradizione (''be-derekh qabbalah'')" [KR: ''Commentario a Giobbe'' 38:1 - 1 , 115]
Nahmanide evidenzia continuamente questo punto:
{{citazione|La fede nell'onniscienza di Dio, esaltato Egli sia, è qualcosa di chiaro ed evidente... [la conoscenza di Dio] delle classi di cose e di individui particolari è una pietra angolare della Torah di Mosè nostro maestro... Data questa affermazione, la Torah e i comandamenti perdurano. Perché una volta che crediamo che Dio sa ed è provvidente, la nostra fede si estenderà alla profezia, e crederemo che Egli, esaltato Egli sia, conosce e ha cura, comanda e ammonisce: ci comanda di fare ciò che è buono e giusto, ci ammonisce su ciò che è male; veglierà su di noi e manterrà per noi tutti i beni promessi nella Torah, e porterà tutte le retribuzioni su coloro che trasgrediscono contro ciò che Egli ha decretato per loro.|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 17-18}}
'''[4.6]''' Nahmanide parla della creazione ''de novo'' del mondo da parte di Dio, della conoscenza del mondo e della provvidenza su di esso come i tre fondamenti (''mosdot'') della Torah. [KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155].
'''[4.7]''' Afferma che la natura non può spiegare perché certe cose accadono alle persone a causa del loro merito o colpa. Il significato morale di tali avvenimenti può essere spiegato solo nel contesto della causalità divina diretta nei miracoli:
{{citazione|Non c'è differenza tra ciò che le preghiere di David figlio di Jesse realizzano e ciò che le nostre stesse preghiere o qualsiasi miracolo compiono. Perché se uno dicesse, è per natura che Dio nutre tutti, allora nessuno morirebbe o vivrebbe per merito o colpa... Al contrario, tutte queste cose sono miracoli durevoli che cambiano il corso del naturale divenire e alterano il potere delle eccelse costellazioni in cielo e in terra... tutte queste cose sono continui portenti miracolosi (''moftim qayyamim'').|KR: ''Commentario a Giobbe'', intro. - I, 18-19}}
'''[4.8]''' Il patriarca Giacobbe è sicuro della distinzione cruciale tra provvidenza individuale e generale nella sua visione:
{{citazione|Dio gli mostrò in sogno che tutto ciò che si fa sulla terra è fatto per mezzo degli angeli e per decreto dell'Altissimo nei loro confronti... Eppure assicurò Giacobbe con una potente certezza che non sarebbe stato nelle mani degli angeli, ma sarebbe stato nella porzione propria del Signore.| CT: {{passo biblico2|Genesi|28:12}} - I, 157}}
'''[4.9]''' I miracoli nascosti non sono registrati nella Torah come i miracoli pubblicamente previsti dai profeti. Perché questi miracoli continui sono il fondamento stesso della Torah. Dimostrano che l'osservanza della Torah ha conseguenze ben oltre i confini del mondo naturale. Perché la Torah è fondata sul principio che tutti gli eventi appartengono al piano intenzionale di Dio. Non esiste alcuna probabilità cieca. Se la Torah fosse semplicemente parte della natura, non ci sarebbe nulla di unico o desiderabile nel rapporto di Israele con Dio. Sarebbe una relazione limitata alle possibilità mondane, ma non sarebbe e non potrebbe essere una relazione con un Padre amorevole. Così, per Nahmanide, la natura rimane sullo sfondo. Ciò che è vitale è la consapevolezza da parte di Israele della presenza di Dio, che è alimentata solo dalla Torah:
{{citazione|I miracoli compiuti da un profeta che li predissero, o da un angelo apparso in missione dal Signore, sono registrati dalla Scrittura. Ma quelli compiuti per aiutare una persona giusta o per distruggere una persona malvagia non sono registrati nella Torah o nei Profeti... Tutti i fondamenti (''yesodot'') della Torah si trovano in miracoli segreti, non nella natura o nel reame della consuetudine (''ha-minhag''). Perché gli eventi predetti (ye‘udei) dalla Torah non manifestano alcun cambiamento nella natura del mondo.|CT: {{passo biblico2|Genesi|46:15}} - I, 254}}
'''[4.10]''' Il fondamento soprannaturale della Torah è un tema costante:
{{citazione|Quando indaghiamo attentamente, vediamo che nessuno ha una porzione nella Torah di Mosè, nostro maestro, la pace sia su di lui, finché non crede che tutte le nostre parole e azioni, tutte, sono miracoli. Niente della natura o dell'ordinario li riguarda. Perché tutti i compensi della Torah (''ye‘udei ha-Torah'') sono presagi assoluti (''moftim gemurim'') [del potere divino].|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 153}}
'''[4.11]''' Gli "eventi destinati ad accadere dalla Torah" sono le ricompense e le punizioni promesse per l'obbedienza o la disobbedienza ai suoi comandamenti. Il compenso esige l'operazione di miracoli segreti nel mondo:
{{citazione|Perché tutti gli eventi designati nella Torah da promesse e avvertimenti sono dimostrabili dai miracoli segreti... Così la Torah mette in guardia qui su ''karet'' ["escissione"], un soggetto miracoloso (''‘inyan nissi''). Ma qui non ci assicura la sopravvivenza ordinaria (''qiyyum''), che è qualcosa che ci si aspetta (''ra’uy'').|CT: {{passo biblico2|Levitico|18:29}} - II, 114}}
Il significato esatto di ''karet'' è molto dibattuto (B. Mo‘ed Qatan 28a rif. Deut. 31:14 e Tos. s.v. ''mitah''), ma sembra implicare un'incursione miracolosa della potenza di Dio nel mondo, forse implicando una morte prematura.
'''[4.12]''' Tutti i miracoli pubblici servono in definitiva a richiamare la nostra attenzione sull'atto di creazione di Dio. Ma i miracoli segreti, essendo conseguenze della nostra osservanza dei comandamenti di Dio, segnano la nostra partecipazione alla vita di Dio:
{{citazione|È già stato chiarito che i miracoli pubblici insegnano la creazione del mondo ''de novo'', la conoscenza di Dio dei particolari e la Sua provvidenza. Ma i miracoli segreti insegnano ciò che ogni credente dovrebbe sapere sulla punizione dei peccati e sulla ricompensa per l'osservanza dei comandamenti.|KR: ''Torat ha-Shem Temimah'' - I, 155}}
'''[4.13]''' Il legame tra i pii e i miracoli invisibili di Dio è il merito. Questi miracoli sono compiuti da Dio per i pii perché se li meritano. Con le loro opere meritorie, dunque, i pii partecipano con Dio alla Sua attività creatrice e provvidenziale. Le vite dei patriarchi sono archetipi di questo processo:
{{citazione|Dio è apparso ai patriarchi con questo nome che indica che è Colui che vince le configurazioni celesti e compie per loro grandi miracoli... ma la piena ricompensa per l'osservanza della Torah e la punizione per averla trasgredita sono miracoli segreti. Chi li vede potrebbe pensarli parte dell'ordine mondiale familiare, sebbene in realtà siano punizioni o ricompense per un individuo.|CT: {{passo biblico2|Esodo|6:2}} - I, 303}}
'''[4.14]''' Il termine ''sod'' ha due sensi: si riferisce a ciò che Dio rivela ai profeti dei suoi disegni, o alla cura di Dio per coloro che Gli sono fedeli:
{{citazione|"com'ero ai giorni della mia maturità, quando Dio vegliava amico (''be-sod'') sulla mia tenda" ({{passo biblico2|Giobbe|29:4}}) significa più o meno lo stesso di "Il ''sod'' del Signore è rivelato a quelli che lo temono" ({{passo biblico2|Salmi|25:14}})... Dice che il mistero divino è conosciuto nella sua tenda, come se profetizzasse eventi futuri... oppure... potrebbe significare che gli angeli celesti e le schiere stavano sopra la sua tenda per proteggilo da ogni male.|KR: ''Commentario a Giobbe'' 29:4 - I, 90}}
''Sod'' riguarda i miracoli segreti in entrambi i sensi. I miracoli proteggono i giusti e i giusti hanno del loro vero significato una conoscenza simile a quella di un profeta.
'''[4.15]''' Gli esseri umani sembrano completamente dipendenti dalla natura fisica perché hanno perso la grazia di trascenderla — più precisamente, di trascendere la morte:
{{citazione|Secondo l'opinione dei naturalisti (''anshei ha-teva''), l'uomo è soggetto (''me‘uttar'') alla morte dall'inizio della sua formazione (''ha-yetsirah'') perché è composito... Ma la determinazione della morte è nel mani di Dio... [ed è che gli esseri umani] devono morire a causa del loro peccato prima del loro tempo.|CT: {{passo biblico2|Genesi|2:17}} - I, 37}}
Per ulteriori discussioni, si veda KR: ''Torat ha-’Adam'': Sha‘ar ha-Gemul - II, 274, dove Nahmanide elabora la dottrina rabbinica secondo cui la morte umana non è il risultato inevitabile della natura biologica generale, ma del
peccato umano specifico (B. Shabbat 55a-b). È il peccato che ci rende mortali come il resto della creazione. Così né prima né dopo l'espulsione dall'Eden la durata della vita umana è naturale. Prima dell'espulsione, gli esseri umani dovevano vivere per sempre. La loro immortalità era una distinzione principale dagli animali. Dopo l'espulsione, la nostra vita è stata ulteriormente ridotta. Perché praticamente tutti gli esseri umani muoiono a causa dei loro peccati individuali, non a causa della loro costituzione biologica. Per la differenza tra la mortalità generale e quella individuale, la prima ereditata da Adamo ed Eva, la seconda acquisita dal merito di ciascun individuo, si veda KR: ''Disputazione'', n. 45 - I, 310.
'''[4.16]''' L'obbedienza ai comandamenti non richiede i miracoli segreti come precondizione. Non ci si deve aspettare un tale miracolo prima di eseguire un comandamento della Torah. Nahmanide qui applica il detto rabbinico che "non si deve fare affidamento sui miracoli" (B. Shabbat 32a; B. Pesahim 64b; B. Ta‘anit 20b) in ogni caso specifico. Come dice lui, "La Torah non dipende dai miracoli, per esempio, che da uno ne procederanno mille" [CT: Num. 1:45 - II, 199]. Piuttosto, i miracoli segreti sono la conseguenza generale promessa dell'osservanza corretta dei comandamenti. Senza tale osservanza, questi miracoli non sarebbero affatto compiuti. In effetti, si può dire che lo scopo stesso dei comandamenti è garantire che i miracoli segreti siano meritati. Perché il loro verificarsi non è solo per la gratificazione di chi osserva i comandamenti ma, soprattutto, per renderci consapevoli della presenza e della potenza di Dio:
{{citazione|La rivelazione della presenza di Dio (''gilui Shekhinah'') qui e altrove non era per emettere un comandamento o qualche comunicazione, ma come ricompensa per l'osservanza del comandamento già adempiuto.|CT: {{passo biblico2|Genesi|18:1}} - I, 106}}
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|contenuto=<div style="text-align:center; padding-left:15px; padding-right:15px; font-size:0.9em;">''([[Serie delle interpretazioni|Nr. 14 della Serie delle interpretazioni]])''</div>
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Rivelazione e impegno esistenziale/Capitolo 1
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{{Rivelazione e impegno esistenziale}}
[[File:A BIBLE CLASS IN A HEDER IN TEL AVIV. שיעור תורה ב"חדר" בתל אביב.D842-111.jpg|540px|thumb|center|Studio della Bibbia in classe (''[[w:Heder (ebraismo)|Heder]]'' in [[w:Tel Aviv|Tel Aviv]], 1946)]]
== VERITÀ ==
La religione rivelata è in contrasto, principalmente, con la religione razionale o personale. Le religioni rivelate non si limitano a sostenere le loro convinzioni centrali, come farebbe una religione puramente razionale, né esortano i credenti a trovare un significato spirituale attraverso la meditazione, l'intuizione mistica o altre forme di esperienza personale. Piuttosto, prendono la loro visione di com'è fondamentalmente l'universo e di ciò che gli esseri umani dovrebbero fare in esso, da qualcosa che sostengono sia stato insegnato da Dio, o da un essere umano straordinario ([[w:Confucio|Confucio]], il [[w:Buddha|Buddha]], [[w:Laozi|Lao-tzu]]) dopo un momento di straordinaria intuizione. Questo insegnamento è racchiuso in un testo o in un insieme di detti che viene tramandato, insieme a interpretazioni di esso e una pratica rituale che si dice derivi da esso, di generazione in generazione. "Trasmettere" in latino è ''traditio'' e una religione che tramanda i suoi insegnamenti e le sue pratiche in questo modo può anche essere chiamata "religione tradizionale".
Una religione rivelata è, quindi, una religione incentrata su un testo e una tradizione. Quasi tutto ciò che comunemente chiamiamo "religione" — ebraismo, islam, induismo — è una religione rivelata o tradizionale; questo è anche ciò che le persone intendono quando parlano di "religione organizzata". Infatti, anche quando i gruppi si staccano da una religione tradizionale, rifiutandone i testi o le pratiche in quanto soffocanti per la vera spiritualità, tendono a rivendicare una propria nuova rivelazione. Questa è la storia del cristianesimo primitivo; in anni più recenti gli [[w:cristianesimo scientista|cristiani scientisti]] hanno affiancato alla Bibbia il loro ''Science and Health With a Key to the Scriptures (Scienza e Salute con la Chiave delle Scritture)'' e i [[w:mormonismo|mormoni]] hanno aggiunto ''[[w:Libro di Mormon|The Book of Mormon (Il Libro di Mormon)]]''. Anche i [[w:Bahá'í|bahai]], che sono impegnati nella ricerca di una verità libera dalla tradizione, hanno una serie di testi che considerano una nuova rivelazione. A parte le pratiche di alcune tribù animistiche troppo amorfe per essere identificate con un insegnamento particolare, ciò che le espressioni "religione rivelata" e "religione tradizionale" escludono chiaramente è solo la religione razionale, nella misura in cui esiste, e le religioni personali del tipo associato alla spiritualità [[w:New Age|New Age]]. Ma negli ultimi due secoli anche rami liberali o progressisti dell'ebraismo e del cristianesimo hanno teso a sminuire l'importanza della rivelazione e della tradizione, a favore della ragione e dell'esperienza personale. L'idea che la natura o la volontà di Dio, o qualsiasi altro fatto spiritualmente importante, possa essere meglio rivelata in un testo composto secoli fa mette a disagio le persone formate nella scienza moderna; si pensa anche che la riverenza per un testo antico rafforzi pregiudizi sessisti, razzisti e di altro tipo.
Queste preoccupazioni sono assolutamente ragionevoli. L'idea che dovremmo mostrare riverenza per un testo antico, e gli insegnamenti e le pratiche tramandate in suo nome, solleva serie preoccupazioni per noi moderni sia dal punto di vista scientifico che morale. Tuttavia, il mio scopo in questo libro è difendere tale idea. In effetti, offrirò ragioni a difesa di tutte le caratteristiche della religione rivelata che più offendono i laici e mettono in imbarazzo i credenti progressisti: un testo sacro, rituali prescritti e le organizzazioni comunitarie che preservano tali cose. Tutte queste caratteristiche derivano dall'idea di rivelazione, per come la intendo io, dalla deferenza ai testi sacri che definisce il cristianesimo tradizionale, l'islam, l'induismo e simili. E le preoccupazioni scientifiche e morali sollevate dall'idea di rivelazione hanno risposta in una certa misura, sebbene ci richiedano di ripensare a cosa sia la rivelazione. La mia preoccupazione principale in questo libro è di esporre e difendere questa riveduta concezione della rivelazione, non di argomentare contro i tipi di religione non-rivelatori insegnati dalle chiese e sinagoghe progressiste. Non discuterò nemmeno granché, contro un completo rifiuto della religione. Voglio mostrare semplicemente che, se uno deve essere religioso, ha buone ragioni per venerare un testo religioso tradizionale, e l'insegnamento e le pratiche ad esso associati.
Un'altra nota introduttiva. Come ho indicato, considero ampia la nozione di religione rivelata, che può includere tradizioni non teistiche come il buddhismo e il taoismo, nonché le cosiddette religioni "abramiche" a noi familiari in Occidente. Ma alcuni seguaci delle religioni orientali, in particolare il buddhismo, non considerano come rivelati i testi a cui tengono, perlomeno non in alcun senso ovvio. Non voglio qui mettere in discussione questi problemi, e il mio ''focus'' è in effetti principalmente sulle religioni teistiche; spero semplicemente e credo che molto di ciò che dico sarà trasferibile, solo con piccoli cambiamenti, a religioni come il buddhismo e il taoismo. Tuttavia, per non parlare presuntuosamente di tradizioni che non conosco bene, in questo libro parlerò per la maggior parte di "Dio" e di persone che parlano per Dio piuttosto che di saggi, come il Buddha, i cui insegnamenti non sono teisti. In effetti, trarrò molti dei miei esempi dalla tradizione ebraica, poiché la conosco meglio di tutte le altre.
Allora, incominciamo con una domanda cruciale: cosa intendono i credenti quando chiamano i loro testi sacri "veri"? Dati gli evidenti errori scientifici e le inesattezze storiche che riempiono praticamente ogni libro religioso, come si può considerarli ''veri''? Ebrei, cristiani e musulmani tradizionali considerano le loro Bibbie e il Corano non solo come vere, ma come il paradigma della verità, la fonte della più alta saggezza che gli esseri umani possano raggiungere. Ma sicuramente abbiamo tutte le ragioni, oggi, per respingere tali affermazioni. La Torah e i Vangeli riportano ogni sorta di eventi che la scienza moderna considera impossibili e storici di mentalità scientifica hanno dimostrato che sono pieni di imprecisioni storiche. Cosa diamine può significare una persona, allora, chiamandole "vere"? Naturalmente, alcuni credenti intendono che la scienza moderna sia sbagliata, nella misura in cui contraddice le loro sacre scritture, e che tutto nel testo è letteralmente corretto. Ma altri credenti penso usino la parola "vero" in un modo piuttosto diverso da come viene usata nella scienza: stanno infatti sfidando il monopolio che la nostra società tende a concedere alla scienza su quella parola.
Iniziamo la nostra indagine con questi problemi. Consideriamo innanzitutto le persone che suggeriscono che la scienza moderna è sbagliata, nella misura in cui è in conflitto con la Bibbia. Esistono versioni più e meno sofisticate di questa affermazione. Coloro che abbracciano la versione meno sofisticata potrebbero insistere sul fatto che le prove fossili non siano affidabili o che le prove fossili che abbiamo, lette correttamente, siano compatibili con una terra di 6000 anni. Correlati penso siano coloro che affermano di avere prove scientifiche di un tipo speciale che dimostrano che la Bibbia è vera: esperienze personali di guarigioni miracolose, diciamo, o predizioni straordinarie del tipo che sono state tratte dal cosiddetto "[[w:Codici nella Bibbia|Codice della Bibbia]]" (una lettura numerologica della Bibbia che presumibilmente mostra, per esempio, come l'assassinio di [[w:Yitzhak Rabin|Yitzhak Rabin]], ad esempio, fosse previsto dai versetti biblici). Alcune di queste affermazioni sono del tutto errate: le prove fossili non sono compatibili con una terra di 6000 anni, tanto per dirne una. Altri dimostrano un malinteso sulla natura della scienza. Le affermazioni secondo cui l'evoluzione per [[w:Selezione naturale|selezione naturale]] è "solo una teoria", ad esempio, fraintendono cosa significhi "teoria" nella scienza (tutta la scienza è costituita da teorie: le osservazioni dirette sono esse stesse informate dalla teoria e non hanno significato scientifico finché non sono combinati, analizzati e spiegati da teorie). Il tipo di prove prodotte dai fan del Codice biblico, che dipendono in modo pervasivo da letture non plausibili e prive di qualsiasi controllo sperimentale (ad esempio un tentativo di applicare gli stessi metodi a testi diversi dalla Bibbia) dimostrano simili fallimenti nel capire come funzionano le prove scientifiche. In ogni caso, queste affermazioni sono tutte respinte in modo schiacciante da scienziati professionisti. La scienza è un progetto sociale, in cui l'evidenza empirica viene raccolta, testata e analizzata da un numero enorme di persone qualificate. Quindi il fatto che praticamente nessun esperto rispettato in nessun campo scientifico rilevante – nessun fisico, nessun biologo, nessun geologo – accetti oggi che il mondo sia stato creato 6000 anni fa, o in sei giorni, o con tutte le specie proprio come sono ora, contrasta fortemente tali affermazioni. Resistere contro lo schiacciante consenso degli scienziati su una questione di fatto empirico già significa non apprezzare la procedura scientifica; abbiamo buone ragioni per pensare che un consenso schiacciante di scienziati, su una questione di loro competenza, possa essere corretto.
Tutto ciò aiuta a spiegare perché le persone formate in scienze tendono rapidamente a respingere coloro che arruolano la scienza a sostegno di una fede biblica. Forse troppo in fretta. Dopotutto, le teorie scientifiche sono andate e venute molte volte nel corso della storia umana e spesso i presunti esperti si sono sbagliati di grosso, anche quando si sono trovati d'accordo tra di loro. L'astrologia, la teoria medica dei quattro umori e l'idea che una terra piatta si trovi al centro dell'universo sono state tutte sostenute proprio con il tipo di schiacciante supporto di esperti che oggi viene accordato al [[w:Big Bang|Big Bang]] e all'evoluzione per selezione naturale. E tuttavia erano comunque errate, e dissidenti come [[w:Galileo Galilei|Galileo]] avevano ragione a opporvisi. Perché lo stesso non potrebbe valere per il consenso odierno sull'evoluzione? Come si può essere sicuri che i dissidenti religiosi che sostengono una teoria creazionista, lungi dall'essere pazzi, non siano i veri Galileo del nostro tempo?
Ma il paragone è capzioso. È vero che molte teorie pazzescamente errate, dal geocentrismo all'idea che le stelle siano intelligenze incorporee, dominavano il mondo prima dell'ascesa della scienza moderna nel diciassettesimo secolo. Il loro predominio era tuttavia dovuto in gran parte al fatto che l'indagine sul mondo in epoca premoderna era condotta sotto la minaccia di punizione per coloro che dissentivano da una linea religiosa di parte. Anche il metodo di indagine non veniva mai condotto attraverso gli esperimenti controllati, la massiccia raccolta di dati (aiutata dalle nuove tecnologie come il microscopio e il telescopio) e i potenti strumenti matematici introdotti da personaggi del calibro di [[w:Cartesio|Cartesio]], [[w:Galileo Galilei|Galileo]], [[w:Christiaan Huygens|Huygens]], [[w:Isaac Newton|Newton]], e [[w:Antoine-Laurent de Lavoisier|Lavoisier]]. La scienza moderna è un modo radicalmente nuovo di investigare l'universo, che ha avuto un rendimento predittivo e tecnologico sbalorditivo e senza precedenti, ed è diventato un'impresa autocorrettiva che supera i propri fallimenti rapidamente e facilmente. Certamente è soggetto a errori e pregiudizi umani, ma è così aperto, così competitivo e gestito da un numero così grande di persone, che è estremamente improbabile mantenere a lungo i tipi di dogmi che hanno sostenuto l'astrologia e il geocentrismo. Al contrario, sono coloro che insistono su una terra di 6000 anni e cose simili che assomigliano ai dogmatici di un tempo, che assomigliano all'establishment che si oppose a Galileo.
Ho detto che c'era una versione più sofisticata del punto di vista "la scienza potrebbe essere errata". Questa versione accetta la scienza moderna, ma nega di aver minato le pretese centrali di una o più religioni. Argomenti in questo senso si trovano principalmente tra i filosofi di professione piuttosto che nel pubblico in generale, specialmente tra un gruppo di filosofi che chiamerò "i nuovi razionalisti religiosi"; includono [[w:Alvin Plantinga|Alvin Plantinga]], [[w:William Alston|William Alston]], [[:en:w:Nicholas Wolterstorff|Nicholas Wolterstorff]] e [[w:Richard Swinburne|Richard Swinburne]]. I nuovi razionalisti religiosi accettano le affermazioni di base della cosmologia e della biologia moderne (che l'universo è iniziato con il Big Bang, quasi quattordici miliardi di anni fa, e che la vita si è sviluppata attraverso l'[[w:evoluzione|evoluzione]] [[w:Charles Darwin|darwiniana]]), e si concentrano invece sulla metafisica della scienza. Hanno riportato in vita alcune prove medievali di Dio, hanno suggerito che la scienza stessa potrebbe essere inintelligibile a meno che non ci sia un Dio e hanno sostenuto che le leggi scientifiche non possono mostrare l'impossibilità dei miracoli. Con questi risultati metafisici in mano, sostengono anche che i critici scientifici moderni della Bibbia – i cosiddetti "critici superiori", che valutano la Bibbia utilizzando strumenti storici che attingono alla scienza moderna – partono dal presupposto dogmatico che non è possibile avere miracoli. A volte aggiungono considerazioni intese a mostrare che è probabile che alcuni aspetti della Bibbia siano veri.
Alcuni di questi punti sono corretti e importanti. È vero, credo, che la scienza non può confutare l'esistenza di Dio, o dei miracoli. È anche vero che gran parte della critica scientifica alla Bibbia è governata da presupposti che impediscono ai critici di poterla vedere come una registrazione di una vera esperienza religiosa, e che i critici raramente tentano di giustificare questi presupposti. Tali punti negativi – su ciò che la scienza ''non'' può fare – sono inoltre importanti per chiunque voglia considerare la possibilità che la Bibbia, o qualsiasi altra Scrittura, riveli la natura o la volontà di Dio.
Ma non sono d'accordo con il programma positivo dei nuovi razionalisti religiosi. Come la maggior parte dei filosofi, non trovo convincenti le prove di Dio che hanno riportato in vita, e ancor meno sono persuaso dalle considerazioni che adducono sulla probabilità che Dio compia certi miracoli. E anche se hanno ragione sui pregiudizi dei critici biblici moderni, le prove dell'inesattezza storica della Bibbia sono così schiaccianti che è avventato basarsi sulle sue affermazioni fattuali.
Consentitemi quindi di riformulare i punti positivi dei nuovi razionalisti religiosi in termini alquanto diversi dai loro. Il mio punto di vista segue gli insegnamenti di Immanuel Kant, il quale sosteneva che la scienza non può né confutare né provare i principi centrali della religione, e da lì è passato all'argomento secondo cui la religione, se vera, deve essere tale per ragioni indipendenti dalla scienza.
Qualunque cosa possa dire [[w:Richard Dawkins|Richard Dawkins]], la scienza non può escludere l'esistenza di Dio. Dio, se esiste, deve o pervadere l'intero universo empirico o trovarsi al di là di esso; Dio non può essere qualcosa che potremmo osservare in alcuni luoghi e tempi ma non in altri, o la cui presenza potremmo rilevare mediante un esperimento controllato. Testare l'esistenza di Dio significa presumere che ci siano cose o regni indipendenti da Dio, che possono essere paragonati a cose o reami che Dio ha creato; questa è una sciocchezza teologica, almeno per i monoteisti. Quindi Dio non è il tipo di essere la cui esistenza la scienza può eventualmente determinare, non il tipo di essere, in effetti, che può ''avere'' il tipo di esistenza che hanno gli oggetti della scienza. La scienza studia le cose e le forze ''dentro'' il mondo naturale, aspetti limitati di quel mondo che possono essere contrastati con altri aspetti. Non può far presa su un essere o una forza che dovrebbe essere ugualmente presente in tutta la natura, o che struttura o gestisce l'intero mondo naturale senza farne parte. Quindi la scienza non può né provare né confutare l'esistenza di Dio. Né può provare o smentire l'esistenza dei miracoli, che sono sicuramente possibili se c'è un Dio (come potrebbe un essere che governa tutta la natura non riuscire a sospendere le leggi della natura stessa?), e impossibili se non c'è Dio.
Tutto questo è vero, almeno, per la scienza ''moderna''. La scienza moderna è solo uno dei tanti modi in cui gli esseri umani hanno cercato di spiegare il mondo naturale, e alcune teorie premoderne della natura sembravano implicare che ci fosse un Dio. La scienza [[w:aristotelismo|aristotelica]] e [[w:neoplatonismo|neoplatonica]], ad esempio, che in Occidente dominava le visioni medievali del mondo, richiedeva il postulato di un Essere necessario e infinitamente buono, da cui scaturisce ogni altra esistenza. La scienza moderna non richiede una cosa del genere.
Detto questo, un argomento orientato alla scienza per la fede in Dio e fornito dai nuovi razionalisti religiosi mi sembra plausibile. In molti dei suoi libri, Alvin Plantinga ha sottolineato che ci sono buoni argomenti evolutivi contro l'idea che le scienze naturali possano dirci tutto sul nostro mondo. I resoconti evolutivi dello sviluppo della nostra mente suggeriscono che saremo inclini a credere a qualunque cosa sia favorevole alla nostra sopravvivenza. Ma credenze adattative di questo tipo non devono necessariamente essere allineate con la verità. Per la maggior parte del tempo sarà utile alla nostra specie, ad esempio, credere che supereremo viaggi pericolosi o imprese militari anche se non è vero; è possibile che la nostra tendenza a sottovalutare il rischio si sia evoluta perché le creature più realistiche si sono estinte quando le difficoltà o la battaglia le hanno messe in competizione con noi. Perché le nostre teorie scientifiche non dovrebbero essere soggette alle stesse pressioni adattative e sembrarci vere perché è utile per noi crederci, piuttosto che perché in realtà sono vere? Dopotutto, questo è ciò che tendiamo a dire delle teorie scientifiche dei nostri antenati. L'astrologia e la cosmologia tolemaica, diciamo, sopravvissero così a lungo perché crederci era utile alle società in cui fiorivano, piuttosto che perché erano vere. Sembrerebbe una scusa speciale esentare le nostre scienze moderne partendo da questo modo di spiegarle. Ma in tal caso, una visione che si basa solo sulla scienza per ottenere la conoscenza si indebolirà: alle sue stesse condizioni, è improbabile che sia vera. È molto più probabile che le nostre teorie scientifiche si avvicinino alla verità se siamo stati progettati da un Essere tutto buono e tutto saggio che ci ha dato capacità intellettuali destinate, nel tempo, a sviluppare una corretta comprensione dell'universo. Quindi, per quanto strano possa sembrare, abbiamo più ragioni per credere che le teorie scientifiche siano in gran parte vere se la natura è stata creata da un Dio, piuttosto che se la scienza stessa ci raccontasse l'intera storia della natura.
Vorrei presentare un piccolo emendamento a questa argomentazione. Plantinga afferma che la teoria evolutiva consente che le nostre credenze sensoriali quotidiane, così come le nostre teorie scientifiche, siano false. Ciò non può essere giusto: se le nostre convinzioni quotidiane sul nostro ambiente sono adattive, per la maggior parte non possono essere false. ''Dobbiamo'' comprendere bene il nostro ambiente quotidiano, nel complesso, altrimenti ci estingueremmo rapidamente. Ciò che vediamo, ascoltiamo e tocchiamo fornisce le informazioni di cui abbiamo bisogno per trovare cibo e riparo adeguati ed evitare i pericoli. Non possiamo sbagliare regolarmente e sopravvivere. Le nostre ''teorie'' più elaborate sulla realtà non sono soggette a queste pressioni, tuttavia, e siamo sopravvissuti abbastanza bene, nel corso di molti secoli, con teorie che erano terribilmente sbagliate. Tuttavia, questo punto si applica all'evoluzione per selezione naturale tanto quanto a qualsiasi altra teoria, quindi Plantinga ha ragione sul fatto che quella teoria, quando considerata come l'intera verità sulla natura, tende a minare se stessa. La scienza in generale, inclusa la teoria dell'evoluzione, sembra molto più probabile che sia vera se le nostre menti sono state progettate da Dio che se sono nate da una serie di incidenti arbitrari.
Ciononostante, questa argomentazione offre ai credenti meno di quanto si possa pensare. Mostra tutt'al più che la scienza acquista credibilità quando viene compresa in un quadro che include un Dio, non che sia impossibile altrimenti; lascia ampiamente aperto quale tipo di Dio sarebbe necessario per dare un senso alla scienza; e una delle cose che lascia quindi aperte è se il Dio in questione abbia bisogno di assomigliare al Dio di qualsiasi religione tradizionale. È bello avere in mano qualche ragione scientificamente rilevante per favorire la fede in Dio, ma questo non è sufficiente per giustificare un impegno per ebraismo, cristianesimo o islam. E non riesco a immaginare che qualcuno effettivamente aderisca a queste religioni sulla base di un tale argomento. Sarebbe meglio trattare l'argomento di Plantinga semplicemente come un supplemento ad altre ragioni per cui dobbiamo credere in Dio, non una ragione principale per tale credenza.
Quando ci rivolgiamo alle religioni tradizionali in cui la fede in Dio è solitamente inclusa, scopriamo che il tentativo dei nuovi razionalisti religiosi di strappare il rispetto per le loro credenze alla scienza moderna è più un ostacolo che un aiuto. Ho in mente in particolare la loro volontà di accettare molte falsità fattuali nei testi sacri, insistendo sul fatto che alcune affermazioni, centrali per la loro fede, possono essere ancora vere. È davvero plausibile che Dio riveli la Sua vera natura o volontà per gli esseri umani in un libro pieno di falsità, dal quale dobbiamo cogliere con cautela le poche perle di verità? I nuovi razionalisti religiosi vogliono mostrare il loro rispetto per la scienza ammettendo che [[w:Giosuè (condottiero biblico)|Giosuè]] non ha fermato il sole, che non ci sono mai state persone che hanno vissuto per otto o novecento anni e che gran parte della magia attribuita a Gesù probabilmente non è avvenuta, mentre insistono ancora sul fatto che Gesù è risorto (sono quasi tutti cristiani; per un ebreo, l'affermazione equivalente sarebbe che ci sia stata una rivelazione al Sinai); gli storici che affermano il contrario – suggeriscono loro – esprimono un pregiudizio antireligioso. Ammetto che gli storici non sono riusciti a mostrare — come avrebbero potuto? — che Gesù ''non'' risorse, o che non vi fu alcuna rivelazione al Sinai. Ma il fatto che questi eventi siano registrati da scrittori che hanno sbagliato molto altro dovrebbe farci riflettere. Perché supporre che gli scrittori biblici abbiano ragione su questi eventi se hanno mentito o si sono sbagliati sul fatto che Giosuè abbia fermato il sole, sulla magia di Gesù e su una miriade di altre cose? Gli storici moderni dubitano che ci sia mai stata una schiavitù di massa degli israeliti in Egitto, per non parlare di un esodo del tipo descritto nella Bibbia. Se nessuno di questi eventi si è verificato, ci vuole un'enorme sospensione dell'incredulità per supporre che sia accaduto qualcosa di lontanamente simile alla rivelazione sinaitica.
Come ebreo, questo esempio è particolarmente importante per me: rimane ben poco della mia religione se la verità nella religione dipende dall'accuratezza storica e la storia del Sinai è imprecisa. Alcuni scrittori cristiani hanno suggerito che la loro religione è più in forma, poiché l'unico fatto storico che le interessa è la risurrezione di Gesù, fatto che è più facilmente isolato dalla confutazione storica rispetto a un evento che si dice sia accaduto a un intero popolo. Ma Gesù si descrive esplicitamente come l'erede e il compimento degli insegnamenti di Mosè. Quindi, se l'ebraismo è smentito dalla storia, lo sarà anche il cristianesimo. ([[w:Moses Mendelssohn|Moses Mendelssohn]], un filosofo ebreo del diciottesimo secolo, notoriamente rispose al suggerimento di convertirsi al cristianesimo dicendo che era come dire a qualcuno che viveva al piano terra di una casa con fondamenta traballanti che avrebbe dovuto invece trasferirsi all'ultimo piano). Così è per l'islam. Potrebbe essere difficile immaginare come le prove storiche possano confutare l'affermazione che [[w:Maometto|Maometto]] avesse parlato all'[[w:Arcangelo Gabriele|angelo Gibreel]]. Ma Maometto presenta il suo insegnamento come erede e complemento agli insegnamenti di Mosè. Quindi, se la storia ebraica centrale sulla rivelazione al Sinai viene minata, anche il [[w:Corano|Corano]] diventa poco plausibile.
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie dei sentimenti|Serie maimonidea|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria:Rivelazione e impegno esistenziale|Capitolo 1]]
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== VERITÀ ==
La religione rivelata è in contrasto, principalmente, con la religione razionale o personale. Le religioni rivelate non si limitano a sostenere le loro convinzioni centrali, come farebbe una religione puramente razionale, né esortano i credenti a trovare un significato spirituale attraverso la meditazione, l'intuizione mistica o altre forme di esperienza personale. Piuttosto, prendono la loro visione di com'è fondamentalmente l'universo e di ciò che gli esseri umani dovrebbero fare in esso, da qualcosa che sostengono sia stato insegnato da Dio, o da un essere umano straordinario ([[w:Confucio|Confucio]], il [[w:Buddha|Buddha]], [[w:Laozi|Lao-tzu]]) dopo un momento di straordinaria intuizione. Questo insegnamento è racchiuso in un testo o in un insieme di detti che viene tramandato, insieme a interpretazioni di esso e una pratica rituale che si dice derivi da esso, di generazione in generazione. "Trasmettere" in latino è ''traditio'' e una religione che tramanda i suoi insegnamenti e le sue pratiche in questo modo può anche essere chiamata "religione tradizionale".
Una religione rivelata è, quindi, una religione incentrata su un testo e una tradizione. Quasi tutto ciò che comunemente chiamiamo "religione" — ebraismo, islam, induismo — è una religione rivelata o tradizionale; questo è anche ciò che le persone intendono quando parlano di "religione organizzata". Infatti, anche quando i gruppi si staccano da una religione tradizionale, rifiutandone i testi o le pratiche in quanto soffocanti per la vera spiritualità, tendono a rivendicare una propria nuova rivelazione. Questa è la storia del cristianesimo primitivo; in anni più recenti gli [[w:cristianesimo scientista|cristiani scientisti]] hanno affiancato alla Bibbia il loro ''Science and Health With a Key to the Scriptures (Scienza e Salute con la Chiave delle Scritture)'' e i [[w:mormonismo|mormoni]] hanno aggiunto ''[[w:Libro di Mormon|The Book of Mormon (Il Libro di Mormon)]]''. Anche i [[w:Bahá'í|bahai]], che sono impegnati nella ricerca di una verità libera dalla tradizione, hanno una serie di testi che considerano una nuova rivelazione. A parte le pratiche di alcune tribù animistiche troppo amorfe per essere identificate con un insegnamento particolare, ciò che le espressioni "religione rivelata" e "religione tradizionale" escludono chiaramente è solo la religione razionale, nella misura in cui esiste, e le religioni personali del tipo associato alla spiritualità [[w:New Age|New Age]]. Ma negli ultimi due secoli anche rami liberali o progressisti dell'ebraismo e del cristianesimo hanno teso a sminuire l'importanza della rivelazione e della tradizione, a favore della ragione e dell'esperienza personale. L'idea che la natura o la volontà di Dio, o qualsiasi altro fatto spiritualmente importante, possa essere meglio rivelata in un testo composto secoli fa mette a disagio le persone formate nella scienza moderna; si pensa anche che la riverenza per un testo antico rafforzi pregiudizi sessisti, razzisti e di altro tipo.
Queste preoccupazioni sono assolutamente ragionevoli. L'idea che dovremmo mostrare riverenza per un testo antico, e gli insegnamenti e le pratiche tramandate in suo nome, solleva serie preoccupazioni per noi moderni sia dal punto di vista scientifico che morale. Tuttavia, il mio scopo in questo libro è difendere tale idea. In effetti, offrirò ragioni a difesa di tutte le caratteristiche della religione rivelata che più offendono i laici e mettono in imbarazzo i credenti progressisti: un testo sacro, rituali prescritti e le organizzazioni comunitarie che preservano tali cose. Tutte queste caratteristiche derivano dall'idea di rivelazione, per come la intendo io, dalla deferenza ai testi sacri che definisce il cristianesimo tradizionale, l'islam, l'induismo e simili. E le preoccupazioni scientifiche e morali sollevate dall'idea di rivelazione hanno risposta in una certa misura, sebbene ci richiedano di ripensare a cosa sia la rivelazione. La mia preoccupazione principale in questo libro è di esporre e difendere questa riveduta concezione della rivelazione, non di argomentare contro i tipi di religione non-rivelatori insegnati dalle chiese e sinagoghe progressiste. Non discuterò nemmeno granché, contro un completo rifiuto della religione. Voglio mostrare semplicemente che, se uno deve essere religioso, ha buone ragioni per venerare un testo religioso tradizionale, e l'insegnamento e le pratiche ad esso associati.
Un'altra nota introduttiva. Come ho indicato, considero ampia la nozione di religione rivelata, che può includere tradizioni non teistiche come il buddhismo e il taoismo, nonché le cosiddette religioni "abramiche" a noi familiari in Occidente. Ma alcuni seguaci delle religioni orientali, in particolare il buddhismo, non considerano come rivelati i testi a cui tengono, perlomeno non in alcun senso ovvio. Non voglio qui mettere in discussione questi problemi, e il mio ''focus'' è in effetti principalmente sulle religioni teistiche; spero semplicemente e credo che molto di ciò che dico sarà trasferibile, solo con piccoli cambiamenti, a religioni come il buddhismo e il taoismo. Tuttavia, per non parlare presuntuosamente di tradizioni che non conosco bene, in questo libro parlerò per la maggior parte di "Dio" e di persone che parlano per Dio piuttosto che di saggi, come il Buddha, i cui insegnamenti non sono teisti. In effetti, trarrò molti dei miei esempi dalla tradizione ebraica, poiché la conosco meglio di tutte le altre.
Allora, incominciamo con una domanda cruciale: cosa intendono i credenti quando chiamano i loro testi sacri "veri"? Dati gli evidenti errori scientifici e le inesattezze storiche che riempiono praticamente ogni libro religioso, come si può considerarli ''veri''? Ebrei, cristiani e musulmani tradizionali considerano le loro Bibbie e il Corano non solo come vere, ma come il paradigma della verità, la fonte della più alta saggezza che gli esseri umani possano raggiungere. Ma sicuramente abbiamo tutte le ragioni, oggi, per respingere tali affermazioni. La Torah e i Vangeli riportano ogni sorta di eventi che la scienza moderna considera impossibili e storici di mentalità scientifica hanno dimostrato che sono pieni di imprecisioni storiche. Cosa diamine può significare una persona, allora, chiamandole "vere"? Naturalmente, alcuni credenti intendono che la scienza moderna sia sbagliata, nella misura in cui contraddice le loro sacre scritture, e che tutto nel testo è letteralmente corretto. Ma altri credenti penso usino la parola "vero" in un modo piuttosto diverso da come viene usata nella scienza: stanno infatti sfidando il monopolio che la nostra società tende a concedere alla scienza su quella parola.
Iniziamo la nostra indagine con questi problemi. Consideriamo innanzitutto le persone che suggeriscono che la scienza moderna è sbagliata, nella misura in cui è in conflitto con la Bibbia. Esistono versioni più e meno sofisticate di questa affermazione. Coloro che abbracciano la versione meno sofisticata potrebbero insistere sul fatto che le prove fossili non siano affidabili o che le prove fossili che abbiamo, lette correttamente, siano compatibili con una terra di 6000 anni. Correlati penso siano coloro che affermano di avere prove scientifiche di un tipo speciale che dimostrano che la Bibbia è vera: esperienze personali di guarigioni miracolose, diciamo, o predizioni straordinarie del tipo che sono state tratte dal cosiddetto "[[w:Codici nella Bibbia|Codice della Bibbia]]" (una lettura numerologica della Bibbia che presumibilmente mostra, per esempio, come l'assassinio di [[w:Yitzhak Rabin|Yitzhak Rabin]], ad esempio, fosse previsto dai versetti biblici). Alcune di queste affermazioni sono del tutto errate: le prove fossili non sono compatibili con una terra di 6000 anni, tanto per dirne una. Altri dimostrano un malinteso sulla natura della scienza. Le affermazioni secondo cui l'evoluzione per [[w:Selezione naturale|selezione naturale]] è "solo una teoria", ad esempio, fraintendono cosa significhi "teoria" nella scienza (tutta la scienza è costituita da teorie: le osservazioni dirette sono esse stesse informate dalla teoria e non hanno significato scientifico finché non sono combinati, analizzati e spiegati da teorie). Il tipo di prove prodotte dai fan del Codice biblico, che dipendono in modo pervasivo da letture non plausibili e prive di qualsiasi controllo sperimentale (ad esempio un tentativo di applicare gli stessi metodi a testi diversi dalla Bibbia) dimostrano simili fallimenti nel capire come funzionano le prove scientifiche. In ogni caso, queste affermazioni sono tutte respinte in modo schiacciante da scienziati professionisti. La scienza è un progetto sociale, in cui l'evidenza empirica viene raccolta, testata e analizzata da un numero enorme di persone qualificate. Quindi il fatto che praticamente nessun esperto rispettato in nessun campo scientifico rilevante – nessun fisico, nessun biologo, nessun geologo – accetti oggi che il mondo sia stato creato 6000 anni fa, o in sei giorni, o con tutte le specie proprio come sono ora, contrasta fortemente tali affermazioni. Resistere contro lo schiacciante consenso degli scienziati su una questione di fatto empirico già significa non apprezzare la procedura scientifica; abbiamo buone ragioni per pensare che un consenso schiacciante di scienziati, su una questione di loro competenza, possa essere corretto.
Tutto ciò aiuta a spiegare perché le persone formate in scienze tendono rapidamente a respingere coloro che arruolano la scienza a sostegno di una fede biblica. Forse troppo in fretta. Dopotutto, le teorie scientifiche sono andate e venute molte volte nel corso della storia umana e spesso i presunti esperti si sono sbagliati di grosso, anche quando si sono trovati d'accordo tra di loro. L'astrologia, la teoria medica dei quattro umori e l'idea che una terra piatta si trovi al centro dell'universo sono state tutte sostenute proprio con il tipo di schiacciante supporto di esperti che oggi viene accordato al [[w:Big Bang|Big Bang]] e all'evoluzione per selezione naturale. E tuttavia erano comunque errate, e dissidenti come [[w:Galileo Galilei|Galileo]] avevano ragione a opporvisi. Perché lo stesso non potrebbe valere per il consenso odierno sull'evoluzione? Come si può essere sicuri che i dissidenti religiosi che sostengono una teoria creazionista, lungi dall'essere pazzi, non siano i veri Galileo del nostro tempo?
Ma il paragone è capzioso. È vero che molte teorie pazzescamente errate, dal geocentrismo all'idea che le stelle siano intelligenze incorporee, dominavano il mondo prima dell'ascesa della scienza moderna nel diciassettesimo secolo. Il loro predominio era tuttavia dovuto in gran parte al fatto che l'indagine sul mondo in epoca premoderna era condotta sotto la minaccia di punizione per coloro che dissentivano da una linea religiosa di parte. Anche il metodo di indagine non veniva mai condotto attraverso gli esperimenti controllati, la massiccia raccolta di dati (aiutata dalle nuove tecnologie come il microscopio e il telescopio) e i potenti strumenti matematici introdotti da personaggi del calibro di [[w:Cartesio|Cartesio]], [[w:Galileo Galilei|Galileo]], [[w:Christiaan Huygens|Huygens]], [[w:Isaac Newton|Newton]], e [[w:Antoine-Laurent de Lavoisier|Lavoisier]]. La scienza moderna è un modo radicalmente nuovo di investigare l'universo, che ha avuto un rendimento predittivo e tecnologico sbalorditivo e senza precedenti, ed è diventato un'impresa autocorrettiva che supera i propri fallimenti rapidamente e facilmente. Certamente è soggetto a errori e pregiudizi umani, ma è così aperto, così competitivo e gestito da un numero così grande di persone, che è estremamente improbabile mantenere a lungo i tipi di dogmi che hanno sostenuto l'astrologia e il geocentrismo. Al contrario, sono coloro che insistono su una terra di 6000 anni e cose simili che assomigliano ai dogmatici di un tempo, che assomigliano all'establishment che si oppose a Galileo.
Ho detto che c'era una versione più sofisticata del punto di vista "la scienza potrebbe essere errata". Questa versione accetta la scienza moderna, ma nega di aver minato le pretese centrali di una o più religioni. Argomenti in questo senso si trovano principalmente tra i filosofi di professione piuttosto che nel pubblico in generale, specialmente tra un gruppo di filosofi che chiamerò "i nuovi razionalisti religiosi"; includono [[w:Alvin Plantinga|Alvin Plantinga]], [[w:William Alston|William Alston]], [[:en:w:Nicholas Wolterstorff|Nicholas Wolterstorff]] e [[w:Richard Swinburne|Richard Swinburne]]. I nuovi razionalisti religiosi accettano le affermazioni di base della cosmologia e della biologia moderne (che l'universo è iniziato con il Big Bang, quasi quattordici miliardi di anni fa, e che la vita si è sviluppata attraverso l'[[w:evoluzione|evoluzione]] [[w:Charles Darwin|darwiniana]]), e si concentrano invece sulla metafisica della scienza. Hanno riportato in vita alcune prove medievali di Dio, hanno suggerito che la scienza stessa potrebbe essere inintelligibile a meno che non ci sia un Dio e hanno sostenuto che le leggi scientifiche non possono mostrare l'impossibilità dei miracoli. Con questi risultati metafisici in mano, sostengono anche che i critici scientifici moderni della Bibbia – i cosiddetti "critici superiori", che valutano la Bibbia utilizzando strumenti storici che attingono alla scienza moderna – partono dal presupposto dogmatico che non è possibile avere miracoli. A volte aggiungono considerazioni intese a mostrare che è probabile che alcuni aspetti della Bibbia siano veri.
Alcuni di questi punti sono corretti e importanti. È vero, credo, che la scienza non può confutare l'esistenza di Dio, o dei miracoli. È anche vero che gran parte della critica scientifica alla Bibbia è governata da presupposti che impediscono ai critici di poterla vedere come una registrazione di una vera esperienza religiosa, e che i critici raramente tentano di giustificare questi presupposti. Tali punti negativi – su ciò che la scienza ''non'' può fare – sono inoltre importanti per chiunque voglia considerare la possibilità che la Bibbia, o qualsiasi altra Scrittura, riveli la natura o la volontà di Dio.
Ma non sono d'accordo con il programma positivo dei nuovi razionalisti religiosi. Come la maggior parte dei filosofi, non trovo convincenti le prove di Dio che hanno riportato in vita, e ancor meno sono persuaso dalle considerazioni che adducono sulla probabilità che Dio compia certi miracoli. E anche se hanno ragione sui pregiudizi dei critici biblici moderni, le prove dell'inesattezza storica della Bibbia sono così schiaccianti che è avventato basarsi sulle sue affermazioni fattuali.
Consentitemi quindi di riformulare i punti positivi dei nuovi razionalisti religiosi in termini alquanto diversi dai loro. Il mio punto di vista segue gli insegnamenti di Immanuel Kant, il quale sosteneva che la scienza non può né confutare né provare i principi centrali della religione, e da lì è passato all'argomento secondo cui la religione, se vera, deve essere tale per ragioni indipendenti dalla scienza.
Qualunque cosa possa dire [[w:Richard Dawkins|Richard Dawkins]], la scienza non può escludere l'esistenza di Dio. Dio, se esiste, deve o pervadere l'intero universo empirico o trovarsi al di là di esso; Dio non può essere qualcosa che potremmo osservare in alcuni luoghi e tempi ma non in altri, o la cui presenza potremmo rilevare mediante un esperimento controllato. Testare l'esistenza di Dio significa presumere che ci siano cose o regni indipendenti da Dio, che possono essere paragonati a cose o reami che Dio ha creato; questa è una sciocchezza teologica, almeno per i monoteisti. Quindi Dio non è il tipo di essere la cui esistenza la scienza può eventualmente determinare, non il tipo di essere, in effetti, che può ''avere'' il tipo di esistenza che hanno gli oggetti della scienza. La scienza studia le cose e le forze ''dentro'' il mondo naturale, aspetti limitati di quel mondo che possono essere contrastati con altri aspetti. Non può far presa su un essere o una forza che dovrebbe essere ugualmente presente in tutta la natura, o che struttura o gestisce l'intero mondo naturale senza farne parte. Quindi la scienza non può né provare né confutare l'esistenza di Dio. Né può provare o smentire l'esistenza dei miracoli, che sono sicuramente possibili se c'è un Dio (come potrebbe un essere che governa tutta la natura non riuscire a sospendere le leggi della natura stessa?), e impossibili se non c'è Dio.
Tutto questo è vero, almeno, per la scienza ''moderna''. La scienza moderna è solo uno dei tanti modi in cui gli esseri umani hanno cercato di spiegare il mondo naturale, e alcune teorie premoderne della natura sembravano implicare che ci fosse un Dio. La scienza [[w:aristotelismo|aristotelica]] e [[w:neoplatonismo|neoplatonica]], ad esempio, che in Occidente dominava le visioni medievali del mondo, richiedeva il postulato di un Essere necessario e infinitamente buono, da cui scaturisce ogni altra esistenza. La scienza moderna non richiede una cosa del genere.
Detto questo, un argomento orientato alla scienza per la fede in Dio e fornito dai nuovi razionalisti religiosi mi sembra plausibile. In molti dei suoi libri, Alvin Plantinga ha sottolineato che ci sono buoni argomenti evolutivi contro l'idea che le scienze naturali possano dirci tutto sul nostro mondo. I resoconti evolutivi dello sviluppo della nostra mente suggeriscono che saremo inclini a credere a qualunque cosa sia favorevole alla nostra sopravvivenza. Ma credenze adattative di questo tipo non devono necessariamente essere allineate con la verità. Per la maggior parte del tempo sarà utile alla nostra specie, ad esempio, credere che supereremo viaggi pericolosi o imprese militari anche se non è vero; è possibile che la nostra tendenza a sottovalutare il rischio si sia evoluta perché le creature più realistiche si sono estinte quando le difficoltà o la battaglia le hanno messe in competizione con noi. Perché le nostre teorie scientifiche non dovrebbero essere soggette alle stesse pressioni adattative e sembrarci vere perché è utile per noi crederci, piuttosto che perché in realtà sono vere? Dopotutto, questo è ciò che tendiamo a dire delle teorie scientifiche dei nostri antenati. L'astrologia e la cosmologia tolemaica, diciamo, sopravvissero così a lungo perché crederci era utile alle società in cui fiorivano, piuttosto che perché erano vere. Sembrerebbe una scusa speciale esentare le nostre scienze moderne partendo da questo modo di spiegarle. Ma in tal caso, una visione che si basa solo sulla scienza per ottenere la conoscenza si indebolirà: alle sue stesse condizioni, è improbabile che sia vera. È molto più probabile che le nostre teorie scientifiche si avvicinino alla verità se siamo stati progettati da un Essere tutto buono e tutto saggio che ci ha dato capacità intellettuali destinate, nel tempo, a sviluppare una corretta comprensione dell'universo. Quindi, per quanto strano possa sembrare, abbiamo più ragioni per credere che le teorie scientifiche siano in gran parte vere se la natura è stata creata da un Dio, piuttosto che se la scienza stessa ci raccontasse l'intera storia della natura.
Vorrei presentare un piccolo emendamento a questa argomentazione. Plantinga afferma che la teoria evolutiva consente che le nostre credenze sensoriali quotidiane, così come le nostre teorie scientifiche, siano false. Ciò non può essere giusto: se le nostre convinzioni quotidiane sul nostro ambiente sono adattive, per la maggior parte non possono essere false. ''Dobbiamo'' comprendere bene il nostro ambiente quotidiano, nel complesso, altrimenti ci estingueremmo rapidamente. Ciò che vediamo, ascoltiamo e tocchiamo fornisce le informazioni di cui abbiamo bisogno per trovare cibo e riparo adeguati ed evitare i pericoli. Non possiamo sbagliare regolarmente e sopravvivere. Le nostre ''teorie'' più elaborate sulla realtà non sono soggette a queste pressioni, tuttavia, e siamo sopravvissuti abbastanza bene, nel corso di molti secoli, con teorie che erano terribilmente sbagliate. Tuttavia, questo punto si applica all'evoluzione per selezione naturale tanto quanto a qualsiasi altra teoria, quindi Plantinga ha ragione sul fatto che quella teoria, quando considerata come l'intera verità sulla natura, tende a minare se stessa. La scienza in generale, inclusa la teoria dell'evoluzione, sembra molto più probabile che sia vera se le nostre menti sono state progettate da Dio che se sono nate da una serie di incidenti arbitrari.
Ciononostante, questa argomentazione offre ai credenti meno di quanto si possa pensare. Mostra tutt'al più che la scienza acquista credibilità quando viene compresa in un quadro che include un Dio, non che sia impossibile altrimenti; lascia ampiamente aperto quale tipo di Dio sarebbe necessario per dare un senso alla scienza; e una delle cose che lascia quindi aperte è se il Dio in questione abbia bisogno di assomigliare al Dio di qualsiasi religione tradizionale. È bello avere in mano qualche ragione scientificamente rilevante per favorire la fede in Dio, ma questo non è sufficiente per giustificare un impegno per ebraismo, cristianesimo o islam. E non riesco a immaginare che qualcuno effettivamente aderisca a queste religioni sulla base di un tale argomento. Sarebbe meglio trattare l'argomento di Plantinga semplicemente come un supplemento ad altre ragioni per cui dobbiamo credere in Dio, non una ragione principale per tale credenza.
Quando ci rivolgiamo alle religioni tradizionali in cui la fede in Dio è solitamente inclusa, scopriamo che il tentativo dei nuovi razionalisti religiosi di strappare il rispetto per le loro credenze alla scienza moderna è più un ostacolo che un aiuto. Ho in mente in particolare la loro volontà di accettare molte falsità fattuali nei testi sacri, insistendo sul fatto che alcune affermazioni, centrali per la loro fede, possono essere ancora vere. È davvero plausibile che Dio riveli la Sua vera natura o volontà per gli esseri umani in un libro pieno di falsità, dal quale dobbiamo cogliere con cautela le poche perle di verità? I nuovi razionalisti religiosi vogliono mostrare il loro rispetto per la scienza ammettendo che [[w:Giosuè (condottiero biblico)|Giosuè]] non ha fermato il sole, che non ci sono mai state persone che hanno vissuto per otto o novecento anni e che gran parte della magia attribuita a Gesù probabilmente non è avvenuta, mentre insistono ancora sul fatto che Gesù è risorto (sono quasi tutti cristiani; per un ebreo, l'affermazione equivalente sarebbe che ci sia stata una rivelazione al Sinai); gli storici che affermano il contrario – suggeriscono loro – esprimono un pregiudizio antireligioso. Ammetto che gli storici non sono riusciti a mostrare — come avrebbero potuto? — che Gesù ''non'' risorse, o che non vi fu alcuna rivelazione al Sinai. Ma il fatto che questi eventi siano registrati da scrittori che hanno sbagliato molto altro dovrebbe farci riflettere. Perché supporre che gli scrittori biblici abbiano ragione su questi eventi se hanno mentito o si sono sbagliati sul fatto che Giosuè abbia fermato il sole, sulla magia di Gesù e su una miriade di altre cose? Gli storici moderni dubitano che ci sia mai stata una schiavitù di massa degli israeliti in Egitto, per non parlare di un esodo del tipo descritto nella Bibbia. Se nessuno di questi eventi si è verificato, ci vuole un'enorme sospensione dell'incredulità per supporre che sia accaduto qualcosa di lontanamente simile alla rivelazione sinaitica.
Come ebreo, questo esempio è particolarmente importante per me: rimane ben poco della mia religione se la verità nella religione dipende dall'accuratezza storica e la storia del Sinai è imprecisa. Alcuni scrittori cristiani hanno suggerito che la loro religione è più in forma, poiché l'unico fatto storico che le interessa è la risurrezione di Gesù, fatto che è più facilmente isolato dalla confutazione storica rispetto a un evento che si dice sia accaduto a un intero popolo. Ma Gesù si descrive esplicitamente come l'erede e il compimento degli insegnamenti di Mosè. Quindi, se l'ebraismo è smentito dalla storia, lo sarà anche il cristianesimo. ([[w:Moses Mendelssohn|Moses Mendelssohn]], un filosofo ebreo del diciottesimo secolo, notoriamente rispose al suggerimento di convertirsi al cristianesimo dicendo che era come dire a qualcuno che viveva al piano terra di una casa con fondamenta traballanti che avrebbe dovuto invece trasferirsi all'ultimo piano). Così è per l'islam. Potrebbe essere difficile immaginare come le prove storiche possano confutare l'affermazione che [[w:Maometto|Maometto]] avesse parlato all'[[w:Arcangelo Gabriele|angelo Gibreel]]. Ma Maometto presenta il suo insegnamento come erede e complemento agli insegnamenti di Mosè. Quindi, se la storia ebraica centrale sulla rivelazione al Sinai viene minata, anche il [[w:Corano|Corano]] diventa poco plausibile.
In poche parole, l'accuratezza storica di qualsiasi testo sacro alle religioni abramitiche è un debole piolo a cui appendere il proprio cappello religioso, anche se pregiudizi antireligiosi pervadono l'assalto storico moderno a questi testi. Né a questo proposito sono in forma migliore le altre religioni. Ci sono buone ragioni storiche per supporre che le storie di miracoli dovunque tendano a nascere sul tardi, dopo che una religione è già stata fondata, e poi a diffondersi all'interno della comunità religiosa di riferimento senza alcuno sforzo serio per accertarne la verità. Alcune religioni non dipendono molto dai miracoli. Nessun fatto della storia potrebbe influenzare la verità o la falsità degli aforismi del ''[[w:Daodejing|Tao Te Ching]]'', per esempio, sebbene ci siano leggende miracolose sul suo autore (nato da vergine, tra le altre cose) che potrebbero aver dato credito al libro. Ma se queste religioni sono immuni dalla confutazione storica, è perché non fanno appello al tipo di evidenza che la scienza moderna, e gli storici informati dalla scienza moderna, possono valutare. Ogni volta che una comunità religiosa afferma che i suoi testi sacri sono convalidati da eventi storici, l'archeologia e la linguistica moderne e la [[w:Metodo del carbonio-14|datazione al carbonio]] possono essere utilizzate per dimostrare che quegli eventi non hanno avuto luogo come descritto — e in ogni caso finora esaminato, le prove vanno contro tali pretese.
Fortunatamente, ci sono buone ragioni per mettere da parte scienza e storia, quando si valuta la verità dei testi rivelati. In primo luogo, come ho già notato, l'idea di un Dio è l'idea di un essere che per definizione non può essere né verificato né falsificato con mezzi scientifici. Nessuna osservazione o esperimento sarebbe sufficiente per provare l'esistenza di Dio, né alcuna osservazione o esperimento per dimostrare che Dio non esiste. (Allo stesso modo, le prove scientifiche non possono né provare né smentire l'esistenza di un principio spirituale che pervade l'universo come il [[w:Tao|Tao]] – o un'affermazione, come quella centrale nel buddhismo, che esiste un modo per afferrare il nulla di noi stessi che porrà fine a tutte le nostre sofferenze). Ne consegue che anche se incontrassimo Gesù, vedessimo le meraviglie a lui attribuite e lo seguissimo giorno e notte, non potremmo stabilire se fosse o meno Dio, e anche se avessimo udito una grande voce che proclamava i Dieci Comandamenti al Monte Sinai, non potevamo sapere che quella voce fosse di Dio. Al massimo, se assistessimo direttamente a questi eventi, potremmo concludere che ci sono poteri notevoli nell'universo di cui la scienza non è a conoscenza. Potremmo concludere che qualcosa come la magia nei libri di ''[[w:Harry Potter|Harry Potter]]'' o di un fumetto ''[[w:Marvel Comics|Marvel]]'' per esempio fosse possibile. Ma questo ci permetterebbe di credere in figure come [[w:Albus Silente|Dumbledore]] o [[w:Superman|Superman]], non in un Dio che trascende tutti gli altri poteri ed è il loro creatore o sovrano. Adorare un dio simile a Dumbledore sarebbe idolatria, per un ebreo o cristiano o musulmano. Questo è tuttavia l'unico tipo di dio che l'evidenza empirica, e le scienze basate su tale evidenza, potrebbero accertare.
Allo stesso modo, né le nostre stesse osservazioni né le scienze basate sull'osservazione umana possono assicurarci che Dio ''non'' ci sta parlando, in nessun momento o tramite alcun libro. Per le stesse ragioni per cui la scienza non può confutare l'esistenza di Dio, non può nemmeno provare che la Torah o il Corano ''non'' provengano da Dio. Vale a dire che ciò che è vero in questi libri, se hanno una verità da dire, non è una questione scientifica.
E infatti non si presentano come dicessero verità scientifiche. La massiccia [[w:Tanakh|Bibbia ebraica]] ha un breve capitolo di apertura sulla creazione dell'universo, e quel capitolo è altamente poetico e poco dettagliato. Successivamente, i suoi personaggi fanno affidamento qua e là su una presunta conoscenza della zootecnia ({{passo biblico2|Genesi|30:37-43}}) o della magia ({{passo biblico2|Esodo|7:9-13}}). Ma questi sono incidenti minori, la Bibbia non offre alcun resoconto teorico delle forze che stanno dietro di loro e sono irrilevanti per i suoi insegnamenti religiosi. Le dettagliate teorie fisiche e biologiche che si possono trovare in Platone e in Aristotele non hanno controparti nella Bibbia, nemmeno nei suoi cosiddetti [[w:Libro sapienziale|libri di "sapienza"]]. Lo stesso vale per i Vangeli e il Corano, e ancora di più per i Veda e le Upanishad, il ''Tao Te Ching'' e gli ''[[w:Dialoghi (Confucio)|Analecta di Confucio]]''. Questi testi sono tutti chiaramente destinati a darci una sorta di guida "etica", e una visione di Dio o di un principio metafisico con cui dovremmo essere allineati, piuttosto che qualsiasi cosa che possa competere con la scienza.
Questo è anche il modo in cui le tradizioni religiose basate su questi testi li hanno trattati per la maggior parte. [[w:Agostino di Ippona|Agostino]] interpreta la storia biblica della creazione come un'allegoria della filosofia platonica (la "luce" che viene creata prima del sole è la luce della saggezza), sebbene possa anche aver creduto che sia avvenuta letteralmente. [[Maimonide]] dice che se la migliore scienza che abbiamo potesse dimostrare in modo definitivo che non c'è creazione, dovremmo rifiutare il livello letterale della storia biblica e attribuirle solo un significato allegorico. Così com'è, egli pensa, dobbiamo rifiutare il livello letterale di tutte le caratterizzazioni antropomorfiche di Dio nella Bibbia, e dedica gran parte della sua ''[[Guida dei perplessi]]'' a mostrare come si possa dare a questi brani un significato alternativo. Inoltre, Agostino e Maimonide sono tra le figure più importanti nelle rispettive tradizioni e sebbene le loro opinioni filosofiche nel loro insieme fossero talvolta controverse, i loro metodi di lettura dei testi sacri non lo erano. I rabbini classici e medievali, e i padri della Chiesa, erano inclini a reinterpretazioni radicali della Scrittura, leggendovi spesso un insegnamento filosofico o mistico che ritenevano dovesse contenere la rivelazione, e sottolineando sempre il risultato etico o teologico dei testi piuttosto che loro accuratezza storica. Ciò che rende veri i Vangeli per Agostino, e la Torah vera per Maimonide, è una visione metafisica che trascende i fatti empirici — che in effetti mostra l'irrilevanza ultima dei fatti empirici. Ciò che rende veri questi libri per altre figure cristiane ed ebraiche più mistiche è una metafisica diversa. Ma per nessuno dei grandi plasmatori del cristianesimo, dell'ebraismo e dell'islam – praticamente per nessuno prima dell'era moderna – la verità di un testo sacro è supposta sia come le verità della scienza empirica.
Allora, cosa significa "verità", quando non significa verità scientifica? Potremmo iniziare a rispondere a questa domanda con il modo in cui "vero", o la parola generalmente tradotta come "vero" (''emet''), funziona nella Bibbia ebraica. Il più delle volte, caratterizza una persona o un modo di agire piuttosto che una frase. La prima volta che appare è quando il servo di Abramo, che stava cercando una sposa per Isacco, dice al padre e al fratello di Rebecca di essere stato guidato da Dio su un "vero sentiero" (''derekh emet'') verso Rebecca; poi prosegue chiedendo se lo tratteranno "con benevolenza e verità" dandogliela ({{passo biblico2|Genesi|24:48-49}}). Più tardi, Jethro consiglia a Mosè di scegliere "persone di verità" (''anshe emet'') per aiutarlo a giudicare il popolo ({{passo biblico2|Esodo|18:21}}; cfr. {{passo biblico2|Neemia|7:2}}). Potremmo tradurre ''emet'' come "sicuro" o "affidabile": una persona o un sentiero "vero" è sicuro o affidabile. (Gli ebrei esclamano in preghiera, due volte al giorno, "il Signore tuo Dio è vero", il che può solo significare che Dio è affidabile, qualcuno di cui dovremmo fidarci). Ciò porterebbe la parola ebraica in linea con alcuni usi più antichi di quella italiana, dal [[wikt:verità|latino ''veritas'']], derivato di ''verus'' ossia "vero" oppure dal [[w:sanscrito|sanscrito]] ''vrtta'' cioè "fatto, accadimento".
A volte la Bibbia ebraica usa ''emet'' per caratterizzare le frasi. La [[w:Regina di Saba|Regina di Saba]] esclama: "Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua saggezza!" dopo che Salomone ha risposto in modo soddisfacente alle sue domande ({{passo biblico2|1Re|10:6}}). Il Deuteronomio richiede che le notizie di idolatria in una città siano investigate attentamente e che si agisca solo se si rivelano "vere e certe" ({{passo biblico2|Deuteronomio|13:15}}). Ciò è simile al modo in cui usiamo oggi il linguaggio della verità: valutare enunciati che possono essere verificati dall'osservazione diretta. Ma nel contesto di un libro che usa il "vero" principalmente per valutare persone e percorsi, la sua applicazione alle frasi è derivata. La domanda che la Bibbia solleva, quando utilizza la parola ''emet'', è: "Puoi ''fidarti'' di questa persona, percorso o frase?" E nel caso di un discorso – o di ''certe'' frasi: quelle che destano sospetti, come il resoconto della saggezza di Salomone per la Regina di Saba, e come gli israeliti dovrebbero fare per i resoconti di città idolatriche – la via per dare fiducia può richiedere l'osservazione diretta o una modalità di indagine che prefigura quelle della scienza moderna. Quando si tratta di fidarsi di persone o percorsi, potrebbe non essere disponibile alcun test di osservazione o metodo di indagine. Mosè presumibilmente scelse i suoi assistenti giudici in base a valutazioni generali di carattere, e il servitore di Abramo riuscì a trovare solo un ''segno'' che era su un percorso affidabile verso la sposa di Isacco. In ogni caso, il punto di chiamare qualcosa "vero" nella Bibbia sembra essere chiaramente che ci si può fare affidamento, non che sia sopravvissuto al tribunale della logica o dell'evidenza empirica. Una persona o un percorso di verità, e forsanche una frase vera, è uno/a di cui possiamo e dobbiamo ''fidarci'', indipendentemente dal fatto che abbia superato o meno test logici o empirici.
Allora, quando ci chiediamo se la stessa Bibbia ebraica sia vera, dovremmo renderci conto che nei suoi stessi termini quella domanda significa: "Possiamo e dobbiamo farci affidamento? Fornisce una guida affidabile per le nostre vite?" E questa domanda è molto diversa dalla domanda: "Le sue affermazioni sono verificate empiricamente? Supera i test che abbiamo escogitato per abbinarlo alle nostre stesse osservazioni?" Ancora una volta, nei suoi stessi termini, la Bibbia sembra così evitare di essere trattata come un oggetto di indagine scientifica. Ci invita invece a fidarci di essa come guida, per stabilire una sorta di relazione etica con essa.
Inoltre, la nostra discussione sulla verità nella Bibbia mostra che almeno un'antica cultura trattava la verità in modo del tutto diverso da come la trattiamo nella nostra epoca moderna, dominata dalla scienza. Abbiamo anche visto che l'uso biblico del linguaggio della verità aveva analogie in alcuni aspetti del primo uso linguistico, anche in italiano. Credo che ci siano fenomeni simili in molte società premoderne.
In ogni caso, ora abbiamo in mano un modello per comprendere la verità che ci allontana dall'idea che la scienza fornisca l'unica pietra di paragone per stabilire se le affermazioni meritino tale designazione. Sviluppiamo un po' questo modello; penso che scopriremo catturi molte delle nostre intuizioni sulla verità, che sopprimiamo quando ci pensiamo solo in termini scientifici.
{{Vedi anche|Serie delle interpretazioni|Serie dei sentimenti|Serie maimonidea|Serie misticismo ebraico}}
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[[Categoria:Rivelazione e impegno esistenziale|Capitolo 1]]
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Disposizioni foniche di organi a canne/Italia/Lombardia/Provincia di Varese/Leggiuno/Quicchio - Chiesa dei Santa Caterina del Sasso
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